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Ragioni per cui gli allenatori non scelgono di lavorare con gli psicologi

Molti allenatori tendono a vedersi come i principali responsabili del benessere mentale dei loro atleti, piuttosto che affidarsi a psicologi dello sport, per una serie di ragioni legate a cultura, formazione, percezione del ruolo dell’allenatore e alla dinamica stessa dello sport. Ecco alcune spiegazioni principali per questo fenomeno:

1. Ruolo tradizionale dell’allenatore come guida globale

  • Visione olistica: Storicamente, l’allenatore è stato visto come la figura centrale responsabile di tutti gli aspetti della performance degli atleti, sia fisici che mentali. Molti allenatori hanno interiorizzato questa responsabilità globale, vedendo il benessere mentale degli atleti come parte della loro gestione e controllo, accanto alla preparazione fisica e tattica.
  • Relazione personale e di fiducia: L’allenatore spesso costruisce una relazione stretta e di fiducia con l’atleta. Gli atleti si rivolgono all’allenatore non solo per consigli tecnici, ma anche per supporto emotivo e psicologico. Questo può portare gli allenatori a sentirsi i principali responsabili anche del benessere mentale, poiché conoscono gli atleti a un livello personale e si sentono in grado di supportarli a 360 gradi.

2. Carenza di formazione specifica in psicologia dello sport

  • Formazione limitata: Molti allenatori non hanno una formazione approfondita in psicologia dello sport. Tuttavia, potrebbero aver ricevuto corsi base o informazioni sui principi generali di motivazione, leadership e gestione dello stress, elementi che li fanno sentire preparati a gestire anche gli aspetti psicologici.
  • Non riconoscimento dell’importanza della psicologia: In molti programmi di formazione per allenatori, l’accento è posto su tecniche e tattiche sportive, con meno attenzione alla psicologia. Questo porta alcuni allenatori a sottovalutare l’importanza dell’intervento di esperti specifici in psicologia, poiché ritengono che ciò che sanno sia sufficiente.

3. Paura di perdere il controllo

  • Desiderio di mantenere il controllo completo: Alcuni allenatori potrebbero temere di perdere parte del controllo sulla squadra se introducono uno psicologo. La gestione mentale degli atleti è vista come parte integrante del loro approccio complessivo alla leadership, e delegare questa responsabilità potrebbe sembrare una riduzione del loro ruolo.
  • Difficoltà di collaborazione: Non tutti gli allenatori sono pronti a lavorare in team con altri esperti (come uno psicologo dello sport), in quanto ciò richiede una stretta collaborazione e una divisione di responsabilità che può entrare in conflitto con la loro visione del lavoro. Alcuni allenatori preferiscono gestire direttamente tutti gli aspetti per evitare possibili incomprensioni o interferenze esterne.

4. Stigma e diffidenza verso la psicologia

  • Stigma culturale verso la psicologia: In molti ambienti sportivi, soprattutto quelli più tradizionalisti, la psicologia è ancora vista con sospetto. La mentalità comune è che la “forza mentale” sia qualcosa che si sviluppa naturalmente attraverso l’esperienza e la determinazione, non attraverso un supporto professionale. L’idea che gli atleti debbano cercare aiuto psicologico potrebbe essere percepita come un segno di debolezza, e quindi alcuni allenatori preferiscono evitare di introdurre psicologi per non esporre i loro atleti a questa percezione negativa.
  • Riduzione della “prestazione mentale” a motivazione: Molti allenatori considerano l’aspetto psicologico semplicemente come una questione di motivazione, determinazione e concentrazione, che ritengono di poter gestire attraverso discorsi motivazionali o il rafforzamento dell’autostima degli atleti, piuttosto che come un’area complessa che richiede un supporto professionale.

5. Esperienza personale e approcci consolidati

  • Esperienza diretta degli allenatori: Molti allenatori sono stati ex atleti, e durante le loro carriere potrebbero non aver avuto accesso a supporto psicologico professionale. Di conseguenza, basano la loro gestione mentale degli atleti sulle loro esperienze personali e sulle strategie che hanno funzionato per loro, piuttosto che su pratiche psicologiche scientificamente valide.
  • Risultati passati: Se un allenatore ha ottenuto buoni risultati gestendo autonomamente anche l’aspetto mentale degli atleti, potrebbe non vedere la necessità di cambiare il suo approccio. Se la sua esperienza conferma che riesce a motivare e supportare gli atleti, sarà meno incline a cercare aiuto esterno.

