Archivio per il tag 'maratona'

Ed Whitlock – Biografia e filosofia della corsa

Ho letto un articolo su Ed Whitlock prima persona over70 (a 72 anni) a correre la maratona sotto le tre ore – 2:59:10 – e a 85 anni in 3:56:34: Lepers R, Cattagni T. Age-related decline in endurance running performance – an example of a multiple World records holder. Appl Physiol Nutr Metab. 2018 Jan;43(1):98-100

Ne ho voluto scrivere una breve biografia per evidenziarne il metodo di allenamento e la mentalità.

Ed Whitlock (1931–2017) è stato un maratoneta canadese noto per aver riscritto le regole dell’età nella corsa. Nato in Inghilterra e trasferitosi in Canada, è diventato il primo uomo sopra i 70 anni a correre una maratona in meno di 3 ore: a 72 anni con il tempo di 2:59:10. A 85 anni, corse in 3:56:34, ancora un record mondiale di categoria.

Stile di allenamento

Il suo metodo era sorprendentemente semplice e “vecchia scuola”. Ogni giorno correva per ore, da solo, attorno a un piccolo cimitero vicino casa, senza musica, senza GPS, senza coaching. Non faceva lavori di forza o esercizi di cross-training. Le sue scarpe erano vecchie di anni, e portava spesso lo stesso abbigliamento logoro.

Approccio mentale

Il segreto di Whitlock non era tanto fisico quanto mentale:

  • Semplicità - Non complicava nulla. Per lui, la corsa era un gesto naturale, da ripetere ogni giorno, con pazienza.
  • Costanza - Credeva nel valore della routine. “Keep showing up” (continua a presentarti), era il suo non-detto.
  • Umiltà - Non si considerava un “atleta serio” e non si prendeva mai troppo sul serio.
  • Solitudine attiva - Trovava conforto nel correre da solo, senza distrazioni, come forma di meditazione.
  • Accettazione del dolore - Non evitava la fatica. Sapeva che faceva parte del processo e l’accoglieva con tranquillità.

Whitlock è diventato una vera icona per chi crede che la disciplina, la semplicità e l’amore per la corsa contino più dell’età o della tecnologia. Un esempio di come la forza mentale possa superare ogni statistica.

Gli aspetti mentali della maratona

Correre una maratona: una sfida fisica e mentale

1. La maratona: molto più di una corsa

  • Richiede un’enorme resistenza fisica e mentale.

  • Oltre alla fatica fisica, i runner devono affrontare pensieri ricorrenti legati al dolore, alla fatica e al timore di non farcela.

  • Per questo motivo è fondamentale allenare anche la mente, non solo il corpo.

Tecniche psicologiche per affrontare la maratona

2. Mental training: l’allenamento invisibile

  • Gli psicologi dello sport propongono strategie per aiutare a gestire la mente durante allenamenti e gare.

  • Obiettivo: rendere l’esperienza più soddisfacente, migliorare la performance e superare i propri limiti.

3. Definire obiettivi realistici e motivanti

  • Scrivere obiettivi chiari, misurabili e progressivi (es. km settimanali, ritmo delle ripetute).

  • Usare slogan motivazionali visibili in casa per rafforzare l’impegno quotidiano.

  • Evitare obiettivi eccessivi per non alimentare frustrazione o rischi di infortunio.

  • Celebrarne il raggiungimento per aumentare l’autoefficacia e la motivazione.

Allenare la mente durante la preparazione

4. Costruire routine mentali

  • Inserire esercizi di simulazione durante l’allenamento.

  • Creare un piano mentale per affrontare i 42 km.

  • Prepararsi ad affrontare il dolore e la fatica anche con l’allenamento psicologico.

5. Strategie cognitive: associazione e dissociazione

  • Strategia associativa: focalizzarsi sulle sensazioni corporee e la tecnica (preferita dagli atleti esperti).

  • Strategia dissociativa: distrarsi con pensieri esterni per alleggerire la fatica (più usata da amatori).

  • L’approccio più efficace è flessibile: associativa all’inizio e alla fine, dissociativa nella parte centrale della gara.

6. Visualizzazione: correre con la mente

  • Immaginare in dettaglio la gara, gli ostacoli e la vittoria (che può corrispondere al raggiungimento di un obiettivo personale).

