Il caso del calciatore Edoardo Bove, svenuto in campo a causa di un attacco cardiaco dovrebbe farci riflettere sulla fragilità di noi umani quando siamo sottoposti anche se giovani e allenati a prove psicofisiche continue, anche se liberamente scelte nella consapevolezza che sono parte della professione di atleta. Accanto a questi casi per fortuna rari ve ne sono altri meno gravi, non mettono a rischio la vita, ma ugualmente importanti per la persona che li subisce perchè allontanano dall’attività anche per un anno e spesso predispongono a frequenti ricadute nel corso del tempo. Basti pensare alla Juventus, che in questa stagione sino dal suo inizio ha avuto almeno 7/8 giocatori sempre infortunati, tanto da fare portare in panchina cinque calciatori della Primavera.
Questo non succede solo nel calcio, cambiano le problematiche ma anche nel tennis è frequente che i giocatori abbiano infortuni durante la stagione sportiva e saltino diversi tornei. Kobe Bryant disse che la sua testa avrebbe voluto continuare a giocare ma il suo corpo si rifiutava e così decise di ritirarsi. Nadal e Federer avrebbero voluto continuare ma il loro corpo si rifiutava attraverso i ripetuti e gravi infortuni che hanno subito. Cosa non si fa per vincere: Gianmarco Tamberi si è danneggiato gravemente la salute per provare a vincere l’oro a Parigi e per questo durante i giochi olimpici è stato ricoverato in ospedale. Noah Liles ha corso la finale dei 200m a Parigi giungendo terzo e avendo il covid.
Le cause: troppe gare, troppa visibilità sociale e troppi soldi che impongono di essere sempre al meglio, Il sistema è organizzato in questo modo, e poi come si fa a rallentare, prima si deve lottare per emergere fra i top atleti e poi per continuare a restare a quel livello e provare a raggiungere le vette assolute.
Non c’è nulla di negativo in questo modo di vivere la propria carriera. Ho partecipato alle olimpiadi sino da quelle di Atlanta-1996 collaborando con molti atleti vincitori di medaglie ai giochi olimpici e ai mondiali, per cui sono parte attiva di questo processo di perfezionamento delle prestazioni. Sono però altrettanto convinto che si dovrebbe fare di più per garantire la salute fisica e mentale degli atleti, poiché lo sport di livello assoluto è un’attività fisicamente molto stressante e con un altrettanto significativo impatto emotivo. Noi umani non siamo nati per queste prove estreme e ripetute nel tempo ed è ovvio che solo l’allenamento non è sufficiente a garantire la salute e il benessere dell’atleta. Possiamo però offrire agli atleti molto di più di quello che abitualmente fanno, oltre agli allenamenti di prevenzione che dovrebbero già essere parte della loro routine quotidiana.
Bisogna favorire i processi di recupero psicofisico non sempre praticati dagli atleti. Riguardano la gestione del sonno, nutrizione e idratazione, pratiche orientate al benessere (yoga, rilassamento, meditazione) e una vita relazione significativa. Sarebbe un’occasione persa pensare che il problema principale riguardi solo il numero di gare, perchè a questo singolarmente non vi è rimedio, dobbiamo invece implementare tutte quelle opportunità che dipendono da scelte individuali e per questo serve che gli esperti che lavorano con loro mostrino questo tipo di mentalità e propongano soluzioni, altrimenti tutto continuerà come sta accadendo oggi dove prevenzione e stile di vita dell’atleta sono temi lasciati alla libera scelta di ognuno. Ci vuole più cura e rispetto per il proprio corpo.