Archivio mensile per settembre, 2023

A chi serve l’allenamento mentale?

Spesso sento ripetere che l’allenamento mentale è utile solo agli atleti/squadre che sono di alto livello, per il motivo che vivono situazioni di stress agonistico così intense per cui devono incrementare le loro abilità psicologiche. Mentre, invece, sarebbe poco utile per gli atleti/squadre di livello inferiore poiché questi devono lavorare ancora molto per migliorare le loro competenze tecnico sportive.

Personalmente, sono convinto che superata la prima fase di apprendimento di una disciplina e non si è più un principiante, l’allenamento mentale diventa altrettanto necessario rispetto a quello tecnico. Ciò per un dato di fatto incontestabile: chi sa concentrarsi in modo più efficace, fornisce prestazioni che sono coerenti con il proprio livello tecnico quale esso sia.

Infatti la ripetizione mentale del gesto sportivo prima della sua esecuzione reale mette l’individuo nella condizione di “pronti” e l’immediata esecuzione lo trova già concentrato sulla prestazione. Inoltre, la ripetizione mentale è anche utile al termine di un’azione, soprattutto nell’eventualità che questa sia stata molto efficace.

In questo caso il ripercorrere mentalmente ciò che si è appena fatto permette di memorizzare ulteriormente il gesto, proprio come se lo si stesse facendo un’altra volta. Inoltre, un’altra componente mentale che va allenata è il dialogo con se stessi, ovvero le parole che ci diciamo durante l’attività.

Imparare a essere positivi e affermativi è un aspetto psicologico estremamente importante anche se non si diventerà dei campioni. Infine svolgere un riscaldamento non solo fisico ma anche mentale è nella maggior parte degli sport essenziale per iniziare in modo soddisfacente. Queste sono alcune ragioni per cui l’allenamento mentale è utile.

I rischi della leadership autoritaria

Quando il leader di un team non ascolta e cerca di imporsi in modo autoritario, ciò può avere diverse conseguenze sul team e sul suo funzionamento. Ecco alcune delle possibili reazioni da parte del team:

  1. Frustrazione - I membri del team potrebbero sentirsi frustrati e ignorati quando il loro leader non ascolta le loro opinioni o le loro idee. Questo può portare a un clima di tensione all’interno del team.
  2. Mancanza di impegno - Se i membri del team sentono che le loro voci non contano e che il leader prende tutte le decisioni in modo unilaterale, potrebbero perdere la motivazione e impegnarsi meno nel lavoro.
  3. Disconnessione - La mancanza di ascolto da parte del leader può portare i membri del team a sentirsi disconnessi e distanti dal processo decisionale. Questo può danneggiare la coesione del team.
  4. Diminuzione della creatività e dell’innovazione - Quando il leader cerca di imporsi e non permette la libera espressione delle idee, il team potrebbe smettere di proporre soluzioni creative o innovative ai problemi.
  5. Attrito e conflitti - La mancanza di ascolto da parte del leader può portare a conflitti all’interno del team, poiché i membri potrebbero iniziare a dissentire apertamente dalle decisioni del leader o a litigare tra loro.
  6. Riduzione valori - Una leadership autoritaria può contribuire a una riduzione dei valori all’interno del team. I membri del team potrebbero sentirsi demotivati e insoddisfatti del loro lavoro.
  7. Rottura del team - In alcuni casi, se il comportamento autoritario del leader persiste senza miglioramenti, potrebbe verificarsi una rottura nel team, con alcuni membri che scelgono di abbandonare o cercare opportunità altrove.
  8. Perdita di fiducia -  Quando il leader non ascolta e cerca di imporsi in modo autoritario, i membri del team potrebbero perdere la fiducia nel loro leader. La fiducia è un elemento fondamentale per il buon funzionamento di un team, e una perdita di fiducia può danneggiare gravemente il rapporto tra il leader e i suoi subordinati
  9. Ridotta collaborazione - Un leader che non ascolta può scoraggiare la collaborazione tra i membri del team. Se i membri del team vedono che il loro leader non è disposto a considerare le loro opinioni, potrebbero essere meno inclini a lavorare insieme e a condividere informazioni importanti
  10. Difficoltà nel reclutare e trattenere talenti - Un leader che non ascolta e si impone può avere difficoltà nel reclutare e trattenere talenti di alto livello. I professionisti di talento spesso cercano un ambiente di lavoro in cui le loro idee e il loro contributo siano apprezzati, e un leader autoritario potrebbe respingerli.

