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Una regola fondamentale dello sport

Lo sport segue una regola semplice e chiara, secondo cui scalare le classifiche a livello di ranking mondiali e nazionali vuol dire emergere vincenti dal confronto con chi in quel momento possiede una classifica migliore. In altre parole, si migliora la propria classifica battendo chi si trova davanti.

Molti atleti  non hanno questa consapevolezza e, invece, vivono il confronto con quelli più bravi di loro in quel momento come una sfortuna o qualcosa che non dovrebbe succedere. La mancanza di questa mentalità rappresenta un limite importante che deve essere superato, pena la difficoltà a costruire una carriera sportiva di successo e personalmente premiante.

Ovviamente per vincere bisogna mettere da parte questa idea e concentrarsi su cosa si vuole fare per esprimere le proprie qualità agonistiche al meglio in quella gara. Questo passaggio non è semplice e non va mai dato per acquisito. Deve essere ogni volta un obiettivo specifico che ci si pone, consapevoli della difficoltà a cui si va incontro. A volte gli atleti sono accecati dalla possibilità di vincere oppure pensano che giacché si sentono in forma forniranno una prestazione vincente. In questo modo non si preparano alle difficoltà che la gara potrebbe riservargli e questo troppo spesso li porta a non accettare gli errori e di trovarsi in difficoltà. Volere vincere è un pensiero potente ma bisogna sempre sapere che non sarà facile e che la differenza alla fine sarà nel modo in cui hanno accettato e reagito gli errori.

La questione a cui dovrebbero rispondere allenatori e atleti è: quanto sono disposto ad agire in questo modo come atleta e nel caso degli allenatori quanto spesso ho allenato a superare questi ostacoli?

La mentalità vincente di Carlo Ancelotti al servizio del Brasile

Carlo Ancelotti sarà il prossimo commissario tecnico del Brasile, in un paese in cui il calcio è vissuto come una fede religiosa e le sconfitte sono un lutto nazionale. Riuscirà a esprimere il suo modo di lavorare anche in questo ambiente in cui è normale pensare che il compito della nazionale di calcio è di esprimere il calcio migliore e di vincere la Coppa del Mondo?

E’ un’impresa che credo riempia di orgoglio chi si trova ad affrontarla come regista di questa squadra in un paese in cui il calcio è tutto e che nel contempo spaventi perchè si viene chiamati per ottenere l’unico risultato che può  rendere felice i brasiliani, vincere dopo più di 20 anni dall’ultimo successo.  Ancelotti con il suo fare pragmatico  proverà anche qui a seguire il suo stile di lavoro che si basa su 9 caratteristiche. Probabilmente saranno necessari degli adattamenti perchè allenare un club è ovviamente diverso da allenare una nazionale, che è anche la più iconica del calcio mondiale.

  1. Educare la squadra a perseguire la vittoria attraverso un gioco offensivo e creativo
  2. Favorire lo sviluppo di un ambiente di lavoro positivo
  3. Costruire un forte spirito di squadra stimolando una grande capacità di sacrificio e un impegno reciproco
  4. Favorire in ogni singolo il senso di responsabilità (valutato sulla base delle sue azioni e dei suoi comportamenti)
  5. Proteggere la tradizione e i principi del Club
  6. Lavorare per dare continuità ai successi del Club
  7. Competere per tutti i più grandi trofei
  8. Costruire una chiara identità e uno stile di gioco che tengano conto della tradizione del Club
  9. Costruire buoni rapporti tra i vari team di lavoro

Le parole chiave sono: educare, ambiente, spirito, responsabilità, tradizione Club, identità, rapporti, lavorare e competere. E’ un approccio centrato sull’attenzione rivolta a coinvolgere tutto l’ambiente e alla cura delle relazioni interpersonali. In tal modo, vengono esaltati e continuamente alimentati i valori del gruppo, intesi come principi e identità del Club, coesione di squadra e senso di responsabilità dei calciatori e dello staff. Su queste basi si fonda il lavoro e si mantiene elevato lo spirito di squadra durante la lunga e intensa stagione agonistica del calcio e in tutte le competizioni a cui si partecipa. In particolare,  la squadra deve diventare dominante in campo, giocando senza paura, mostrando personalità e il proprio carattere allo scopo di assumersi la responsabilità collettiva di sviluppare un gioco offensivo.

Il killer instinct nel tennis

Quante volte abbiamo visto buttare all’aria dei match point e poi perdere la partita? Troppe!

