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Bravura e fortuna nel backgammon

Il backgammon è un dei giochi più antichi e ha origine più di 5000 anni fa nell’attuale Iraq. Vista la sua antichissima origine è facile comprendere come siano potute nascere col tempo anche numerose leggende sulla sua paternità: Egitto, nella tomba di Tutankamen furono ritrovate tavole con disegni simili, Grecia con Sofocle che ricorda come durante l’assedio di Troia i soldati ci giocassero per passare il tempo, gioco citato anche nell’Odissea di Omero. Gioco assai diffuso in tutte le caste sociali si espande in tutta Europa e resiste ancora oggi in molte parti del mondo.  Curioso e singolare vedere come il backgammon si sia evoluto nel mondo occidentale, dove ha trovato spazio come gioco raffinato e passatempo colto, mentre in Medio Oriente rimane una competizione popolare come la briscola o il tresette.  E perfino oggi in Italia, tra i profughi che arrivano sulle nostre coste o durante le lunghe attese nei punti di frontiera, si vedono persone improvvisare partite di backgammon.

Una partita di backgammon può rappresentare una metafora della vita poiché serve bravura e fortuna. Un po’ come nel calcio dove basta anche solo un tiro in porta per vincere una partita, pur se la squadra che perde si era mostrata sul campo più forte delle sua avversaria. Quindi anche se è un gioco che necessita dell’applicazione di una strategia, che richiede intuizione e creatività, è un gioco che si fonda sulla probabilità e non sulla certezza che agendo in una determinata maniera si vincerà la partita. Naturalmente la fortuna va cercata con l’allenamento, perché è vero che il giocatore migliore può perdere una partita ma, se non perde la fiducia in se stesso, su una serie di partita la sua competenza lo premierà con il successo sugli avversari.

Chi è curioso e vuole conoscere il backgammon se si trova a Roma dall’11 al 13 settembre potrà andare al  Circolo Antico Tiro a Volo,  dove si svolge l’11° Torneo Roma Open di Backgammon a cui parteciperanno i migliori giocatori del mondo.

La nuova mentalità vincente della Juventus

Prima il furore, poi la tecnica. Mi sembra questa l’evoluzione che in questi anni ha avuto la mentalità della Juventus. Campioni indiscussi come Buffon, Del Piero e Pirlo, fra gli altri, avevano già vinto molto e dimostrato di avere questo approccio al calcio, ma una squadra vincente è molto di più delle sue singole individualità e bisognava  che tutti dimostrassero di avere e portare sul campo questa mentalità. Il lavoro di Conte ha avuto il merito di portare il furore nel gioco, quell’intensità fisica e mentale prima che tecnica, che la squadra doveva dimostrare per novanta minuti in ogni partita. Allegri ha completato questa squadra, che aveva vinto tre campionati consecutivi, cambiando modulo di gioco e portando l’attenzione sul  lavoro tecnico e su quanto sia necessario migliorare continuamente sotto questo aspetto. Oggi si parla di quanto sia stato inatteso il raggiungimento della finale di Champions League, ma nello sport i miracoli non esistono. La squadra ha, invece, dimostrato di avere oltrepassato i limiti psicologici che le impedivano di giocare in modo da raggiungere questo obiettivo. Merito dell’allenamento ma anche dal partire da una condizione vincente, almeno in Italia, e su questa fiducia è stato possibile costruire, ostacolo dopo ostacolo, questa volontà di andare oltre i limiti passati. Ora tutto è possibile perché la storia c’insegna che Davide ha battuto Golia. La Juventus va a Berlino con un atteggiamento gioioso perché sono mesi che coltiva un sogno che giorno dopo giorno, con fatica e dedizione, è diventato realtà e questo è un vantaggio psicologico significativo per affrontare al meglio quest’ultima partita. Il Barcellona, super-favorito può incorrere in una partenza falsa come fece Bolt alla finale dei 100m ai mondiali del 2011 con la conseguente  squalifica. Un esempio di superficialità mentale dettata dal sentirsi predestinato a vincere.  Alla Juventus servirà l’entusiasmo accumulato in queste settimane unito alla calma, che le permetteranno di esaltare il proprio gioco, quello insegnato da Allegri. Certamente la Juventus nel suo percorso in Champions League è stata anche fortunata e questo ha messo in evidenza un’altra sua caratteristica, tipica delle squadre vincenti: sapere trarre vantaggio dalle condizioni favorevoli.  Infatti, ha vinto quando doveva vincere e non è facile ottenere questo risultato, perché spesso le squadre non-fiduciose perdono proprio queste partite non ragionando, perdendo la calma quando il gol non viene subito o se la squadra avversaria si mostra più difficile da superare. In questi casi, chi dovrebbe vincere diventa insicuro mentre l’avversario acquista sicurezza  e può ribaltare a proprio favore il risultato, tra l’incredulità dei favoriti. Impegno, dedizione totale e tecnica sono le parole chiave di questo successo.

Nel calcio, bisogna meritarsi la fortuna

Secondo Oronzo Pugliese, allenatore di calcio negli anni 70/80 la fortuna di una squadra consisteva nell’avere a disposizione i più bravi giocatori del mondo. Brasile e Argentina hanno vinto con l’aiuto della fortuna le due partite contro il Cile e la Svizzera. In questo caso con un ardito parallelo con il pensiero di Machiavelli, si può dire che la fortuna è la virtù esercitata dai più forti.  Per questo la fortuna non è così cieca come si è soliti dire, i più forti la calamitano su di sé. Devono però anche sapersela meritare, non a caso l’Argentina ha fatto molto più tiri in porta della Svizzera e il Brasile ha avuto ai rigori un portiere migliore. E’ altrettanto evidente che la fortuna interviene quando i due avversari non dimostrano una evidente superiorità di uno dei due. Più che in ogni altro sport, nel calcio il risultato ben si presta a essere influenzato dalla fortuna poiché la rete può essere determinata da una leggerezza compiuta in un determinato momento dal comportamento di un singolo calciatore. E’ il caso di Di Maria, uno dei migliori in campo, che viene ammonito in un’azione difensiva compiuta un minuto dopo avere segnato la rete del vantaggio dell’Argentina. Da questa leggerezza si è sviluppata l’azione che ha condotto al palo colpito da un giocatore svizzero, punito anche da un successivo rimpallo sulla gamba che ha messo la palla fuori di pochi centimetri. In altre parole, il peccato di un singolo può ricadere pesantemente sulla squadra. Questo è il calcio, sport in cui si può vincere per l’azione di un singolo ma che con altrettanta facilità un comportamento singolo può determinare la sconfitta. Pertanto, in una partita che si sviluppa attraverso molti singoli episodi attribuire il risultato alla fortuna non ha senso; di solito vince la squadra che ha creato più episodi positivi, agli avversari restano i pali presi che ne evidenziano la competitività in campo ma non la costanza nel perseguire la vittoria con il cuore e la mente. Leggilo anche su L’Huffington Post.