Queste conseguenze sottolineano l’importanza di una leadership empatica, collaborativa e aperta all’ascolto per promuovere un ambiente di lavoro sano e produttivo.

Ottimista o pessimista? Come pieno il tuo bicchiere?

Avete mai pensato che l’essere umano è una persona dominata dalle sue emozioni, che in qualche modo tenta di servirsene per produrre pensieri logici e imparare, che determinano azioni dirette a uno scopo.

Una prova di questa impostazione la troviamo ben espressa dalla frase: “Vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto”.

A nessuno importa quanto sia oggettivamente pieno il bicchiere, poiché in quel caso di direbbe: “Il bicchiere contiene il 50% di acqua permesso dalle sue dimensioni”.

Noi invece diciamo che è “mezzo pieno o mezzo vuoto”. Quindi il 50% di acqua viene valutato diversamente a seconda se si vuole dare una sfumatura emotiva positiva o negativa, ottimista o pessimista.

Gli psicologi hanno scoperto che ogni pensiero e azione sono sempre caratterizzati da uno sfondo emotivo piacevole o spiacevole che ci accompagna senza sosta.

Capite bene, quindi, il valore dell’impegno quotidiano nel comprendere le altre persone, capire il punto di vista dell’altro consapevoli anche delle nostre idee. Non si dovrebbe imporre nulla. Chi fa solo per dovere non sarà mai soddisfatto e non darà valore alle sue azioni, per il semplice fatto che non sono le sue ma quelle richieste da qualcun altro.

I leader, allenatori, insegnanti, manager, devono ispirare ottimismo, insegnare vedere il bicchiere mezzo pieno e impegnarsi a riempirlo sempre di più.

Lo stile di leadership di Luca Banchi

Luca Banchi, coach di basket, ha portato la Lettonia al quinto posto del campionato del mondo e ora da poco allena la Virtus e sta ottenendo grandi risultati.

La chiave del suo successo la si evince da questa frase che esprime un concetto fondamentale della leadership di un coach: “Ho viaggiato in Lettonia, ci siamo incontrati nella mia stanza e ho ordinato la consegna del pasto. Ho parlato con giocatori, allenatori e dirigenti, in generale chiunque potesse aiutarmi a entrare nella loro mentalità, capire la loro visione e le loro esigenze”.

Direi l’opposto di quello che hanno fatto l’allenatore della nazionale femminile di pallavolo, Davide Mazzanti e il nuovo allenatore del Napoli, Rudi Garcia. Loro seguono il principio che sono gli altri, le giocatrici e i calciatori, a doversi adeguare alle loro idee, con l’esclusione di chi non accetta questo sistema.

Per allenare bisogna capire gli altri e fare capire che si è consapevoli delle motivazioni di ognuno. Dopo di che bisogna sostenerle e rendere i giocatori partecipi dei risultati che si vogliono raggiungere. Su questa basi è più semplice fare accettare alla squadra allenamenti duri o diversi da quelli abituali, la scelta di alcuni giocatori rispetto ad altri.

Non si può partire da questa ultima fase e sperare di avere la squadra unita.

In memoria di Gianni Vattimo

Il picco delle prestazioni nell’ultramaratona è degli over40

Nikolaidis PT, Knechtle B. Performance in 100-km Ultramarathoners-At Which Age, It Reaches Its Peak? J Strength Cond Res. 2020 May;34(5):1409-1415.

