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Qualità di un grande allenatore

Il Comitato Olimpico Internazionale ha pubblicato questo testo che riguarda l’identificazione di quali le qualità principali di un grande allenatore. Sono interessanti, poiché aldilà delle differenze di individuali descrivono dimensioni psicologiche molto simile a quelle di qualsiasi altro leader chi guidi in altri ambiti gruppi di successo.

Non esiste un’unica corretta modalità di allenare un atleta. Hai il tuo stile di allenamento unico che funziona e che nessun altro può replicare. Tuttavia, ci sono alcune caratteristiche comuni a tutti i grandi allenatori, indipendentemente da come vengono applicate.

  1. COMPRENSIONE DELLO SPORT - Per poter insegnare efficacemente, devi avere una comprensione approfondita dello sport, dalle abilità fondamentali alle tattiche e strategie avanzate. Gli allenatori devono pianificare per la stagione, comprendere la natura progressiva dell’adattamento all’allenamento, conoscere le regole e fornire un ambiente semplice e strutturato per far sì che gli atleti abbiano successo.
  2. VOLONTÀ DI APPRENDERE - Sebbene un buon allenatore sappia molto dello sport, devi continuare a imparare e sviluppare nuove tecniche di allenamento. Rimanere aggiornati e informati sulle nuove ricerche, sull’allenamento e su tutto ciò che supporta il processo di coaching è un segno di un grande allenatore. Frequentare corsi su argomenti come la psicologia dello sport, la nutrizione e la fisiologia dell’esercizio è un’ottima idea ed è facilmente accessibile per qualsiasi allenatore che voglia crescere e migliorare.
  3. CONDIVISIONE DELLA CONOSCENZA - Ottenere conoscenza è importante, ma avere la fiducia di condividere e cercare i pareri degli altri, specialmente quelli al di fuori del tuo sport, è una qualità chiave. I migliori allenatori capiscono chiaramente che sono lì per educare gli atleti.
  4. ABILITÀ MOTIVAZIONALI - Un allenatore di successo è un motivatore con un atteggiamento positivo e entusiasmo per lo sport e per gli atleti. Il divertimento e il piacere sono i pilastri del coaching di successo. Quando si motiva un giocatore, un buon allenatore sottolinea il tentativo di raggiungere obiettivi di prestazione, non solo obiettivi finali.
  5. CONOSCENZA DELL’ATLETA - Essere consapevoli delle differenze individuali degli atleti è un ingrediente importante per l’eccellenza nell’allenamento. Personalizzare la comunicazione e la motivazione per atleti specifici è vitale per un coaching di successo.
  6. COMUNICAZIONE - Un allenatore efficace comunica bene ed emana credibilità, competenza, rispetto e autorità. La comunicazione chiara significa fissare obiettivi definiti, dare feedback diretti e rinforzare i messaggi chiave.
  7. ABILITÀ DI ASCOLTO - Parte della comunicazione efficace è l’ascolto. Un allenatore efficace cercherà attivamente informazioni dagli atleti e li incoraggerà a presentare idee e pensieri.
  8. DISCIPLINA - Gli atleti devono attenersi a un insieme ragionevole di regole sia sul campo che fuori, e se queste vengono ignorate, l’allenatore è responsabile della disciplina. La fiducia tra atleta e allenatore è fondamentale in ogni momento ed è essenziale per un coaching di successo.
  9. GUIDARE CON L’ESEMPIO - Un allenatore efficace guida con l’esempio. Si attengono alle stesse regole che si aspettano dagli atleti e mostrano rispetto e ascolto nei confronti degli atleti.
  10. IMPEGNO E PASSIONE - I migliori allenatori sono fortemente impegnati nello sport e nel successo, mostrando un impegno chiaro nel guardare al meglio degli interessi degli atleti singoli. L’allenamento è un lavoro che richiede un impegno costante, poiché i migliori allenatori vivono e respirano l’arte del coaching.