6. Pressione sui risultati immediati

  • Focus sui risultati a breve termine: Gli allenatori sono spesso sotto forte pressione per ottenere risultati immediati, specialmente nelle competizioni di alto livello. In questo contesto, potrebbero percepire il coinvolgimento di uno psicologo come un processo che richiede tempo per dare frutti, mentre loro sono costretti a cercare soluzioni rapide e visibili per migliorare la prestazione degli atleti.
  • Percezione della psicologia come non essenziale: In un contesto in cui i risultati rapidi sono fondamentali, la psicologia può essere vista come un elemento “extra” piuttosto che come un fattore essenziale per il successo a breve termine. Gli allenatori potrebbero quindi concentrarsi su aspetti più tangibili, come la tattica e la condizione fisica.

7. Conflitto tra approccio autoritario e approccio psicologico

  • Modelli di leadership tradizionali: Molti allenatori adottano un approccio autoritario nella gestione della squadra, dove controllano rigorosamente ogni aspetto della prestazione dell’atleta. La psicologia, con il suo focus sull’ascolto, la comprensione delle emozioni e il coinvolgimento dell’atleta nei processi decisionali, può entrare in conflitto con questo modello di leadership. Gli allenatori che seguono uno stile più direttivo possono vedere l’introduzione di uno psicologo come una minaccia alla loro autorità.

8. Differenze percepite tra preparazione fisica e mentale

  • Maggior evidenza della preparazione fisica: La preparazione fisica è visibile, misurabile e strettamente collegata ai risultati di prestazione sportiva. La preparazione mentale, invece, è più difficile da quantificare e spesso si manifesta in modo meno evidente. Questo rende più semplice per gli allenatori delegare la preparazione fisica a un esperto, ma sentirsi competenti a gestire gli aspetti mentali in prima persona.
  • Confusione sui confini tra ruoli: Non sempre è chiaro dove finisca la responsabilità dell’allenatore e inizi quella dello psicologo. Mentre l’aspetto fisico ha confini definiti, come forza, resistenza e tecnica, la psicologia dello sport copre aree che spesso si sovrappongono con la leadership e la motivazione, aspetti che molti allenatori ritengono essere parte integrante del loro ruolo.

Conclusione

In sintesi, molti allenatori si vedono come i principali responsabili del benessere mentale degli atleti a causa di una combinazione di tradizione, formazione limitata, desiderio di controllo, pregiudizi culturali e percezione della psicologia come un’area meno tangibile e immediatamente efficace rispetto alla preparazione fisica. Tuttavia, con il crescente riconoscimento del ruolo della psicologia nello sport, è probabile che nel tempo si crei una maggiore collaborazione tra allenatori e psicologi sportivi.

Psicologo o motivatore?

Un altro campione, vincitore seriale, Lewis Hamilton, ha parlato dei suoi problemi mentali:

“Fin da piccolo, quando avevo circa 13 anni, soffrivo di depressione, credo sia stato a causa della pressione delle gare e del bullismo a scuola. Non avevo nessuno con cui parlare … A venti anni ho vissuto fasi veramente complicate, ho lottato con la salute mentale per tutta la vita”. In particolare, durante la pandemia, molti fantasmi sono tornati a visitarlo. Per affrontarli, Lewis ha studiato, letto, si è aiutato con la meditazione “perché inizialmente faticavo a calmare la mente”.

In un mondo sportivo in cui:

  • gli atleti parlano di se stessi non solo più evidenziando i loro successi ma anche le difficoltà, le paure e le loro preoccupazioni;
  • il comitato olimpico internazionale e le nazioni più avanzate forniscono agli atleti servizi per migliorare nella preparazione psicologica alle competizione ma anche altri per promuovere il loro benessere, forniti da psicologi professionisti e specializzati in queste aree diverse.

Nel nostro paese c’è ancora chi afferma la necessità del ruolo del motivatore messo in contrapposizione a quello dello psicologo dello sport. Purtroppo non sono in pochi a pensare in questo modo, ed è difficile obiettare alle loro convinzioni poiché le loro opinioni sono pre-scientifiche, non si basano su dati certi ma solo su qualche stereotipo e sulla presunzione di volere avere a ogni costo ragione.

 

Tempo di scuola e di sport

Una conoscenza fondamentale: la metodologia dell’insegnamento sportivo

Ieri alla Scuola dello Sport di Reggio Calabria ho ascoltato una lezione di psicopedagogia applicata allo sport. Sentendo parlare il docente mi è venuto in mente quando abbiamo introdotto questa tematica, che riguarda la metodologia dell’insegnamento. Era qualche anno fa, il 1997 quando venne pubblicato dalla Scuola dello Sport il primo libro intitolato “Metodologia dell’insegnamento sportivo”; 147 pagine dedicato esclusivamente a questa materia per i corsi per allenatori. Il libro era il frutto del lavoro di un anno di alcune persone: Alberto Madella, Mariella Londoni, Nadia Aquili e il sottoscritto.

