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Idee da insegnare ai giovani atleti

Di seguito 4 capisaldi del pensiero sportivo da insegnare ai giovani atleti.

  1. “Vincere non è l’unica cosa che conta”
    L’idea qui è che lo sport offre molto di più rispetto alla semplice vittoria. Chi partecipa solo per vincere rischia di perdere di vista altri aspetti importanti, come il miglioramento personale, la crescita interiore, la disciplina, la capacità di superare le sfide e lo spirito di squadra. Se ci si concentra unicamente sulla vittoria, il rischio è quello di essere sopraffatti dalla pressione, portando alcuni atleti a rinunciare quando non ottengono risultati immediati. Lo sport dovrebbe essere vissuto come un’opportunità per imparare, divertirsi e crescere, e non solo come una corsa al trofeo.
  2. “Fallire non è uguale a perdere”
    Il fallimento è spesso visto come una battuta d’arresto, ma in realtà è una parte naturale del percorso di qualsiasi atleta. Perdere una gara o un incontro non significa fallire come persona o come atleta. Il vero fallimento è smettere di provarci o rinunciare ai propri obiettivi. Le sconfitte insegnano molto: permettono di analizzare cosa si può migliorare e di sviluppare una maggiore resilienza. È importante che gli atleti non si identifichino con i risultati delle gare, ma piuttosto vedano il fallimento come un’opportunità di apprendimento e di crescita.
  3. “Avere successo non è sinonimo di vincere”
    In questa idea si distingue chiaramente tra “successo” e “vittoria”. La vittoria riguarda solo l’esito di una competizione, ma non considera tutto il percorso che un atleta compie per arrivare a quel punto. Il vero successo sta nel processo: il lavoro quotidiano, l’impegno negli allenamenti, la capacità di migliorarsi costantemente e di affrontare le difficoltà. Anche se il risultato finale è una sconfitta, se l’atleta ha dato il massimo e ha fatto progressi, ha comunque avuto successo. Questo approccio promuove una visione più olistica dello sport, in cui il viaggio conta più della destinazione.
  4. “Il successo è collegato all’impegno”
    Questa idea sottolinea che il successo, nel senso più profondo del termine, deriva principalmente dall’impegno costante. Non si tratta solo di vincere, ma di mettersi alla prova ogni giorno, migliorare e dare il massimo in ogni situazione. Anche se l’atleta non raggiunge il risultato sperato, non ha fallito finché ha messo tutto il suo impegno. Questa mentalità porta a una maggiore soddisfazione personale e resilienza, perché si basa su ciò che si può controllare (l’impegno) piuttosto che sui fattori esterni (come il risultato di una gara).

In sintesi, queste idee promuovono un approccio allo sport orientato più verso la crescita personale, l’impegno e il processo di apprendimento piuttosto che verso la semplice vittoria.

10 dimensioni mentali per vincere le Olimpiadi

Mancano pochi giorni all’inizio delle Olimpiadi di Parigi 2024, proviamo a descrivere quali sono le caratteristiche mentali che hanno dimostrato nelle precedenti edizioni gli atleti e le atlete che hanno vinto una medaglia.

1. Determinazione e Tenacia

Gli olimpionici sono estremamente determinati e non si arrendono di fronte alle difficoltà. La loro tenacia li spinge a continuare ad allenarsi e migliorare, anche quando incontrano ostacoli o momenti di sconforto.

2. Concentrazione 

La capacità di rimanere concentrati sul proprio obiettivo e mantenere la focalizzazione durante l’allenamento e la competizione è fondamentale. Gli atleti olimpici riescono a bloccare le distrazioni e a concentrarsi interamente sulla loro performance.

3. Resilienza

La resilienza è la capacità di recuperare rapidamente da insuccessi o infortuni. Gli atleti di successo sono in grado di superare le avversità, imparare dai propri errori e continuare a migliorarsi.

4. Autodisciplina

Gli atleti che vincono una medaglia d’oro mostrano un altissimo livello di autodisciplina. Questo si manifesta nella loro capacità di seguire rigorosamente programmi di allenamento, diete e routine quotidiane necessarie per raggiungere l’apice della loro performance.

5. Autostima e Fiducia in Sé Stessi

Credere nelle proprie capacità è cruciale per raggiungere il successo a livelli così alti. Gli atleti olimpici hanno una forte autostima e fiducia nelle loro competenze, che li aiuta a performare al meglio sotto pressione.

6. Gestione dello Stress

La capacità di gestire lo stress e la pressione delle competizioni internazionali è vitale. Gli atleti olimpici sviluppano tecniche per mantenere la calma e la lucidità mentale anche nelle situazioni più stressanti.

