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Barcellona-Juventus: vince chi sarà più unita come squadra

Barcellona e Juventus sono giunte a questa finale di Champions grazie alla forza di squadra, alla loro abilità a ragionare in termini di NOI. La forza del gruppo è un tema chiave per ogni allenatore, che deve essere in grado di stimolare questa continua partecipazione attiva e creativa dei suoi giocatori. Lo sappiamo bene noi italiani sino dai tempi di Bearzot che si servì del silenzio stampa per unire la squadra in campo. Lo sanno bene gli americani che hanno coniato l’espressione: “La squadra campione batte una squadra di campioni”, a indicare che anche la squadra ideale composta da soli campioni deve comunque integrare le competenze di ognuno per potere esprimersi al massimo delle proprie potenzialità. A questo riguardo Pat Riley, ex allenatore dei Los Angeles Lakers, ha raccontato che da giovane Magic Johnson faceva molti canestri ma la sua squadra era sempre depressa e frustrata, perché i suoi compagni di squadra si sentivano inutili. Decise che quella situazione era per lui insopportabile e da quel momento il suo comportamento in campo cambiò, mettendo le sue capacità al servizio della squadra. L’umore della squadra mutò completamente, i compagni furono molto più motivati, incrementarono le loro abilità e continuarono ugualmente a vincere.

Domani la Juventus può perdere se gioca con l’atteggiamento della vittima mentre il Barcellona può cadere a causa di un atteggiamento presuntuoso e certo del risultato. Questo non deve accadere se vogliamo vedere una partita degna della finale di Champions. Come sempre alla fine una delle due due squadre vincerà e sarà comunque quella che avrà lottato senza sosta e con intelligenza tattica, mettendo i propri giocatori migliori nella condizione di esprimersi in modo vincente.

Ti alleni a vincere?

Si parla sempre con gli atleti esperti e i loro allenatori di quanto sia importante  ripetere in gara quanto si è fatto in allenamento. In tal modo l’allenamento predispone l’atleta a sviluppare e perfezionare le competenze necessarie ad affrontare con successo gli eventi agonistici. L’allenamento riguarda solo in misura minore l’acquisizione tecnica, poiché questa è stata effettuata nelle fasi precedenti dello sviluppo a lungo termine dell’atleta. In cosa consiste quindi l’allenamento a vincere, di seguito una delle descrizioni migliori di questa fase della carriera sportiva di un giovane, da Canadian Sport for Life.

Nella fase di Allenarsi a Vincere del percorso di LTAD, il piano di allenamento richiede una doppia, tripla o multipla periodizzazione per sviluppare i volumi estremamente elevati di allenamento. Piani di periodizzazione progettati con cura permettono agli atleti di alto livello di essere in grado di esprimere tutto il loro potenziale durante la giornata di gara.

Considerazioni generali durante la fase Allenarsi a Vincere

  • Allenare gli atleti a raggiungere il massimo nelle competizioni più importanti.
  • I risultati di prestazione diventano una priorità.
  • Gli atleti devono sviluppare la capacità di produrre prestazioni ottimali quando è necessario.
  • Gli allenatori devono garantire che l’allenamento sia caratterizzato da alta intensità e alto volume.
  • Gli allenatori devono consentire frequenti pause preventive per prevenire il burnout fisica e mentale.
  • L’allenamento deve utilizzare piani di periodizzazione come quadro ottimale di preparazione, secondo le linee guida del piano di periodizzazione LTAD specifico per ogni sport.
  • L’allenamento alla competizione deve essere regolato secondo il principio 25:75, in cui la percentuale di competizione, comprende le attività di allenamento specifiche per la competizione.
  • Gli obiettivi di allenamento includono la massimizzazione e la mantenimento di tutte le capacità dell’atleta.
  • Gli atleti devono imparare ad adattarsi ad ambienti diversi per gareggiare al loro meglio.

