Archivio mensile per agosto, 2023

Come sta cambiando il clima?

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Chi deve allenare i giovani a gestire le emozioni?

E’ vero che “si può vincere perdendo se dai tutto te stesso”. E’ un concetto chiave per lo sviluppo di un atleta e dovrebbe venire insegnato sino dal primo giorno che un bambino o una bambina entrano su un campo da gioco. Al contrario si vedono giovani che appena commettono un errore si arrabbiano con se stessi o si deprimono. Sappiamo che ciò succede per la congiunzione di motivi diversi:

  • i genitori spesso non riconoscono il valore dell’impegno e pensano che conti solo vincere, pertanto si arrabbiano con i figli per gli errori commessi e vorrebbero sostituirsi all’allenatore per dargli indicazioni tecniche,
  • gli allenatori sono più concentrati a insegnare la tecnica e non allenano emotivamente gli atleti,
  • i giovani stessi non sono capaci a esprimere le loro emozioni in modo costruttivo e mancano di auto-controllo.
  • i social media spingono con ossessione verso modelli di successo falsi ma che attraggono i giovani (bellezza, forma fisica, successo in se corrispondi alle regole che propongono influencer)

E così si vedono giovani tennisti che sbattono la racchetta a terra dopo un errore alternando stati d’animo di rabbia e depressione contro di sé o in altri sport commesso un errore ne conseguono quasi rapidamente altri, perché negli atleti domina la frustrazione dovuta dal primo sbaglio.  Per cambiare questo modo di vivere le sconfitte e gli errori servono genitori e allenatori più consapevoli che il loro ruolo prevede anche l’insegnamento dell’auto-controllo, lavorando con i propri figli e atleti per modificare questi comportamenti distruttivi.

Non bisogna di certo imporre le nostre soluzioni di adulti ai loro problemi. Bisogna ascoltare in modo empatico e non per giudicare, così che i giovani si sentano sostenuti e rispettati nei loro stati d’animo. Solo dopo questa fase si dovrebbe iniziare a parlare di cosa si potrebbe fare di diverso, dando tempo ai ragazzi di esprimere le loro idee e a noi di stimolare la loro consapevolezza nei riguardi del loro modo di agire e d’identificare le possibili soluzioni. Agire in questo modo richiede tempo e spesso è per questa ragione che gli adulti non seguono questa strada.

Bisogna però essere consapevoli che se spesso si rinuncia a intervenire, i giovani cominceranno a pensare che le loro reazioni non interessano a genitori e allenatori e, peggio ancora, continueranno a comportarsi con se stessi in modo negativo e a seguire i modelli degli influencer. Se vogliamo che i nostri ragazzi sviluppino l’abilità di gestire con efficacia e soddisfazione i loro stress quotidiani dobbiamo spendere del tempo a insegnare loro come comportarsi, sentire e pensare in quei momenti.

Atleti vittime degli stereotipi su malattia mentale

Petersen, B., Schinke, R.J., Giffin, C.E., Larivière, M. (2023). The Breadth of Mental Ill-Health Stigma Research in Sport: A Scoping ReviewInternational Journal of Sport Psychology, 54(1), 67-90.

La malattia mentale colpisce gli atleti con tassi di prevalenza simili a quelli della popolazione generale, nonostante la convinzione che gli atleti siano protetti da stili di vita altamente attivi dal punto di vista fisico. Sebbene le discussioni sullo stigma siano onnipresenti nello sport, il panorama della ricerca sullo stigma della malattia mentale nello sport non è chiaro. Di conseguenza, abbiamo condotto una revisione esplorativa che ha analizzato la letteratura esistente e gli approcci dei ricercatori allo stigma nello sport. Abbiamo raccolto dati da 68 articoli e fornito interpretazioni delle tendenze emergenti. I ricercatori si sono concentrati principalmente sulla ricerca di aiuto da parte degli atleti e sull’alfabetizzazione in materia di salute mentale in relazione allo stigma. Inoltre, la ricerca futura dovrebbe chiarire il tipo di stigma oggetto di studio ed esplorare lo stigma strutturale, che rimane una lacuna significativa nella letteratura. Infine, il passaggio a metodologie di ricerca aperte e inclusive può centralizzare il coinvolgimento dei partecipanti, incorporando le loro esperienze e portando a una progressiva comprensione dello stigma della malattia mentale. I nostri risultati presentano direzioni di ricerca future e suggerimenti di ricerca per espandere lo stigma della malattia mentale nella ricerca sportiva.

Lo stigma è la svalutazione di un individuo sulla base di una caratteristica che mostra o che si presume possegga (es: malattia).