L’introduzione di questa tematica nei corsi per gli allenatori fu qualcosa di assolutamente nuovo, poichè sino a quel momento a questo aspetto dell’allenamento, che riguarda come s’insegna, non era mai stata data sufficiente dignità. Per il mondo dello sport era importante solo la qualità del programma e non come questo venisse erogato. Anche in precedenza si parlava della comunicazione allenatore-atleta/squadra e dei comportamenti dell’allenatore in funzione del suo stile di leadership ma questa è stata la prima volta che la metodologia dell’insegnamento sportivo è diventata una materia d’insegnamento specifico e indipendente dalle altre.

Parlo di questo tema perchè credo nell’importanza di ricordare e di fare sapere a chi non sa che dietro ogni insegnamento c’è la storia di questa tematica e conoscerne l’evoluzione è importante, intanto per non vivere nell’ignoranza e per riconoscere da dove originano i temi che trattiamo oggi, che sono il frutto di un’evoluzione della mentalità che ha permesso d’introdurre nuovi insegnamenti e nuove conoscenze che è importante non dimenticare.

La conoscenza della storia di una materia è anche un invito per gli esperti di oggi a portare nuovi contenuti, che si ergono sulle spalle di quanto prodotto in precedenza, e così in un inesauribile processo di continua innovazione.

L’allenamento situazionale nel tennis

Nel tennis, l’allenamento situazionale è particolarmente utile per simulare situazioni di partita che richiedono specifiche abilità tattiche, fisiche e mentali. L’obiettivo è preparare il tennista a reagire in modo ottimale a diversi scenari che possono verificarsi durante un match.

Ecco alcuni esempi di situazioni tipiche e di come si può svolgere l’allenamento situazionale nel tennis:

1. Punteggio in equilibrio (40-40 o vantaggi)

Situazione: Il tennista si trova sul 40-40 o sul vantaggio, dove ogni punto è cruciale. In questi momenti, la gestione della pressione e la scelta delle giocate diventano fondamentali.

Allenamento: Si può simulare una situazione di punteggio in equilibrio, iniziando il gioco direttamente sul 40-40. Il tennista deve scegliere la giusta strategia per vincere il punto, ad esempio servendo con precisione o difendendosi con pazienza. L’obiettivo è migliorare la gestione mentale e tattica nei punti importanti.

Obiettivo: Abituare il giocatore a mantenere la calma e a fare le scelte corrette in situazioni di punteggio critiche, come decidere se rischiare un colpo vincente o adottare una strategia più conservativa.

2. Break point a favore o contro

Situazione: Il tennista si trova in un momento cruciale della partita, con un break point a favore o contro.

Allenamento: Simulare queste situazioni di break point, sia in difesa che in attacco. Ad esempio:

  • Break point contro: Il tennista inizia il gioco sullo 0-40 o 15-40 con l’obiettivo di mantenere il servizio e neutralizzare l’avversario.
  • Break point a favore: Si simula una situazione in cui si è sul 30-40 o 15-40 e il giocatore deve cercare di convertire il break point con un piano tattico chiaro.

Obiettivo: Sviluppare la capacità di giocare con aggressività (se in vantaggio) o con solidità difensiva (se in svantaggio) in momenti cruciali, migliorando la gestione della tensione.

3. Tie-break

Situazione: I tie-break sono momenti ad alta tensione dove la concentrazione e la strategia sono fondamentali. Qui gli errori possono essere decisivi.

Allenamento: Si possono giocare tie-break simulati (sia sul 6-6 che al terzo set nel formato di un match di allenamento). Durante l’allenamento, l’attenzione si concentra su:

  • Scelta del servizio (dove servire in funzione delle forze/debolezze dell’avversario).
  • Gestione dei punti cruciali (non concedere minibreak e cercare di sfruttare il proprio servizio).
  • Abituarsi alla pressione, trattando ogni punto come decisivo.

Obiettivo: Migliorare la concentrazione, il sangue freddo e l’efficacia nelle decisioni tattiche durante i tie-break.

4. Rimonta da una situazione di svantaggio

Situazione: Il tennista si trova sotto di un set o con un break di svantaggio nel secondo set e deve trovare soluzioni per ribaltare la partita.

Allenamento: Simulare una situazione in cui si è sotto 3-5 o 1-5 in un set e il giocatore deve lavorare per rimontare, sia sul piano mentale che tattico. Potrebbe dover cambiare strategia, aumentare l’aggressività o cercare di destabilizzare l’avversario.

Obiettivo: Allenare la resilienza mentale, imparare a non arrendersi e trovare il modo di risalire in partita anche quando le probabilità non sono a proprio favore.

5. Servizio sotto pressione (secondo servizio)

Situazione: Il giocatore deve servire un secondo servizio in un momento delicato del match, magari su un punto importante o un break point.

Allenamento: Simulare diversi scenari in cui il tennista deve servire un secondo servizio in situazioni di alta pressione, cercando di evitare doppi falli o regali all’avversario. L’accento può essere posto sulla precisione del secondo servizio e sulla scelta della giusta rotazione (kick, slice o piatto).

