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Lo stile anarchico di Khvicha Kvaratskhelia

Tutto il mondo parla di Khvicha Kvaratskhelia dal New York Times al suo allenatore Luciano Spalletti, a Del Piero e Arrigo Sacchi. E’ un giovane calciatore georgiano che nell’articolo sul NY Times viene così definito: “Il suo stile anarchico ha preso d’assalto il calcio italiano, trasformando il Napoli in una contendente al titolo. Ancora più importante, ha reso di nuovo divertente il calcio”.

E’ qualcosa di molto diverso dal classico giocatore che viene teorizzato dalle scuole di calcio in cui prevalgono altri fattori e non certo lo stile anarchico e il divertimento. Vi sono certamente altri calciatori tecnicamente più dotati, ma lui è più bravo. Ritorniamo così al solito ragionamento, servono tecnica e rapidità ma sono l’istinto e l’imprevedibilità che rendono grande un giocatore. In questo si può riassumere l’importanza di uno stile definito anarchico. Non corrisponde al fare quello che passa per la testa in quel momento o ad agire senza pensare come farebbe un calciatore impulsivo. Kvaratskhelia, al contrario, mette il suo istinto al servizio della tecnica. In pratica, capisce prima degli altri ciò che va fatto e lo fa servendosi delle sue qualità.

Giocare con questo livello elevato d’intensità e di partecipazione mentale è appassionante e gratificante, soprattutto perchè i risultati gli danno ragione e quindi ciò aumenta la sua convinzione personale a continuare in questo modo. In tal modo si è costruito un circolo virtuoso in cui rapidità e tecnica sono al servizio della sua altrettanto veloce capacità decisionale e ciò gli permette “di non preoccuparsi se qualcosa non funziona. Non pensa alle conseguenze negative. Questo vale per molti giocatori d’attacco. Sono audaci. Sono audaci. Sono un po’ anarchici” come ha spiegato Andrés Carrasco, responsabile spagnolo dello sviluppo giovanile della Dinamo Tbilisi, il club che ha scoperto Kvaratskhelia.

La differenza mentalità fra Napoli e Juve

Conoscere  la mentalità di un collettivo permette di prevedere come una squadra reagirà di fronte a situazioni emotivamente intense. In questo campionato di calcio il Napoli e la Juventus rappresentano i due estremi di un continuum in cui successo e coesione di squadra sono opposte a insuccesso e mancanza di coesione.  Chi volesse comprendere le ragioni di queste differenze fra le squadre dovrebbe analizzare i fattori seguenti:

  • La qualità organizzativa della Società di calcio – Il sistema organizzativo consiste nell’insieme delle strategie  e strutture organizzative, nel sistema decisionale, nel sistema di programmazione e controllo, nello stile di leadership, cultura, clima e valori. Migliore è l’efficienza e l’efficacia della qualità organizzativa, migliore sarà la capacità della squadra e dell’allenatore di giocare con una mentalità vincente.
  • La qualità dell’immagine della Società di calcio – Si riferisce alla soddisfazione dei bisogni di appartenenza e d’identificazione della squadra e dei suoi stakeholder. Questa dimensione riguarda in prevalenza, l’autorevolezza della leadership societaria, la sua credibilità, la personalità e la competenza professionale delle sue figure chiave, i risultati e il prestigio conquistati nel tempo.
  • Gli obiettivi della squadra -  Si riferisce agli obiettivi della stagione in corso (vincere il campionato, classificarsi tra le prime quattro, restare in Serie A) sono obiettivi di risultato. Vi sono poi  anche  obiettivi di  prestazione (raggiungere un determinato standard prestativo individuale e collettivo) e obiettivi di processo (centrati sul miglioramento di singole abilità tecnico-tattiche, psicologiche e fisiche). Riguarda, inoltre, lo sviluppo di una mentalità di squadra che sia in grado di darsi in campo nuovi obiettivi in relazione alle diverse fasi di gioco di una partita. Comporta il sapere servirsi a proprio favore dei momenti positivi di un match, così come richiede la presenza di un piano pre-ordinato per affrontare le fasi di gioco negative o di maggior tensione agonistica.
  • La qualità tecnico-tattica della squadra – Si riferisce al bagaglio di competenze calcistiche e alla loro integrazione nel gioco di squadra, che determina molto di più della semplice somma delle qualità dei singoli calciatori.     Maggiore è la competenza tecnico-tattica della squadra associata  a un grado ottimale di preparazione fisica, maggiore è la probabilità che la squadra sappia affrontare le diverse fasi anche emotive della partita.
  • L’efficacia collettiva – Si esprime attraverso prestazioni che sono superiori a quelle che ognuno potrebbe fornire singolarmente.  La qualità tecnico-tattica è parte dell’efficacia collettiva; la coesione e la convinzione si riferiscono ai suoi aspetti relazionali e cognitivo-sociali. Quindi la domanda che bisogna porsi è la seguente: “In che modo i calciatori devono interagire in campo allo scopo di mostrarsi uniti e fiduciosi delle proprie competenze di squadra?” Napoleone era solito dire di vincere le sue battaglie anche con i sogni dei suoi soldati, questa frase è una metafora efficace di cosa si debba intendere per efficacia collettiva.
  • L’orientamento motivazionale dei calciatori – I calciatori e la squadra nel suo complesso devono manifestare una mentalità orientata alla crescita. Un esempio di applicazione al calcio di questo concetto può riguardare l’acquisto di un calciatore. Generalmente questo avviene sulla base del bagaglio tecnico e tattico, si ritiene così che un giocatore che fornisce ottime prestazioni in una squadra manifesterà la stessa efficacia anche in un’altra. In molti casi, questo fenomeno non si è ripetuto e ciò è probabilmente da attribuire a questa concezione statica della mentalità, che non tiene conto delle diverse condizioni che vi sono tra un club e l’altro e come queste influenzano l’adattamento del calciatore e di conseguenza la qualità delle sue prestazioni.