Di conseguenza, gli atleti indicano che lo stigma legato alla malattia mentale è una delle maggiori barriere alla ricerca di aiuto, che inibisce l’utilizzo dei servizi di salute mentale da parte degli atleti, che cercano di prevenire qualsiasi ripercussione legata allo stigma. L’indisponibilità degli atleti ad accedere ai servizi di salute mentale per evitare lo stigma può portare a continui danni alle prestazioni o all’esacerbazione dei disturbi mentali; di conseguenza, gli effetti dello stigma sui comportamenti di ricerca di aiuto occupano un posto di rilievo nella ricerca sullo stigma in psicologia dello sport.

Una regola fondamentale dello sport

Lo sport segue una regola semplice e chiara, secondo cui scalare le classifiche a livello di ranking mondiali e nazionali vuol dire emergere vincenti dal confronto con chi in quel momento possiede una classifica migliore. In altre parole, si migliora la propria classifica battendo chi si trova davanti.

Molti atleti  non hanno questa consapevolezza e, invece, vivono il confronto con quelli più bravi di loro in quel momento come una sfortuna o qualcosa che non dovrebbe succedere. La mancanza di questa mentalità rappresenta un limite importante che deve essere superato, pena la difficoltà a costruire una carriera sportiva di successo e personalmente premiante.

Ovviamente per vincere bisogna mettere da parte questa idea e concentrarsi su cosa si vuole fare per esprimere le proprie qualità agonistiche al meglio in quella gara. Questo passaggio non è semplice e non va mai dato per acquisito. Deve essere ogni volta un obiettivo specifico che ci si pone, consapevoli della difficoltà a cui si va incontro. A volte gli atleti sono accecati dalla possibilità di vincere oppure pensano che giacché si sentono in forma forniranno una prestazione vincente. In questo modo non si preparano alle difficoltà che la gara potrebbe riservargli e questo troppo spesso li porta a non accettare gli errori e di trovarsi in difficoltà. Volere vincere è un pensiero potente ma bisogna sempre sapere che non sarà facile e che la differenza alla fine sarà nel modo in cui hanno accettato e reagito gli errori.

La questione a cui dovrebbero rispondere allenatori e atleti è: quanto sono disposto ad agire in questo modo come atleta e nel caso degli allenatori quanto spesso ho allenato a superare questi ostacoli?

Il ruolo dell’educazione

Sono tanti i modi di vivere

Impariamo a valutarci

Cade una regola arcaica dell’arbitraggio

Si parla di svolta storica nel mondo arbitrale del calcio, con la designazione di Daniele Doveri, arbitro della sezione Roma, a dirigere Roma-Verona. Abbattuta definitivamente quindi la regola secondo cui un arbitro non poteva dirigere la squadra della città in cui abita e lavora.

La preferenza per un arbitro di calcio che non provenga dalla stessa città delle squadre che arbitra è stata sempre legata principalmente a due motivi principali:

  1. Presunta neutralità: Gli arbitri devono essere imparziali e neutrali nel prendere decisioni durante una partita di calcio. Tuttavia, l’appartenenza geografica a una città o a una squadra potrebbe creare delle potenziali preoccupazioni riguardo alla neutralità dell’arbitro. Se un arbitro è originario della stessa città di una delle squadre in campo, potrebbero esserci preoccupazioni che possa essere influenzato da pressioni esterne o da una predisposizione a favore della squadra della sua città natale. Per garantire una maggiore percezione di neutralità, molti preferiscono arbitri provenienti da altre regioni o città.
  2. Evitare conflitti di interesse: Gli arbitri devono evitare qualsiasi conflitto di interesse che potrebbe compromettere l’integrità del gioco. Se un arbitro è legato a una squadra o a una città, potrebbero sorgere sospetti di favoritismo o di parzialità nelle sue decisioni. Per evitare tali situazioni e per garantire che le partite siano giudicate in modo imparziale, spesso si preferisce assegnare arbitri che non abbiano legami geografici o personali con le squadre coinvolte.

Tuttavia, è importante notare che ci sono  argomentazioni significative che sostengono che l’esperienza e la competenza di un arbitro dovrebbero essere i fattori più importanti nella sua selezione, indipendentemente dalla sua provenienza geografica:

  1. Professionalità e preparazione: L’arbitro deve essere un professionista altamente preparato, con una conoscenza approfondita delle regole del gioco, della gestione delle partite e della capacità di prendere decisioni rapide ed accurate. La competenza tecnica è fondamentale per assicurare partite giuste e senza problemi.
  2. Consistenza: Un arbitro esperto tende a essere più consistente nelle sue decisioni. Questo è importante per i giocatori e gli allenatori, che vogliono sapere cosa aspettarsi da un arbitro in termini di applicazione delle regole. La coerenza nella direzione delle partite contribuisce a creare un ambiente di gioco più equo.
  3. Maturità emotiva: Gli arbitri esperti spesso hanno una migliore maturità emotiva e capacità di gestire la pressione durante una partita. Sono meno suscettibili alle provocazioni e alle reazioni emotive dei giocatori e degli allenatori, il che contribuisce a mantenere il controllo sul campo.
  4. Decisioni imparziali: La neutralità e l’imparzialità sono fondamentali per un arbitro. Anche se un arbitro è originario della stessa città di una delle squadre, ciò non significa automaticamente che sarà di parte. Gli arbitri professionisti sono tenuti a prendere decisioni basate sulle regole e non su preferenze personali.
  5. Formazione continua: Gli arbitri esperti sono spesso soggetti a una formazione continua per rimanere aggiornati sulle regole e le migliori pratiche arbitrali. Questo contribuisce a mantenere e migliorare le loro competenze nel tempo.
  6. Valutazione oggettiva: Gli arbitri vengono valutati sulla base delle loro prestazioni in campo. Questa valutazione dovrebbe essere basata sulle loro abilità e competenze, non sulla loro provenienza geografica. Ciò contribuisce a garantire che solo gli arbitri più competenti siano incaricati delle partite più importanti.
  7. Crescita del calcio: Per lo sviluppo e la crescita del calcio in una determinata area, è importante promuovere e sviluppare arbitri locali competenti. Tuttavia, questi arbitri dovrebbero essere selezionati sulla base delle loro abilità e non solo della loro provenienza geografica.

In sintesi, l’esperienza e la competenza dell’arbitro sono fondamentali per la qualità delle partite di calcio e per la percezione di equità nel gioco. Se un arbitro è in grado di dimostrare queste qualità, la sua provenienza geografica non dovrebbe essere un fattore determinante nella sua selezione per arbitrare le partite. Ovviamente arbitrare la squadra della propria città è solo un motivo di pressione che si aggiunge agli altri dell’arbitraggio. Come sempre e per fortuna dipende dall’essere umano, quale che sia il ruolo, di gestire in modo efficace queste situazioni, l’importante è non fare come quei genitori che trattano peggio i propri figli per non apparire parziali agli occhi degli altri.

 

Gianni Mura e lo sport

Recensione: Sole che il vento accoglie

Sole che il vento accoglie

Romanzo di Massimo Oliveri

Edizioni Vallescrivia, Novi-Ligure – p.109, giugno 2023

L’azione di correre contiene in se stessa gli elementi che costituiscono questa storia scritta da Massimo Oliveri. Il tempo è una dimensione chiave di questo romanzo che narra la storia di Pietro Bosa. E’ presente non solo nello scorrere delle singole giornate in cui è organizzato il libro ma ritorna anche negli episodi della sua vita. Correre si può fare da soli e per Pietro è una pratica epica ed eroica che gli permette di dimenticare per un po’ quello che non gli piace della sua vita. Correre è un modo per darsi il tempo di conoscersi, ma anche nella corsa come nella vita vive la contraddizione da una parte di volere accettare il proprio ritmo e dall’altra di non essere capace di concedersi questa opportunità. La corsa è, quindi, solitudine in cui come si dice Pietro ricordando le parole di Jesse Owens hai a disposizione “solo il coraggio dei tuoi polmoni”.

E’ una narrazione che si svolge con un passo veloce. I ricordi di Pietro si susseguono rapidamente come in un sogno, in cui gli episodi della sua vita lo incalzano senza tregua e con esiti in larga negativi. La fine del romanzo con la morte improvvisa di Pietro durante un allenamento è determinata da un malore fisico ma mette in evidenza ciò che Freud definiva come la caducità della vita. Infatti, a una persona apparentemente sana come un runner che si appresta a correre 21km, il destino ha deciso per quel giorno di venire a chiedere il conto di una vita insoddisfacente e alla ricerca costante di un luogo a cui appartenere senza averlo trovato se non per brevi momenti.

E’ una storia da leggere ed è di grande attualità in un periodo in cui i social ci spingono a vivere solo scampoli di presente della durata di un like. Questo romanzo ci ricorda, invece, come indipendentemente dal contesto e dai ruoli, che sia il rapporto con il padre e la madre, l’esperienza professionale con i giovani a scuola, l’amore o la corsa, il modo di vivere queste diverse situazioni evidenzia gli aspetti più profondi di una persona, rivelando una costanza del modo di presentarsi dell’essere umano quale che sia l’altro verso cui ci rivolgiamo. Ciò che mi resta dentro di questo romanzo è che non possiamo nasconderci a noi stessi e tantomeno continuare a sfidarci.