 

Il caso Juventus: vincere aiuta a vincere

Vincere aiuta a vincere. Probabilmente se la Lazio non avesse segnato il gol nei primi minuti la Juventus sarebbe stata molto più in difficoltà per la pressione che ogni giocatore della Lazio stava esercitando su di loro. La Juventus ad inizio partita non è sembrata così combattiva come invece si è dimostrata essere la Lazio, forse perché in campionato aveva vinto ambedue le volte con facilità o perché pensava che non sarebbe stata impegnata in modo così intenso. Il gol subito l’ha risvegliata da questo errore di presunzione e non a caso ha rapidamente rimesso il risultato in parità. Ha dovuto avere paura di perdere per vincere. E questa sensazione la provi solo quando ti trovi sull’orlo del baratro. Non poteva commettere un altro errore e se sei una grande squadra sono questi i momenti in cui devi dimostrarlo. Gli altri devono capire che non basta metterti paura per vincere, bisogna fare qualcosa di più, bisogna attendersi la tua reazione e fare muro. La Lazio non è stata capace di sostenere il vantaggio acquisito e alla prima occasione l’ha sprecato.  Aveva messo paura ma ora le due squadre erano tornate alla pari e la partita poteva ricominciare. Solo che la Juventus, a questo punto, sapeva il rischio che aveva  corso e avrebbe fatto di tutto per non ricaderci.

Ambedue gli allenatori hanno detto che le partite sono fatte di episodi, è vero ma proprio per questa ragione bisogna saperli costruire, altrimenti cosa serve allenarsi o perché non affidarsi a un mago anziché a un allenatore.  A mio avviso la Lazio ha preparato meglio la partita poiché veniva da due sconfitte consecutive ed era sfavorita. Ha affrontato un grande sforzo mentale per giocare in modo da mettere immediatamente in difficoltà gli avversari e per tutto il primo tempo è riuscita abbastanza bene in questo intento. La Juventus ha subito all’inizio ma poi si è rapidamente adattata al gioco della Lazio, che a quel punto è stata pericolosa quasi solo nell’azione del doppio palo. Per tutta la partita la Juventus ha aspettato l’occasione del colpo decisivo, ha lottato per mantenere il risultato in parità e quando ha avuto l’occasione ha provato a mettere a segno la rete decisiva. Nel calcio non si sa quando viene questo momento ma sei ha fiducia prima o poi succede, come infatti è accaduto. Ci vuole pazienza e fiducia e quando hai queste due qualità giochi sapendo che è solo questione di tempo. Per questo vincere aiuta a vincere.

La nuova mentalità vincente della Juventus

Prima il furore, poi la tecnica. Mi sembra questa l’evoluzione che in questi anni ha avuto la mentalità della Juventus. Campioni indiscussi come Buffon, Del Piero e Pirlo, fra gli altri, avevano già vinto molto e dimostrato di avere questo approccio al calcio, ma una squadra vincente è molto di più delle sue singole individualità e bisognava  che tutti dimostrassero di avere e portare sul campo questa mentalità. Il lavoro di Conte ha avuto il merito di portare il furore nel gioco, quell’intensità fisica e mentale prima che tecnica, che la squadra doveva dimostrare per novanta minuti in ogni partita. Allegri ha completato questa squadra, che aveva vinto tre campionati consecutivi, cambiando modulo di gioco e portando l’attenzione sul  lavoro tecnico e su quanto sia necessario migliorare continuamente sotto questo aspetto. Oggi si parla di quanto sia stato inatteso il raggiungimento della finale di Champions League, ma nello sport i miracoli non esistono. La squadra ha, invece, dimostrato di avere oltrepassato i limiti psicologici che le impedivano di giocare in modo da raggiungere questo obiettivo. Merito dell’allenamento ma anche dal partire da una condizione vincente, almeno in Italia, e su questa fiducia è stato possibile costruire, ostacolo dopo ostacolo, questa volontà di andare oltre i limiti passati. Ora tutto è possibile perché la storia c’insegna che Davide ha battuto Golia. La Juventus va a Berlino con un atteggiamento gioioso perché sono mesi che coltiva un sogno che giorno dopo giorno, con fatica e dedizione, è diventato realtà e questo è un vantaggio psicologico significativo per affrontare al meglio quest’ultima partita. Il Barcellona, super-favorito può incorrere in una partenza falsa come fece Bolt alla finale dei 100m ai mondiali del 2011 con la conseguente  squalifica. Un esempio di superficialità mentale dettata dal sentirsi predestinato a vincere.  Alla Juventus servirà l’entusiasmo accumulato in queste settimane unito alla calma, che le permetteranno di esaltare il proprio gioco, quello insegnato da Allegri. Certamente la Juventus nel suo percorso in Champions League è stata anche fortunata e questo ha messo in evidenza un’altra sua caratteristica, tipica delle squadre vincenti: sapere trarre vantaggio dalle condizioni favorevoli.  Infatti, ha vinto quando doveva vincere e non è facile ottenere questo risultato, perché spesso le squadre non-fiduciose perdono proprio queste partite non ragionando, perdendo la calma quando il gol non viene subito o se la squadra avversaria si mostra più difficile da superare. In questi casi, chi dovrebbe vincere diventa insicuro mentre l’avversario acquista sicurezza  e può ribaltare a proprio favore il risultato, tra l’incredulità dei favoriti. Impegno, dedizione totale e tecnica sono le parole chiave di questo successo.

