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A scuola: i voti servono?

Non mi occupo di scuola ma l’altro giorno ho ascoltato un dibattito alla radio in cui si parlava ancora dei voti, voto sì vs voto no, e comunque della questione dell’apprendimento e della sua valutazione.

Lavorando nello sport anche con adolescenti che frequentano le scuole superiori, ci poniamo gli stessi interrogativi degli insegnanti: come insegnare e valutare gli apprendimenti e come tenere in considerazione i risultati delle prestazioni agonistiche, che equivalgono ai voti della scuola.

Sappiamo che gli esseri umani vogliono sentirsi autonomi, autodeterminanti e competenti. Pertanto quale che sia l’insegnamento, quello sportivo o quello scolastico o altri ancora come quello artistico deveorientarsi a soddisfare queste esigenze con una didattica adeguata in funzione delle caratteristiche delle attività a cui si rivolge.

Non si tratta quindi nel XXI° secolo di fare guerre ideologiche ma di servirsi di ciò che la scienza ci dice su questi temi e trarne dei programmi di apprendimento. Anche il voto in questa dimensione può essere uno dei modi valutativi con cui identificare le conoscenze e le prestazioni di uno studente, così come la classifica nello sport. Nello sport è riconosciuto che il risultato è una misurazione di quanto si è stati in grado di fare più gli errori e per la prossima prestazione si lavora per ridurre quegli errori.

E’ chiaro che ciò può avvenire solo se gli allenatori e gli insegnanti si percepiscono anche loro responsabili delle prestazioni dei loro allievi, secondo una regola per cui io ti insegno/alleno a migliorare e tu t’impegni a imparare. Senza questa alleanza ognuno va per la sua strada. Quindi, a mio avviso, abbiamo bisogno di una valutazione analitica che identifichi le competenze dei giovani in modo specifico e poi di momenti di valutazione come le gare nello sport e le prove scolastiche che forniscono un dato globale. Non vedo contraddizione tra queste valutazioni che secondo me dovrebbero sempre procedere insieme come basi per il contino miglioramento.

Chiellini: gli atleti dovrebbero studiare

«Lo studio apre la mente e a Los Angeles ho capito quanto possa essere formativo un soggiorno qui, dove studio e sport giocano la stessa partita»(Giorgio Chiellini). Forse queste dichiarazioni di un campione serviranno a iniziare a cambiare la mentalità per cui un atleta non può dedicare tempo allo studio.

Nel nostro paese la situazione è grave poiché vi sono famiglie che non sono consapevoli del danno che determina nei loro figli frequentare istituti scolastici in cui studiano molto poco e la promozione è un risultato certo. E’ altrettanto vero che la scuola pubblica è spesso poco orientata a comprendere le esigenze di questi giovani coinvolti nello sport. Il saldarsi di queste due mentalità, quella della scuola e delle famiglie determina la fortuna economica delle scuole private che offrono a pagamento percorsi facilitati.

La scuola dovrebbe essere anche educazione alla socialità, a vivere insieme ad altri che svolgono vite diverse. Perdere questa opportunità comporta restare socialmente deprivati e con minori capacità di confrontarsi con gli altri sapendo mantenere il proprio punto di vista.

Se i giovani atleti non frequentano scuole che vorrei chiamare qualificate chi gli insegnerà a servirsi dei social e del loro smartphone? Forse i genitori se sono fortunati. Gli allenatori non hanno certo tempo da dedicare a queste situazioni, e poi ne sarebbero capaci o anche loro sono delle vittime di queste tecnologie?

Sempre il calcio ci ha dimostrato cosa può accadere quando questi percorsi saltano. Tuttavia, la questione è molto più ampia e riguarda la capacità di avvertire e sapere condividere un disagio, avere intorno persone che comprendono e sanno indicare dei percorsi di cambiamento.

La scuola e le famiglie dovrebbero quindi essere il centro della formazione dei giovani, mi sembra però che insegnanti e genitori spesso non siano nella condizione di svolgere quetso ruolo. Ma chi li può aiutare?