La nuova mentalità vincente del Napoli

Partita grandiosa quella del Napoli in casa dell’Ajax terminata con il punteggio di 6-1. Queste partite contro avversari di valore si vincono in questo modo straripante quando una squadra non si accontenta solo di giocare bene. Sono una manifestazione di cosa si deve intendere per mentalità vincente. Quando la determinazione della squadra si salda con la qualità del gioco e il desiderio dei singoli calciatori di volere continuare a giocare al loro meglio meglio sino al fischio finale dell’arbitro.

L’unione di questi tre aspetti ha un effetto moltiplicatore che è molto più vantaggioso rispetto alla somma delle singole volontà. Questa nuova mentalità del Napoli è orientata verso la crescita personale e di squadra, e le partite rappresentano sfide che generando strategie di miglioramento culminano nel giocare con continuità ad alto livello. Infatti, sono state proprio queste partite di Champions giocate contro il Liverpool e l’Ajax a insegnare alla squadra quali sono le sue potenzialità che sinora erano state inespresse. Partite come queste si ricordano per tutta la vita e, soprattutto, mantengono elevata la motivazione e la fiducia, per cui qualsiasi successiva situazione di forte stress agonistico verrà affrontata con la convinzione di potere ripetere quello che è stato fatto in queste partite di Champions League.

Spesso si afferma che per vincere queste partite le squadre italiane dovrebbero aumentare la velocità del loro gioco e mantenere questo approccio per la durata intera del match. Le partite del Napoli ci insegnano che questa caratteristica va però sempre alla motivazione (voglio farlo) e alla convinzione (lo faccio). In tal modo si realizza quello che ho sentito dire spesso da Gianni Rivera, che nel calcio non bisogna correre ma fare correre la palla. Quindi la rapidità di gioco si ha solo quando mente, tecnica, tattica e gruppo lavorano insieme per 90 minuti.

Napoli: ansia da prestazione?

Si parla, in questi giorni, dell’ansia da prestazione che avrebbe ostacolato il Napoli almeno nelle ultime due partite, importanti per restare tra le favorite al titolo finale. Attribuire i risultati negativi di una squadra a questa dimensione psicologica ha avuto molto successo tra i media. Vuol dire sentirsi insicuri nei momenti decisivi del campionato, con l’effetto di fornire prestazioni insoddisfacenti. E’ un ragionamento che etichetta una squadra ed esprime una condizione psicologica collettiva invalidante. Fossi un allenatore rifiuterei questa spiegazione chiedendomi: “In che modo i calciatori devono interagire in campo allo scopo di mostrarsi uniti e fiduciosi delle proprie competenze di squadra?”. Mi chiederei anche “Come posso stimolare prestazioni che sono superiori a quelle che ognuno potrebbe fornire singolarmente?”. Napoleone era solito affermare di vincere le sue battaglie anche con i sogni dei suoi soldati, questa frase è una metafora efficace di cosa si debba intendere per efficacia di squadra. In questo modo non si parla più di ansia ma di efficacia collettiva e di come allenarla. Il tema consiste nel comprendere quale sia l’approccio comportamentale necessario per raggiungere la vittoria, fornendo a ogni calciatore compiti precisi e diversi per ognuno, così che quando qualcuno commette un errore gli altri sanno cosa fare. Ogni giocatore deve conoscere ed essere artefice di un pezzo della storia che la squadra sta costruendo con il trascorrere dei minuti e questo orientamento al compito deve essere allenato in modo specifico durante le settimane. Non è comunque una questione solo tecnico-tattica, richiede che ogni calciatore si percepisca parte attiva di un programma che va oltre la sua persona e che riguarda il successo della squadra. Sviluppando questa mentalità collettiva si potrà uscire efficacemente dalle situazioni di maggiore pressione agonistica, senza lasciarsi cadere nel vittimismo insito nella spiegazione che attribuisce gli insuccessi all’ansia, manifestazione di un limite caratteriale che richiede tempi lunghi  per cambiare mentre il campionato muovendosi su appuntamenti settimanali necessita di una grande disponibilità al cambiamento. Quindi la domanda non riguarda tanto se i calciatori sono ansiosi ma quanto sono disponibili a cambiare con rapidità comportamenti non efficaci.