L’età del picco di prestazione è stata di 40-44 anni nelle donne e di 45-49 anni negli uomini quando sono stati analizzati tutti i finisher, mentre è stata di 30-34 anni nelle donne e di 35-39 anni negli uomini quando sono stati considerati i primi 10 finisher in gruppi di età di 5 anni. Analizzando i finisher in gruppi di età di 1 anno, l’età del picco prestazionale è risultata di 41 anni nelle donne e di 45 anni negli uomini considerando tutti i finisher, e di 39 anni nelle donne e di 41 anni negli uomini considerando i primi 10 finisher. In conclusione, l’età del picco prestazionale è risultata più giovane nelle donne rispetto agli uomini, il che potrebbe riflettere l’età complessivamente più giovane delle donne partecipanti rispetto agli uomini. Rispetto agli studi precedenti, abbiamo osservato il picco di prestazione a un’età superiore di ∼10 anni, il che potrebbe essere attribuito a un aumento dell’età dei finisher negli anni solari. Poiché la conoscenza dell’età del picco di prestazione è unica per ogni sport, gli allenatori e i preparatori atletici potrebbero trarre vantaggio dai risultati di questo studio nell’allenamento a lungo termine dei loro atleti.

Knechtle B, Valeri F, Zingg MA, Rosemann T, Rüst CA. What is the age for the fastest ultra-marathon performance in time-limited races from 6 h to 10 days? Age (Dordr). 2014;36(5):9715.

Ricerche recenti suggeriscono che l’età del picco delle prestazioni nell’ultra maratona sembra aumentare all’aumentare della distanza della gara. Questo studio ha indagato l’età del picco delle prestazioni nell’ultra maratona per i runner che competevano in ultra maratone a tempo limitato, che andavano da 6 a 240 ore (cioè 10 giorni) durante il periodo 1975-2013.

Sno state analizzate età e prestazioni nella corsa in 20.238 (21%) donne e 76.888 (79%) uomini che hanno completato la gara (6.863 donne e 24.725 uomini, rispettivamente il 22% e il 78%). Il numero annuale di partecipanti è aumentato sia per le donne che per gli uomini in tutte le gare. Circa la metà dei partecipanti ha completato almeno una gara e l’altra metà ha completato più di una gara. La maggior parte delle prestazioni è stata raggiunta nel quarto decennio di vita.

L’età della migliore prestazione nell’ultra maratona cresce all’aumentare della durata della gara. L’età più bassa del picco delle prestazioni nell’ultra maratona è stata registrata nelle gare da 6 ore (33,7 anni) e la più alta nelle gare da 48 ore (46,8 anni). Con l’aumentare del numero di prestazioni, gli atleti miglioravano le loro prestazioni.

 

2500 anni fa il movimento era già un valore fondamentale

Le prestazioni da junior non predicono i risultati futuri

Gulch, A., Barth, M., McNamara, B., Hambrick, D. (2023). Quantifying the Extent to Which Successful Juniors and Successful Seniors are Two Disparate Populations: A Systematic Review and Synthesis of Findings. Sports Med, 53(6): 1201–1217.

Questo studio mirava a stabilire risultati più solidi e generalizzabili attraverso una revisione sistematica e una sintesi dei risultati. Abbiamo preso in considerazione tre livelli di competizione: gareggiare a livello di campionato nazionale, gareggiare a livello di campionato internazionale e vincere medaglie internazionali e abbiamo affrontato tre domande: (1) Quanti atleti junior raggiungono un livello di competizione equivalente quando sono atleti senior? (2) Quanti atleti senior hanno raggiunto un livello di competizione equivalente quando erano atleti junior? Le risposte a queste domande forniscono una risposta alla domanda (3): In che misura gli atleti junior e senior di successo sono una popolazione identica o due popolazioni diverse?

Metodo

Abbiamo condotto una ricerca sistematica della letteratura in SPORTDiscus, ERIC, ProQuest, PsychInfo, PubMed, Scopus, WorldCat e Google Scholar fino al 15 marzo 2022. Le percentuali di atleti junior che hanno raggiunto un livello di competizione equivalente in età senior (studi prospettici) e di atleti senior che hanno raggiunto un livello di competizione equivalente in età junior (studi retrospettivi) sono state aggregate tra gli studi per stabilire queste percentuali per tutti gli atleti, separatamente per gli studi prospettici e retrospettivi, le categorie di età junior e i livelli di competizione. La qualità delle prove è stata valutata utilizzando la versione del Mixed Methods Appraisal Tool (MMAT) per gli studi quantitativi descrittivi.