Tre frasi su cui riflettere

Tre frasi di John Wooden per genitori, atleti e allenatori con cui confrontarsi:

“La cosa migliore che può fare un padre per i suoi figli è amare la loro madre”.

“L’abilità può portare al top, ma serve carattere per rimanerci”.

“Un allenatore è qualcuno che può correggere senza determinare risentimento”.

La depressione degli atleti: un disagio diffuso e ignorato

Almeno il 20% degli atleti soffre di depressione, il fenomeno riguarda poi uno sportivo su due quando si arriva alla fine della carriera. Due aspetti vanno tenuti in grande considerazione quando parliamo di depressione nello sport. Il primo,  la psicopatologia prodotta da nevrosi e comportamenti instabili è poco frequente tra gli atleti di alto livello, perché lo sport è già una sorta di ‘vaccino’ contro questo tipo di manifestazioni. Nel contempo però vi un altro aspetto a far correre maggiori rischi: la scelta di fare dipendere tutta la propria vita dal raggiungimento dei risultati sportivi, con in aggiunta il contemporaneo giudizio  sul proprio valore come persona. Così in caso d’insuccesso, ad essere messa in discussione è l’intera vita. Un fallimento che può portare a una depressione molto grave e in casi limite al suicidio. La fase più critica nella vita dello sportivo è l’avvicinarsi della fine carriera. Qui a correre il rischio depressione e’ il 50% dei professionisti. E non dipende dalla popolarità dello sport o dal titolo di studio del campione. Quando si spengono le luci della ribalta la vita degli ex atleti puo’ diventare vuota e scialba. Chi non si è preparato un’alternativa al campo finisce nel vortice depressivo. Il “male oscuro” In Italia, colpisce il 6% degli adulti di età compresa tra i 18 e i 69 anni, e in maggioranza donne. Questi i dati fotografati dal sistema ‘Passi’ coordinato dal Centro nazionale di epidemiologia e promozione della salute (Cneps) dell’Istituto Superiore di Sanità. Inoltre nello sport, gli atleti che hanno utilizzato il doping, abusando ad esempio di steroidi anabolizzanti, corrono un forte rischio di manifestare fenomeni depressivi. Ecco perché oltre al calcio, sono il ciclismo, l’atletica leggera e gli sport di resistenza le discipline dove la patologia depressiva è più diffusa. Il rischio, per molti atleti e sportivi in genere, è quello di perdere il contatto con la realtà. L’attenzione ai problemi depressivi degli sportivi a livello agonistico è scarsa. Spesso i giovani talenti manifestano sul campo i sintomi di un’indolenza nei confronti delle forti pressioni psicologiche che subiscono per diventare super-campioni: si allenano male, rendono poco nelle gare. Dimostrando così agli altri che c’è un problema. Inoltre, spesso vengono già da situazioni di forte stress familiare, dove i genitori fin da piccoli li hanno stimolati a ottenere sempre il massimo. A essere competitivi a tutti i costi.