7. Motivazione Intrinseca

Gli olimpionici sono spesso guidati da una motivazione intrinseca, ovvero un profondo desiderio personale di eccellere e di raggiungere i propri obiettivi, piuttosto che da motivazioni esterne come premi o riconoscimenti.

8. Capacità di Visualizzazione

Molti atleti utilizzano tecniche di visualizzazione mentale per immaginare le loro performance perfette. Questa pratica li aiuta a prepararsi mentalmente e a migliorare la loro fiducia nelle proprie capacità.

9. Mentalità di Crescita

Gli atleti di successo abbracciano una mentalità di crescita, credendo che le loro abilità possano essere migliorate attraverso il duro lavoro e l’apprendimento continuo. Questa mentalità li spinge a cercare sempre nuove sfide e a non temere il fallimento.

10. Passione e Amore per lo Sport

Una passione genuina e un amore profondo per il proprio sport sono caratteristiche comuni tra i medagliati olimpici. Questa passione li motiva a dedicare innumerevoli ore alla pratica e all’allenamento.

Queste caratteristiche mentali sono fondamentali per raggiungere l’eccellenza e il successo nel contesto altamente competitivo delle Olimpiadi

L’allenatore: se la squadra perde sei licenziato

Questo turno di Champions League e i commenti apparsi sui media hanno messo in evidenza in modo molto evidente i limiti attuali del calcio Italiano. Ci si sofferma sul gioco, sulla qualità dei giocatori, sui soldi che tutto questo costa e le analisi sono spesso impietose nei confronti della  Serie A. Il calcio è un fenomeno complesso che richiede molte diverse professionalità che s’integrano nella gestione e nello sviluppo di una squadra. Fra i tanti fattori che partecipano a determinare il valore di una squadra vorrei soffermarmi sugli allenatori. Criticarli è piuttosto facile perchè il giudizio su di loro dipende dai risultati della squadra. Come tutti sappiamo sono i primi a essere esonerati quando i risultati non corrispondono alle aspettative del club. In questa stagione sportiva, non ancora conclusa, è stato raggiunto il record di 14 cambi di panchina su 20 squadre. Solo la Liga spagnola ci segue con 13 esoneri mentre in Germania sono stati 8 e in Inghilterra 5.

Il calcio è uno sport ad alto rischio dove non si accettano le sconfitte e quindi rappresenta un alto livello di stress per gli allenatori, che se da un lato nelle squadre professionistiche sono ben remunerati dall’altra non è facile vivere questa condizione d’incertezza anche se scelta da loro. Si può dire che gli allenatori subentrati si trovano a dovere affrontare una situazione di pronto soccorso, devono guarire il malato, la squadra, in tempi rapidi e a qualsiasi costo. Sono pochi quegli allenatori che possono permettersi di aspettare la chiamata per loro giusta e prendersi il tempo che desiderano per attendere la squadra che soddisfi le loro esigenze, la maggior parte invece deve essere pronta a buttarsi nella mischia e lavorare senza sosta per trovare rapidamente una soluzione e naturalmente mostrarsi soddisfatti della chance che gli viene offerta. Tutto questo viene ben pagato ma a mia conoscenza non ho visto finora su questo tipo di condizione umana e tantomeno analisi approfondite sul tema da parte della loro organizzazione e dei singoli club.

Mi sembra che si sia perso il valore del lato umano del calcio a spese di una concezione unidimensionale del calcio secondo cui o vinci o non sei nulla.

Una regola fondamentale dello sport

Lo sport segue una regola semplice e chiara, secondo cui scalare le classifiche a livello di ranking mondiali e nazionali vuol dire emergere vincenti dal confronto con chi in quel momento possiede una classifica migliore. In altre parole, si migliora la propria classifica battendo chi si trova davanti.

Molti atleti  non hanno questa consapevolezza e, invece, vivono il confronto con quelli più bravi di loro in quel momento come una sfortuna o qualcosa che non dovrebbe succedere. La mancanza di questa mentalità rappresenta un limite importante che deve essere superato, pena la difficoltà a costruire una carriera sportiva di successo e personalmente premiante.