L’abuso fra gli atleti di élite

Giffin, C.E., Schinke, R.J., Wagstaff, C., Quartiroli, A., Larivière, M., Coholic, D., Li, Y. (2024). Advancing Safe Sport Through Occupational Health and Safety a Thematic Meta-Synthesis Exploring Abuse within Elite Adult Sport Contexts. International Journal of Sport Psychology, 55(1), 1-31.

I sistemi di gestione della salute e sicurezza sul lavoro (OHSMS) promuovono ambienti di lavoro sani regolando i rischi e le attività di promozione della salute.

L’abuso all’interno degli sport d’élite è uno dei rischi che minacciano la salute e la sicurezza degli atleti adulti d’élite. Nonostante l’esistenza diffusa di linee guida basate su prove per proteggere gli atleti giovani, poche salvaguardie sono state sviluppate per gli atleti adulti d’élite, nonostante lo sport sia la loro occupazione principale.

Attraverso una prospettiva critica realista, abbiamo utilizzato una meta-sintesi tematica per cercare, valutare e sintetizzare 20 articoli condotti con atleti adulti d’élite che hanno subito abusi.

Presentiamo tre temi per evidenziare: (a) come i tipi di abuso (sessuale, psicologico, fisico e finanziario) siano fluidi e si amplino nel tempo, (b) i fattori contestuali che influenzano l’abuso (individuali, relazionali, strutturali, culturali), e (c) gli impatti temporali dell’abuso durante la prima parte della carriera, la fase finale  e il post-carriera sportiva degli atleti.

Il presente lavoro viene discusso in relazione al presunto progresso degli OHSMS e dello sport sicuro attraverso la protezione degli atleti dai rischi presenti all’interno dei loro ambienti lavorativi.

Prima spedizione alpinistica al femminile sul K2

Settant’anni dopo l’ascensione italiana al K2,  il Cai si prepara andando oltre la dimensione della pura impresa sportiva: 9 donne – quattro atlete italiane, quattro pakistane e una dottoressa – a giugno partiranno per  la seconda vetta più alta della terra pronte a lasciare una traccia nello sport italiano, ma anche  un’impronta a livello sociale e umano.

Federica Mingolla, Silvia Loreggian, Anna Torretta, Cristina Piolini, Samina Baig, Amina  Bano, Nadeema SaharSamana Rahim e la dr. Lorenza Pratali: sono state le protagoniste  della giornata di presentazione del progetto organizzato da Cai con EvK2CNR, associazione  che si occupa di ricerca scientifica e tecnologica in alta e altissima quota.

Non si tratterà solo di un’impresa sportiva ma di un’esperienza condivisa che potrà creare dei  legami forti, un connubio di sfide, gioie e difficoltà che lasceranno un segno nella personalità  di ciascuna di loro. L’obiettivo è raccontare il punto di vista femminile nel contesto di una  spedizione himalayana che vede scalare insieme alpiniste che provengono da mondi e culture  differenti.  A coordinare le alpiniste, sarà Agostino Da Polenza, professionista di grandissima esperienza  e profondo conoscitore di quelle montagne.  Il progetto partirà con delle giornate di training sul Monte Bianco (15-18 marzo) dove le  alpiniste si prepareranno per affrontare il K2.

Maledetti rigori

Ancora una volta sono stati i rigori a decidere il risultato di una partita importante come quella a eliminazione diretta tra Atletico Madrid e Inter.

La storia del calcio ad altissimo livello è costellata di fallimenti clamorosi, come fu ad esempio l’errore compiuto da Roberto Baggio nella finale della Coppa del Mondo con il Brasile e di altri meno conosciuti che si compiono continuamente sui campi da calcio di tutto il mondo. Il risultato vincente di questo tipo di esecuzioni è dato dall’insieme di due fattori: la concentrazione totale sulla prestazione e il timing.

Il primo fattore comporta da parte del calciatore il sentirsi focalizzato sull’esecuzione ottimale di quel gesto sportivo. Prima di partire per la rincorsa il giocatore è concentrato sulle sensazioni relative al gesto, sapendo che quando ciò avviene anche il risultato è positivo.

In questo modo, prima dell’azione,  dovrebbe effettuare la ripetizione mentale del tiro così da avere in primo piano esattamente ciò che farà nel giro del prossimo minuto. Con questa immagine nella mente il calciatore si prepara all’esecuzione vera e propria.

