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La tenacia mentale favorisce la salute mentale?

La tenacia mentale, definita come la capacità di persistere, resistere e affrontare sfide o difficoltà con determinazione e resilienza, è strettamente correlata alla salute mentale. La sua relazione con la salute mentale può essere vista da diversi punti di vista:

  1. Resilienza - La tenacia mentale è spesso considerata un componente chiave della resilienza mentale. Essa aiuta le persone a superare ostacoli, a recuperare da situazioni stressanti o traumatiche e a adattarsi positivamente alle avversità. Una solida tenacia mentale può contribuire a ridurre il rischio di sviluppare disturbi mentali come depressione, ansia o stress e favorire il recupero in caso di problemi di salute mentale.
  2. Adattamento - Le persone con una forte tenacia mentale spesso dimostrano una maggiore capacità di adattamento. Questo può favorire una migliore gestione dello stress, consentendo loro di affrontare sfide emotive e situazioni difficili in modo più costruttivo.
  3. Autostima e fiducia - La tenacia mentale può influenzare positivamente l’autostima e la fiducia in sé stessi. Essere in grado di superare ostacoli o difficoltà può rafforzare la convinzione nelle proprie capacità, contribuendo così a un senso di benessere e equilibrio mentale.
  4. Affrontare situazioni difficili - Le persone con una buona tenacia mentale spesso hanno una maggiore capacità di affrontare situazioni stressanti o traumatiche senza compromettere il proprio benessere mentale. Sono in grado di rimanere resilienti, mantenere una prospettiva positiva e adottare strategie di coping efficaci.

Tuttavia, è importante sottolineare che la tenacia mentale da sola non garantisce la salute mentale e che la salute mentale è influenzata da molteplici fattori, inclusi ma non limitati alla genetica, all’ambiente, alle esperienze di vita e al supporto sociale. Una solida tenacia mentale può certamente contribuire a una migliore salute mentale, ma la cura e l’attenzione verso il proprio benessere psicologico richiedono un approccio olistico e multidimensionale.

Si vince o si perde per un “niente”: come ci si allena a gareggiare sino alla fine?

Nello sport il punteggio finale che divide i vincitori dai perdenti è  spesso molto ridotto. Non mi riferisco solo al calcio dove si vince per lo scarto di un goal. Non a caso Mourinho dice che è più contento quando la sua squadra vince 1-0 piuttosto che 5-0, poiché quella vittoria è sinonimo di tenacia e concentrazione.

Lo sport insegna molto a tutti, perchè si perde per un punto, per una manciata di centesimi di secondi, per un centimetro. Nel golf spesso la pallina non va in buca per qualche millimetro e lo stesso vale nel tiro a segno dove Campriani ci ha spiegato che la differenza fra un 8 e un 1o equivale a tre monete da un centesimo di euro sovrapposte. Nel celebre discorso di Al Pacino alla squadra nello spogliatoio, nel film Ogni maledetta domenica, l’allenatore afferma che si vince o si perde per un centimetro e che la somma di tutti i centimetri vinti o persi in una partita farà la differenza fra vivere o morire.

Questo ragionamento non deve certo angosciare.

  1. E’ la condizione usuale che tutti gli atleti affrontano in gara; le condizioni sono uguali per tutti.
  2. Lo sport richiede un’estrema attenzione con lo scopo di favorire il fluire della propria azione tecnica e l’autocontrollo di se stessi.
  3. Per quanto tempo? Sino alla fine. Scordiamoci che sia più facile mantenere la concentrazione se la gara dura pochi secondi come nei 100m piuttosto che due ore come nel tennis. La tenacia è l’ingrediente necessario di una prestazione vincente ed è figlia dell’intensità con cui ci si allena e di quando si è orientati reagire psicologicamente dopo un errore.
Domanda: quanto sono allenati in questo momento i vostri atleti e quanto voi come allenatori siete consapevoli della rilevanza e allenabilità di questi tre fattori?

Valuta quanto sei tenace

Molti atleti spesso spiegano i loro limiti in gara in relazione a problemi tecnico-tattici o atletici, spesso riconoscono anche i loro limiti mentali soprattutto quelli dovuti all’ansia agonistica o alla mancanza di fiducia. Meno di frequente, invece, attribuiscono i loro insuccessi alla mancanza di tenacia, che comporta il continuare ad impegnarsi al massimo per tutto l’arco della gara, a prescindere dal risultato.

