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Sport e salute mentale

Henriksen, K., Huang, Z., Bartley, J., Kenttä, G., Purcell, R., Wagstaff, C. R. D., … Schinke, R. (2024). The role of high-performance sport environments in mental health: an international society of sport psychology consensus statement. International Journal of Sport and Exercise Psychology, 1–23.

Questa dichiarazione di consenso è il risultato del Terzo Think Tank Internazionale della Società di Psicologia dello Sport sulla Salute Mentale. Gli obiettivi del Think Tank erano: (1) coinvolgere ricercatori e professionisti di fama internazionale in una discussione sul ruolo degli ambienti sportivi ad alte prestazioni nel nutrire o compromettere la salute mentale di atleti, allenatori e staff; e (2) sviluppare raccomandazioni per le organizzazioni sportive, i ricercatori sulla salute mentale e i professionisti, affinché riconoscano più pienamente il ruolo dell’ambiente sportivo nel loro lavoro.

Sebbene la maggior parte della ricerca sulla salute mentale nello sport si sia concentrata sull’individuo, la salute mentale è il risultato di relazioni intricate e dinamiche tra le persone e i loro ambienti, e una serie di stakeholder, sia individuali che organizzativi, svolgono un ruolo chiave nel sostenere il benessere negli sport ad alte prestazioni.

Concettualmente, dividiamo l’ambiente in tre livelli (la squadra sportiva, l’organizzazione sportiva e il sistema sportivo) e due dimensioni (l’ambiente sociale e quello fisico). Basandoci sulla descrizione di questi ambienti, concludiamo fornendo raccomandazioni che aiuteranno squadre, organizzazioni e sistemi sportivi a creare ambienti sportivi ad alte prestazioni che promuovano il benessere mentale e servizi efficaci per la salute mentale, aiutando al contempo i ricercatori ad ampliare il loro focus dall’atleta o allenatore individuale all’ambiente sportivo nel suo complesso.

I campioni del mondo dell’allenamento

Ci sono atleti che in allenamento sembrano campioni del mondo: eseguono ogni gesto con precisione perfetta, battono record personali, e dominano ogni esercizio come se fosse naturale. Sono quelli che fanno spalancare gli occhi agli allenatori, che ispirano i compagni e fanno sognare trionfi. Ma poi arriva la gara, il momento clou, e qualcosa cambia.

In gara, la stessa fluidità che mostrano in allenamento sembra sparire. Magari si bloccano, o le loro prestazioni risultano semplicemente inferiori alle aspettative. La differenza è palpabile, quasi inspiegabile.

Spesso, il loro problema non è una questione fisica: sono ben allenati, tecnicamente impeccabili. È nella mente che si gioca la partita. La pressione, l’ansia da prestazione o il timore di non essere all’altezza si insinuano nei loro pensieri, rallentandoli, rendendoli insicuri. L’ambiente della gara, con il pubblico, i giudizi e l’aspettativa di risultato, diventa un labirinto emotivo da cui non riescono a uscire.

Altre volte, si tratta di un eccesso di perfezionismo: sono così concentrati sull’idea di fare tutto alla perfezione che finiscono per sabotarsi da soli. Quella naturalezza che emerge durante l’allenamento si trasforma in rigidità quando pensano troppo al risultato.

Eppure, è proprio da questi atleti che nasce il fascino dello sport. Sono una testimonianza vivente del fatto che la prestazione non è solo una questione di muscoli o abilità tecniche, ma un equilibrio complesso tra mente, corpo ed emozioni. Sono persone da ammirare, non per quello che raggiungono in gara, ma per la loro determinazione, per la ricerca continua di come superare quell’ostacolo invisibile che li separa dal loro massimo potenziale.

In fondo, ogni grande atleta ha attraversato almeno una volta una fase del genere. Magari non si parla sempre di vittorie, ma della strada per imparare a stare bene con sé stessi, anche sotto le luci della ribalta.

Auguro a tutti di camminare e leggere un libro che appassioni

Si dice che leggere ci permette di immedesimarci in altre storie che non siano la nostra, in realtà è molto di più. Leggere un libro è come camminare, sono due attività che chiunque è in grado di svolgere, è sufficiente prendersi un po’ di tempo per stare da soli con se stessi e si possono interrompere quando si vuole.

Camminare fa bene al corpo e al pensiero e lo stesso è leggere. Sono attività che richiedono una stato di concentrazione non massimale ma protratta nel tempo. Se ci fermiamo smettiamo di camminare e lo stesso vale per la lettura, se ci distraiamo facendo o pensando ad altro smettiamo di leggere.