Risultati

Gli studi prospettici hanno incluso 110 campioni con 38.383 atleti junior. Gli studi retrospettivi hanno incluso 79 campioni con 22.961 atleti senior. Sono emersi i seguenti risultati: (1) Pochi juniores d’élite hanno raggiunto in seguito un livello di competizione equivalente in età senior e pochi seniores d’élite hanno raggiunto in precedenza un livello di competizione equivalente in età giovanile. Ad esempio, l’89,2% degli juniores U17/18 di livello internazionale non è riuscito a raggiungere il livello internazionale da senior e l’82,0% dei senior di livello internazionale non aveva raggiunto il livello internazionale da juniores U17/18. (2) Gli juniores e i seniores di successo sono in gran parte due popolazioni diverse. Ad esempio, gli juniores U17/18 di livello internazionale e i seniores di livello internazionale erano identici nel 7,2% dei casi e diversi nel 92,8%. (3) Le percentuali di atleti che raggiungono livelli equivalenti di competizione junior e senior sono le più basse tra i livelli di competizione più alti e le categorie di età più giovani. (4) La qualità delle prove era generalmente elevata.

Discussione

I risultati mettono in discussione i principi delle teorie tradizionali sul talento e sulla competenza, nonché le pratiche attuali di selezione e promozione del talento.

 

Perdere perchè la squadra non è stata rilassata

L’altra sera durante la finale dei campionati europei di pallavolo, l’allenatore italiano Ferdinando De Giorgi durante un timeout ha pronunciato una parola che in questi anni nello sport si è sentita poco. Il termine è rilassati, voleva che i giocatori fossero più calmi, meno frettolosi e imprecisi.

Personalmente, sono molto legato a questa che non è solo una parola ma esprime un concetto e direi un modo di vivere. Ho imparato le tecniche di rilassamento quando avevo 21 anni e non ho più abbandonato questo approccio che mi accompagna nella vita quotidiana. Ho studiato per anni l’importanza dell’equilibrio fra incitamento e calma nel lavoro e nel tempo libero, in allenamento e in gara.

La nostra società è evoluta verso un modello prestativo aggressivo, si deve sempre spingere, giocare in attacco, osare, vivere felicemente gli stress. Questa è la fase dell’incitamento e risponde alla filosofia che lo stress è un privilegio ma siamo sicuri che anche all’altro polo della questione, la calma, viene posta la stessa attenzione? Dalla mia esperienza sono giunto alla conclusione che la calma viene più spesso interpretata solo come una condizione da perseguire perchè non ci si può solo e sempre spremere come un limone altrimenti il corpo si spezza. Quindi la calma viene considerata non come l’latro polo della condizione umana ma come espressione di un limite a cui si deve sottostare.

Per questi motivi, un allenatore che durante una finale europea che la sua squadra sta perdendo dice: rilassati, appartiene a un altro pianeta. Quello in cui il rilassato e la calma sono delle capacità positive e indispensabili e non limiti a cui sottostare.

 

A che serve studiare?

Ricordo ancora la domanda che fece il professore di filosofia il primo giorno di liceo: “A che serve studiare? Chi sa rispondere?”. Qualcuno osò rispostine educate: “a crescer bene”, “a diventare brave persone”. Ma il Professore non soddisfatto scuoteva la testa. Finchè alla fine disse: “Serve ad evadere dal carcere”.

Ci guardammo stupiti. “L’ignoranza è un carcere. Perchè là dentro non capisci e non sai che fare. Dobbiamo organizzare la più grande evasione del secolo. Non sarà facile, vi vogliono stupidi, ma se scavalcate il muro dell’ignoranza poi capirete senza dover chiedere aiuto. E sarà difficile ingannarvi. Chi ci sta?”.

Mi è tornato in mente quell’episodio indelebile leggendo che solo un ragazzo su venti capisce un testo. E penso agli altri diciannove, che faticano ad evadere e rischiano l’ergastolo dell’ignoranza. Uno Stato democratico deve salvarli perchè è giusto. E perchè il rischio poi è immenso: le menti deboli chiedono l’uomo forte.

Corrado Augias