 

 

Come ridurre la dispersione scolastica

Allen, KA., Jamshidi, N., Berger, E. et al. Impact of School-Based Interventions for Building School Belonging in Adolescence: a Systematic ReviewEduc Psychol Rev 34, 229–257 (2022).

Il senso di appartenenza di uno studente alla scuola è fondamentale per il successo scolastico, ma a livello internazionale un’ampia percentuale di studenti della scuola secondaria non sente di appartenere alla propria scuola. Tuttavia, si sa poco su come le scuole possano affrontare questo problema e su quali interventi basati sulle evidenze scientifiche siano disponibili per aumentare l’appartenenza degli studenti della scuola secondaria.

Lo scopo di questo studio è quello di identificare e rivedere criticamente le evidenze sugli interventi scolastici che aumentano il senso di appartenenza alla scuola negli adolescenti.

Sette banche dati elettroniche e il Cochrane Central Register of Controlled Trials sono stati cercati dal 1999 al febbraio 2021 utilizzando “appartenenza scolastica” e “intervento” tra i termini chiave della ricerca. Sono stati identificati 22 studi controllati, di cui 14 riportano interventi scolastici efficaci per migliorare il senso di appartenenza scolastica degli adolescenti.

Gli interventi di successo si sono concentrati sui punti di forza degli studenti e hanno promosso interazioni positive tra gli studenti e tra il personale scolastico e gli studenti.

Nel complesso, questa revisione ha rilevato una scarsità di interventi che miravano intenzionalmente a sviluppare l’appartenenza scolastica degli adolescenti. Sono state identificate incoerenze nell’uso della terminologia e nelle definizioni che descrivono l’appartenenza scolastica, anche quando sono stati utilizzati strumenti di misurazione simili. I risultati di questa revisione hanno importanti implicazioni pratiche e forniscono informazioni per supportare le scuole nella scelta di interventi basati sull’evidenza per migliorare il senso di appartenenza scolastica degli studenti.

Come l’uso del computer favorisce la sedentarietà

Shirin Panahi and Angelo Tremblay, 2018, Sedentariness and Health: Is Sedentary Behavior More Than Just Physical Inactivity? Front. Public Health, 10 September 2018      

L’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda che gli adulti dai 18 anni in su partecipino ad almeno 150 minuti di attività moderata-vigorosa alla settimana o l’equivalente di 30 minuti di attività quotidiana. Attualmente, poco più del 15% degli adulti canadesi soddisfa queste linee guida.

I problemi di sedentarietà possono essere attribuiti non solo alla mancanza di movimento, ma anche alla stimolazione fornita dalla cambiamenti nelle nostre attività quotidiane. Oltre ai cambiamenti nell’attività umana, la globalizzazione e i cambiamenti tecnologici hanno favorito un progressivo passaggio da compiti fisicamente impegnativi a lavori basati sulla conoscenza o attività mentali che sollecitano una maggiore domanda cognitiva. Le attività di svago basate sullo schermo (ad esempio, guardare la televisione, i videogiochi e l’uso di Internet) e le attività lavorative basate sullo schermo (ad esempio, l’uso del computer per scopi lavorativi) sono state spesso considerate insieme mentre potrebbero non innescare la stessa risposta allo stress. Inoltre, da una prospettiva fisiologica, i requisiti e gli effetti biologici del lavoro fisico e cognitivo non sono gli stessi. Il lavoro mentale, per esempio, può aumentare significativamente l’instabilità glicemica (cioè, ampie fluttuazioni nelle concentrazioni di glucosio nel sangue) portando ad un aumento del desiderio di mangiare e quindi, un maggiore consumo di energia.