  • Visualizzare se stessi mentre si superano difficoltà specifiche (salite, meteo, crisi) e si taglia il traguardo.

7. Self-talk positivo: parole che spingono avanti

  • Ripetere frasi motivanti e incoraggianti durante corsa e allenamento.

  • Scegliere parole chiave personali ed efficaci (“vai!”, “resisti!”, “fluido!”, “ancora 1 km!”).

  • Allenarsi a usarle in automatico per contrastare pensieri negativi.

Il giorno della gara: gestire energia e tensione

8. Prepararsi con cura

  • Organizzare tutto la sera prima (materiali, logistica, abbigliamento).

  • Arrivare in anticipo e mantenere un clima positivo e rilassato.

  • Familiarizzare con il percorso anche solo mentalmente se non lo si conosce.

9. Gestire la partenza e il ritmo

  • Evitare il “muro umano” iniziale mantenendo una posizione funzionale.

  • Controllare l’euforia per non partire troppo forte.

  • Dosare con saggezza le energie in base alla propria strategia di gara.

Durante la gara: superare crisi e rilanciare

10. Affrontare i momenti critici

  • “Il muro” è in parte fisico, in parte mentale: riconoscerlo senza temerlo.

  • Accettare la fatica come parte dell’esperienza, non come segnale d’allarme.

  • Il self-talk aiuta a contrastare il panico e a rimanere concentrati.

11. Focus sulla tecnica

  • Concentrarsi su elementi controllabili: respirazione, appoggio, postura.

  • Dopo una crisi, può aiutare una breve dissociazione per alleggerire la mente.

12. Dividere la gara in segmenti

  • Porsi mini-obiettivi (es. ogni 5 km o ogni 30 minuti).

  • Questo approccio rende la distanza più gestibile e mantiene la motivazione alta.

Conclusioni

Correre una maratona non è solo una prova fisica ma un vero percorso mentale. Preparare la mente con strategie psicologiche mirate permette di affrontare ogni fase – dall’allenamento alla gara – con maggiore consapevolezza, fiducia e soddisfazione. In questo modo, ogni maratona diventa un’esperienza di crescita personale, oltre che sportiva.

Le strategie mentali dei maratoneti

Per gli psicologi dello sport lo studio delle strategie cognitive dei fondisti è particolarmente interessante, in quanto questi atleti si sottopongono a un elevatissimo stress psicofisico durante il quale devono fornire il meglio di sé.

Il primo studio sistematico condotto sulle strategie cognitive dei fondisti è stato effettuato da Morgan e Pollock [1977], su un campione composto da atleti di livello mondiale e da mezzofondisti di livello inferiore. Per classificare le strategie utilizzate durante la corsa gli autori hanno utilizzato i termini associazione e dissociazione.

Nella prima condizione gli atleti si focalizzano sulle sensazioni provenienti dal loro corpo e sono consapevoli dei fattori fisici fondamentali per quel tipo di prestazione. Nella strategia di dissociazione, invece, i pensieri dell’atleta sono concentrati su qualsiasi cosa, eccetto che sulle sensazioni corporee.

Durante la competizione le strategie cognitive del gruppo di élite rispetto a quelle dell’altro gruppo si differenziano in funzione di queste due caratteristiche. Infatti, per contrastare gli stimoli dolorosi gli atleti di livello inferiore si servono della strategia dissociativa, mentre quelli di élite usano quella associativa e conseguentemente modulano il loro passo.

Inoltre, durante la corsa i maratoneti esperti non attribuiscono molta importanza alla cosiddetta zona del dolore, per almeno due motivi che li differenziano dai meno esperti. Il primo si riferisce alla loro superiorità fisiologica, che gli permette di correre al loro limite incontrando un grado minore di difficoltà. Il secondo, riguarda il fatto che evitano questa zona del dolore, poiché sono capaci di autoregolarsi durante l’intero arco della corsa, basandosi proprio sulle loro sensazioni interne.

Nello specifico nella fase associativa il podista, nello sforzo di massimizzare la prestazione e ridurre al minimo i disagi o le sensazioni dolorose, si focalizza continuamente sulle sensazioni fisiche quali sono la respirazione, la temperatura, la pesantezza dei polpacci e delle cosce e le sensazioni addominali. Questa modalità cognitiva è abbastanza impegnativa per gli atleti, in quanto richiede l’abilità di concentrarsi per lunghi periodi di tempo. La fase dissociativa si presenta quando l’atleta in modo volontario si distrae dai feedback sensoriali che incessantemente riceve dal corpo.