Juan Jesus è il nuovo leader del Napoli

Una squadra ha bisogno di leader in campo, se invece l’unico leader è l’allenatore non potrà diventare una squadra vincente. È quindi possibile che le dichiarazioni post partita di Juan Jesus, che lo rendono sempre più un leader, siano espressione di questo processo di cambiamento non solo suo personale ma del Napoli.

La squadra sta lottando per vincere lo scudetto e le parole di Spalletti confermano la necessità di avere leader in campo: “Dobbiamo guardare negli occhi gli avversari, i giocatori lo hanno capito e percepito, sono tutti lì determinati a giocare la prossima partita… qualcosa è cambiato a livello di atteggiamento, ci siamo resi conto che dobbiamo fare quello in cui siamo bravi. Nel momento di difficoltà soffri, ti adatti, poi riprendi in mano quella che è la tua convinzione, quella che è la tua qualità”. Juan Jesus ha risposto a questa richiesta.

Il cambiamento è stato stimolato e favorito dalla posta in palio ma trova le sue fondamenta nella passione che alimenta il desiderio di vincere. Assumersi responsabilità richiede coraggio di affrontare i problemi, non vuol dire non sbagliare mai, bensì sapersi rialzare subito. Questo è un passaggio decisivo che si trova in ogni cultura. Se un americano dice che non importa quante volte cadi ma quanto in fretta di rialzi, un cinese lo afferma con altre parole: “Cadere 7 volte, alzarsi 8”. Questo è il senso delle parole del calciatore quando ha affermato: “Bravi a reagire, ora dobbiamo fare il nostro gioco!”. Non importa se sei un titolare inamovibile o se entri a partita in corso, questa è la mentalità indispensabile che tiene unita la squadra che lotta per ottenere risultati importanti.

Emozioni e pensiero: il gioco mentale di Napoli-Inter

Le partite sono spesso dominate dalle emozioni che vivono le due squadre e la prossima sfida di campionato fra Napoli e Inter sarà certamente fra queste. L’Inter metterà in campo la sua rabbia generata dalla sconfitta contro il Milan mentre il Napoli il suo entusiasmo prodotto da una serie di risultati molto positivi. Vincerà chi saprà interpretare meglio questi stati d’animo mettendoli al servizio del pensiero di squadra. Quali sono i rischi. Quando la rabbia non è gestita, non si trasforma in determinazione ma si esprime in azioni impulsive in cui ci si muove senza pensare, come un motore fuori giri che esprime la sua potenza in modo non controllato con il rischio di andare fuori strada. L’entusiasmo è un sentimento che si prova con piacere e sostiene l’ottimismo necessario per affrontare queste sfide. Il rischio è di affrontare la partita in modo superficiale, di mostrare un’eccessiva sicurezza verso di sé, riducendo così la capacità di rispondere alle situazioni di tensione agonistica e alla pressione esercitata dall’avversario. Sabato le emozioni saranno in campo e anche in panchina, e parteciperanno a determinare il risultato finale. Per esprimere il loro gioco, le squadre si dovranno servire di questi stati d’animo, che dovranno essere mantenuti sotto il controllo del pensiero, poiché quest’ultima capacità può integrare in pochi decimi di secondo l’energia generata dalle emozioni e la decisione su come giocare. Quindi, emozioni e pensiero sono le due parole chiave per interpretare quello che si vedrà in campo.

