Oggi a lezione mi stato chiesto in che modo un allenatore può insegnare a gestire l’ansi di gara ai giovani che allena. A questo riguardo riporto alcuni paragrafi dal mio libro “Affrontare lo stress”.
Il pensiero svolge un ruolo essenziale nell’affermazione della risposta ansiosa. Infatti per sviluppare comportamenti definibili come ansiosi non è solo sufficiente prendere in esame le alterazioni di carattere fisiologico. Un aumento anche rilevante della frequenza cardiaca lo si può avere per una serie piuttosto ampia di situazioni quali il fare le scale di corsa, il portare un peso eccessivo, il camminare ad una passo veloce e molte altre ancora. Queste condizioni si riferiscono a stati psicologici in cui un individuo potrebbe al più sentirsi stanco o affaticato ma certamente non si definirebbe ansioso. La frequenza cardiaca può essere accelerata anche in altre occasioni, ad esempio le situazioni di valutazione (l’interrogazione a scuola, l’esame all’università, un colloquio di lavoro, una prestazione sportiva, una nuova responsabilità professionale); in quegli istanti mentre si è consapevoli dell’alterazione della propria frequenza cardiaca è possibile avere due tipi di pensieri:
- fiducioso – “E’ così che mi sento ogni volta che faccio bene, il cuore mi trasmette energia,”
- insicuro – “Ho il cuore in gola, mi rimbomba tutto dentro, non ci sto capendo più niente, sbaglierò sicuramente.”
Si evidenzia così che sono i pensieri a determinare in larga parte se le reazioni fisiologiche che si avvertono sono favorenti o ostacolanti la prestazione. E’ quindi il pensiero che guida l’interpretazione delle sensazioni fisiche, per cui identiche condizioni fisiologiche possono essere vissute come adeguate a fornire prestazioni ottimali nonostante, all’apparenza, possano sembrare ostacolanti. Questa puntualizzazione è particolarmente importante da comprendere e soprattutto da ricordare nei momenti che contano, poiché ci attribuisce la possibilità di guidare le nostre azioni attraverso lo sviluppo di pensieri che possiamo noi stessi costruire in modo consapevole. Nello sport di eccellenza questo aspetto è particolarmente evidente, poiché non è certo possibile restare calmi e sereni prima di una finale olimpica, in special modo se si può vincere. Gli atleti sanno che l’ansia che provano è positiva, è energia allo stato puro che stanno provando in quei e che gli dice: “Forza, tutto il corpo è con te, datti da fare, vai e fai quello che sai fare: fai il tuo meglio.” E’ proprio da loro che dovremmo imparare ad avvertire lo stress, a sentire la paura, vivendola come una dimostrazione che stiamo per fare qualcosa che per noi è molto importante, e se è importante come si fa a non avere il cuore il gola?
Quello che distingue chi poi fornirà una prestazione eccezionale è la sua capacità di gestire in termini positivi la sua ansia pre-gara, traducendola in energia che lo spingerà ad esaltare le sue competenze, perché hanno imparato a servirsene in modo positivo In queste situazioni l’atleta vincente non si lascia dominare dalle proprie emozioni, perché se ciò avvenisse sarebbe paralizzato dalla paura di fallire e dalla responsabilità di dovere ad ogni costo fornire una grande prestazione. Ecco cosa hanno detto a questo riguardo alcuni grandi campioni.