La tenacia è necessaria poiché in ogni competizione vi sono dei momenti sfavorevoli e delle difficoltà mentali e fisiche da superare con successo.
La tenacia indica quanto si è combattivi e persistenti in questo atteggiamento per tutta la gara.
Nei momenti di maggiore pressione competitiva o dopo un errore si deve lavorare su se stessi per ritrovare rapidamente la condizione mentale ottimale per oltrepassare questo ostacolo.

Di seguito alcune domande da porsi per comprendere quanto si è tenaci:

  • Avere un’incrollabile fiducia nella propria abilità di raggiungere i propri obiettivi competitivi
  • Avere un’insaziabile desiderio di avere successo
  • Uscire dagli insuccessi con una maggiore determinazione ad aver successo
  • Resistere alla pressione della competizione
  • Accettare che l’ansia da competizione è inevitabile e sapere che la si può affrontare
  • Non essere influenzati dalle prestazioni positive/negative degli altri
  • Rimanere totalmente focalizzati anche di fronte alle distrazioni della vita personale
Questo concetto di tenacia è bene sintetizzato e spiegato dall’allenatore degli All Blacks:
«La mentalità guerriera dei miei giocatori si basa sull’equilibrio fra coraggio e umiltà: essere capaci di fare cose straordinarie ma sapere anche recuperare rapidamente dagli errori, sapersi risollevare rapidamente e vincere».

Questa capacità distingue i campioni dagli altri atleti bravi.

La tenacia nello sport

Quando qualcuno mi chiede in modo diretto: “In che modo si distinguono coloro che vincono ripetutamente dagli altri atleti? La risposta altrettanto decisa è:”Da come reagiscono alla pressione agonistica, alle difficoltà e agli errori”. Una risposta più specifica a questa domanda è quella che è stata fornita da uno degli allenatori di livello mondiale del rugby, quando riconosce che è la tenacia mentale a costituire una linea importante di discrimine fra i giocatori di successo e gli altri pari a loro, per livello di abilità e forma fisica:

La tenacia mentale, per me, è la capacità di continuare a fare quello che dovresti fare indipendentemente dalla situazione, indipendentemente dal fatto che tu sia fisicamente o mentalmente affaticato. Perchè fa male. Lo sport ad alto livello è scomodo. Cerchiamo d’insegnare ai giocatori a essere a proprio agio nell’essere scomodi (Eddie Jones).

In quei momenti le altre competenze dell’atleta se non sono sostenute dalla tenacia si bloccano. Un atleta può avere un dialogo con se stesso costruttivo ma nei momenti decisivi se non è sostenuto dalla tenacia, il suo self-talk può diventare negativo. Un atleta sa a cosa prestare attenzione e come adattarla alle situazioni di gara, ma di fronte a un imprevisto può smarrire questa abilità se non interviene la tenacia, che è la convinzione di continuare a gareggiare al meglio anche se sembra impossibile.

Per definire la tenacia sono state identificate 4 dimensioni: attitudine, allenamento, competizione e post-competizione composte da 13 componenti. Ricerche su atleti che hanno raggiunto lo status di campioni del mondo hanno evidenziato che il loro obiettivo era il potenziamento di tutti i 13 componenti al livello più alto. Diversi fattori hanno influenzato questo miglioramento durante un periodo di 2-4 anni; tra questi la competitività, un grande desiderio di competere contro e battere i migliori del mondo, l’esperienza acquisita nelle gare più importanti a livello internazionale, la consapevolezza delle capacità degli avversari e la conoscenza dei programmi di preparazione dei concorrenti. Gli atleti hanno riferito che l’esperienza di gareggiare ai più alti livelli, e di osservare e parlare con atleti e allenatori di livello mondiale, ha migliorato la loro conoscenza dei programmi di allenamento e degli stili di allenamento condotti dai migliori al mondo. Questa conoscenza unita al desiderio di vincere ha aumentato la loro tenacia mentale.

(Da A. Cei, Fondamenti di psicologia dello sport, 2021)

La tenacia mentale

La tenacia mentale è un attributo essenziale degli atleti di successo. Pertanto, comprendere e sviluppare la tenacia mentale dovrebbe essere l’obiettivo di tutti gli allenatori e gli atleti. Troppo spesso, invece, gli atleti perdono questa condizione quasi immediatemente dopo pochi errori, che di per se stessi non sarebbero così negativi per il risultato finale, ma che lo diventano poichè cominciano a pensare che non riusciranno ad esprimersi come avrebbero voluto. La tenacia è stata definita come la capacità di raggiungere gli obiettivi personali di fronte alla pressione di un’ampia gamma di fattori di stress.