Obiettivo: Aumentare la fiducia nel secondo servizio e sviluppare la capacità di mantenere la calma quando si serve sotto pressione.

6. Gestione del vento o condizioni avverse

Situazione: Giocare con vento forte, pioggia leggera o caldo estremo può influire sulle dinamiche del match e richiede adattamenti tattici.

Allenamento: Se possibile, allenarsi in condizioni climatiche avverse per simulare partite giocate in vento o caldo intenso. Ad esempio, in caso di vento, si può lavorare su colpi più sicuri, più profondi e su un servizio meno rischioso ma più consistente.

Obiettivo: Migliorare l’adattabilità del tennista a diverse condizioni atmosferiche e prepararlo a mantenere la concentrazione e a modificare la tattica di gioco in base al contesto.

7. Gestione del ritmo e delle variazioni tattiche

Situazione: Durante una partita, il giocatore può dover affrontare avversari che variano costantemente il ritmo, alternando colpi potenti a palle corte o colpi più lenti.

Allenamento: Simulare partite contro un avversario che varia spesso il ritmo, ad esempio alternando topspin e slice, palle alte e basse, o combinando attacchi veloci con palle più corte. Il giocatore deve imparare a leggere le variazioni e rispondere in modo efficace, senza perdere la propria strategia.

Obiettivo: Migliorare la capacità di adattamento e di mantenere il controllo del gioco anche contro avversari che utilizzano variazioni di ritmo per destabilizzare.

8. Gioco di rete o serve-and-volley in situazioni specifiche

Situazione: Il tennista si trova in una situazione di punteggio in cui deve cercare di chiudere il punto rapidamente a rete o con un approccio aggressivo (serve-and-volley).

Allenamento: Simulare scenari in cui il giocatore serve e segue il servizio a rete o approccia la rete dopo un colpo aggressivo. L’attenzione è posta sul posizionamento e sulla velocità di esecuzione per chiudere il punto, specialmente nei momenti decisivi della partita.

Obiettivo: Sviluppare la capacità di variare il gioco e chiudere i punti a rete, aumentando la fiducia in questa tattica.

Conclusione

L’allenamento situazionale nel tennis mira a preparare il giocatore non solo dal punto di vista tecnico, ma anche tattico e mentale, simulando scenari di partita che mettono alla prova la sua capacità di adattamento, concentrazione e resilienza. Queste situazioni addestrano i tennisti a essere più pronti e reattivi di fronte a momenti cruciali o complicati di un match.

Come è cambiato il ruolo del mental coach nei team di alto livello negli ultimi 30 anni

 

Negli ultimi 30 anni, il ruolo del mental coach nel team di alto livello è cambiato radicalmente, evolvendo da figura marginale e talvolta poco considerata a componente essenziale del team multidisciplinare di supporto agli atleti. Ecco come è avvenuto questo cambiamento:

1. Crescita della consapevolezza sull’importanza della preparazione mentale

Negli anni ’90, la preparazione psicologica era spesso vista come un complemento secondario alla preparazione fisica e tecnica. Gli atleti di élite si concentravano principalmente su allenamento fisico, strategia e tattica, mentre gli aspetti psicologici erano trascurati o gestiti in maniera informale. Con il passare del tempo, si è diffusa la consapevolezza che le capacità mentali sono fondamentali per la performance sportiva, specialmente quando gli atleti competono al massimo livello, dove le differenze fisiche e tecniche sono minime. Oggi, il mental coach è considerato cruciale tanto quanto il preparatore fisico o il nutrizionista.

2. Integrazione con il team tecnico e medico

All’inizio, il mental coach operava spesso in modo isolato o veniva consultato solo in caso di crisi emotive o cali di rendimento. Oggi, invece, fa parte del team multidisciplinare insieme a preparatori atletici, fisioterapisti e allenatori, lavorando in modo integrato per ottimizzare la performance dell’atleta in tutte le sue sfaccettature. La collaborazione tra mental coach e allenatori è diventata sempre più fluida, con un focus sulla sinergia tra preparazione fisica e mentale.

3. Approccio proattivo piuttosto che reattivo

Storicamente, il mental coach veniva chiamato a intervenire in momenti di difficoltà, come infortuni o crisi di fiducia, in modo reattivo. Negli ultimi decenni, il mental coach è diventato una figura che lavora in modo proattivo, fornendo supporto continuo all’atleta per prevenire situazioni problematiche. Questo significa un lavoro costante per migliorare aspetti come la gestione dello stress, la concentrazione, la motivazione e il recupero psicologico, piuttosto che solo una soluzione temporanea.

