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Grinta: la mentalità degli atleti vincenti

La “grinta” è un concetto relativamente nuovo che viene utilizzato per descrivere un particolare atteggiamento o mentalità che combina determinazione, perseveranza, passione e forza interiore.

Ecco alcuni elementi chiave associati alla grinta:

  1. Determinazione - La grinta è spesso caratterizzata da una ferma decisione di perseguire un obiettivo a lungo termine, senza lasciarsi scoraggiare dalle difficoltà. Chi ha grinta è disposto a lavorare duramente e a superare gli ostacoli per raggiungere il successo.
  2. Passione - La grinta spesso deriva da una profonda passione per ciò che si sta cercando di realizzare. Quando una persona è appassionata di ciò che fa, è più probabile che sia disposta a fare gli sforzi necessari per avere successo.
  3. Resistenza - La grinta implica anche la capacità di resistere alle avversità e ai fallimenti. Chi ha grinta non si arrende facilmente quando le cose vanno male, ma cerca invece modi per superare gli ostacoli e continuare a progredire.
  4. Focalizzazione - La grinta spesso comporta una concentrazione intensa sugli obiettivi e la capacità di rimanere concentrati nonostante le distrazioni. Chi ha grinta è determinato a mantenere la rotta verso il successo.
  5. Motivazione intrinseca - La grinta è spesso guidata da una motivazione intrinseca, cioè dalla volontà interna di realizzare qualcosa di significativo per sé stessi, grazie al proprio impegno.

In sintesi, la grinta è un atteggiamento caratterizzato dalla determinazione, dalla passione e dalla resistenza nel perseguire gli obiettivi. È una qualità che può essere estremamente utile per superare sfide e raggiungere il successo in vari ambiti della vita, tra cui il lavoro, lo sport e la realizzazione personale.

Per saperne di più:

Frontini, R., Sigmundsson, H., Antunes, R., Silva, A. F., Lima, R., and Clemente, F. M. (2021). Passion, grit, and mindset in undergraduate sport sciences students. New Ideas Psychol. 62, 100870

Lee J. The Role of Grit in Organizational Performance During a Pandemic. Front Psychol. 2022 Jul 7;13:929517.

Una regola fondamentale dello sport

Lo sport segue una regola semplice e chiara, secondo cui scalare le classifiche a livello di ranking mondiali e nazionali vuol dire emergere vincenti dal confronto con chi in quel momento possiede una classifica migliore. In altre parole, si migliora la propria classifica battendo chi si trova davanti.

Molti atleti  non hanno questa consapevolezza e, invece, vivono il confronto con quelli più bravi di loro in quel momento come una sfortuna o qualcosa che non dovrebbe succedere. La mancanza di questa mentalità rappresenta un limite importante che deve essere superato, pena la difficoltà a costruire una carriera sportiva di successo e personalmente premiante.

Ovviamente per vincere bisogna mettere da parte questa idea e concentrarsi su cosa si vuole fare per esprimere le proprie qualità agonistiche al meglio in quella gara. Questo passaggio non è semplice e non va mai dato per acquisito. Deve essere ogni volta un obiettivo specifico che ci si pone, consapevoli della difficoltà a cui si va incontro. A volte gli atleti sono accecati dalla possibilità di vincere oppure pensano che giacché si sentono in forma forniranno una prestazione vincente. In questo modo non si preparano alle difficoltà che la gara potrebbe riservargli e questo troppo spesso li porta a non accettare gli errori e di trovarsi in difficoltà. Volere vincere è un pensiero potente ma bisogna sempre sapere che non sarà facile e che la differenza alla fine sarà nel modo in cui hanno accettato e reagito gli errori.

La questione a cui dovrebbero rispondere allenatori e atleti è: quanto sono disposto ad agire in questo modo come atleta e nel caso degli allenatori quanto spesso ho allenato a superare questi ostacoli?

La differenza mentalità fra Napoli e Juve

Conoscere  la mentalità di un collettivo permette di prevedere come una squadra reagirà di fronte a situazioni emotivamente intense. In questo campionato di calcio il Napoli e la Juventus rappresentano i due estremi di un continuum in cui successo e coesione di squadra sono opposte a insuccesso e mancanza di coesione.  Chi volesse comprendere le ragioni di queste differenze fra le squadre dovrebbe analizzare i fattori seguenti:

  • La qualità organizzativa della Società di calcio – Il sistema organizzativo consiste nell’insieme delle strategie  e strutture organizzative, nel sistema decisionale, nel sistema di programmazione e controllo, nello stile di leadership, cultura, clima e valori. Migliore è l’efficienza e l’efficacia della qualità organizzativa, migliore sarà la capacità della squadra e dell’allenatore di giocare con una mentalità vincente.
  • La qualità dell’immagine della Società di calcio – Si riferisce alla soddisfazione dei bisogni di appartenenza e d’identificazione della squadra e dei suoi stakeholder. Questa dimensione riguarda in prevalenza, l’autorevolezza della leadership societaria, la sua credibilità, la personalità e la competenza professionale delle sue figure chiave, i risultati e il prestigio conquistati nel tempo.
  • Gli obiettivi della squadra -  Si riferisce agli obiettivi della stagione in corso (vincere il campionato, classificarsi tra le prime quattro, restare in Serie A) sono obiettivi di risultato. Vi sono poi  anche  obiettivi di  prestazione (raggiungere un determinato standard prestativo individuale e collettivo) e obiettivi di processo (centrati sul miglioramento di singole abilità tecnico-tattiche, psicologiche e fisiche). Riguarda, inoltre, lo sviluppo di una mentalità di squadra che sia in grado di darsi in campo nuovi obiettivi in relazione alle diverse fasi di gioco di una partita. Comporta il sapere servirsi a proprio favore dei momenti positivi di un match, così come richiede la presenza di un piano pre-ordinato per affrontare le fasi di gioco negative o di maggior tensione agonistica.
  • La qualità tecnico-tattica della squadra – Si riferisce al bagaglio di competenze calcistiche e alla loro integrazione nel gioco di squadra, che determina molto di più della semplice somma delle qualità dei singoli calciatori.     Maggiore è la competenza tecnico-tattica della squadra associata  a un grado ottimale di preparazione fisica, maggiore è la probabilità che la squadra sappia affrontare le diverse fasi anche emotive della partita.
  • L’efficacia collettiva – Si esprime attraverso prestazioni che sono superiori a quelle che ognuno potrebbe fornire singolarmente.  La qualità tecnico-tattica è parte dell’efficacia collettiva; la coesione e la convinzione si riferiscono ai suoi aspetti relazionali e cognitivo-sociali. Quindi la domanda che bisogna porsi è la seguente: “In che modo i calciatori devono interagire in campo allo scopo di mostrarsi uniti e fiduciosi delle proprie competenze di squadra?” Napoleone era solito dire di vincere le sue battaglie anche con i sogni dei suoi soldati, questa frase è una metafora efficace di cosa si debba intendere per efficacia collettiva.
  • L’orientamento motivazionale dei calciatori – I calciatori e la squadra nel suo complesso devono manifestare una mentalità orientata alla crescita. Un esempio di applicazione al calcio di questo concetto può riguardare l’acquisto di un calciatore. Generalmente questo avviene sulla base del bagaglio tecnico e tattico, si ritiene così che un giocatore che fornisce ottime prestazioni in una squadra manifesterà la stessa efficacia anche in un’altra. In molti casi, questo fenomeno non si è ripetuto e ciò è probabilmente da attribuire a questa concezione statica della mentalità, che non tiene conto delle diverse condizioni che vi sono tra un club e l’altro e come queste influenzano l’adattamento del calciatore e di conseguenza la qualità delle sue prestazioni.

La nuova mentalità vincente del Napoli

Partita grandiosa quella del Napoli in casa dell’Ajax terminata con il punteggio di 6-1. Queste partite contro avversari di valore si vincono in questo modo straripante quando una squadra non si accontenta solo di giocare bene. Sono una manifestazione di cosa si deve intendere per mentalità vincente. Quando la determinazione della squadra si salda con la qualità del gioco e il desiderio dei singoli calciatori di volere continuare a giocare al loro meglio meglio sino al fischio finale dell’arbitro.

L’unione di questi tre aspetti ha un effetto moltiplicatore che è molto più vantaggioso rispetto alla somma delle singole volontà. Questa nuova mentalità del Napoli è orientata verso la crescita personale e di squadra, e le partite rappresentano sfide che generando strategie di miglioramento culminano nel giocare con continuità ad alto livello. Infatti, sono state proprio queste partite di Champions giocate contro il Liverpool e l’Ajax a insegnare alla squadra quali sono le sue potenzialità che sinora erano state inespresse. Partite come queste si ricordano per tutta la vita e, soprattutto, mantengono elevata la motivazione e la fiducia, per cui qualsiasi successiva situazione di forte stress agonistico verrà affrontata con la convinzione di potere ripetere quello che è stato fatto in queste partite di Champions League.

Spesso si afferma che per vincere queste partite le squadre italiane dovrebbero aumentare la velocità del loro gioco e mantenere questo approccio per la durata intera del match. Le partite del Napoli ci insegnano che questa caratteristica va però sempre alla motivazione (voglio farlo) e alla convinzione (lo faccio). In tal modo si realizza quello che ho sentito dire spesso da Gianni Rivera, che nel calcio non bisogna correre ma fare correre la palla. Quindi la rapidità di gioco si ha solo quando mente, tecnica, tattica e gruppo lavorano insieme per 90 minuti.