Il secondo elemento essenziale che ogni giocatore dovrebbe rispettare è il timing previsto per effettuare l’azione. E’ un tempo che tiene in considerazione le preferenze individuali e quelle previste dalle regole del calcio. Spesso si sbaglia un rigore poiché non si è corrisposto a queste esigenze. Si può commettere un errore accelerando troppo la preparazione del tiro, agendo in modo più impulsivo che controllato. Altre volte la preparazione può, invece, risultare troppo lunga, quasi a volere allontanare da se stessi il momento dell’esecuzione.

Un aspetto essenziale di questi compiti di precisione e che è parte del timing e della ripetizione mentale dell’azione di tiro, riguarda l’orientamento dello sguardo del calciatore in quei momenti, poiché è probabile che dove fissa lo sguardo, lì sia rivolta l’attenzione.

Dove guarda un calciatore mentre sta per eseguire un calcio di rigore? Lo ha illustrato in modo letterario ed elegante Eduardo Galeano parlando di un famoso rigore calciato da Meazza:

“Accadde nel Mondiale del 1938. Nelle semifinali, Italia e Brasile giocavano il loro destino, o la va o la spacca. 

L’attaccante italiano Piola crollò all’improvviso, come fulminato da un colpo di pistola, e col suo unico dito ancora vivo indicò il difensore brasiliano Domingos de Guia. L’arbitro svizzero gli credette, soffiò nel fischietto: rigore. Mentre i brasiliani lanciavano grida al cielo e Piola si rialzava scrollandosi la polvere, Giuseppe Meazza collocò la palla sul punto dell’esecuzione. 

Meazza era il bello della squadra. Un piccoletto elegante e innamorato, elegante esecutore di penalty, alzava la testa invitando il portiere come il matador col toro nell’assalto finale. E i suoi piedi, flessibili e sapienti come mani, non sbagliavano mai. Ma Walter, il portiere brasiliano, era bravo nel parare i rigori e aveva fiducia in se stesso. 

Meazza prese la rincorsa, e nel preciso momento nel quale stava per assestare il colpo, gli caddero i pantaloni. Il pubblico restò stupefatto e l’arbitro quasi si ingoiò il fischietto. Ma Meazza, senza fermarsi, afferrò con una mano i pantaloni e vinse il portiere, disarmato da tanto ridere.  Questo fu il gol che lanciò l’Italia verso la finale del campionato”.

Comunque che il rigore rappresenti anche una difficoltà sempre pronta a presentarsi, è confermato dall’analisi delle percentuali di realizzazione dei rigori calciati dalla nazionale italiana nel corso della sua storia. Infatti, i rigori eseguiti dagli azzurri in tutte le competizioni sono stati 86, di cui 67 sono quelli segnati e 19 quelli falliti. Pertanto quelli sbagliati rappresentano il 22% di quelli eseguiti.

 

Gen Z and Millenials: Stress e ansia restano alti

I giovani nati tra il 1996 e il 201o (tra 28 e 14) appartengono alla Generazione Z mentre per Millenial s’intende coloro che sono nati tra il 1980 e il 1995 (tra 44 e 30 anni). Sono distinzioni un po’ rigide perchè queste categorie considerano differenze di circa 15 anni tra i due estremi di età e ovviamente un adolescente che fa la prima superiore a 14 anni è molto diverso da un 28enne che dovrebbe avere già anni di esperienza lavorativa. Lo stesso vale per i Millenial dove una parte ha superato i 40 anni mentre l’altro estremo si affaccia ai 30 anni.

Per cui avendo in mente queste differenze è comunque interessante considerare i dati di una ricerca condotta nel 2023 da Deloitte per analizzare questa tipologia di gruppi. I risultai sono stati i seguenti:

Quasi la metà dei membri della Generazione Z (46%) e quattro Millennial su dieci (39%) affermano di sentirsi spesso stressati o ansiosi sul lavoro.