Le spiegazioni di Sarri non convincono dopo la sconfitta con il Napoli

Maurizio Sarri, allenatore della Juventus, dopo la sconfitta con il Napoli, ha così commentato:

“Abbiamo fatto una partita blanda dal punto di vista mentale e quindi anche la fase offensiva ne ha risentito. Gara di scarsa energia mentale e blanda anche a livello difensivo. Abbiamo perso giustamente perché abbiamo giocato una brutta gara; ci abbiamo messo tanto del nostro”.

  • Umiltà, sudore e sacrificio sono da sempre le caratteristiche della Juventus, che da Trapattoni a Lippi ad Allegri ha sempre avuto allenatori che hanno preso molto sul serio questo atteggiamento. Il fatto che ora in questo campionato abbia spesso avuto delle pause mentali di questo tipo, mi sembra sia un campanello d’allarme, che va oltre il dato oggettivo di continuare a essere in testa al campionato e che dovrebbe essere preso maggiormente in considerazione da Sarri.

“Quando la situazione è quella che abbiamo mostrato noi stasera, è difficile cambiare un reparto o un singolo giocatore. Mentalmente aveva poche energie. Nel finale ho visto che i nostri esterni non stavano giocando bene ed abbiamo provato con Douglas”.

  • Mostrare poca energia in partite importanti per le capacità dell’avversario e per ottenere un ulteriore vantaggio sulle avversarie dovrebbero essere motivazioni sufficienti per motivare la Juventus. Il ruolo dei giocatori chiave dovrebbe essere un fattore determinante nel sostenere un approccio propositivo alla partita, ma sembra che ciò non sia accaduto. E forse Sarri è più concentrato sull’ottenere il gioco che gli piace piuttosto che stimolare un approccio determinato e convincente in campo. Direi che queste caratteristiche vengono prima di ogni forma di tattica. In altre parole, le idee senza il cuore valgono poco.

“Non è una tendenza. Sono partite in cui bisogna commentare poco con i giocatori. C’è da trovare grande motivazione, cosa non semplice per chi ha vinto tanto. Queste partite ci possono aiutare a farlo. La difficoltà è nel mantenere il giusto livello di mentalità per lunghi periodi di tempo”.

  • Risposta un po’ debole, per un allenatore che vuole essere vincente, quella di dire che questo approccio “non è una tendenza”. La questione è che da questi professionisti si dovrebbe pretendere un’altra qualità nella conduzione della partita. Intensità, rapidità e precisione sono tre fattori che una squadra che vuole competere con le big del calcio europeo dovrebbe sempre dimostrare. Consiglio a Sarri, invece, di parlare con i giocatori per trovare come uscire da questi momenti negativi, che con il Napoli hanno riguardato tutta la partita ma si sono già presentati per minor tempo anche in molte altre.
  • Questa impostazione spiega perché a un allenatore non basta essere solo un bravo tecnico ma deve essere anche un condottiero, che insegna alla squadra a gareggiare per vincere; a entrare in campo con la disposizione a lottare per imporre agli avversari la propria mentalità.

 

Mai cedere il controllo

Se ci si domanda in relazione all’esonero di Carlo Ancelotti da allenatore del Napoli, dal di fuori appare evidente che sia stato schiacciato tra il narcisismo ferito del presidente De Laurentiis che si è vista rifiutata dai calciatori una sua decisione e la ribellione di alcuni giocatori che hanno partecipato con le loro scelte a rovinare la squadra. Non è chiaro come si sia sviluppato in questo periodo di tempo il rapporto tra il presidente e l’allenatore, e cosa ognuno si aspettava dall’altro.

Possiamo, però, riproporre il pensiero di un grande allenatore, Alex Ferguson, in relazione al tema del controllo sulla squadra che l’allenatore dovrebbe esercitare e su cosa fare secondo lui qualcuno un calciatore critica pubblicamente l’operato del manager o della Club.

“Non si può mai perdere il controllo, non quando si ha a che fare con 30 professionisti di alto livello che sono tutti milionari” … “E se qualche giocatore vuole … sfidare la mia autorità e il mio controllo, io mi occupo di loro”. Una parte importante del mantenimento di standard elevati su tutta la linea è stata la volontà di Ferguson di rispondere con forza quando i giocatori hanno violato tali standard. Se si sono messi nei guai, sono stati multati. E se sono usciti dalla linea in un modo che poteva compromettere le prestazioni della squadra, Ferguson li ha lasciati andare. Nel 2005, quando il capitano di lunga data Roy Keane ha criticato pubblicamente i suoi compagni di squadra, il suo contratto è stato rescisso. L’anno seguente, quando il capocannoniere dello United dell’epoca, Ruud van Nistelrooy, espresse apertamente il suo scontento dopo diverse panchine, venne prontamente venduto al Real Madrid. Rispondere con forza è solo una parte della storia. Rispondere rapidamente, prima che le situazioni sfuggano di mano, può essere altrettanto importante per mantenere il controllo”.