In relazione allo sviluppo di attributi ritenuti importanti per lo sviluppo della mentalità dell’atleta (convinzione, concentrazione), di una pratica quotidiana efficace (spingersi al limite), di performance di livello assoluto (gestire lo stress agonistico) e di gestione del post-gara (gestire le sconfitte), la ricerca ha identificato una serie di temi chiave per sviluppare e mantenere la tenacia negli atleti d’élite nelle diverse fasi della loro carriera. Questi temi includono l’aspirazione alla maestria e alla competitività, il desiderio di raggiungere obiettivi basati sull’allenamento e sulla competizione, l’impegno a utilizzare le competenze psicologiche e la pratica riflessiva per razionalizzare e gestire le aspettative competitive, i successi e i fallimenti.

La tenacia mentale può essere sviluppata attraverso una pratica volontaria che si concentra sugli elementi fisici, mentali ed emotivi. I suggerimenti includono:

  1. Essere fisicamente preparati e in ottima forma, ma con un equilibrio di riposo e recupero.
  2. Mostrare in gara un linguaggio del corpo coerente che trasmetta fiducia e determinazione.
  3. Conoscere il proprio stato ideale di prontezza emotiva e sapere come raggiungerlo.
  4. Incorporare nel proprio programma di allenamento abilità mentali come il linguaggio positivo di sé stessi.
  5. Abbracciare e sfruttare i sentimenti e le emozioni della competizione.
  6. Affrontare le sfide con entusiasmo e convinzione.
  7. Dopo errori o battute d’arresto, imparare a recuperare rapidamente rimanendo nel presente e concentrandosi su ciò che si può controllare.

Il significato della grinta: una conversazione con Angela Lee Duckworth

La resilienza, grinta e ottimismo sono dimensioni psicologiche importanti per ogni atleta che voglia coltivare i propri talenti.

Di seguito il pensiero di Angela Lee Duckworth una delle principali esperte in questo ambito di studio.

“Si tratta di una definizione specifica di resilienza, ovvero l’ottimismo: valutare le situazioni senza distorcerle, pensare ai cambiamenti che è possibile apportare alla propria vita. Ma ho sentito altre persone usare la resilienza per indicare la capacità di riprendersi dalle avversità, cognitive o di altro tipo. E alcune persone usano il termine “resiliente” per riferirsi a bambini che provengono da ambienti a rischio e che tuttavia riescono a prosperare.

Ciò che accomuna tutte queste definizioni di resilienza è l’idea di una risposta positiva al fallimento o alle avversità. La grinta è correlata perché parte di ciò che significa essere grintosi è essere resilienti di fronte al fallimento o alle avversità. Ma questa non è l’unica caratteristica necessaria per essere grintosi.

Nella scala che abbiamo sviluppato negli studi di ricerca per misurare la grinta, solo la metà delle domande riguardano la risposta resilienza a situazioni di fallimento e di avversità o di essere un gran lavoratore. L’altra metà del questionario riguarda avere interessi coerenti per un lungo periodo di tempo. Questo non ha nulla a che fare con i fallimenti e le avversità.

Significa che si sceglie di fare una cosa particolare nella vita e si sceglie di rinunciare a molte altre cose per poterla fare. E si rimane fedeli a questi interessi e obiettivi a lungo termine. Quindi la grinta non è solo resilienza di fronte al fallimento, ma anche un impegno profondo a cui si rimane fedeli per molti anni.

Uno dei primi studi che abbiamo condotto è stato condotto presso l’Accademia militare di West Point, dove viene diplomato circa il 25% degli ufficiali dell’esercito americano. L’ammissione a West Point dipende in larga misura dall’intero punteggio dei candidati, che comprende punteggi del SAT, la capacità di leadership dimostrata e l’attitudine fisica. Anche con un processo di ammissione così rigoroso circa 1 cadetto su 20 abbandona il corso durante l’estate di addestramento prima del primo anno accademico.

Eravamo interessati a capire quanto la grinta potesse predire chi sarebbe rimasto. Così abbiamo fatto compilare ai cadetti un breve questionario sulla grinta nei primi due o tre giorni dell’estate, insieme a tutti gli altri test psicologici che West Point. Poi abbiamo aspettato fino alla fine dell’estate.

Di tutte le variabili misurate, la grinta è stata il miglior predittore di quali cadetti sarebbero rimasti durante la prima difficile estate. In effetti, era un fattore predittivo migliore del punteggio totale dei candidati, che all’epoca West Point riteneva essere il miglior fattore predittivo di successo. Il punteggio complessivo dei candidati non aveva in realtà alcuna relazione predittiva con l’abbandono o meno dell’estate (sebbene fosse il miglior predittore dei voti successivi, del rendimento militare e delle prestazioni fisiche).