I loro futuri finanziari a lungo termine, la disponibilità economica quotidiana e la salute/benessere delle loro famiglie sono le principali fonti di stress, così come le preoccupazioni riguardanti la salute mentale e fattori legati al lavoro come carichi di lavoro elevati, squilibrio tra lavoro e vita privata e culture di team poco salutari. La Generazione Z e i Millennial stanno segnalando livelli sempre più elevati di burnout a causa delle pressioni legate al lavoro.

Più della metà dei partecipanti riconosce che i loro datori di lavoro stanno prendendo più seriamente la salute mentale, e che i loro sforzi per migliorare la salute mentale sul posto di lavoro stanno avendo un impatto positivo. Tuttavia, il supporto e le risorse per la salute mentale sono ancora sottoutilizzati, probabilmente a causa dello stigma sociale e lavorativo che li circonda ancora.

La Generazione Z e i Millennial hanno sentimenti contrastanti sull’impatto dei social media sulla loro salute mentale. Quasi la metà dice che hanno un impatto positivo, ma più del 40% affermano che li fanno sentire soli o inadeguati e che si sentono sotto pressione la costante presenza online.

La mentalità dell’allenatore

Riporto questo testo di Vern Gambetta sulla mentalità che dovrebbe possedere ogni allenatore.

Indipendentemente da quanti anni hai di esperienza come allenatore, avvicinati sempre a ciò che fai con la mente del principiante. Non perdere mai questa prospettiva, perché è piena di possibilità. Aiuta a vedere con gli occhi di un bambino. È vedere ciò che è effettivamente lì, invece di vedere ciò che pensiamo ci sia.

Cancella il pregiudizio di conferma. Non aspettarti nulla, e sarai sorpreso da ciò che vedrai. Migliorare, passo dopo passo – alcuni consigli pratici:

  • Avere una visione e una dichiarazione di missione chiaramente definite.
  • Trasforma le parole in azione e vivile nell’allenamento e nella vita.
  • La visione è una dichiarazione di scopo; è il motivo per cui fai ciò che fai.
  • La dichiarazione di missione è una descrizione chiara del percorso; è il modo in cui lo farai.
  • Esercitati nella riflessione quotidiana su te stesso e rendila un’abitudine.
  • Fai il debriefing dopo ogni sessione di allenamento. Può essere formale o informale; fai ciò che si adatta alla tua situazione.
  • Tieni un diario e rispondi a queste domande: Cosa ho pianificato di fare? È stato fatto? È stato eccezionale, medio o buono? Perché sì o perché no? Cosa devo fare meglio la prossima volta? Prendersi il tempo per rispondere a queste domande è un modo semplice ma efficace per migliorare costantemente.
  • Leggi tutto ciò che puoi – libri, articoli, siti web e blog. Impara da chiunque tu possa. Cerca di avere un focus o un tema per orientare la tua lettura. Prendi appunti. Discuti la tua lettura con gli altri. Scrivi – tieni un diario. Collega questo alla tua riflessione su te stesso e al debriefing. Fai appunti sulla tua lettura e sulle cose che senti o leggi. • Fallo da solo – provaci e senti. Non c’è modo migliore per insegnare una competenza che impararla tu stesso. Questo ti darà un’idea di ciò che l’atleta deve fare quando sta imparando.
  • Network & Collaborate – lavora insieme a qualcuno. Insieme è meglio. Cerca opinioni diverse e valutazioni critiche del tuo lavoro. • Trova un mentore sia nell’ambito dell’allenamento che al di fuori di esso. Trova qualcuno che ci sia già passato e sia disposto a condividere successi e fallimenti. Esplora al di fuori del tuo sport e al di fuori dello sport – vai lontano.
  • Ho trovato una ricchezza di idee osservando il pensiero del design. Guarda le arti performative. Sappi ciò che sai e sappi ciò che non sai. Sii sicuro di te, ma non essere mai limitato da entrambi. Ricorda che la comunicazione è l’essenza di un buon allenamento. È anche la pietra angolare per migliorare. Richiede intenzione e attenzione: intenzione affinché il significato sia condiviso e attenzione affinché sia stato condiviso.
  • Fai attenzione! • Osserva – osserva gli allenatori bravi allenare e, per quel che conta, osserva gli allenatori cattivi allenare. Puoi imparare cosa fare e cosa non fare. Guarda e leggi interviste agli allenatori.
  • Specializzati nell’essere un generalista – sentiti a disagio e vai al di fuori della tua area di competenza. Fai collegamenti tra aree apparentemente non collegate. Questo ti permetterà di fare connessioni più diverse per approfondire, così come ampliare, la tua conoscenza.
  • Pratica giornate di allenamento senza tecnologia. Lascia il tuo iPhone e iPad in ufficio. Metti via la GoPro.
  • Fermati! Guarda! Ascolta! Aumenta e affina le tue capacità osservative. Non preoccuparti di ..