“Ho avuto la tendenza ad agire rapidamente quando ho visto che un giocatore aveva un’influenza negativa. Qualcuno potrebbe dire che ho agito impulsivamente, ma penso che sia stato fondamentale che io abbia deciso in fretta. Perché sarei dovuto andare a letto con dei dubbi? Mi sarei svegliato il giorno dopo e avrei preso le misure necessarie per mantenere la disciplina”.

Ognuno potrà così costruirsi una propria opinione anche se non sapremo come mai questo approccio non sia stato utilizzato o non sia servito nella gestione del Napoli.

La gestione dello stress da parte di Sarri e Ancelotti

I problemi che stanno incontrando Sarri nella gestione di Ronaldo e Ancelotti nei riguardi della squadra e del suo presidente mettono in evidenza quanto sia difficile in questi momenti mantenersi ottimisti, tesi, soddisfatti e determinati piuttosto che pessimisti, insoddisfatti, insicuri e sfiduciati. Ora la questione è la seguente: come mantenere questo atteggiamento positivo in questi momenti di stress, nel perdurare di una situazione di crisi.

Questo stress non deriva tanto dai risultati ma si riferisce allo stress da gestione dei calciatori, da incomprensioni  che insorgono durante il percorso di lavoro o dal dover negoziare con i propri giocatori.

Sappiamo che ciò che differenzia un allenatore che le gestisce da un altro che, al contrario, le subisce è nel modo di fronteggiare le situazioni che percepisce come stressanti.

Una domanda a cui rispondere è la seguente: “Come faccio a mostrarmi convinto che ce la faremo a uscire da questa crisi  o che le mie scelte sono quelle giuste?” Nel calcio si sa che se quando entri in campo non sei convinto che hai tutto quanto ti serve per riuscire a raggiungere il tuo obiettivo, è quasi sicuro che non lo raggiungerai. E’ come dire ai propri avversari: “Tenete oggi vi regaliamo un po’ della nostra convinzione di vincere, noi preferiamo restare insicuri.” Quindi l’insegnamento è il seguente: accettare la sfida e giocare convinti di farcela sino al fischio finale. Ai giocatori s’insegna a rincorrere anche le palle impossibili da prendere, perché non si deve mai abbandonare l’idea che sia  possibile.

Per trasmettere quotidianamente a se stesso questa mentalità, l’allenatore deve essere il primo a dimostrare apertamente un atteggiamento di questo tipo. Qualcuno potrebbe obiettare che non è affatto facile vivere in questa maniera, d’accordo, parafrasando Andy Warhol si può dire che 15 minuti di sconforto non si negano a nessuno ma dopo bisogna cambiare atteggiamento, abbandonare completamente questa condizione e impegnarsi a realizzare le decisioni prese, con convinzione e positività.

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Carlo Ancelotti parla di calcio e mentalità delle squadre

Interessante intervista a Carlo Ancelotti sul ilnapolista, da leggere.

Alcune idee:

Pochi minuti di conversazione e siamo già a mai fuorigioco e a un elogio dell’Atletico Madrid. Allora, in riferimento al match di Champions con la Juventus, gli riferiamo dell’ardore di Fabio Capello nell’opporsi all’equivalenza Simeone-brutto calcio.

«L’Atletico Madrid non gioca male, ti fa giocar male. Non ti fa giocare come tu vorresti. Per tanti motivi. Innanzitutto perché sono molto ben organizzati. Ma anche per la loro struttura psicologica. Sono molto aggressivi in tutte le situazioni. Anche con l’arbitro. Nel tempo, sono  migliorati. Adesso giocano più a calcio, anche se giocano un calcio che possiamo definire diverso dalla normalità. Cercano molto la sostanza e poco l’estetica.

A lei piace?

«Sì – la risposta è secca -, è un calcio che mi piace».

A questo punto insistiamo: le piacerebbe che il suo Napoli giocasse come l’Atletico Madrid?

«Io credo che alla fine la qualità del gioco paga sempre, però la qualità del gioco deve essere supportata da tanti altri valori altrettanto importanti che sono la determinazione, la cattiveria in certe circostanze, la personalità, la responsabilità che uno si deve prendere. Quella che voi a Napoli chiamate cazzimma. Mi piacerebbe un Napoli così».