Ovviamente per vincere bisogna mettere da parte questa idea e concentrarsi su cosa si vuole fare per esprimere le proprie qualità agonistiche al meglio in quella gara. Questo passaggio non è semplice e non va mai dato per acquisito. Deve essere ogni volta un obiettivo specifico che ci si pone, consapevoli della difficoltà a cui si va incontro. A volte gli atleti sono accecati dalla possibilità di vincere oppure pensano che giacché si sentono in forma forniranno una prestazione vincente. In questo modo non si preparano alle difficoltà che la gara potrebbe riservargli e questo troppo spesso li porta a non accettare gli errori e di trovarsi in difficoltà. Volere vincere è un pensiero potente ma bisogna sempre sapere che non sarà facile e che la differenza alla fine sarà nel modo in cui hanno accettato e reagito gli errori.

La questione a cui dovrebbero rispondere allenatori e atleti è: quanto sono disposto ad agire in questo modo come atleta e nel caso degli allenatori quanto spesso ho allenato a superare questi ostacoli?

La mentalità vincente di Carlo Ancelotti al servizio del Brasile

Carlo Ancelotti sarà il prossimo commissario tecnico del Brasile, in un paese in cui il calcio è vissuto come una fede religiosa e le sconfitte sono un lutto nazionale. Riuscirà a esprimere il suo modo di lavorare anche in questo ambiente in cui è normale pensare che il compito della nazionale di calcio è di esprimere il calcio migliore e di vincere la Coppa del Mondo?

E’ un’impresa che credo riempia di orgoglio chi si trova ad affrontarla come regista di questa squadra in un paese in cui il calcio è tutto e che nel contempo spaventi perchè si viene chiamati per ottenere l’unico risultato che può  rendere felice i brasiliani, vincere dopo più di 20 anni dall’ultimo successo.  Ancelotti con il suo fare pragmatico  proverà anche qui a seguire il suo stile di lavoro che si basa su 9 caratteristiche. Probabilmente saranno necessari degli adattamenti perchè allenare un club è ovviamente diverso da allenare una nazionale, che è anche la più iconica del calcio mondiale.

  1. Educare la squadra a perseguire la vittoria attraverso un gioco offensivo e creativo
  2. Favorire lo sviluppo di un ambiente di lavoro positivo
  3. Costruire un forte spirito di squadra stimolando una grande capacità di sacrificio e un impegno reciproco
  4. Favorire in ogni singolo il senso di responsabilità (valutato sulla base delle sue azioni e dei suoi comportamenti)
  5. Proteggere la tradizione e i principi del Club
  6. Lavorare per dare continuità ai successi del Club
  7. Competere per tutti i più grandi trofei
  8. Costruire una chiara identità e uno stile di gioco che tengano conto della tradizione del Club
  9. Costruire buoni rapporti tra i vari team di lavoro

Le parole chiave sono: educare, ambiente, spirito, responsabilità, tradizione Club, identità, rapporti, lavorare e competere. E’ un approccio centrato sull’attenzione rivolta a coinvolgere tutto l’ambiente e alla cura delle relazioni interpersonali. In tal modo, vengono esaltati e continuamente alimentati i valori del gruppo, intesi come principi e identità del Club, coesione di squadra e senso di responsabilità dei calciatori e dello staff. Su queste basi si fonda il lavoro e si mantiene elevato lo spirito di squadra durante la lunga e intensa stagione agonistica del calcio e in tutte le competizioni a cui si partecipa. In particolare,  la squadra deve diventare dominante in campo, giocando senza paura, mostrando personalità e il proprio carattere allo scopo di assumersi la responsabilità collettiva di sviluppare un gioco offensivo.

Il killer instinct nel tennis

Quante volte abbiamo visto buttare all’aria dei match point e poi perdere la partita? Troppe!

Quante volte si è visto tennisti giocare alla pari un set e poi perdere clamorosamente quello successivo magari a zero? Molte!

Quante dopo qualche servizio sbagliato si è visto tennisti perdere la testa e continuare con questa sequenza negativa fino alla fine del set? Molte!

Sono tutte situazioni in cui ha prevalso il killer instinct di un giocatore sull’altro, il risultato è che uno imponeva il suo gioco mentre l’altro con il suo atteggiamento negativo lo subiva.

Cos’è il killer instinct:

  • È la volontà di fare ciò che è ragionevolmente necessario per vincere o per raggiungere il proprio obiettivo.
  • È la consapevolezza di quando bisogna spingere per chiudere un game, un set o la partita e lo si fa.
  • È la consapevolezza che quando si conduce non bisogna lasciarsi sfuggire l’occasione di continuare a farlo.
  • È la consapevolezza che quando l’avversario è sotto, bisogna continuare a tenerlo sotto.
  • È la volontà di volere riemergere con successo da una fase di gioco negativa.