Camminare e leggere ci permettono di rispettare il ritmo del nostro fisico e dei nostri pensieri, ognuno le compie seguendo il proprio ritmo, che è comunque minore della vita frenetica che conduciamo abitualmente. Per noi stretti nel presente rappresenta un salto nella natura del nostro essere umani per cui fare 1000 passi o leggere 10 pagine richiede tempo e non c’è nessuna possibilità di ridurlo grazie a qualcuno degli oggetti elettronici che di solito utilizziamo. Nessun click può ridurre questo tempo.

E’ un tempo per noi stessi che si può occupare da soli oppure in compagnia come insegnano le camminate fra amici o le letture di gruppo. E’ così un tempo in cui i minuti, i quarti d’ora e le mezz’ore hanno un senso e non possono essere in alcun modo ridotte.

Queste attività ci portano in un mondo diverso dalla quotidianità fatta di corse e impegni continui, email, WhatsApp e altro che ci tengono sempre schiacciati sul presente e non ci permettono di alzare la testa e accorgersi che c’è molto altro nella vita.

Pensare: sempre

10 domande che un allenatore dovrebbe porsi per valutare le proprie competenze nell’allenare atleti

10 domande che un allenatore dovrebbe porsi per valutare le proprie competenze nell’allenare atleti:

  1. Conosco a fondo le basi teoriche e pratiche dello sport che intendo insegnare?
    • (Tecniche, tattiche, regole e principi fondamentali).
  2. Sono in grado di creare un programma di allenamento strutturato e personalizzato per ogni atleta o squadra?
  3. Comprendo le basi della fisiologia e della biomeccanica applicate all’allenamento sportivo?
    • (In particolare per prevenire infortuni e ottimizzare le prestazioni).
  4. Ho competenze di comunicazione efficace per motivare, istruire e correggere gli atleti in modo chiaro e costruttivo?
  5. Conosco le tecniche per gestire gli aspetti psicologici dell’atleta, come lo stress, la fiducia in sé stessi, e il focus mentale?
  6. So come monitorare e valutare i progressi degli atleti in termini di performance fisica e tecnica?
  7. Sono informato sui principi dell’alimentazione e della nutrizione sportiva per consigliare i miei atleti (o indirizzarli agli esperti)?
  8. Sono capace di lavorare in collaborazione con altri professionisti (medici sportivi, fisioterapisti, nutrizionisti, psicologi) per il bene degli atleti?
  9. Ho sviluppato una filosofia di allenamento chiara e coerente con i miei valori personali e sportivi?
  10. Riesco a mantenere la mia formazione continua, aggiornandomi regolarmente sulle migliori pratiche, ricerche scientifiche e innovazioni nel settore?

Rispondendo con onestà a queste domande, un allenatore può identificare i suoi punti di forza e le aree in cui ha bisogno di migliorare.

Molte persone non praticano attività fisica perchè la trovano spiacevole e per altri fattori

Molte persone evitano di praticare attività fisica nonostante siano consapevoli dei suoi benefici per la salute per diverse ragioni, legate sia a fattori psicologici che sociali, culturali e personali. Tra queste, il fatto che l’attività fisica venga percepita come noiosa o spiacevole è particolarmente significativo. Vediamo perché:

1. Mancanza di interesse e motivazione intrinseca

  • Alcune persone non trovano soddisfazione o piacere nelle attività fisiche tradizionali (come corsa, palestra o esercizi ripetitivi), sentendole monotone.
  • La motivazione intrinseca, legata al piacere dell’attività in sé, è spesso assente, quindi l’attività fisica viene vista come un obbligo o un dovere, non come un piacere.

2. Esperienze negative passate

  • Molti hanno vissuto esperienze negative legate all’attività fisica, per esempio nel contesto scolastico (educazione fisica obbligatoria), che possono generare rifiuto o ansia anche in età adulta.
  • Sentirsi incompetenti o confrontarsi con persone più esperte può creare disagio.

3. Percezione di fatica

  • L’attività fisica, soprattutto quando non si è allenati, può risultare fisicamente faticosa e, in assenza di gratificazione immediata, le persone potrebbero percepirla come uno sforzo poco “utile” nel breve termine.
  • La mancanza di risultati visibili immediati (es. perdita di peso, miglioramenti fisici) accentua questa sensazione.

4. Associazione con obblighi esterni

  • L’attività fisica è spesso promossa come qualcosa di “necessario” per restare in salute, e ciò la fa sembrare un’imposizione. Quando una pratica è vista come un compito da fare, tende a perdere il suo aspetto divertente.

5. Alternativa più comoda e passiva

  • Nel tempo libero, molte persone preferiscono attività passive (guardare la TV, usare il telefono, leggere) perché queste offrono relax immediato senza dispendio di energia.
  • La routine sedentaria, una volta stabilita, diventa difficile da rompere.