Così, i problemi di sedentarietà possono essere attribuiti non solo alla mancanza di movimento, ma anche alla stimolazione fornita dalla sostituzione delle attività. In un contesto in cui c’è esposizione al lavoro cognitivo, sono necessarie nuove strategie per aumentare l’attività fisica e migliorare la regolazione del bilancio energetico. Come è stato precedentemente suggerito, da una prospettiva fisiologica, i requisiti biologici del lavoro fisico e mentale sono diversi perché il lavoro basato sulla conoscenza è un tipo di attività che si basa sul cervello che utilizza il glucosio per il metabolismo energetico, rispetto all’attività fisica che utilizza il muscolo scheletrico e si basa principalmente sul metabolismo dei grassi, a seconda del tipo di attività fisica.

Tuttavia le soluzioni potenziali che considerano gli approcci per contrastare l’impatto negativo del lavoro mentale possono essere possibili con il riadattamento degli orari di attività fisica quotidiana. Nel contesto di un ambiente scolastico o lavorativo, dati recenti hanno suggerito che la combinazione di lavoro mentale e fisico (ad esempio, pause attive/riunioni), può essere una strategia per ridurre il tempo sedentario in un contesto in cui il potenziale stress neurogenico può essere elevato. Un periodo di esercizio intenso a intervalli dopo il lavoro mentale ha dimostrato di diminuire il consumo di cibo rispetto a una condizione di non esercizio, suggerendo che può essere utilizzato come approccio per compensare il bilancio energetico positivo indotto dai compiti mentali.

Sul posto di lavoro, le scrivanie sit-stand sono risultate efficaci nel diminuire il comportamento sedentario sul posto di lavoro negli impiegati con obesità addominale, senza cambiamenti nel comportamento sedentario o nell’attività fisica al di fuori delle ore di lavoro; tuttavia, questi cambiamenti non hanno alterato i marcatori del rischio cardiometabolico in questi individui. Inoltre, l’uso di scrivanie sit-stand in lavoratori d’ufficio sedentari è stato anche associato a un senso generale di benessere ed energia, diminuzione della fatica, e riduzione dell’appetito, assunzione di cibo e minori livelli auto-percepiti di fame.

 

10 ragioni per aumentare l’attività fisica nei giovani

Ricordiamoci perchè l’esercizio fisico è indispensabile per i giovani.

  1. Migliora il sistema cardiovascolare, per cui l’attività aerobica e la sua capacità di far circolare il sangue e l’ossigeno è stata utilizzata per spiegare miglioramenti nella funzione del cervello e cognizione (maggior crescita dei capillari).
  2. Aumento del network neurale a causa maggior diffusione neurotrasmettitori.
  3. Crescita nuovi neuroni in aree dell’ippocampo che favoriscono l’apprendimento e la memoria.
  4. Nei giovani maggiori sono le richieste di prestazioni scolastiche, maggiore è la necessità di pause.
  5. Giochi liberi e non strutturati riducono le interferenze cognitive, favorendo l’apprendimento. Più evidente nei bambini che negli adolescenti e adulti  (ipotesi immaturità cognitiva).
  6. Relazioni affettive e collaborazione con compagni supportano apprendimento e inibiscono comportamenti antisociali.
  7.  Sviluppo graduale delle “abilità esecutive” (inibizione delle risposte, memoria e flessibilità decisionale).
  8. La quantità di tempo in cui i bambini sono coinvolti in attività motoria  e sport è proporzionale al loro rendimento scolastico, maggiore è il tempo maggiori sono i benefici scolastici per bambini e adolescenti.
  9. Una considerazione importante per gli amministratori scolastici è l’impatto dei programmi di attività motoria sui risultati scolastici. Scuole con più minuti di attività motoria hanno livelli più elevati di rendimento scolastico.
  10. Un programma chiamato «sistema-fit» che integra attività motoria adatta all’età è l’opportunità di aiutare i bambini definibili come studenti-cinestesici e i bambini che non si adattano bene all’ambiente scolastico.