10 regole di una mentalità orientata alla crescita

L’approccio sbagliato alla partita nel calcio

Nel nostro campionato di calcio, emerge chiaramente che un problema che condiziona il gioco della squadre e, quindi, il risultato è l’incapacità di mantenere uno standard di continuità di gioco. Anche questa settimana, abbiamo sentito dire da Inzaghi, allenatore dell’Inter, che la squadra era entrata in campo per giocare la partita con il Torino con la mentalità sbagliata. Significa iniziare una gara con superficialità nella speranza che prima o poi un goal avrebbe deciso la partita a loro favore.
Mentalità sbagliata significa condurre un riscaldamento giusto per non farsi male,  avere la mente occupata anche da altri pensieri che non riguardano il gioco o assentarsi da ciò che avviene in campo.
Quando questo approccio pigro colpisce una squadra è molto difficile modificarlo durante lo svolgimento del gioco: all’inizio domina la presunzione che il risultato cambierà a loro favore, quasi fosse scontato, mentre alla fine può subentrare uno stato di apatia con un gioco quasi fermo o di parossismo agonistico, dominato da uno sterile agonismo.
E’ un problema che ha avuto la Juventus nelle prime partite di campionato, in modo più evidente, e che è stato grave tanto da compromettere l’intero campionato. Le altre squadre pretendenti al titolo lo hanno manifestato maggiormente in questa seconda fase della stagione con una serie di inutili pareggi con squadre di livello inferiore.
Sono questi punti persi che decideranno il campionato, fatto salva la possibilità di crolli o ritorni clamorosi e che comunque ci daranno sempre una dimostrazione della mentalità di squadra.

La mentalità del “Tutto bene”

Vi sono atleti che non hanno difficoltà a comprendere che l’allenamento mentale è un impegno quotidiano. Spesso dicono: “Tutto bene”.

Tutto bene era la frase che da giovane scrivevo a mia madre quando d’estate le spedivo le cartoline, era un modo secondo me per tranquillizzarla. Ovviamente lei pensava che non volessi dire realmente come stavo e aveva ragione.

Com’è andato l’allenamento: “Tutto bene”. Impariamo qualcosa da questa frase su come è andata quella seduta? Sì, che l’atleta non è consapevole di quello che ha fatto o più banalmente che non vuole parlarne.

Quando la risposta si riferisce ad aspetti psicologici dell’allenamento vuole intendere che: “Ho fatto quello che mi ha detto l’allenatore e mi sono impegnato a fare del mio meglio”. Questa risposta apparentemente positiva, esclude ogni informazione riguardante come ho fatto gli esercizi, come ho affrontato gli errori, come mi sono corretto e così via. In altre parole, la risposta dell’atleta è di tipo globale ma non fornisce informazioni specifiche sullo svolgimento dell’allenamento. Non sappiamo, ad esempio, se vi sono stati cali di concentrazione o se l’attività è stata svolta con il livello d’intensità necessario.

Impariamo, in primis noi stessi, a non usare questi due termini “Tutto bene” e insegnamo agli atleti a essere specifici e a non rifugiarsi in questo approccio rassicurante.

 

Essere concentrati sulla prestazione e non sul risultato

Spesso mi chiedo se non sia ripetitivo continuare a parlare che bisogna pensare al gioco o alla prestazione piuttosto che pensare al risultato finale. Ciò nonostante mi trovo a ancora parlare di questo argomento con i giovani con cui lavoro, per la ragione che sono loro stessi a riproporlo. Qualcuno dice: “Penso sempre al risultato della partita, già dal giorno prima così divento teso e nervoso e questo non mi serve” o anche “Penso alla gara più importante anche se è fra un mese e non a quelle che vengono prima”. Un tennista mi ha detto: “Prima pensavo sempre al punto, ora penso di più a spingere”.

Diciamo pure che in massima parte gli atleti non sono allenati a pensare alla prestazione, che riguarda i comportamenti da mettere in atto per raggiungere gli obiettivi di risultato (vincere, fare il proprio tempo migliore, entrare in finale) bensì pensano con più facilità del risultato delle loro azioni, ho vinto/perso.

Molti giovani continuano a pensare che il risultato debba essere il loro pensiero principale.

Bisogna essere consapevoli che l’errore è sempre tecnico, se un tiro nel calcio va fuori anziché in porta vuol dire che si è colpita male la palla, ma questo è solo l’effetto, la questione a cui l’atleta e l’allenatore devono rispondere è:

l’errore è tecnico perchè il giovane ha provato un tiro che non possiede ancora completamente a causa di qualche limite tecnico.

l’errore è mentale perchè doveva passare la palla , dato che da quella posizione non avrebbe mai centrato la porta

Lo stesso errore può avere cause attribuibili a diversi fattori, se l’allenatore continuamente mette l’accento solo sulla tecnica o sulla tattica, l’atleta svilupperà una mentalità in cui ogni errore è sempre tecnico e quindi mai penserà ad allenare la mentalità.