In sintesi:

  • Associazione e dissociazione dovrebbero essere considerate come i due poli estremi di un continuum e non interpretate in termini dicotomici, specialmente quando vengono usate nella corse di lunga distanza.
  • L’uso delle strategie associative è maggiormente correlato con prestazioni di lunga distanza veloci rispetto all’uso delle strategie dissociative.
  • In gara i runner preferiscono servirsi di strategie associative (focalizzazione sul monitoraggio dei processi del corpo e controllo della strategia di gara). Invece, in allenamento si servono maggiormente di strategie dissociative, sebbene queste due strategie sono comunque utilizzate in ambedue i contesti.
  • La dissociazione è inversamente correlata con la consapevolezza fisiologica e i sentimenti derivati dalla percezione dell’intensità dello sforzo profuso. Ciò è stato maggiormente evidenziato negli studi di laboratorio.
  • La dissociazione non aumenta la probabilità d’infortunarsi e può ridurre la fatica e la monotonia della corsa e delle corse svolte a scopo ricreativo.
  • L’associazione può consentire all’atleta di continuare a gareggiare anche in presenza di un dolore sensoriale.
  • La dissociazione dovrebbe venire utilizzata come tecnica di allenamento da chi vuole aumentare la sua adesione all’esercizio, perché permette di percepire in modo migliore e più piacevole il fine dell’esercizio.
  • All’aumento del carico dell’allenamento si verifica uno spostamento da strategie dissociative a strategie associative, così da incrementare la concentrazione dell’atleta sul compito che dovrà svolgere.
  • Quando si utilizza un focus attentivo rivolto verso se stessi, per aumentare l’efficienza della corsa, ci si dovrebbe concentrare sulle sensazioni del corpo piuttosto che sulle risposte automatiche  come il respiro e i movimenti della corsa.

Terry Fox, le storie che cambiano la vita

Terry Fox, le storie che cambiano la vita è stato un amante dello sport fin da ragazzo, Terry sognava di diventare insegnante di educazione fisica. Il 12 novembre 1976 subì un incidente stradale riportando un trauma al ginocchio destro. Nel 1977, continuando a manifestare dolore al ginocchio, fece una visita specialistica, e gli fu diagnosticato un osteosarcoma, a causa del quale dovette subire l’amputazione della gamba, sostituita da una protesi.
Terry non si lasciò abbattere e nel 1980, a tre anni dall’amputazione, si cimentò in un’impresa che resterà per sempre nella storia del Canada e del mondo intero. Il 12 aprile 1980 partì dalla costa atlantica del Canada per raggiungere a piedi quella dell’oceano Pacifico, con l’obiettivo di raccogliere un dollaro per ogni cittadino canadese da devolvere alla lotta contro il cancro. Come nella classica maratona, corse ogni giorno per 42 chilometri, attraversando diversi stati come il Québec e l’Ontario.
Terry, tuttavia, non riuscì a completare l’impresa nominata “Maratona della speranza” perché, dopo 143 giorni, il primo settembre 1980, le sue condizioni di salute si aggravarono. Gli furono diagnosticate varie metastasi a entrambi i polmoni, pochi mesi dopo entrò in coma e morì il 28 giugno 1981, esattamente un mese prima di compiere 23 anni.
La “Terry Fox Run” è una corsa di beneficenza che si tiene in suo onore ancora oggi in tutto il mondo e, nel corso degli anni, la Fondazione Terry Fox ha raccolto più di 750 milioni di dollari per la ricerca sul cancro.
«Oggi mi sono alzato alle 4 del mattino. Come al solito, è stata dura. Se dovessi morire in questo momento, morirei felice perché sto facendo quello che amo fare. Quante persone possono dire lo stesso? Sono uscito, ho fatto quindici flessioni in mezzo alla strada e ho iniziato a correre. Voglio dare un esempio che non sarà mai dimenticato» -Terry Fox
(Fonte: @JamesLucasIT )
I'm Not a Quitter. "nobody is ever going to call me a quitter." - Quote from Terry Fox. Terry Fox Run on September 18, 2022

Sifan Hassan vince la maratona di Londra

Sifan Hassan, campionessa olimpica a Tokyo sui 5mila e 10mila metri, all’esordio sulla distanza ha vinto la maratona di Londra allo sprint in 2h18’33″. L’atleta di religione mussulmana si è allenata nel periodo del Ramadan e, quindi, ha aggiunto un ulteriore difficoltà alla già faticosa preparazione di una maratona in cui è giunta a correre settimanalmente 200km.