Sport e prestazioni scolastiche

Katherine B. Owen et al., (2021). Sport Participation and Academic Performance in Children and Adolescents: A Systematic Review and Meta-analysis. Medicine and Science in Sport and Exercise

Introduction: Physical activity can improve academic performance; however, much less is known about the specific association between sport participation and academic performance and this evidence has not been synthesised. Our aim was to systematically review and combine via meta-analyses evidence of the association between sport participation and academic performance in children and adolescents.

Methods: We conducted searches of five electronic databases using sport and academic performance related terms. We combinedevidence from eligible studies using a structural equation modelling approach to multilevel meta-analysis.

Results: From 115 eligible studies, most of which had a high risk of bias (k = 87), we meta-analysed 298 effect sizes. Overall, sport participation had a small positive effect on academic performance (d = 0.26, 95% CIs 0.09, 0.42). Moderator analyses indicated that sports participation was most beneficial for academic performance when it was at a moderate dose (i.e., 1-2 hours per week), compared to no sport or a high dose of sport (3+ hours per week).

Conclusion: Sports participation during school hours was more beneficial for academic performance compared to sport participation outside of school hours. Based on mostly low-quality studies, we found some evidence that sport could positively impact academic performance in children and adolescents. It appears that sport participation of a moderate dose and at school could be used to promote academic performance. However, if this field were to inform policy, high-quality studies are needed that provide insight into the effect of dose and sport characteristics on academic performance.

La nostra responsabilità di adulti verso i giovani atleti

In questo inizio di nuovo secolo, si è affermato il concetto che lo sport può diventare uno sbocco professionale valido e perseguibile per i giovani. Anni fa intraprendere la carriera di atleta era una opzione poco considerata dalle famiglie, continuavano a frequentare le scuole in cui erano iscritti sino al termine del ciclo di studi. Perlomeno questa era la situazione italiana caratterizzata da un totale scollamento fra l’istituzione scolastica e il mondo sportivo, quest’ultimo generalmente avversato dai professori. Le famiglie, d’altra parte, raramente si ponevano la domanda relativa al futuro sportivo dei loro figli prima del raggiungimento della loro età adulta. Oggi la situazione è di molto cambiata. Le organizzazioni sportive premono perchè gli atleti promettenti si allenino molte ore a settimana, le famiglie pensano che la carriera sportiva sia un’occasione come le altre, talvolta anche la migliore e la più semplice da perseguire e i giovani si trovano tra queste due richieste e nel contempo anche loro si sintonizzano su questa opportunità. Inoltre, l’insegnamento nelle scuola italiana è piuttosto arretrato e poco diverso da come veniva svolto 100 anni fa e, quindi, gli adolescenti in generale non trovano un ambiente orientato al loro sviluppo come persona e all’acquisizione delle competenze caratteristiche del loro piano di studi.

Certamente lo sport appare come più divertente, appassionante e vario, anche se poi la pratica quotidiana non corrisponde a questo stereotipo, ma a mio avviso l’ambiente sportivo in cui s’inseriscono i giovani talenti è di solito stimolante, e guidato da tecnici più interessati allo sviluppo della persona e dell’atleta. Stiamo parlando di giovani che si allenano almeno 30 ore settimanali per 10 mesi. Quantità di tempo, comunque non diversa, da quella degli studenti che vogliono ottenere risultati altrettanto positivi a scuola.

La questione che nessuno si pone non è sulle nozioni da imparare, ma sul comprendere quanto l’abbandono della scuola o l’attività scolastica svolta in scuole private dove lo studio del programma è totalmente condizionato dall’attività sportiva rappresenti un limite allo sviluppo di questi giovani atleti. Ad oggi famiglie e organizzazioni sportive perseguono la loro strada e non esistono linee guida elaborate dal ministero dell’istruzione e da chi governa lo sport. In questa scelta le famiglie sono lasciate senza una guida e le federazioni scelgono le strade percorribili in funzione delle esigenze del loro sport. Una discussione sarebbe utile magari a partire da una migliore conoscenza dei modelli degli altri paesi.