Calcio e autismo: Per migliorare le abilità psicosociali e sportive.

Cei, A., Ruscello, B., Sepio, D. (2023). The role of Football in Enhancing psychosocial skills in Youth with Autism spectrum disorderInternational Journal of Sport Psychology, 54(5), 373-388.

I bambini con Disturbo dello Spettro Autistico (ASD) manifestano deficit nell’interazione sociale, nella comprensione dei compiti e nella comunicazione verbale e non verbale (APA, 2013). Diversi studi hanno esaminato il ruolo dell’attività fisica e dello sport nel promuovere l’acquisizione di abilità in queste aree e nel migliorare anche le capacità psicologiche e sociali (ad esempio, Cei et al., 2017; Cei e Luiselli, 2017; Bremer et al., 2016; Luiselli, 2014).

Il motivo principale per aumentare queste attività nei bambini con ASD è contrastare la loro condizione prevalentemente sedentaria (Lalonde, 2017), potenziando il funzionamento del loro corpo, i processi cognitivi ed emotivi, oltre ad arricchire e migliorare le interazioni con i coetanei e gli adulti. Si tratta certamente di obiettivi ambiziosi, ma sono gli stessi sviluppati e valorizzati dai coetanei tipicamente in via di sviluppo nei club sportivi.

Finora, la diffusione dei programmi di attività fisica nei giovani con ASD è stata trascurata, anche se i dati della ricerca mostrano benefici motori, psicologici e sociali dalla pratica continuata nel tempo. Inoltre, lo sport può servire come supporto efficace per le terapie che coinvolgono questi giovani. Nonostante questi risultati positivi, è più probabile che un giovane con disabilità intellettive conduca uno stile di vita sedentario, il che a sua volta contribuisce a problemi come l’obesità, le malattie cardiovascolari e i disturbi respiratori (De, Small e Baur, 2008; Kahathuduwa et al., 2019).

Al contrario, il coinvolgimento in programmi di attività fisica, anche a livelli moderati di intensità, può migliorare la flessibilità, aumentare la forza muscolare, ridurre il peso e l’indice di massa corporea. Influisce anche sulle questioni psicologiche riducendo le difficoltà comportamentali (riduzione dei movimenti stereotipati e dei comportamenti auto-stimolanti), migliorando l’autostima e sviluppando le funzioni cognitive (Luiselli, 2014; Sowa e Meulenbroek, 2012).

Importanti revisioni della letteratura hanno evidenziato che le attività coinvolgono principalmente sport individuali come corsa, ciclismo, sollevamento pesi, pattinaggio, equitazione, camminata e attività acquatiche e l’uso del tapis roulant (Bremer et al., 2016; Lang et al., 2010; Sowa e Meulenbroek, 2012; Lancioni et al., 2009). Questi studi hanno dimostrato che esercizi brevi e intensi possono facilitare l’apprendimento e ridurre i problemi comportamentali durante e immediatamente dopo le sessioni di allenamento.

Il motivo per cui gli sport individuali sono stati utilizzati più frequentemente rispetto ad altri sport risiede nella presunta facilità di insegnare strategie e nella riduzione delle attività cooperative pratiche e nello sviluppo delle abilità sociali rispetto agli sport di squadra. Tuttavia, gli sport di squadra e le attività di gruppo potrebbero facilitare quei comportamenti prosociali e la comunicazione interpersonale che giocano un ruolo più marginale nelle attività individuali.