Ha fatto questa scelta per sfidarsi ulteriormente, non ci si sottopone a questo tipo di allenamenti per soldi o fama. Il suo allenatore avrebbe voluto che arrivasse alla maratona magari fra due anni ma lei ha preso questa decisione nonostante che sino al momento della partenza abbia messo in dubbio di portarla a termine.

Aveva dichiarato: “Il mio obiettivo è quello di incontrare la maratona e conoscerci meglio”. Situazione simile a quella di Mo Farah nel 2014 nella stessa maratona. Aveva già vinto tre titoli mondiali e due ori olimpici quando ha debuttato con un 8° posto a Londra, poi è tornato alla pista e ha accumulato altri cinque titoli mondiali prima di passare alla maratona a tempo pieno nel 2018.

Il suo allenatore, Tim Rowberry, ha dichiarato. “Il cambiamento più importante nell’allenamento è stato che Sifan ha imparato a correre lentamente. È abituata a fare tutto ad alta intensità. Quando ha iniziato ad allenarsi con quei ragazzi, gli olimpionici Bashir Abdiand Abdi Nageeye, loro le dicevano sempre: “Rallenta, rallenta! Devi fare molti chilometri, se fai troppo ti ammazzi”.

Anche in Hassan, come per molte altre campionesse, emergono determinazione, coraggio e umiltà.

Cos’è la maratona

Oggi si corre la maratona di Roma. In occasione di eventi come questi molti mi chiedono cosa sia la maratona e che piacere vi sia nel percorrere tutti quei chilometri.

Questo pensiero di Mauro Covacich, scrittore e runner, è una delle possibili spiegazioni.

“La maratona è una sorta di credo permanente: basta averla corsa una volta soltanto per sentirsi maratoneti a vita. Un po’ come per la psicanalisi. Sì, la considero una forma di arte marziale, una disciplina interiore. Lo è intrinsecamente. Per gli allenamenti che richiede, per il modo in cui ti porta a percepire l’ambiente, per lo sforzo che esige dal tuo corpo. Il maratoneta è un samurai con le scarpette al posto della spada: è estremamente severo verso se stesso, non si perdona mai, è costantemente in lotta contro i propri limiti… Sbaglia chi pensa alla maratona come a una scelta sportiva, è una disciplina massimamente estetica. È proprio una visione del mondo: non sono solo quei quarantadue chilometri da correre nel minor tempo possibile, è l’idea di resistere, di andare oltre…”
(Mauro Covacich)

Il sistema sportivo non sostiene l’attività dei master

Inizia la nuova stagione delle grandi maratone nelle capitali europee e in tutto il mondo. Questa occasione riporta in evidenza un tema poco trattato nella ricerca scientifica e nel mondo dello sport, che si riferisce all’allenamento degli adulti (gli over35) e in particolare dei Master che costruiscono il gruppo più numeroso d’iscritti alla maratone e che racchiudono ogni fascia dell’età adulta sino a oltre gli over80.

E’ la già ampia fascia di età di praticanti sport racchiusa in un periodo che copre più di 50 anni. Esistono convinzioni consolidate legate all’età, che si possono sintetizzare nel seguente concetto: gli adulti non migliorano e si limitano a praticare attività sociali e di fitness nel tempo libero. E’ stato riscontrato che questo convincimento sull’età può portare gli allenatori a credere che non sia necessario allenare gli atleti master. Chiediamo ancora un coaching di qualità se i giovani atleti non diventano olimpionici o professionisti? Sì, certo. Pertanto, un coaching di qualità dovrebbe essere una caratteristica intrinseca dello sport master e dello sport per adulti più anziani.