4. L’Applicazione di metodi scientifici e strumenti psicometrici

Con l’evoluzione della psicologia dello sport come disciplina scientifica, i mental coach hanno cominciato a utilizzare metodi sempre più basati su evidenze scientifiche. Negli anni ’90 e 2000, si è assistito all’introduzione di tecniche di mindfulness, neurofeedback, biofeedback e strumenti psicometrici per misurare e migliorare la prestazione mentale. Questi strumenti permettono una valutazione più precisa delle condizioni psicologiche degli atleti e una personalizzazione delle strategie di intervento.

5. Focalizzazione sulla resilienza e la gestione delle emozioni

In passato, il mental coach si concentrava principalmente sul miglioramento della concentrazione e della fiducia in se stessi. Oggi, c’è una maggiore enfasi sulla resilienza mentale e sulla gestione delle emozioni, specialmente per affrontare le crescenti pressioni dovute all’esposizione mediatica e alle aspettative elevate. Lavorare sulla capacità di un atleta di recuperare rapidamente da un insuccesso, gestire la frustrazione o affrontare i momenti di difficoltà personale è diventato un obiettivo chiave del mental coaching.

6. L’Impatto dei social media e della visibilità pubblica

Negli ultimi anni, con la diffusione dei social media, gli atleti di alto livello sono sottoposti a una pressione maggiore rispetto al passato. Il mental coach si è dovuto adattare per aiutare gli atleti a gestire non solo la pressione interna, ma anche quella esterna derivante dall’attenzione costante di tifosi, media e critici sui social. L’allenamento mentale oggi include strategie per proteggere l’atleta da eventuali impatti negativi legati alla visibilità pubblica.

7. Maggiore riconoscimento e professionalizzazione

Negli ultimi 30 anni, la figura del mental coach è diventata sempre più riconosciuta e professionalizzata. Un tempo, chiunque poteva autodefinirsi “mental coach”, mentre oggi sono richieste competenze certificate e una formazione accademica specifica in psicologia dello sport. Questo riconoscimento ha contribuito a migliorare la qualità del lavoro svolto e a integrare il mental coaching in modo strutturato all’interno dei programmi di preparazione degli atleti di alto livello.

8. Personalizzazione dell’intervento psicologico

Se in passato il mental coaching tendeva ad adottare un approccio più generalista, oggi l’intervento è sempre più personalizzato in base alle esigenze dell’atleta. Ogni atleta ha una sua storia, il suo modo di gestire lo stress e la propria struttura mentale. Di conseguenza, il mental coach lavora per creare piani individuali che rispondono ai bisogni specifici dell’atleta, sia dal punto di vista personale che sportivo.

9. Sostenibilità del benessere mentale e prevenzione del burnout

Un’evoluzione chiave nel ruolo del mental coach è il passaggio da un focus esclusivo sulla performance a una maggiore attenzione al benessere psicologico complessivo degli atleti. La prevenzione del burnout e la promozione di un equilibrio tra vita sportiva e personale sono diventati aspetti centrali. Oggi, il mental coach aiuta gli atleti a trovare un equilibrio tra allenamenti, competizioni, vita privata e recupero mentale, riconoscendo che il benessere a lungo termine è fondamentale per ottenere successi duraturi.

10. Diversificazione delle aree di intervento

Con il passare degli anni, i mental coach hanno cominciato a lavorare non solo sugli aspetti individuali, ma anche su dinamiche di squadra, leadership e comunicazione. Ad esempio, negli sport di squadra, il mental coach lavora per migliorare la coesione, la comunicazione e la collaborazione tra i membri del team, oltre a rafforzare la leadership di capitani o allenatori.

Conclusione

Il ruolo del mental coach è passato da un servizio accessorio a una componente essenziale e integrata nel team di alto livello. Oggi, questa figura lavora in modo proattivo e scientifico per ottimizzare la performance mentale degli atleti, proteggendoli anche dagli stress esterni e promuovendo il loro benessere a lungo termine. Questo cambiamento riflette l’evoluzione della mentalità nel mondo dello sport, dove la dimensione mentale è riconosciuta come fondamentale per raggiungere risultati di eccellenza.

 

 

Come può un giocatore migliorare la propria capacità di comprendere il gioco dell’avversario

Nel tennis o nel tennis tavolo, un giocatore può migliorare la propria capacità di comprendere il gioco dell’avversario attraverso l’allenamento mirato, sviluppando diverse abilità tattiche, mentali e tecniche. Ecco alcuni modi in cui questo processo può avvenire:

1. Studio delle tattiche dell’avversario

Un aspetto fondamentale per capire il gioco dell’avversario è l’osservazione attenta durante le partite o le sessioni di allenamento. Allenatori e giocatori possono studiare video di partite per analizzare le tendenze e le abitudini tattiche dell’avversario:

  • Colpi preferiti: Osservare quali colpi usa più spesso, ad esempio se predilige il rovescio o il diritto, o se tende a usare colpi incrociati o lungolinea.
  • Posizionamento in campo: Capire come si muove e quali sono le sue zone di comfort sul campo.
  • Punti deboli: Riconoscere i punti deboli, come una risposta meno efficace ai colpi alti o alle rotazioni particolari.