6. Barriere sociali e ambientali

  • Mancanza di tempo, lavoro sedentario o distanza dalle strutture sportive contribuiscono a ridurre l’attività fisica.
  • Alcuni non trovano persone con cui condividere l’esperienza, rendendola meno piacevole e motivante.

7. Sottovalutazione del piacere progressivo

  • Molti non realizzano che il piacere derivante dall’esercizio può crescere col tempo: lo sforzo iniziale è sgradevole, ma con costanza si sviluppa una certa gratificazione sia fisica (dopamina, endorfine) che psicologica.

Per ovviare a questa percezione negativa, spesso si consiglia di:

  • Trovare attività piacevoli e adatte al proprio stile di vita (es. ballo, yoga, sport di squadra).
  • Iniziare con esercizi semplici e brevi, concentrandosi sulla progressione e non sulla performance.
  • Associare l’attività fisica a un contesto sociale piacevole (es. amici o gruppi).
  • Reinterpretare l’attività fisica come momento di benessere e relax, più che come una “cura obbligata”.

Capire le prestazioni negative dopo le partite di Champions League

Non è difficile capire che giocare molte partite determini una condizione di difficoltà che le squadre di calcio impegnate non solo in campionato ma anche nelle coppe devono affrontare. Spesso questa situazione è la spiegazione principale a partite non soddisfacenti giocate nei campionati nazionali.

Ho cercato su internet articoli scientifici su questo tema ma non ne ho trovati, neanche ho trovatori media  articoli che andassero oltre un spiegazione basata sulla stanchezza fisica e mentale. In sintesi, ci sono atleti professionisti che corrono in partita circa 10/11 km,  che certamente vivono sotto pressione competitiva e che possono utilizzare le forme più moderne e adeguate di recupero fisiologico ma che ciò nonostante non sono in grado di giocare due partite consecutive in una settimana a un livello considerato accettabile.

Mi chiedo quale sia il programma di recupero tra le partite, tutti scrivono della difficoltà di giocare troppe partite  ma nessuna spiega cosa fanno le squadre per affrontare questa situazione.

Quello che so che gli allenatori se intervistati forniscono spiegazioni prive di senso e basate su luoghi comuni e comunque il tema non sembra interessare realmente i media. In questo periodo si esalta l’Atalanta perchè riesce a vincere anche in campionato mentre la maggior parte delle altre concorrenti in Champions League questa settimana non ci sono riuscite.  La spiegazione di tutto ciò è lasciata ai maghi, che non esistono, mentre nessuno indaga sulle reali ragioni di queste differenze.

Qual è la quantità di attività fisica necessaria per ridurre l’incidenza della depressione?

Pearce M, Garcia L, Abbas A, et al. (2022). Association Between Physical Activity and Risk of Depression: A Systematic Review and Meta-analysis. JAMA Psychiatry, 79(6), 550–559.

I risultati mostrano un’associazione curvilinea inversa con le maggiori differenze di rischio osservate tra basse dosi di attività fisica, suggerendo che la maggior parte dei benefici si realizza passando dall’assenza di attività a un minimo livello di attività.

Attività - Accumulare un volume di attività equivalente a 2,5 ore di camminata veloce a settimana è stato associato a una riduzione del rischio di depressione del 25%, e a metà di questa dose, il rischio è risultato ridotto del 18% rispetto all’assenza di attività. Solo benefici minori aggiuntivi sono stati osservati a livelli di attività più elevati.

Piccole quantità di attività - Abbiamo anche riscontrato che persino piccole quantità di attività sono benefiche, ma siamo andati oltre quantificando le differenze di rischio per queste dosi. I nostri risultati hanno quindi importanti implicazioni per i professionisti della salute che formulano raccomandazioni sullo stile di vita, in particolare per gli individui inattivi che potrebbero percepire l’attuale obiettivo raccomandato come irrealistico.

Risposte cerebrali - Le associazioni osservate possono essere spiegate attraverso più di un meccanismo. Tra i percorsi proposti ci sono risposte neuroendocrine e infiammatorie acute all’attività, come l’attivazione del sistema endocannabinoide (“euforia del corridore”), e adattamenti a lungo termine, tra cui cambiamenti nell’architettura neurale del cervello.

Dimensioni sociali - Sono state inoltre suggerite spiegazioni psicosociali e comportamentali, tra cui una percezione fisica e un’immagine corporea migliorate, un maggior numero di interazioni sociali e lo sviluppo personale di strategie di coping. L’aspetto sociale della partecipazione all’attività potrebbe agire anche a dosi relativamente basse, in linea con la curva dose-risposta che abbiamo osservato.