Quante volte si è visto tennisti giocare alla pari un set e poi perdere clamorosamente quello successivo magari a zero? Molte!

Quante dopo qualche servizio sbagliato si è visto tennisti perdere la testa e continuare con questa sequenza negativa fino alla fine del set? Molte!

Sono tutte situazioni in cui ha prevalso il killer instinct di un giocatore sull’altro, il risultato è che uno imponeva il suo gioco mentre l’altro con il suo atteggiamento negativo lo subiva.

Cos’è il killer instinct:

  • È la volontà di fare ciò che è ragionevolmente necessario per vincere o per raggiungere il proprio obiettivo.
  • È la consapevolezza di quando bisogna spingere per chiudere un game, un set o la partita e lo si fa.
  • È la consapevolezza che quando si conduce non bisogna lasciarsi sfuggire l’occasione di continuare a farlo.
  • È la consapevolezza che quando l’avversario è sotto, bisogna continuare a tenerlo sotto.
  • È la volontà di volere riemergere con successo da una fase di gioco negativa.

 Come svilupparlo:

  • Mai pensare che sarà facile vincere. Nessuno ci può garantire il risultato finale e tantomeno noi stessi.
  • Mai rilassarsi quando si sta conducendo una partita, se la tensione cala datti degli obiettivi gioco per gioco, per mantenere elevata la concentrazione.
  • Quando si sta vincendo si può ridurre la tensione agonistica e questo è pericoloso. Usa immagini mentali che mantengano costante il livello di attivazione.
  • L’eccesso di fiducia può diventare una trappola che avvolge e favorisce l’emergere di distrazioni. Bisogna agire mentalmente per restare concentrati colpo su colpo, perché i conti si fanno solo al termine dell’ultimo colpo.
  • Mai pensare al risultato finale ma come detto stai centrato solo sul presente e sul giocare al meglio delle tue abilità.
  • Mantenere sempre elevata la pressione sull’avversario è una delle chiavi del successo. Lo scopo è di trasmettere al tuo avversario l’idea che qualsiasi cosa possa fare, lui resterà sempre sotto.
  • Mai affrettare l’azione nel cambio palla, devi avere sempre lo stesso tempo di preparazione sia che tu serva o che risponda.

Senza coesione non si vince

Tempo fa Spalletti ha detto che “ora il Napoli mostra compattezza e mentalità, e abbiamo un gruppo di amici”. I giocatori devono essere uniti in campo e non per forza amici, però queste parole indicano aspetti importanti di un gruppo. Un segno di questa mentalità riguarda Insigne che nonostante vada via al termine del campionato continua a svolgere il suo ruolo fondamentale. Una squadra deve essere unita, e non ci sono alternative; l’ha compreso anche Sarri che con la Lazio ha ristabilito un clima di maggiore unione con i giocatori proprio migliorando il rapporto umano con loro. Un esempio su tutti, nel nostro campionato, è rappresentato da Mourinho che in cambio dell’impegno massimo dei giocatori sostiene la squadra quale che sia difficoltà. Non si tratta del vecchio sistema del bastone e della carota ma di empatia, che nel caso dei leader consiste nel perseguire gli obiettivi scelti comprendendo nel contempo le esigenze dei calciatori. Lo diceva già Napoleone quando affermava: “Vinco le mie battaglie anche con i sogni dei miei soldati”. Uniti si vince, lo sappiamo da sempre, i più forti eserciti del passato si sono fondati su questo concetto. In termini agonistici bisogna applicarlo con la consapevolezza che l’impegno di tutti è indispensabile, non servono i giocatori migliori se poi non sanno giocare insieme. Il più recente esempio di mancanza di unione e di una mentalità presuntuosa è stata fornita dall’Inter nel derby della settimana scorsa. Il Milan è stato psicologicamente compatto sino alla fine mentre l’Inter ha mostrato, nel corso del tempo, un livello di coesione centrato su un livello d’intensità sempre più basso e teso mantenere il risultato acquisito. Alla fine ha vinto la squadra più motivata e unita. In sintesi, coesione è sinonimo di comunione d’intenti, disposizione al sacrificio per la squadra e intensità di gioco.  Una squadra poco unita può vincere una partita servendosi della qualità dei singoli ma non vincerà mai uno scudetto o otterrà la salvezza se non sarà unita.