 

Corona virus e mentalità: una battaglia persa

Ora comincia la fase dell’autocontrollo. C’è stato un caso di covid in un torneo internazionale di golf, lo stesso è accaduto ad Adria nel torneo promosso da Djokovic, dove un finalista è risultato positivo. Nel calcio ci sarà un quarantena blanda nel caso in cui il virus colpisse un calciatore o altri membri della squadra. Segnali piccoli ma negativi, che ci spingono a vivere in apnea, come in attesa.

Segnali sempre di segno negativo e più rilevanti vengono dall’Italia. Vi sono dati statistici che dicono che il numero dei positivi non sta scendendo come previsto, probabilmente a cause di comportamenti inadeguati di parte della popolazione. E ciò aumenterebbe la probabilità di una seconda ondata in autunno. Secondo una ricerca condotta dall’Università Cattolica il 41% degli italiani non sembra disposto a vaccinarsi contro il Covid. Al momento solo pochi milioni di persone di persone hanno scaricato l’App Immuni. Sono soprattutto le persone tra 35 e 59 anni (con il 48%) a dichiarare di non volersi vaccinare, si tratta anche di un gruppo trasversale in relazione alle professioni che unisce operai e imprenditori, dipendenti e professionisti. Sono accomunati da un profilo psicologico in cui prevale un atteggiamento “fatalista”, “individualista ed egoista” e che non percepiscono il valore della responsabilità sociale. La ricerca ha messo in evidenza che rispetto a marzo, è diminuito l’autocontrollo della popolazione a rispettare le regole, sono aumentati i comportamenti disfunzionali ed è diminuita la disponibilità emotiva a continuare a rispettarle.

Pertanto, queste persone mostrano una difficoltà a integrare il ritorno alla normalità nell’ambito di regole che non siano quelle abituali ma che implicano la consapevolezza del ruolo sociale di ognuno nei riguardi della gestione della propria salute e la responsabilità verso la comunità in cui si vive. Questi atteggiamenti disfunzionali sono quelli usuali che le persone utilizzano per giustificare a se stessi comportamenti che in modo evidente sono negativi per la loro salute, basta pensare ai problemi legati al fumo, all’alimentazione e alla sedentarietà, solo per ricordare quelli più comuni nella nostra società. L’approccio fatalista (“Non morirò certo io di tumore perché fumo” o “Tanto si deve morire di qualcosa”) e quello individualista (“Dicano quello che vogliono a me piace fumare” o “La vita è la mia e faccio quello che mi pare”) sono nemici della vita sociale e dell’autocontrollo personale. Ci troviamo di fronte, quindi, alle reazioni che le persone manifestano di fronte a quei problemi che richiedono soluzioni che si sviluppano nel lungo periodo e non si concludono in modo rapido. Non sono reazioni diverse da quelle che hanno utilizzato in passato ma sinora coinvolgevano prevalentemente solo se stessi. A questo approccio si deve aggiungere che accalcarsi in una piazza per divertirsi con gli amici produce immediatamente emozioni positive mentre rispettare le regole del distanziamento fisico per mantenersi in salute produrrà solo nel tempo un effetto positivo. In sostanza, questi comportamenti sono rinforzati dai benefici immediati che determinano e che superano i costi e le conseguenze nel tempo.

Serve un cambio di mentalità poiché ora è completamente diverso e le ricadute delle nostre azioni hanno effetto sulla salute degli altri con cui entriamo in contatto. La differenza risiede nella pandemia che coinvolge l’intera società, che ha messo a dura prova la vita quotidiana di tutti e continua ancora a cambiare le regole della convivenza sociale e del lavoro. Tutto ciò richiede una soluzione collettiva, che riduca drasticamente i comportamenti disfunzionali ed è tutto il paese che dovrà muoversi attivamente in questa direzione.

LeBron James: i proprietari squadre NFL hanno una “mentalità da schiavisti”

In the NFL they got a bunch of old white men owning teams and they got that slave mentality,” James said. “And it’s like, ‘This is my team. You do what the f— I tell y’all to do. Or we get rid of y’all.’ ”

“I’m so appreciative in our league of our commissioner [Adam Silver], … He doesn’t mind us having … a real feeling and to be able to express that. It doesn’t even matter if Adam agrees with what we are saying, he at least wants to hear us out. As long as we are doing it in a very educational, non-violent way, then he’s absolutely okay with it.”

“I am very educated about what I believe in and I’m not doing it in a violent way,” James said. “I’m not knocking on your door saying, ‘Listen, I’m kneeling today and if you don’t kneel with me, I’ll knock you the f– out.’ But you know people go crazy when things are done outside the box. People don’t know how to react.”