Spazi verdi - L’uso di spazi verdi è associato a un minor rischio di depressione, con analisi che suggeriscono che solo una parte di questa associazione è spiegata dall’attività fisica. Al contrario, l’inquinamento acustico e il degrado del quartiere potrebbero ridurre i benefici per la salute mentale derivanti dall’attività.

 

Effetti dell’attività fisica nella riduzione dei problemi mentali

Singh B, Olds T, Curtis R, et al. (2023). Effectiveness of physical activity interventions for improving depression, anxiety and distress: an overview of systematic reviewsBritish Journal of Sports Medicine, 57, 1203-1209.

Questo è il primo studio in assoluto a raccogliere un’ampia base di prove riguardo agli effetti dell’attività fisica (PA) sulla depressione, sull’ansia e sul disagio psicologico. Abbiamo identificato 97 revisioni sistematiche che riportano i risultati di 1039 RCT unici, coinvolgendo 128.119 partecipanti. I risultati suggeriscono che le interventi basati sull’attività fisica sono efficaci nel migliorare i sintomi della depressione e dell’ansia.

L’attività fisica è efficace nella gestione dei sintomi di depressione e ansia in numerose popolazioni, inclusa la popolazione generale, persone con malattie mentali e altre popolazioni cliniche. Sebbene il beneficio dell’esercizio fisico per depressione e ansia sia generalmente riconosciuto, spesso viene trascurato nella gestione di queste condizioni. Inoltre, molte persone con depressione e ansia presentano comorbilità, e l’attività fisica risulta benefica sia per la loro salute mentale che per la gestione delle malattie. Ciò sottolinea la necessità che l’attività fisica diventi un approccio fondamentale nella gestione di depressione e ansia.

Tutte le modalità di attività fisica sono efficaci, con intensità da moderata ad alta che risultano più efficaci rispetto a quelle a bassa intensità. Benefici maggiori si ottengono da interventi di breve durata, con implicazioni per i costi dei servizi sanitari: i benefici possono essere raggiunti anche attraverso interventi a breve termine, senza necessariamente richiedere interventi intensivi a lungo termine per ottenere un effetto terapeutico. La riduzione dell’entità dei sintomi di depressione  e ansia è paragonabile o leggermente superiore agli effetti osservati per la psicoterapia e la farmacoterapia. Sono necessari ulteriori studi per comprendere l’efficacia relativa dell’attività fisica rispetto ad altri trattamenti (e in combinazione con essi) per confermare questi risultati.

In conclusione, l’attività fisica è efficace nel migliorare depressione e ansia in una vasta gamma di popolazioni. Tutte le modalità di attività fisica sono efficaci, e un’intensità maggiore è associata a benefici più significativi. I risultati di questa revisione a ombrello sottolineano la necessità che l’attività fisica, inclusi gli interventi strutturati di esercizio, diventi un approccio fondamentale nella gestione della depressione e dell’ansia.

Pensare solo a migliorarsi è sempre positivo?

Gli atleti, e non solo loro, sono impegnati in allenamento a cercare di migliorarsi. Sono molto sensibili a come correggere gli errori o come avere continuità e intensità sempre maggiori. Lo stesso si può dire per gli allenatori che li seguono. Ovviamente questo approccio al miglioramento è una qualità importante; è un segno di tenacia e anche di resilienza.

Se questa è faccia A di chi lavora per migliorarsi, vi è anche da ricordare che vi è la faccia B. In questo caso, potrebbe riguardare il non essere mai contenti delle qualità possedute, delle competenze acquisite e questo approccio mentale può portare anche a pensare maggiormente ai propri limiti e insufficienze piuttosto che alle proprie abilità di atleta.

Capita di sentire atleti che si lamentano per non avere ancora raggiunto un determinato livello di abilità o di avere ancora problemi in un determinato aspetto della loro competenza. Come se non bastasse prima della gara pensano di più ai loro limiti piuttosto che a quello che sanno fare e quando sbagliano attribuiscono l’errore proprio a queste loro insufficienze.

Però c’è una strada che potrebbero perseguire, che è quella di concentrarsi prima di una gara solo sulle loro capacità, mettendo da parte ogni forma di pensiero critico. Molto pragmaticamente, mi viene da dire agli atleti con cui lavoro che due giorni prima dell’evento devono solo concentrarsi su quello che sanno fare, sulle competenze e scacciare dalla mente ogni altro pensiero generatore di dubbi, ansia eccessiva e insicurezza.

So che non basta dire di fare ma sono altrettanto convinto che se molti cominciassero da loro stessi a praticare questo modo di pensare, scoprirebbero di potersi influenzare positivamente molto di più di quanto pensavano.