Per affrontare questa necessità, Cei et al. (2017) hanno sviluppato un intervento naturalistico per studiare gli effetti di un programma di allenamento basato sul calcio sui bambini con ASD. Nella fase iniziale, il progetto “Calcio Insieme” ha reclutato 30 bambini (6-13 anni) con ASD dalle scuole pubbliche.

Per valutare l’impatto del programma di allenamento sulle competenze psicosociali (collaborazione, comunicazione, socializzazione, comportamenti problematici, auto-supporto), sono stati condotti interviste con genitori e insegnanti prima e dopo il periodo di formazione. I risultati hanno mostrato che dopo 8 mesi di attività, genitori e insegnanti hanno percepito che i partecipanti avevano migliorato le loro competenze psicosociali e motorie, con differenze basate sulla gravità della loro condizione.

 

 

Il ruolo dell’allenatore e dello psicologo nello sviluppo del giovane

Per insegnare ai giovani atleti a gareggiare con soddisfazione, traendo piacere dal confronto con l’avversario e dal risolvere le difficoltà che di solito sono presenti in gara è necessario che allenatore e psicologo lavorino insieme per guidarli in questa esperienza.

Oggi i ragazzi vivono spesso con insicurezza le situazioni competitive rispetto al passato. Come detto più volte, una importante causa di questa condizione psicologica deriva dall’essere cresciuti dall’infanzia all’adolescenza in ambienti quasi sempre organizzati dagli adulti, in cui il gioco da loro gestito in modo autonomo è stato ed  continua a essere quasi del tutto assente. In queste situazioni sono sempre presenti adulti che insegnano loro come fare, creando così un circolo vizioso in cui insegnanti, familiari e allenatori organizzano in modo totale la loro vita.

In tal modo i giovani devono costantemente rendere conto dei loro comportamenti a un adulto e raramente sono liberi di comportarsi in modo spontaneo.

Questo modo di vivere porta i giovani a non sentirsi mai completamente responsabili delle loro azioni, a non imparare a correggersi da soli e a non decidere mai su come fare un’attività poichè è già organizzata e loro sono chiamati a fruirla rispettandone le regole.

Questa è una delle ragioni per cui questi stessi giovani tendono a diventare poco autonomi e a sviluppare una condizione psicologia di scarsa fiducia verso se stessi. Su questa base nessun professionista può da solo risolvere la situazione. L’allenatore non può inventarsi psicologo ma insieme devono integrare le loro competenze per favorire lo sviluppo sportivo e psicologico dei giovani con cui lavorano.

E’ piuttosto ovvio che i giovani possano essere più influenzati dal tecnico per la ragione che trascorre con loro tutto il tempo dedicato allo sport, rispetto allo psicologo con cui hanno rapporto non così quotidiano. Tuttavia sono gli adulti per primi, allenatore e psicologo, che devono interagire spesso fra loro per decidere come agire con i ragazzi, ognuno nel rispetto delle diverse professionalità per rendere sempre più autonomi i giovani con cui lavorano.

E’ un lavoro di scambio che si dovrebbe svolgere su base settimanale, come un vero e proprio allenamento che si sviluppa in modo graduale. Sarebbe un errore grave se il lavoro dell’allenatore prendesse il sopravvento anche nell’area psicologica poiché non ne possiede le competenze.

Camminare fa bene ma almeno più di 2200 passi

Ci viene detto da anni che camminando 10.000 passi al giorno riduce il rischio di malattie cardiache e morte prematura, anche in chi trascorre il resto della giornata in modo sedentario.

Ora recenti indagini hanno messo in evidenza che il minimo numero di passi  è di 2.200 al giorno e che i rischi sulla salute si riducono mano a mano che aumentiamo i passi durante la giornata.

Il rischio si riduce di molto tra le persone che fanno dai 9.000 ai 10.500 passi al giorno. il rischio di morte prematura del 39% e il rischio di un attacco di cuore o ictus di oltre un quinto.