2. Allenamento situazionale

L’allenamento situazionale aiuta il giocatore a sviluppare la capacità di reagire rapidamente a diverse condizioni che possono presentarsi durante una partita:

  • Simulazioni con sparring partner: Un giocatore può allenarsi con avversari che replicano lo stile di gioco di un avversario specifico, simulando situazioni reali. Questo aiuta a interiorizzare le risposte più efficaci.
  • Allenamento su variazioni di rotazione e velocità: Affrontare colpi con diverse rotazioni (topspin, backspin) o velocità aiuta a riconoscere e reagire più rapidamente ai colpi dell’avversario.

3. Miglioramento della lettura del gioco

Allenare la capacità di lettura del gioco aiuta un giocatore a prevedere meglio le intenzioni dell’avversario:

  • Lettura del linguaggio corporeo: In particolare nel tennis tavolo, dove le azioni sono più rapide, diventa cruciale imparare a leggere i movimenti e l’anticipazione dei colpi osservando la postura e il movimento della racchetta.
  • Riconoscimento dei segnali pre-colpo: Anticipare le decisioni dell’avversario, come capire se sta per giocare un colpo aggressivo o difensivo, osservando il posizionamento e i tempi di preparazione del colpo.

4. Allenamento mentale e reattività

La velocità nel riconoscere il gioco avversario dipende molto dalla prontezza mentale:

  • Esercizi di reattività: Lavorare su esercizi che migliorano la velocità di reazione mentale e fisica permette al giocatore di rispondere rapidamente ai cambiamenti di ritmo e tattica dell’avversario.
  • Simulazione di situazioni di pressione: Simulare situazioni di alta pressione durante l’allenamento aiuta a mantenere la calma e la concentrazione durante le fasi critiche della partita, riuscendo a “leggere” l’avversario anche nei momenti più tesi.

5. Allenamento alla variazione tattica

Un giocatore può migliorare la comprensione del gioco dell’avversario anche variando il proprio stile:

  • Cambio di ritmo e colpi: Abituarsi a variare costantemente ritmo, profondità e angolazione dei colpi aiuta a mettere in difficoltà l’avversario e a testarne le reazioni. Questo permette di capire in che modo tende a rispondere a certi stimoli tattici.
  • Capacità di adattamento: Sviluppare un gioco versatile consente di testare diverse soluzioni tattiche contro l’avversario durante la partita, aiutando a identificare quali strategie funzionano meglio.

6. Feedback da allenatori e analisi post-partita

Dopo le partite o le sessioni di allenamento, un’analisi dettagliata può essere fondamentale:

  • Analisi delle statistiche di gioco: Raccogliere dati su errori, vincenti, tipi di colpi giocati e come sono stati affrontati durante la partita permette di individuare pattern nell’avversario.
  • Consigli degli allenatori: Gli allenatori spesso vedono dettagli che possono sfuggire al giocatore, fornendo indicazioni su come migliorare la lettura e la reazione alle tattiche dell’avversario.

7. Sviluppo della visione di gioco a lungo termine

Il giocatore può allenarsi a guardare oltre il singolo scambio e a capire il quadro tattico più ampio:

  • Pianificare strategie a lungo termine: Non tutti i punti devono essere vinti subito. Imparare a costruire il punto, forzando gradualmente l’avversario in posizioni scomode, migliora la comprensione delle sue debolezze nel corso della partita.

Conclusione

Migliorare nella comprensione del gioco dell’avversario richiede un approccio sistematico e integrato tra l’allenamento tecnico, tattico, mentale e l’analisi. Attraverso simulazioni specifiche, l’osservazione dettagliata e la reattività mentale, un giocatore di tennis o tennis tavolo può diventare sempre più efficace nel decifrare il gioco avversario, aumentando le possibilità di vittoria.

Come favorire la consapevolezza relativa all’allenamento

Per un allenatore di giovani adolescenti, rendere l’allenamento interessante e significativo è fondamentale per il loro coinvolgimento e sviluppo. Ecco alcuni approcci pratici per far capire loro le ragioni dietro ogni esercizio e il suo collegamento con la gara:

1. Spiegare il “Perché” di ogni esercizio

  • Connessione diretta con la gara: Invece di far eseguire gli esercizi come routine, spiega come ogni esercizio sviluppa una capacità specifica utile in gara. Per esempio, se si fanno esercizi di resistenza, collega l’allenamento alla capacità di mantenere un ritmo sostenuto durante una partita.
  • Feedback continuo: Dopo ogni esercizio, sottolinea come e dove questo sarà utile durante le competizioni. Ad esempio, “Questi sprint vi aiuteranno a fare il recupero veloce quando dovrete tornare in difesa”.