 

Le squadre perdono perchè non si vuole cambiare

In Serie A perdere è un’opzione non prevista. Dopo tre giornate sono stati licenziati già tre allenatori. Altri, da Allegri, a Sarri allo stesso Mourinho che ha perso solo l’ultima partita dopo 6 vinte sono molto preoccupati.

Da un lato è ovviamente corretto, sono pagati per fare vincere le loro squadre e gli stessi calciatori costano una follia, anche i più scarsi, per cui non ci può essere alcun alibi dietro cui nascondersi.

Questo ragionamento va oltre la qualità dei singoli calciatori. La Juventus schiera solo nazionali ma non ha ancora vinto una partita. Gli allenatori si trovano a svolgere un ruolo psicologico fondamentale, sono il vero leader della squadra. Ogni nuovo allenatore vuole introdurre la propria mentalità alla squadra che si manifesta attraverso un determinato tipo di gioco.

Ci sono giocatori che non si adattano fino in fondo a questo approccio e Cristiano Ronaldo rappresenta un esempio estremo, perchè lui è il gioco della squadra. E’ andato via dalla Juventus e senza manifestare alcuna necessità di ambientamento a immediatamente continuato (più che ripreso) a segnare. Altri ovviamente non si adattano perchè non mostrano la necessaria disponibilità mentale e quindi non sono efficaci in campo.

Altri hanno difficoltà a seguire lo schema mentale proposto dal tecnico. Quando ho lavorato con Arrigo Sacchi, una sua domanda era di dirgli quali erano i calciatori che potevano trattare molte informazioni e metterle in atto e quelli a cui, invece, andavano fornite poche informazioni altrimenti si confondevano.  Non sempre allenatore-giocatore riescono a trovare questa sintesi.

In campo, ci deve essere sempre almeno un leader che guida la squadra nei momenti di difficoltà. Spesso a questo riguardo si è parlato del blocco italiano del Milan campione e non per la loro bravura ma per questa unione che veniva trasmessa alla squadra.

Sono tanti i motivi per cui una squadra non acquisisce la mentalità e il gioco che vuole l’allenatore ma è da questi particolari che nasce il successo.

 

Il chunking può spiegare la longevità nello sport

Quando rivediamo i risultati dell gare internazionali di molti sport osserviamo spesso l’eccezionale longevità e il continuo successo di atleti non più giovani per il loro sport che continuano a essere a essere dei vincitori seriali. Novak Djokovic nel tennis a Federica Pellegrini nel nuoto,  Tom Brady nel football americano o Gigi Buffon Buffon nel calcio sono solo alcuni fra i tanti campioni che sembrano non invecchiare. Il loro talento è fuori discussione così come il desiderio di continuare a essere vincenti.

Come possiamo spiegare questa loro capacità?

Una ragione per il successo costante di questi atleti potrebbe essere legata alla loro maggiore capacità di integrare mentalmente grandi quantità di informazioni relative alle loro prestazioni: il chunking. Chunking consiste nel prendere singole unità d’informazione,  raggruppandole in un numero minore di insiemi significativi per l’atleta.
In tal modo, le informazioni così raggruppate diventano più facili da conservare, rievocare e mettere in atto in gara. Il chunking è una caratteristica importante della performance. Un esempio di chunking nei giochi sportivi e in quelli individuali a prevalenza tattica è rappresentato dagli schemi di gioco, se ognuno di di questi non fosse memorizzato in un file specifico, questo tipo d’informazione non potrebbe essere rievocata dal giocatore durante una partita nell’arco di meno di un secondo.

E’ quindi realistico ipotizzare che questi atleti abbiamo elaborato un sistema di chunking così efficace da  fornirgli un vantaggio competitivo sugli atleti ugualmente bravi, più giovani ma con meno esperienza di gioco.

Per riflettere su vincere

L’unico modo di sviluppare una mentalità vincente è quello di vincere. Non dico che dobbiamo cominciare a vincere perché già vinciamo, ma dobbiamo vincere sempre di più (Julio Velasco).

La più grande difficoltà che ho avuto coi miei giocatori nella mia carriera è tradurgli nell’allenamento la difficoltà della competizione. Io gli chiedo di fare certe cose in una maniera non perché piace a me, ma perché altrimenti loro troveranno un avversario che non gliele farà fare. Nel basket le cose devono essere fatte con uno grande e grosso come te che ti spinge quando tocchi la palla. Le cose devono essere fatte con diecimila persone che ti insultano. Le cose devono essere fatte con un arbitro che magari non vede. E allora ti devi abituare a queste cose in allenamento, non puoi chiedermi 10-15 partite per capire com’è la vita (Ettore Messina).