In gara, sei consapevole dei tuoi pensieri?

Spesso gli atleti non sono consapevoli dell’importanza dei loro pensieri durante una gara.

A mio avviso compiono questi errori:

  • Confondono avere rispetto per l’avversario/a con l’averne paura
  • Hanno una visione di se stessi come atleti poco globale e hanno il mito della forma fisica e tecnica
  • Non pensano che l’avversario/a probabilmente vive la loro stessa situazione
  • Non reggono mentalmente i loro risultati positivi anziché trarne beneficio per quelli successivi
  • Non capiscono che trovarsi in difficoltà è normale e pensano che non dovrebbe accadere
  • Pensano “Ma lui/lei è un campione” e non che si è allenato/a meglio di loro

 

Come vivere il momento secondo Maria Sharapova e Serena Williams

Alcune regole per eccellere secondo Maria Sharapova e Serena Williams.

Maria Sharapova

 Quando sei in una situazione competitiva e sei a terra, cosa fai o dici a te stessa?
“Mi prendo il mio tempo nel mezzo dei miei giochi di servizio. Cammino fino alla linea di fondo. Muovo le corde. Faccio un piccolo discorso di incoraggiamento, ed è molto automatico. Penso che sia più che altro mettere gli occhi sulle corde e avere questa ripetizione che non importa se ho vinto il punto o ho perso il punto. Sono su questo fiume che va dove deve arrivare, non importa quale roccia sia in mezzo, non importa quale tempesta sia in arrivo. L’acqua, alla fine, scenderà lungo il fiume. È un posto sicuro per me, perché nel tennis i momenti cambiano molto, proprio come nella vita. Un secondo, tutto è positivo, e subito dopo si ricevono cattive notizie. Vedo quelle corde, e vedo le mie dita che giocano con quelle corde, e penso di essere lì con la testa e di non essere eccessivamente eccitata o abbattuta. Ma di essere in questo stato mentale intermedio”.

Serena Williams

Il mio gioco è la mia tenacia mentale - “Non solo per poter giocare, per vincere, ma per poter riemergere quando sono a terra. Sia in campo che dopo dure sconfitte, per ritornare e continuare a lottare, è qualcosa che richiede molta tenacia”.

Allenarsi sotto pressione - Williams crede che il tennis sia “al 70% mentale”, per questo cerca di replicare le situazioni di gara durante le sessioni. Ad esempio: sotto 15 a 30 e secondo servizio. La simulazione competitiva è un metodo di allenamento molto efficace.

Restare nel momento - molti tennisti affogano sotto pressione e tendono a sciogliersi quando stanno perdendo. È importante rimanere lì, usando la nostra forza mentale per vincere. Si raggiunge questo obiettivo vivendo il momento: “Anche se stai attraversando un brutto momento della vita, non puoi affrettarti a superarlo all’istante. Devi vivere un momento alla volta. È lo stesso su un campo da tennis. Devi giocare un punto alla volta”. Vivi il qui e ora.

Dimentica gli errori - “Un’altra cosa che mi fa giocare male è se penso troppo alla mia ultima partita. Potrei averla vinta, ma non sono contento di come l’ho vinta … Se ti arrabbi davvero per gli errori, il miglior consiglio che mi sia mai stato dato è quello di dimenticarlo. Non puoi riavvolgere il tempo, non puoi cancellare quell’errore, ma puoi migliorare e non farlo in futuro”.

Tennis: l’approccio mentale alla partita

Una delle ragioni per cui molti giovani che vogliono intraprendere la carriera tennistica invece vanno incontro a continui insuccessi risiede, a mio avviso, nelle loro aspettative eccessive e nel desiderio di volere mostrare un stile di gioco brillante che non sono in grado di sostenere. Federica Brignone, vincitrice del bronzo nel gigante a queste Olimpiadi invernali, ha detto che ciò che serve è “lavoro e forza mentale”. Al contrario restare prigionieri delle proprie aspettative e concentrarsi sul gioco brillante sono esattamente all’opposto, poiché distraggono il tennista da ciò che deve eseguire durante ogni punto.

Le aspettative - Sono distruttive. Da un lato è troppo banale ricordarsi che si vuole vincere una partita, è scontato che nessuno entra in campo con l’obiettivo di perderla. Questa idea, dovrebbe restare sullo sfondo della propria mente, se non addirittura fuori, poiché allontana il giovane dal restare concentrato solo su prossimo punto. Per un tennista giovane, la prima cosa da imparare è che esiste solo il prossimo punto da giocare e che deve prepararsi a interpretarlo in funzione del momento della partita. Pensare oltre quel punto significa togliere concentrazione determinazione al presente e metterla in futuro prossimo che non può controllare perché non esiste ancora.