 

Programma scolastico di Basket-Matematica

Un nuovo studio con 756 bambini dalla prima alla quinta elementare dimostra che un programma di sei settimane di canestri e matematica:

  • ha un effetto positivo sul loro desiderio di imparare di più,
  • fornisce loro un’esperienza di maggiore autodeterminazione
  • fa crescere la fiducia nella matematica tra i giovani.

Lo studio Basketball Mathematics è stato condotto in cinque scuole elementari e primarie danesi dai ricercatori del Dipartimento di Nutrizione, Esercizio e Sport dell’Università di Copenhagen.

Negli ultimi decenni, c’è stata una notevole attenzione per esplorare diversi approcci per stimolare l’apprendimento dei bambini. In particolare, ci si è concentrati su come l’attività fisica, separata dalle attività di apprendimento, possa migliorare le prestazioni cognitive e l’apprendimento dei bambini. Al contrario, c’è stata meno attenzione rivolta al potenziale dell’integrazione dell’attività fisica nelle attività di apprendimento. Lo scopo principale di questo studio è stato di sviluppare un’attività di apprendimento che integra basket e matematica ed esaminare come potrebbe influenzare la motivazione dei bambini in matematica.

Aumento della motivazione, autodeterminazione e padronanza

756 bambini di 40 classi delle scuole di Copenaghen hanno partecipato al progetto. Circa la metà di loro – una volta alla settimana per sei settimane – ha avuto il basket matematico durante la lezione di ginnastica, mentre l’altra metà ha giocato a basket senza matematica. Durante le lezioni con la matematica del basket, i bambini dovevano eseguire calcoli associati a vari esercizi di basket.

I risultati dimostrano che la motivazione dei bambini per la matematica integrata con la pallacanestro è superiore del 16% rispetto all’apprendimento della matematica in classe. I bambini hanno anche sperimentato un aumento del 14% nell’autodeterminazione rispetto all’insegnamento in classe, mentre la matematica del basket aumenta la padronanza del 6% rispetto allo studiare la matematica in classe. Inoltre, lo studio mostra che la Basketball Mathematics può stimolare la motivazione dei bambini per la matematica per un periodo di sei settimane, mentre la motivazione del gruppo di controllo diminuisce significativamente.

“Attualmente stiamo studiando se il modello Basketball Mathematics può rafforzare il rendimento dei giovani in matematica. Una volta che avremo i risultati finali, speriamo che ispireranno gli insegnanti e i presidi delle scuole a dare priorità a più attività fisica e movimento in queste materie”.

“Alla fine, speriamo di riuscire ad avere questi strumenti integrati nel sistema scolastico e nella formazione degli insegnanti. L’obiettivo è che le scuole in futuro includano “Active English” e “Active Mathematics” nel programma settimanale come materie in cui gli istruttori di educazione fisica e di materia collaborino per integrare questo tipo di istruzione con il lavoro in classe normalmente più sedentario”.

(Source: phys.org)

Rapporto: adolescenti e scuola

Scelte compromesse. Gli adolescenti in Italia, tra diritto alla scelta e povertà educativa minorile”

E’ il nuovo report nazionale dell’Osservatorio #conibambini promosso da Openpolis e Con i Bambini nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile.

  • I divari educativi dipendono anche dalla condizione di partenza. Chi ha alle spalle una famiglia con status socio-economico-culturale alto, nel 54% dei casi raggiunge risultati buoni o ottimi nelle prove di italiano. Per i loro coetanei più svantaggiati, nel 54% dei casi il risultato è insufficiente.
  • I 2/3 dei figli con entrambi i genitori senza diploma non si diplomano a loro volta.
  • Nelle grandi città vi è una relazione inversa tra indicatori di benessere economico e quota di neet: a Milano, Quarto Oggiaro ha il doppio di neet della zona di corso Buenos Aires, a Roma, Torre Angela ha il doppio di neet del quartiere Trieste, a Napoli, i quartieri con più neet compaiono anche nella classifica delle zone con più famiglie in disagio.
  • +25,2% il divario tra l’abbandono dei giovani con cittadinanza straniera e i loro coetanei.
  • L’emergenza Covid rischia di compromettere ancor di più il diritto alla scelta degli adolescenti. 