 

La prima abilità per vincere è la pazienza

È risaputo che la pazienza è un’abilità mentale importante che permette di tollerare gli errori e gli insuccessi. Consente, infatti, di non dimenticare cosa siamo capaci di fare e di continuare a servirsene per raggiungere i nostri obiettivi. Pertanto chi non ha la pazienza, mentre si rifiuta di accettare gli errori, non viene esentato dal commetterne altri e finisce con il provare sofferenze maggiori.

Genitori e allenatori devono fare proprio questo atteggiamento mentale perché consente loro di mantenere elevata la motivazione e la convinzione che con l’impegno e dedizione i loro figli e atleti potranno gareggiare al meglio di sé. Gli atleti, dal loro punto di vista, devono accettare come ha scritto Ludio Dalla “che la vita è lotta dura, coraggio e la voglia d’inventare”.

Non basta sapere cosa fare, bisogna farlo

Talvolta gli atleti e le squadre commettono un errore grave, si fidano troppo di quello che pensano di sapere fare e così in gara non lo fanno perché si convincono che basta averlo pensato perché poi succeda. Così è la Roma di questo periodo che entra in campo convinta di vincere ma poi non gioca perché la partita l’aveva già vinta nello spogliatoio. Oppure chi dice “tutte le volte che faccio bene il riscaldamento poi gioco male”. Il riscaldamento predispone a giocare bene ma poi bisogna farlo in partita: sono due aspetti separati.

Essere bravi, bene allenati e mentalmente pronti è utile ma lo è altrettanto sapere che bisognerà sapere mostrare queste competenze sul campo. Altrimenti non serve a niente.

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Il Milan perde per mancanza di volontà

La partita di ieri del Milan contro l’Atalanta è un esempio di come la sconfitta possa dipendere dalla mancanza di volontà, che in campo si è vista per l’impegno ridotto, scarsa combattività, distrazione eccessiva, distanza fra i giocatori e così via. Inzaghi ha detto che la squadra vista ieri non è quella vera: “dopo avere battuto il Napoli e meritato di vincere con la Roma non possiamo essere diventati così … servono disponibilità, voglia, cuore”. Questa frase contiene due verità importanti. La prima: è più facile giocare con serenità contro le squadre nettamente più forti poiché non si ha nulla da perdere. Contro di loro non bisogna  vincere a tutti costi e in tal modo la squadra può giocare in modo più sereno. La seconda: è molto più difficile mostrare questo atteggiamento contro le altre squadre, che a loro volta vogliono ottenere un risultato vincente perché giocano contro la squadra che è seconda al mondo per trofei vinti. E’ proprio contro queste squadre che il Milan dovrebbe mostrare la disponibilità e la volontà che chiede Inzaghi. Per raggiungere questo scopo servono come ricorda Gianni Mura “meno narcisi e più giocatori veri”. E’ su questi aspetti mentali di gruppo che Inzaghi deve allenare la squadra, altrimenti quale che sia il tipo di gioco che proporrà non lo vedrà mai messo in atto per mancanza di volontà.

Inzaghi deve allenare la volontà dei suoi giocatori agendo sulla motivazione personale e di gruppo, sull’autodeterminazione, sul desiderio di prendere iniziative di gioco, sulla reazione rapida agli errori, sulla consapevolezza del ruolo richiesto a ognuno e sul mantenimento in campo dei ruoli da lui richiesti. Deve sfidare quotidianamente i giocatori a mostrare questo atteggiamento contro ogni squadra indipendentemente dal suo nome e dalla classifica.

 

Per vincere bisogna adattarsi alle situazioni di gara

Vorrei riflettere su una idea:

affinché un atleta sappia affrontare con un atteggiamento vincente le competizioni è necessario che sappia adeguare la tecnica e la tattica alle situazioni di gara che dovrà affrontare. Questo lavoro di adattamento di se stesso alla gara è un’attività mentale che mette in azione i processi cognitivi, motivazionali, emotivi ed interpersonali del giovane. L’atleta deve pertanto avere sviluppato negli anni di allenamento la capacità di valutare, decidere e agire nel modo migliore in ogni momento della competizione.

Domanda:

quanta parte dell’allenamento di un atleta è dedicata a sviluppare questo tipo di competenza?