Il gioco - Molti giovani si concentrano sul gioco e quando gli chiedi quante volte sono riusciti a realizzare questa loro strategia rispondono che solo poche volte sono stati in grado di seguire anche solo per la durata di un set questa impostazione. A mio avviso non ci riescono perché partono da un presupposto sbagliato. Infatti mostrare uno stile di gioco è un punto di arrivo e non di partenza, che prevede un percorso mentale che non sono ancora capaci di sostenere. Inoltre, pensare al gioco, che è un concetto astratto,  li allontana dai comportamenti che invece devono tenere in campo per mettere in difficoltà l’avversario. Quindi, in realtà pensano troppo ma in modo troppo globale e non orientato a come eseguire il punto successivo.

Roberta Vinci nella partita vinta contro Serena Williams, ha detto che il suo pensare al gioco consisteva in questo pensiero: “Corri e buttala di là”. Cosa vogliono dire queste parole?

Corri - Indica che bisogna essere rapidi e questa prontezza fisica è accesa dalla prontezza mentale, che innesca la reazione motoria. Questo comportamento lo si manifesta in ricezione quando si sta sulla parte anteriore dei piedi pronti a scattare in avanti e in quel continuo “saltellare” che i campioni hanno anche quando palleggiano. Il tennis richiede rapidità e in genere questa si perde quando si sta perdendo, si rallenta ci si deprime e si continua a sbagliare.

Buttala di là - Indica il volere giocare lungo senza correre rischi eccessivi e aspettare che l’avversario sbagli perché non tiene lo scambio o l’occasione propizia per chiudere il punto.

Questo approccio alla partita mette in luce la tenacia personale nel perseguire un obiettivo mantenendo il controllo del proprio gioco. In caso contrario il tennista può tendere a rallentare la sua azione in modo eccessivo oppure ad accelerare il gioco, cercando colpi brillanti per chiudere rapidamente il punto.

Quindi la partita è una continua successione fra questi momenti:

  1. essere rapidi per
  2. giungere a colpire con efficacia la palla che
  3. deve essere profonda e
  4. scambiare almeno 4/5 volte per costruirsi il punto, e
  5. servirsi delle pause per scaricare la tensione e
  6. rifocalizzarsi sul prossimo scambio per
  7. essere subito rapidi per …

 

La cultura della tenacia

Lo sviluppo della tenacia è stato spesso considerato come un fattore strettamente individuale ed è stato poco studiato per comprendere in che modo un’organizzazione sportiva manifesta la propria cultura della tenacia e come questa favorisca l’approccio degli atleti.

L’articolo di Eubanks, Nesti e Littlewood (2017), A culturally informed approach to mental toughness development in high performance sport, IJSP, 48, 206-222, fornisce alcune risposte a questo tema.

Gli autori hanno svolto un’analisi critica della letteratura su MT in relazione alla definizione e concettualizzazione di questo costrutto. In particolare è stato poco indagato come ambiente, cultura e contesto impattano sulla formazione della tenacia, non considerano che l’atleta è inserito in un ambito sportivo che segue regole e sistemi propri.

La tenacia è l’abilità a raggiungere gli obiettivi personali in situazioni di stress determinati da un numero ampio di stressor (Hardy, 2014).

La psicologia è stata spesso criticata per la sua ridotta attenzione all’ambiente in cui vive l’atleta. La cultura può essere vista come quell’insieme di forze nascoste che coinvolgono valori, credenze e tradizioni che esercitano un soft power che incornicia la pratica quotidiana, le strategie e la filosofia di un gruppo. Quindi quale cultura sportiva vogliono affermare i dirigenti e gli allenatori nei confronti dei loro atleti?

Weinberg et al., (2011) evidenziano sulla base di 10 allenatori-capo di associazioni di atletica, ad esempio, che l’allenamento fisico impegnativo, un clima psicologico incoraggiante e un ambiente che sviluppa la consapevolezza in relazione alla tenacia e opportunità di apprendimento sono fondamentali per lo sviluppo della tenacia.

Gli autori spiegano che l’ambiente migliore per costruire MT è quello in cui vie una cultura stimolante e sfidante e dove la responsabilità individuale viene enfatizzata in ogni attività. Inoltre vi deve essere una stretta connessione con l’etica del lavoro.