In Italia vivono 3 milioni di persone tra 14 e 19 anni. Se consideriamo la fascia di età che frequenta medie e superiori e limitandosi ai minori, sono 4 milioni i ragazzi di età compresa tra 11 e 17 anni. Si tratta di quasi la metà dei minori residenti in Italia (42%) e del 6,67% della popolazione italiana. Il report dell’Osservatorio indaga il fenomeno della povertà educativa legato a questa fascia di età.

L’abbandono scolastico prima del tempo, più frequente dove ci sono fragilità sociali, è l’emblema di un diritto alla scelta che è stato compromesso. E spesso non è che la punta dell’iceberg: dietro ogni ragazzo e ragazza che lascia la scuola anzitempo ci sono tanti fallimenti educativi che non possono essere considerati solo problemi individuali o delle istituzioni scolastiche. Sono fallimenti per l’intera società nel preparare la prossima generazione di adulti.

“Con la pandemia le disuguaglianze sociali ed educative crescono e aggravano una situazione caratterizzata da grandi divari strutturali – ha commentato Marco Rossi-Doria, vicepresidente di Con i Bambini. La povertà educativa, come evidenzia il report, ha spesso origine in queste disparità, non solo economiche, ma sociali e culturali. È un fenomeno che non può riguardare solo la scuola o le singole famiglie, ma chiama in causa l’intera ‘comunità educante’ perché riguarda il futuro del Paese. In questa fase di grandi difficoltà, i ragazzi dovrebbero rappresentare il fulcro di qualsiasi ripartenza. Non dovremmo criminalizzarli, come spesso accade, per alcuni comportamenti devianti o relegarli ad un ruolo passivo. Credo fortemente che siano una generazione migliore, hanno dimostrato grande senso di responsabilità, dovrebbero partecipare attivamente alle scelte che incidono sul futuro loro e, di conseguenza, del Paese. Dobbiamo loro – conclude Rossi-Doria – grandi opportunità”.

I divari educativi molto spesso dipendono dalla condizione di partenza. Per troppe ragazze e ragazzi la scelta appare già vincolata: dove nasci, in che posto vivi, la condizione sociale della famiglia contribuiscono a determinare molti aspetti. Dall’origine sociale e familiare ai livelli negli apprendimenti; dalle prospettive nel territorio in cui si abita all’impatto dell’abbandono scolastico. Su questi fattori, purtroppo, l’emergenza Covid rischia di incidere in modo fortemente negativo. Nei mesi scorsi abbiamo potuto constatare le profonde disuguaglianze tra le famiglie con figli nella possibilità di adeguarsi ai ritmi e agli stili di vita imposti dalla pandemia.

Partiamo dall’istruzione. Tra gli alunni di terza media, all’ultimo anno prima della scelta dell’indirizzo da prendere, i divari sociali sono molto ampi. Chi ha alle spalle una famiglia con status socio-economico-culturale alto, nel 54% dei casi raggiunge risultati buoni o ottimi nelle prove di italiano. Per i loro coetanei più svantaggiati, nel 54% dei casi il risultato è insufficiente.

Questi dati ci dicono come la condizione sociale si trasmetta di generazione in generazione. Nascere in una famiglia con meno opportunità da offrire significa generalmente partire già svantaggiato anche sui banchi di scuola. Dai dati sull’abbandono scolastico emerge che i due terzi dei figli con entrambi i genitori senza diploma non si diplomano a loro volta.

Il livello di istruzione, di competenze e conoscenze è strettamente collegato anche alle possibilità di sviluppo di un territorio. Nei test alfabetici l’87% dei capoluoghi del nord Italia presenta un risultato superiore alla media italiana. Nell’Italia meridionale e centrale la quota di comuni che superano questa soglia scende rispettivamente al 25% e al 36%. Un dato che, oltre a confermare i profondi divari territoriali tra gli adolescenti italiani, sembra essere legato alla quota di famiglie in disagio nelle città.