Di recente Bettina Callary, Editor-in-Chief della rivista International Sport Coaching Journal ha scritto a proposito di questo tema e l’ho sintetizzato nei seguenti punti:

  1. Gran parte della ricerca sullo sport è orientata sulle prestazioni di livello assoluto o alla partecipazione sportiva giovanile.
  2. Il modello dello Sviluppo a Lungo Termine dell’Atleta (LTD) utilizza un diagramma rettangolare per delineare un quadro dei percorsi di sviluppo nello sport e nell’attività fisica. Il diagramma presenta un’ampia sezione dedicata a “Attivi per la tutta vita”, come alternativa al Percorso del Podio verso l’alta prestazione. Questo è un aspetto eccellente, in quanto include il gran numero di persone (compresi gli adulti e gli anziani) che non si trovano sulla traiettoria verso le prestazioni da podio ai massimi livelli dello sport, ma che continuano a praticare sport e attività fisica.
  3. Tuttavia, mentre il modello LTD riconosce gli adulti anziani come un gruppo poco servito e poco supportato all’interno dell’ecosistema dello sport e dell’attività fisica, le informazioni contenute nel quadro stesso sono per lo più associate ai bambini, ai giovani e ai giovani adulti.
  4. Lo sviluppo degli adulti nello sport è spesso incentrato sul diventare allenatori o dirigenti, sull’entrare nel consiglio di amministrazione di una squadra o di un club giovanile, sulla raccolta di fondi e sul volontariato.
  5. Sebbene esistano sport ricreativi per adulti che nella maggior parte dei casi non prevedono allenatori, negli sport master gli allenatori possono svolgere ruoli importanti.
  6. Per sport master si intendono eventi sportivi, campionati e competizioni per adulti di età generalmente superiore ai 35 anni (anche se questa età varia a seconda dello sport e può arrivare fino ai 18 anni). All’interno di questa coorte di atleti adulti con una mentalità più orientata allo sport agonistico, gli allenatori efficaci svolgono un ruolo importante nel soddisfare i bisogni psicosociali degli atleti e nel convalidare la loro decisione di praticare sport.

 

Abbraccia il percorso e non il risultato

Viviamo nella cultura della gratificazione immediata. Quando vogliano qualcosa, la vogliamo subito. Ciò ha determinato un notevole abbassamento del nostro livello di tolleranza alla frustrazione. Spesso i giovani che incontro si arrabbiano con se stessi se non migliorano subito e quando commettono degli errori si sentono degli incapaci perchè non hanno ancora imparato.

Nella nostra cultura diamo troppa importanza al risultato e molto meno al percorso da intraprendere per raggiungerlo. Dovremmo imparare a fermare questa corsa al risultato. Impariamo invece ad amare il viaggio nel quale siamo immersi. Spesso gli atleti si comportano come se un bambino della scuola elementare volesse scrivere un tema come un ragazzo della scuola media superiore. E’ un bel sogno ma non scambiamolo con la realtà.

Lo stesso vale per le persone della mia età, over60, che pensano di allenarsi come se ne avessero 30 o 40 di anni. Dopo una serie di problemi fisici che mi hanno impedito di allenarmi per tre anni e dopo avere ripreso da circa sei mesi, mi sono reso conto della necessità di resettare il mio pensiero e di ripartire con una mentalità adeguata agli anni che sto vivendo e trovare piacere in questo progetto. Quindi, non si tratta solo di seguire un programma di allenamento corretto per una persona over60 che è stata ferma per tre anni ma di adattare la mentalità a questa condizione reale e trarre soddisfazione dallo scorrere delle giornate impegnato in questo percorso di allenamento fisico, sportivo e mentale. Mai pensare “prima facevo in questo modo, perchè non ci riesco?”. Questa sarebbe la strada verso il fallimento. L’idea positiva e ottimista è esattamente opposta: “Sto facendo quello che mi piace e che mi fa sentire bene”. Questo approccio mentale unito alla pratica determina nel tempo il miglioramento e permette di  soddisfare gli obiettivi che mi sono proposto da ottenere.