“Si è forti di testa se si riesce a rimanere sereni e divertirsi anche quando le cose non vanno bene, e se si riesce a non perdere mai la fiducia in se stessi e nel lavoro di squadra.”(Valentino Rossi, pilota, 7 volte campione del mondo)
“Dipende dai caratteri, la tensione nervosa mi mangiava. Dimagrivo tre chili in gara: più mangiavo, più scendevo di peso. E la notte non dormivo, avevo gli occhi sbarrati. Ero una pila accesa, pronta a saltare dalla troppa tensione.” (Mark Spitz, nuotatore, 7 medaglie d’oro alle Olimpiadi di Monaco ’72) (da E. Audisio, Hackett e il club degli eletti, La Repubblica, 22 marzo 2007)
“Quel giorno a Los Angeles gridai che volevo la mamma, volevo che qualcuno mi cullasse tra le braccia, desideravo essere considerata per la prima volta una creatura fragile, tenera, non a prova di bomba. Sì io ero quella che si dominava, quella che cercava le emozioni forti facendole esplodere nella maniera più giusta. Ma in un attimo mi accorsi che tutto quello stress mi aveva bruciato dentro, che a forza di vivere sempre in bilico convinta che con le mie ultimissime energie mi sarei tirata su, avevo consumato tutto e intaccato anche quella piccola riserva personale che uno si tiene per le occasioni speciali.” (Sara Simeoni, salto in alto, 3 medaglie alle Olimpiadi del ’76, ’80 e ’84) (da E. Audisio, Quanti modi per dire mi arrendo, La Repubblica, 13 luglio 1987)
La constatazione che anche i campioni possono essere ansiosi prima di una gara importante dovrebbe essere di aiuto per tutte le persone. Talvolta si è portati a pensare che i vincenti siano individui freddi e calcolatori, che non provano le stesse emozioni che prova la gente comune e che questa loro condizione è un dono che si portano dietro dalla nascita e che hanno ereditato da qualcuno della loro famiglia. Le loro prestazioni sportive diventano imprese memorabili e così taluni diventano dei miti, in cui il racconto diventa leggenda e supera la realtà dei fatti. Invece anche i campioni hanno faticato per assurgere a questo ruolo e come ha giustamente ribadito un grandissimo scrittore come Ernest Hemingway il genio è 10% talento e 90% sudore.
Ciò significa che la gestione delle proprie emozioni è un’abilità che si può migliorare e che quella condizione psicologica che chiamiamo ansia, stress o tensione eccessiva e che deriva da situazioni che non sono oggettivamente pericolose non è di per se stessa negativa, perché anche chi fornisce prestazioni ai massimi livelli, come i campioni dello sport, può sentirsi molto ansioso prima della gara. La differenza fra le persone è, quindi, nella capacità di uscire positivamente da questo stato psicologico. Un’ulteriore conferma viene dalla notevole diffusione che hanno avuto negli ultimi 100 anni le tecniche di rilassamento; è la dimostrazione pratica di come persone ansiose possono imparare a ridurre queste loro reazioni e a svolgere una vita quotidiana soddisfacente.
E’ noto che l’apprendimento a rilassarsi consiste nell’imparare ad influenzare alcune funzioni fisiologiche (frequenza cardiaca e respiratoria e funzioni viscerali) e la tensione dei muscoli, in parallelo con una graduale distensione mentale. In questo ambito, non è un caso che una fra le tecniche più diffuse, il training autogeno ideato da Schultz nei primi anni del xx secolo, consiste in un allenamento a rilassarsi che l’individuo si genera da se stesso. Allenamento che richiede un’applicazione quotidiana di almeno 10 minuti consecutivi per alcuni mesi. Questa impostazione rivela che lo stato psicologico chiamato rilassamento è una condizione che può essere ottenuta in modo volontario attraverso un’attività che è assolutamente analoga a quella che ogni persona ha effettuato ogni volta che ha imparato qualcosa di nuovo sia esso un’attività cognitiva come è stato a scuola per la matematica e l’italiano o un’attività motoria o sportiva.
Il segreto risiede nella disponibilità a volere imparare, nel seguire un metodo corretto e nella ripetizione per un periodo di tempo sufficiente a sviluppare il livello di abilità che si intende raggiungere o che è necessario per superare con successo determinate condizioni psicologiche, come ad esempio l’ansia prima di un evento personalmente importante.