2. Allenamenti con simulazioni di situazioni di gara

  • Creare scenari realistici: Ricrea situazioni che si verificano in gara durante gli allenamenti. Se i ragazzi vedono come le competenze che sviluppano verranno applicate direttamente durante la competizione, il loro interesse aumenterà.
  • Mini partite o sfide: Ogni tanto trasforma gli esercizi in competizioni o mini partite, in modo che vedano il collegamento tra la tecnica allenata e l’azione sul campo.

3. Obiettivi individuali e di squadra

  • Definisci obiettivi chiari e personali: Se ogni giovane ha un obiettivo specifico da raggiungere, è più probabile che si impegni nell’allenamento. Gli obiettivi possono essere legati sia a progressi personali sia a contributi di squadra. Per esempio, “Migliora il tuo passaggio lungo del 10% per aiutare la squadra a uscire più velocemente dalla difesa”.
  • Monitoraggio dei progressi: Mostra i progressi ottenuti, confrontando il prima e dopo, in modo che possano vedere l’effetto tangibile del lavoro.

4. Uso della gamification

  • Allenamenti divertenti e competitivi: Introduci elementi di gioco nell’allenamento, come sfide a punti, gare a squadre, o livelli da sbloccare. Questo approccio li rende più motivati e coinvolti, perché sentono di “giocare” e migliorare al tempo stesso.
  • Premi o riconoscimenti: Non necessariamente materiali, ma riconoscimenti simbolici per chi dimostra grande impegno o chi riesce a trasferire le competenze in contesti di gara.

5. Coinvolgimento emotivo

  • Racconta storie di successo: Condividi storie di atleti che hanno lavorato duramente in allenamento e hanno visto risultati straordinari in gara. Il coinvolgimento emotivo aiuta i giovani a capire che il lavoro quotidiano porta a grandi risultati nel tempo.
  • Mentorship: Crea un ambiente di squadra in cui i membri più esperti o avanzati possano guidare i meno esperti, spiegando loro in prima persona come gli allenamenti abbiano avuto un impatto sulle loro performance.

6. Varietà e creatività

  • Cambiare spesso routine: Evita che l’allenamento diventi ripetitivo e noioso. Introduci regolarmente nuovi esercizi o variazioni, spiegando sempre perché sono rilevanti.
  • Allenamenti creativi: Usa oggetti o metodologie non convenzionali (ad esempio allenamenti all’aperto o in ambienti nuovi) per stimolare curiosità e creatività.

7. Educazione alla consapevolezza

  • Lezioni teoriche brevi: Spiega in modo semplice e comprensibile i principi di base dietro l’allenamento: fisiologia, tattica, tecnica. Non serve entrare nei dettagli scientifici, ma dare una base per capire come funziona il corpo o perché una certa tattica è efficace.
  • Video analisi: Mostra video delle loro gare o di atleti professionisti, evidenziando i momenti in cui le abilità allenate vengono applicate. Questo rafforza la connessione tra pratica e prestazione.

8. Allenare la mentalità competitiva

  • Allenamento mentale: Aiuta i ragazzi a capire che ogni esercizio serve anche a sviluppare la loro resilienza mentale e la capacità di reagire a situazioni difficili in gara. Ad esempio, simulare la pressione di un momento decisivo può aiutare a collegare la preparazione fisica e mentale.

Adottando questi approcci, l’allenamento non sarà più percepito solo come un obbligo, ma come uno strumento consapevole per migliorare e vincere.

Il paradosso generazionale: i giovani laureandi riconoscono poco l’impatto dei social sugli adolescenti

Domanda: perchè molti giovani laureandi che scrivono la tesi sugli adolescenti ne parlano con le idee degli ’90 mentre non citano che sono cambiati a causa di social e degli smartphone, eppure non ci sono più di 10 anno tra di loro.Molti giovani laureandi che scrivono tesi sugli adolescenti sembrano ancora ancorati alle idee e alle teorie degli anni ’90, nonostante ci siano stati cambiamenti profondi nella realtà giovanile dovuti all’avvento dei social media e degli smartphone.

Ci sono diverse ragioni che possono spiegare questo fenomeno, anche se la distanza tra le generazioni non supera i 10 anni:

  1. Influenza della letteratura accademica classica: Le teorie e gli studi fondamentali degli anni ’90, come quelli di autori come Erikson, Piaget o Bauman, sono ancora molto citati nelle ricerche accademiche. Questi lavori hanno avuto un’enorme influenza nel delineare le dinamiche dell’adolescenza, e spesso le università tendono a dare molto peso alla letteratura consolidata. Questo può portare i laureandi a riferirsi a concetti ormai “storici”, ignorando il contesto attuale dominato dai social media e dalla tecnologia.
  2. Formazione accademica: Gli studenti possono essere formati da professori che a loro volta sono stati influenzati da approcci datati e che potrebbero non integrare nel loro insegnamento studi più recenti o concetti legati alla digitalizzazione. Ciò li induce a riproporre una visione più tradizionale dell’adolescenza, trascurando il ruolo di strumenti moderni come gli smartphone.
  3. Velocità dei cambiamenti tecnologici: L’evoluzione dei social media e degli smartphone è avvenuta in modo talmente rapido che potrebbe risultare difficile per alcuni laureandi capire appieno l’impatto di queste tecnologie sugli adolescenti, nonostante la loro vicinanza generazionale. Mentre la “generazione smartphone” ha caratteristiche molto specifiche (ad esempio, maggiore solitudine sociale, cyberbullismo, difficoltà di attenzione), chi si avvicina alla tesi potrebbe non essere ancora abituato a considerare questi fattori come centrali nel loro lavoro accademico.
  4. Sottovalutazione dell’effetto dei social: Nonostante molti studenti usino quotidianamente i social e gli smartphone, possono non rendersi conto dell’effetto profondo che questi hanno sullo sviluppo psicologico e sociale degli adolescenti. Spesso la consapevolezza critica di questi temi si sviluppa attraverso un’analisi approfondita, che può mancare se l’indagine è più basata su convinzioni preesistenti piuttosto che su una riflessione aggiornata.
  5. Difficoltà nell’accesso a studi recenti: Non tutti i laureandi hanno accesso alle ultime ricerche o ai database più aggiornati. Gli studi più innovativi sui social media, l’uso dello smartphone e i loro effetti sugli adolescenti possono essere meno disponibili o meno promossi all’interno di certi percorsi di studio, rendendo più probabile l’adozione di approcci già superati.
  6. Rassicurante familiarità con il passato: Rimanere ancorati a visioni degli adolescenti degli anni ’90 potrebbe essere rassicurante, perché offrono teorie già accettate e consolidate, che appaiono “sicure” rispetto ai fenomeni più complessi e difficili da studiare, come l’impatto della tecnologia moderna.

In sintesi, nonostante la prossimità generazionale, molti laureandi tendono a rifarsi a paradigmi degli anni ’90 per una serie di motivi legati alla formazione accademica, alla difficoltà di adattarsi ai rapidi cambiamenti tecnologici e al peso della letteratura classica, che ancora domina in molti ambiti della ricerca.

ISSP master class: Mindfulness and ACT under Pressure

Mindfulness and ACT under Pressure. Lessons from the Olympic Games.

Dr. Peter Habra

DATE: Tuesday, November 5th, 2024
Speakers: Dr. Peter Haberl
Length of Session: 90 minutes
(60-minute lecture, 30-minute Q&A)
Language: English
(Translated live captioning available)
Time: 14:00 UTC (New York, 9:00; Belo Horizonte, 11:00; Beijing, 22:00; Seoul, 22:00) 
Recordings: Available for 60 days after the lecture or from on-demand purchase.

About the lecture

The presenter, Dr. Haberl, will offer a personal and practical perspective on pressure and mindfulness at the Olympic Games. Comparing and contrasting applied experience from 10 Olympic Games with research findings and traditional practice recommendations in the field of applied sport psychology, this presentation will aim to address a key set of questions:

  • What exactly is pressure and how does pressure impact athletes at the Games?
  • How do athletes prepare to cope with pressure?
  • What role does mindfulness play in that preparation?
  • How and why is mindfulness used and at times misused and often misunderstood when it comes to dealing with pressure at the Games?
  • What is the true currency of performance?
  • How can we train mindfulness to protect the true currency of performance?

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About our speakers

Paris 2024 marked Peter’s 10th Olympic Games as an applied sport psychologist and mental performance consultant. Dr. Haberl is in private practice and works with US National Teams and international athletes in preparation for performing at the Olympic Games. Dr. Haberl was employed by the United States Olympic and Paralympic Committee from 1998 to 2023. Prior to moving to the U.S., Peter played professional ice hockey in Austria, where he was born and received his bachelor’s degree in sports science from the University of Vienna, Austria. He later earned his master’s degree in counseling and his Ed. D. in counseling psychology at Boston University. A licensed psychologist, Dr. Haberl focuses on mindfulness and ACT-based training approaches. Peter is a Certified Mental Performance Consultant (CMPC) with the Association of Applied Sport Psychology (AASP). He is the recipient of the 2011 AASP Distinguished Professional Practice Award. Peter is the founder and chair of the AASP International Olympic Providers SIG (Special Interest Group). Dr. Haberl has lectured and given workshops in Austria, Sweden, Japan, Denmark, Norway, Switzerland, China and the US.

 Program Format

Attendees can participate in an ISSP Master Class session right from their office or home. Registrants will be provided the Zoom link upon registration to access the presentation right on the web in real time. If you are unable to watch the session live, a recording will be provided afterward to all registrants.