In questo modo, mi concentro sulla quotidianità dell’allenamento, e mi ascolto per prepararmi a ciò che ho deciso di fare. Il piacere consiste nell’avvertire i cambiamenti che avvengono, mentali e fisici, che si manifestano a causa dell’allenamento. Infatti, gradualmente non solo il corpo ma anche la mente si modella sul tipo di attività da svolgere. Ad esempio, all’inizio la corsa era molto faticosa, vai piano e ti senti pesante, per cui ho ripreso come qualsiasi principiante alternando corsa e camminata per 5/6 km. Non mi sono invece fidato dei ricordi di me maratoneta, ne ho corse più di 50, o di persona che aveva corso i 100 km del Passatore. Questo secondo approccio mi avrebbe portato ad infortunarmi e convincermi che la corsa non era più adatta a me. Con questo approccio mentale e una corretta varietà degli allenamenti in qualche mese sono arrivato a correre 40k alla settimana in tre sedute. Quindi, una regola su tutte ho imparato: allenati con un’intensità che ti consenta di allenarti anche il giorno dopo. Attualmente mi alleno 5 giorni la settimana, una volta solo preparazione fisica, una in bicicletta e di tre corsa. Sempre 30 minuti di corpo libero prima di ogni allenamento. Mi diverto. Dove arriverò non mi interessa, mi piace scoprirlo settimana per settimana.

Perchè correre la maratona di New York

Domenica prossima si corre la Maratona di New York e dopo le limitazioni alle iscrizioni degli anni della pandemia, il direttore della gara spera quest’anno di ritornare ad avere 50.000 podisti al traguardo. Il 40% dei partecipanti viene di nuovo dall’estero e questo determina che la maratona sia anche un grande evento economico per la città, mentre l’anno scorso i confini erano chiusi e gli atleti stranieri non hanno potuto partecipare per cui i partecipanti furono solo 30.000.

L’anno scorso era stata introdotta la categoria non binaria per i runner. Quest’anno, i primi cinque classificati di questa categoria riceveranno un premio in denaro. New York è la prima delle sei World Marathon Major ad aggiungere premi in denaro per i corridori non binari. Altre novità sono l’ avere equiparato il premio per il record della gara in wheelchair a quello dei runner professionisti passando da 7.500 a  50.000 dollari. Inoltre sono state introdotte facilitazioni riguardanti la nursery alla partenza in tre punti del percorso e all’arrivo per le donne che devono allattare. Sono cambiamenti che rendono sempre più inclusiva la maratona.

La filosofia della gara è di rappresentare una grande giornata di condivisione fra runner e spettatori. A ogni corridore viene suggerito di avere scritto sulla maglia il suo nome così da potere essere nominato e incoraggiato dal pubblico. Comunque vi saranno decine di migliaia di spettatori lungo tutto il percorso, con l’eccezione del ponte di Verrazzano.

Sulle ragioni che motivano una persona a correre una maratona è stato scritto molto, e ognuno a cercato di fornire le proprie ragioni. Va detto che l’essere umano è predisposto alla corsa di lunga durata che migliaia di anni fa serviva per procurarsi il cibo. Ora è un’attività che migliora la percezione di autocontrollo attraverso una sfida con se stessi. Ci migliora poiché richiede la tenacia di perseguire un obiettivo a lungo termine attraverso lo svolgimento di un programma settimanale. Comporta anche un cambiamento e un miglioramento dello stile di vita che dovrebbe determinare una migliore cura di sé in relazione alla cura del proprio corpo, del sonno e dell’alimentazione. E’ pure un’attività che per molti si svolge in gruppo in cui si condividono fatiche, sfide e magari anche gli stati d’animo dovuti a infortuni. La corsa è democratica, chiunque può correre e si può svolgere in qualsiasi ambiente e con qualsiasi tempo.

Per ogni persona, ognuna di queste ragioni può avere pesi diversi e alcune sono più significative di altre. In sostanza, prevale il senso del piacere anche se si è iniziato su consiglio del medico o perchè un amico ci ha convinto a provare, chi supera questa fase iniziale e intraprende un percorso di allenamento trova a questo punto una gratificazione individuale che lo sostiene nel tempo e che diventa un’abitudine senza cui diventa difficile svolgere gli altri impegni della vita quotidiana.

Personalmente corro perchè mi piace stare all’aria aperta, possibilmente nella natura, per sfida con me stesso, per organizzare i pensieri e meditare, per sentire  e conoscere il mio corpo nelle diverse età che ho vissuto e che sto passando, per aspettare che arrivi la fatica e provare a superarla, per il ricordo degli amici e delle esperienze fatte in comune e della solidarietà che c’è tra chi corre. Quindi, buona corsa!

Psicologia della fatica

Questo weekend al master di psicologia dello sport parleremo della fatica negli sport di resistenza e non solo in quelli ma che nel calcio. Parleremo di cosa pensano campioni come Paula Radcliffe durante la maratona e di come Martina Valmassoi affronta la fatica negli ultratrail.