 Come svilupparlo:

  • Mai pensare che sarà facile vincere. Nessuno ci può garantire il risultato finale e tantomeno noi stessi.
  • Mai rilassarsi quando si sta conducendo una partita, se la tensione cala datti degli obiettivi gioco per gioco, per mantenere elevata la concentrazione.
  • Quando si sta vincendo si può ridurre la tensione agonistica e questo è pericoloso. Usa immagini mentali che mantengano costante il livello di attivazione.
  • L’eccesso di fiducia può diventare una trappola che avvolge e favorisce l’emergere di distrazioni. Bisogna agire mentalmente per restare concentrati colpo su colpo, perché i conti si fanno solo al termine dell’ultimo colpo.
  • Mai pensare al risultato finale ma come detto stai centrato solo sul presente e sul giocare al meglio delle tue abilità.
  • Mantenere sempre elevata la pressione sull’avversario è una delle chiavi del successo. Lo scopo è di trasmettere al tuo avversario l’idea che qualsiasi cosa possa fare, lui resterà sempre sotto.
  • Mai affrettare l’azione nel cambio palla, devi avere sempre lo stesso tempo di preparazione sia che tu serva o che risponda.

Senza coesione non si vince

Tempo fa Spalletti ha detto che “ora il Napoli mostra compattezza e mentalità, e abbiamo un gruppo di amici”. I giocatori devono essere uniti in campo e non per forza amici, però queste parole indicano aspetti importanti di un gruppo. Un segno di questa mentalità riguarda Insigne che nonostante vada via al termine del campionato continua a svolgere il suo ruolo fondamentale. Una squadra deve essere unita, e non ci sono alternative; l’ha compreso anche Sarri che con la Lazio ha ristabilito un clima di maggiore unione con i giocatori proprio migliorando il rapporto umano con loro. Un esempio su tutti, nel nostro campionato, è rappresentato da Mourinho che in cambio dell’impegno massimo dei giocatori sostiene la squadra quale che sia difficoltà. Non si tratta del vecchio sistema del bastone e della carota ma di empatia, che nel caso dei leader consiste nel perseguire gli obiettivi scelti comprendendo nel contempo le esigenze dei calciatori. Lo diceva già Napoleone quando affermava: “Vinco le mie battaglie anche con i sogni dei miei soldati”. Uniti si vince, lo sappiamo da sempre, i più forti eserciti del passato si sono fondati su questo concetto. In termini agonistici bisogna applicarlo con la consapevolezza che l’impegno di tutti è indispensabile, non servono i giocatori migliori se poi non sanno giocare insieme. Il più recente esempio di mancanza di unione e di una mentalità presuntuosa è stata fornita dall’Inter nel derby della settimana scorsa. Il Milan è stato psicologicamente compatto sino alla fine mentre l’Inter ha mostrato, nel corso del tempo, un livello di coesione centrato su un livello d’intensità sempre più basso e teso mantenere il risultato acquisito. Alla fine ha vinto la squadra più motivata e unita. In sintesi, coesione è sinonimo di comunione d’intenti, disposizione al sacrificio per la squadra e intensità di gioco.  Una squadra poco unita può vincere una partita servendosi della qualità dei singoli ma non vincerà mai uno scudetto o otterrà la salvezza se non sarà unita.

 

Le squadre perdono perchè non si vuole cambiare

In Serie A perdere è un’opzione non prevista. Dopo tre giornate sono stati licenziati già tre allenatori. Altri, da Allegri, a Sarri allo stesso Mourinho che ha perso solo l’ultima partita dopo 6 vinte sono molto preoccupati.

Da un lato è ovviamente corretto, sono pagati per fare vincere le loro squadre e gli stessi calciatori costano una follia, anche i più scarsi, per cui non ci può essere alcun alibi dietro cui nascondersi.

Questo ragionamento va oltre la qualità dei singoli calciatori. La Juventus schiera solo nazionali ma non ha ancora vinto una partita. Gli allenatori si trovano a svolgere un ruolo psicologico fondamentale, sono il vero leader della squadra. Ogni nuovo allenatore vuole introdurre la propria mentalità alla squadra che si manifesta attraverso un determinato tipo di gioco.

Ci sono giocatori che non si adattano fino in fondo a questo approccio e Cristiano Ronaldo rappresenta un esempio estremo, perchè lui è il gioco della squadra. E’ andato via dalla Juventus e senza manifestare alcuna necessità di ambientamento a immediatamente continuato (più che ripreso) a segnare. Altri ovviamente non si adattano perchè non mostrano la necessaria disponibilità mentale e quindi non sono efficaci in campo.