La principale minaccia per le prospettive future di un adolescente è uscire dalla scuola superiore senza un’istruzione adeguata. Questo rischio è molto più concreto nelle aree interne, dove l’offerta educativa viene più spesso minata da fattori come l’alta mobilità dei docenti, pluriclassi composte da alunni di età diverse, scuole sottodimensionate. Confrontando i risultati Invalsi degli adolescenti che vivono nelle aree interne con il dato medio regionale emergono due aspetti. Il primo è che, con poche eccezioni, i punteggi degli adolescenti dei comuni interni sono più bassi di quelli dei loro coetanei. Il secondo è che la condizione educativa delle aree interne non è omogenea in tutto il paese. Tra quelle più popolose, la migliore nei test di italiano (Basso Ferrarese) supera non solo la media delle aree interne italiane (+7 punti), ma anche la media nazionale complessiva (di oltre 4 punti) e quella emiliana (+2,42). Al contrario, la peggiore nei test di italiano (Calatino) è a -14 punti dalla media siciliana, a -16 da quella nazionale delle aree interne e quasi 20 punti al di sotto della media nazionale complessiva.

Una evidenza interessante rispetto all’analisi della presenza di giovani che non studiano e non lavorano nelle grandi città italiane è la relazione inversa tra gli indicatori di benessere economico (ad esempio, il valore immobiliare) e la quota di neet. I giovani che non lavorano e non studiano spesso si concentrano nelle zone socialmente ed economicamente più deprivate.

Napoli, i 10 quartieri con più neet in ben 8 casi compaiono anche nella classifica delle 10 zone con più famiglie in disagio. A Milano, Quarto Oggiaro ha il doppio di neet rispetto a zona di corso Buenos Aires. A Roma, a Torre Angela la quota di neet è oltre il doppio del quartiere Trieste.

Altra differenza sostanziale si registra prendendo in riferimento la cittadinanza. È di 25,2% il divario in punti percentuali tra l’abbandono dei giovani con cittadinanza straniera e i loro coetanei.

In Italia un adolescente su 12 ha una cittadinanza diversa da quella italiana. Poco meno di 200 mila persone, contando i minori stranieri dai 14 anni in su. Oltre 300 mila ragazze e ragazzi, se si considerano i residenti tra 11 e 17 anni. Nel caso degli adolescenti senza la cittadinanza italiana, sono diversi i segnali che indicano come particolarmente forte la minaccia della povertà educativa. Dalle difficoltà di inserimento nel percorso scolastico, alle disuguaglianze nell’accesso agli indirizzi delle scuole superiori. Fino all’abbandono precoce degli studi, fenomeno particolarmente preoccupante tra i giovani.

Infine, gli altri divari. Già prima dell’emergenza (2019), il 9,2% delle famiglie con almeno un figlio si trovava in povertà assoluta (contro una media del 6,4%). Quota che tra i nuclei con 2 figli supera il 10% e con 3 o più figli raggiunge addirittura il 20,2%. Ma anche i divari territoriali e nella condizione abitativa, con il 41,9% dei minori vive in una abitazione sovraffollata. Un ulteriore aspetto critico è stato rappresentato dai divari tecnologici. Prima dell’emergenza, il 5,3% delle famiglie con un figlio dichiarava di non potersi permettere l’acquisto di un computer. E appena il 6,1% dei ragazzi tra 6-17 anni viveva in una casa con disponibilità di almeno un pc per ogni membro della famiglia. Per tutti questi motivi, l’esperienza della pandemia è stata ed è spesso tuttora vissuta in modo molto diverso sul territorio nazionale, con effetti che gravano soprattutto sui minori e le loro famiglie. Si pensi all’impatto del lockdown per i bambini e i ragazzi che vivono in case sovraffollate, oppure alla possibilità di svolgere la didattica a distanza dove mancano i dispositivi o l’accesso alla rete veloce.