È un problema di auto-esigenza. Io credo che posso essere allenatore se lotto per stimolare l’autoesigenza. Se io allenatore riesco a convincere 3 dei miei 10 giocatori a essere autoesigenti con sé stessi e con i compagni, io lì ho vinto. Non alleno più. Io mi metto a guardare, e la macchina va da sola. La nostra lotta non è cambio di direzione, schema 1 o schema 3. La nostra lotta è che i nostri giocatori arrivino al punto in cui, sotto grande pressione, si passino la palla uno con l’altro (Ettore Messina).

Dobbiamo smetterla di considerare la furbizia una virtù e l’arrangiarsi un’arte: il perfezionismo deve battere il nostro pressappochismo radicato … La motivazione è come la forza: non è mai uguale per nessuno. Ma come la forza, anche la motivazione può essere allenata, e il modo più efficace per farlo è non adagiarsi troppo sugli allori (Arrigo Sacchi).

Far vincere una squadra non è questione di quanto grande sia il giocatore o i giocatori. Devono tutti essere disposti a sacrificarsi e a dare qualcosa di se stessi, pur di diventare campioni (Phil Jackson).

Lo spirito, la voglia di vincere, e la voglia di eccellere sono le cose che durano. Queste queste sono molto più importanti degli eventi che accadono (John Wooden).

Un campione ha paura di perdere. Chiunque altro ha paura di vincere (Billie Jean King)

Dedicato a chi ha fretta di vincere

“Mi sono allenato 4 anni per correre 9 secondi. È divertente come le persone che non vedono risultati in 2 mesi si arrendono e se ne vanno. A volte il fallimento si cerca da soli”. (Usai Bolt)

Non servono commenti

La foto ironica di Usain Bolt sull'importanza del distanziamento sociale  per il Covid-19

Perché vincere non è l’unica cosa che conta

A partire dagli anni 2000, lo scopo del lavoro di Smith e Smoll che hanno introdotto venti anni prima un sistema per la valutazione del comportamento dell’allenatore si è orientato allo studio dei sistemi di formazione degli allenatori che si occupano dell’attività giovanile a essere più consapevoli del proprio modo di agire e a migliorare i loro comportamenti.

Il loro approccio si basa su quattro principi a cui dovrebbero ispirarsi tutti gli allenatori:

  • Vincere non è tutto e tantomeno è l’unica cosa che conta – I giovani atleti abbandoneranno lo sport se si convincono che vincere è l’unico obiettivo da soddisfare. Vi sono altri scopi ugualmente importanti che lo sport permette di raggiungere e che devono essere compresi dagli atleti.
  • Fallire non è sinonimo di perdere – E’ importante che gli atleti non associno che fallire e perdere hanno lo stesso significato.
  • Avere successo non è un sinonimo di vincere – Successo o fallimento non dipendono dal risultato di una gara. Vincere e perdere riguardano il risultato di una competizione ma non si riferiscono a successo e fallimento.
  • Gli atleti devono imparare che il successo è collegato all’impegno – Deve essere insegnato che non saranno mai dei perdenti se s’impegnano al massimo.

Partendo da questi principi dell’allenamento hanno individuato e attuato un sistema di formazione che ha prodotto risultati estremamente efficaci.

Imparare dagli errori più clamorosi

Temi psicologici di questa settimana:

Il caso Juventus - due reti subite appena iniziata la partita, e soprattutto a inizio di ogni tempo. Come mai non erano pronti? Come poteva essere distratto Bentancur? Qual è l’approccio mentale alle partite importanti? Si può sbagliare l’inizio del primo tempo, ma come si fa a sbagliare anche l’inizio del secondo in tempo?

Disastro azzurro femminile nello sci ai campionati del mondo - Troppo nervosismo delle atlete? Come lo staff tecnico si è preparato a gestire queste legittime aspettative di vittoria? Si è creata una sindrome da assenza di Sofia Goggia? Come si fa s sbagliare la terza porta: troppa impulsività alla partenza?

Sono casi da studiare in modo approfondito, non certo per trovare colpe ma per identificare attraverso la conoscenza delle ragioni che hanno creato questi problemi, come evitarli in futuro.