Altri hanno difficoltà a seguire lo schema mentale proposto dal tecnico. Quando ho lavorato con Arrigo Sacchi, una sua domanda era di dirgli quali erano i calciatori che potevano trattare molte informazioni e metterle in atto e quelli a cui, invece, andavano fornite poche informazioni altrimenti si confondevano.  Non sempre allenatore-giocatore riescono a trovare questa sintesi.

In campo, ci deve essere sempre almeno un leader che guida la squadra nei momenti di difficoltà. Spesso a questo riguardo si è parlato del blocco italiano del Milan campione e non per la loro bravura ma per questa unione che veniva trasmessa alla squadra.

Sono tanti i motivi per cui una squadra non acquisisce la mentalità e il gioco che vuole l’allenatore ma è da questi particolari che nasce il successo.

 

Il chunking può spiegare la longevità nello sport

Quando rivediamo i risultati dell gare internazionali di molti sport osserviamo spesso l’eccezionale longevità e il continuo successo di atleti non più giovani per il loro sport che continuano a essere a essere dei vincitori seriali. Novak Djokovic nel tennis a Federica Pellegrini nel nuoto,  Tom Brady nel football americano o Gigi Buffon Buffon nel calcio sono solo alcuni fra i tanti campioni che sembrano non invecchiare. Il loro talento è fuori discussione così come il desiderio di continuare a essere vincenti.

Come possiamo spiegare questa loro capacità?

Una ragione per il successo costante di questi atleti potrebbe essere legata alla loro maggiore capacità di integrare mentalmente grandi quantità di informazioni relative alle loro prestazioni: il chunking. Chunking consiste nel prendere singole unità d’informazione,  raggruppandole in un numero minore di insiemi significativi per l’atleta.
In tal modo, le informazioni così raggruppate diventano più facili da conservare, rievocare e mettere in atto in gara. Il chunking è una caratteristica importante della performance. Un esempio di chunking nei giochi sportivi e in quelli individuali a prevalenza tattica è rappresentato dagli schemi di gioco, se ognuno di di questi non fosse memorizzato in un file specifico, questo tipo d’informazione non potrebbe essere rievocata dal giocatore durante una partita nell’arco di meno di un secondo.

E’ quindi realistico ipotizzare che questi atleti abbiamo elaborato un sistema di chunking così efficace da  fornirgli un vantaggio competitivo sugli atleti ugualmente bravi, più giovani ma con meno esperienza di gioco.

Per riflettere su vincere

L’unico modo di sviluppare una mentalità vincente è quello di vincere. Non dico che dobbiamo cominciare a vincere perché già vinciamo, ma dobbiamo vincere sempre di più (Julio Velasco).

La più grande difficoltà che ho avuto coi miei giocatori nella mia carriera è tradurgli nell’allenamento la difficoltà della competizione. Io gli chiedo di fare certe cose in una maniera non perché piace a me, ma perché altrimenti loro troveranno un avversario che non gliele farà fare. Nel basket le cose devono essere fatte con uno grande e grosso come te che ti spinge quando tocchi la palla. Le cose devono essere fatte con diecimila persone che ti insultano. Le cose devono essere fatte con un arbitro che magari non vede. E allora ti devi abituare a queste cose in allenamento, non puoi chiedermi 10-15 partite per capire com’è la vita (Ettore Messina).

È un problema di auto-esigenza. Io credo che posso essere allenatore se lotto per stimolare l’autoesigenza. Se io allenatore riesco a convincere 3 dei miei 10 giocatori a essere autoesigenti con sé stessi e con i compagni, io lì ho vinto. Non alleno più. Io mi metto a guardare, e la macchina va da sola. La nostra lotta non è cambio di direzione, schema 1 o schema 3. La nostra lotta è che i nostri giocatori arrivino al punto in cui, sotto grande pressione, si passino la palla uno con l’altro (Ettore Messina).

Dobbiamo smetterla di considerare la furbizia una virtù e l’arrangiarsi un’arte: il perfezionismo deve battere il nostro pressappochismo radicato … La motivazione è come la forza: non è mai uguale per nessuno. Ma come la forza, anche la motivazione può essere allenata, e il modo più efficace per farlo è non adagiarsi troppo sugli allori (Arrigo Sacchi).

Far vincere una squadra non è questione di quanto grande sia il giocatore o i giocatori. Devono tutti essere disposti a sacrificarsi e a dare qualcosa di se stessi, pur di diventare campioni (Phil Jackson).

Lo spirito, la voglia di vincere, e la voglia di eccellere sono le cose che durano. Queste queste sono molto più importanti degli eventi che accadono (John Wooden).

Un campione ha paura di perdere. Chiunque altro ha paura di vincere (Billie Jean King)