Anche se i risultati hanno mostrato che qualsiasi numero di passi giornalieri superiori a 2.200 al giorno era associato a tassi più bassi di morte e malattie cardiache, indipendentemente dal tempo trascorso seduti, i benefici aumentano con l’aumentare dei passi effettuati dalle persone.

Questi nuovi studi indicano che ogni singolo passo verso il raggiungimento dei 10.000 passi al giorno conta per ridurre il rischio di morte e malattie cardiache.

Quindi restiamo attivi per la salute  come viene detto, attraverso 150 minuti di esercizio moderato alla settimana. E in qualsiasi modo bisogna avvicinarsi a camminare raggiungendo 10.000 passi al giorno.

Siamo ridotti veramente male se le organizzazioni mondiali che si occupano delle promozione della salute devono ricordarci di camminare, di svolgere cioè la più semplice e naturale azione che un umano può compiere.

bisogna seguire comunque questa indicazione, perchè come si dice “ne va della salute”.

Attività fisica e cura delle psicopatologie

Singh B, Olds T, Curtis R, et al. Effectiveness of physical activity interventions for improving depression, anxiety and distress: an overview of systematic reviews.British Journal of Sports Medicine 2023; 57:1203-1209.

I disturbi di salute mentale sono tra le principali cause del carico globale di salute, con costi individuali e sociali significativi. Nel 2019, una persona su otto (970 milioni) nel mondo è stata colpita da un disturbo di salute mentale e quasi una su due (44%) sperimenterà un disturbo di salute mentale durante la sua vita. I costi globali annuali dei disturbi di salute mentale sono stati stimati a 2,5 trilioni di dollari (USD), con una proiezione di aumentare a 6 trilioni di dollari (USD) entro il 2030. La depressione è la principale causa del carico di malattie correlate alla salute mentale, mentre l’ansia è il disturbo di salute mentale più diffuso. Inoltre, la pandemia di COVID-19 è stata associata ad un aumento dei tassi di disagio psicologico, con una prevalenza che varia tra il 35% e il 38% in tutto il mondo.

Il ruolo degli approcci di gestione dello stile di vita, come l’esercizio fisico, l’igiene del sonno e una dieta sana, varia tra le linee guida cliniche nei diversi paesi. Nelle linee guida cliniche degli Stati Uniti, la psicoterapia o la farmacoterapia sono raccomandate come approcci di trattamento iniziale, con gli approcci dello stile di vita considerati come “trattamenti alternativi complementari” quando la psicoterapia e la farmacoterapia sono “inefficaci o inaccettabili”. In altri paesi come l’Australia, la gestione dello stile di vita è raccomandata come approccio di trattamento di prima linea, anche se nella pratica, spesso viene fornita prima la farmacoterapia.

Sono stati condotti centinaia di studi sulla ricerca sugli effetti dell’attività fisica (PA) sulla depressione, l’ansia e il disagio psicologico, molti dei quali suggeriscono che l’attività fisica possa avere effetti simili alla psicoterapia e alla farmacoterapia (e con numerosi vantaggi rispetto alla psicoterapia e alla farmacoterapia, in termini di costo, effetti collaterali e benefici per la salute accessoria). Nonostante le prove dei benefici dell’attività fisica, questa non è stata ampiamente adottata a fini terapeutici. La resistenza del paziente, la difficoltà di prescrivere e monitorare l’attività fisica nei contesti clinici, così come l’enorme mole di studi in gran parte incommensurabili, hanno probabilmente ostacolato una maggiore adozione pratica.

Le meta-recensioni sono revisioni sistematiche di revisioni sistematiche, offrendo un modo di sintetizzare una vasta base di prove. Sebbene ci siano state diverse meta-recensioni sull’attività fisica per depressione, ansia e disagio psicologico, si sono concentrate su specifici sottogruppi di popolazione, condizioni particolari (ad esempio, solo depressione) o su particolari forme di attività fisica. Ci siamo proposti di realizzare la sintesi più completa fino ad oggi delle prove riguardanti gli effetti di tutte le modalità di attività fisica sui sintomi di depressione, ansia e disagio psicologico nelle popolazioni adulte.