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La pazienza

Come battere l’angoscia del coronavirus

In questo periodo ci stiamo allenando a gestire la nostra angoscia.

L’angoscia non riguarda nulla di determinato, non ha un oggetto preciso su sui dirigersi. La paura è sempre rivolta verso una situazione che spaventa o preoccupa e che si può affrontare con un processo logico e razionale.

L’angoscia si riferisce a uno stato d’animo che isola l’individuo dal mondo e ci rende preda della nostra insicurezza profonda. L’angoscia esistenziale è il timore di non riuscire a vivere pienamente ciò che per cui ci sta impegnando, perché non vi è alcuna garanzia per sostenere che in virtù delle nostre capacità saremo felici. Bisogna provare e riprovare ancora ma senza sapere se sarà sufficiente il nostro impegno. Il coronavirus genera queste stesse condizioni psicologiche, faccio tutto ciò  che serve per prevenire il virus ma non so se sarà sufficiente e nessuno lo può dire sino a quando non sarà vinta questa guerra con il virus.

Bisogna attendere con pazienza, quindi sviluppare  quella disposizione d’animo di chi accetta e sopporta con moderazione un dolore o un’avversità (Treccani). E’ paziente chi segue le regole imposte dal governo per eliminare i rischi di contagio; poiché la regola è una “norma, ritenuta valida in ogni situazione e vincolante, formulata con un processo logico di astrazione sulla base della tradizione e dell’esperienza (Treccani). Queste vanno seguite con convinzione che corrisponde alla ferma certezza morale o intellettuale, specialmente se è stata acquisita superando dubbi e ragioni contrastanti.

In breve, battiamo la nostra angoscia seguendo regole con pazienza e convinzione.

Le abilità mentali dei vincitori a Baku

Partecipando agli European Games di Baku ho imparato ancora una volta che per fornire un prestazione di alto livello, cioè al meglio delle proprie possibilità sono necessarie pazienza, tenacia e motivazione.

La pazienza è necessaria per mettersi in quella condizione mentale che deve fare ripetere in gara quello che si è preparato in allenamento. Quando non si è in questo stato mentale si diventa facilmente impulsivi, affrettando la propria azione oppure si rallenta per il timore di sbagliare. In ambedue i casi si commette un errore e il proprio gesto sportivo perde di fluidità, velocità e precisione.

La tenacia è necessaria poiché in ogni gara vi sono dei momenti sfavorevoli e delle difficoltà mentali e fisiche da superare con successo. La tenacia indica quanto si è combattivi e persistenti in questo atteggiamento per tutta la gara. Nei momenti di maggiore pressione competitiva o dopo un errore si deve lavorare su se stessi per ritrovare rapidamente la condizione mentale ottimale per oltrepassare questo ostacolo. Molti atleti invece cadono in questa trappola, perché non accettano le difficoltà e non s’impegnano quindi per resettare la mente e con pazienza ritrovare lo stato migliore  prima di continuare. Non sono tenaci, pensano invece che questi errori non dovrebbero accadere e quindi non mettono in atto un piano per correggersi immediatamente.

La motivazione è necessaria perché è espressione dell’intensità con cui si vuole raggiungere un determinato obiettivo. Per esprimersi al proprio meglio l’intensità deve essere massima, altrimenti l’atleta non potrà impegnarsi con pazienza e tenacia. A livello internazionale ogni atleta vuole vincere ma alcuni restano concentrati su questa idea anziché focalizzarsi su cosa fare per realizzare questo scopo. Se si resta bloccati nella prima fase, la motivazione è sterile: è come mandare un motore potente fuori giri perché non si sono messe le marce per partire come si deve.

 

La preparazione mentale nelle ultramaratone

  • Il prossimo 28 giugno centinaia di atleti parteciperanno alla 40^ edizione della Pistoia-Abetone. Ad attenderli ci sarà un duro percorso di 50 km. Possiamo dare qualche consiglio su come affrontare al meglio questa gara?

La pazienza è la prima qualità che deve dimostrare di possedere un ultra-maratoneta. All’inizio della gara ci si deve annoiare, nel senso che il ritmo della corsa deve essere facile ma non bisogna cadere nella tentazione di correre più veloce di quello che si è programmato.

  •  In una competizione così lunga sono inevitabili i momenti di crisi. Come è possibile superarli?

Nella corsa di lunga distanza le difficoltà sono inevitabili, quindi la domanda non è tanto “se ci troveremo in difficoltà” ma “quando verrà quel momento cosa devo fare per superarlo”. La risposta non può essere improvvisata in quel momento ma deve essere già pronta, poiché anche in allenamento avremo incontrato difficoltà di quel tipo. Quindi in allenamento: “come mi sono comportato, che cosa ho pensato, quali sensazioni sono andato a cercare dentro di me per uscire da una crisi?”. In gara abbiamo dentro di noi queste risposte, dobbiamo tirarle fuori. Ogni runner in quei momenti deve servirsi della propria esperienza, mettendo a fuoco le immagini e le emozioni che già in passato gli sono state utili.

  • Malgrado le difficoltà e i sacrifici per affrontare una gara di lunga distanza, il popolo dei maratoneti è in aumento. Come si spiega questa tendenza?

La corsa corrisponde a un profondo bisogno dell’essere umano. Infatti noi siamo geneticamente predisposti alla corsa di lunga distanza e più in generale si può affermare che il movimento è vita mentre la sedentarietà è una causa documentata di morte. Sotto questo punto di vista la corsa si è tramutata nelle migliaia di anni in attività necessaria per sopravvivere agli attacchi degli animali e per procacciarsi il cibo in un’attività che viene oggi svolta per piacere e soddisfazione personale. Inoltre, oggi come al tempo dei nostri antenati, la corsa è un fenomeno collettivo, è un’attività che si svolge insieme agli altri. Per l’homo sapiens era un’attività di squadra, svolta dai cacciatori per cacciare gli animali; ai nostri tempi la corsa soddisfa il bisogno di svolgere un’attività all’aria aperta insieme ai propri amici.

  •  Cosa non bisognerebbe mai fare a livello mentale in una competizione sportiva?

Non bisogna mai pensare al risultato ma concentrarsi nel caso della corsa sul proprio ritmo e sulla sensazioni fisiche nelle parti iniziali e finali della gara. Nella fase centrale è meglio avere pensieri non correlati al proprio corpo.

  •  Chi è per lei un campione?

Chiunque sia in grado di soddisfare i propri bisogni è il campione di se stesso e deve essere orgoglioso di avere raggiunto questo obiettivo personale. Quando invece ci riferiamo con questo termine ai top runner, i campioni sono quelli che riescono a mantenere stabili per un determinato periodo di tempo prestazioni che sono oggettivamente al limite superiore delle performance umane nella maratona e che in qualche occasione sono riusciti a superare.

  •  Nella sua esperienza di psicologo al seguito di atleti partecipanti alle Olimpiadi, c’è un ricordo o un aneddoto che le è rimasto nel cuore?

Prima di prove importanti i campioni provano le stesse emozioni di ogni altra persona. Spesso le percepiscono in maniera esagerata, per cui possono essere terrorizzati di quello che li aspetta. La differenza con gli altri atleti è che invece riescono a dominarle e a fornire prestazioni uniche. Ho vissuto questa esperienza per la prima volta ad Atlanta, 1996, in cui un atleta che poi vinse la medaglia d’argento, non voleva gareggiare in finale perché si sentiva stanco ed esausto. Questa stessa situazione l’ho incontrata in altre occasioni ma questi atleti sono sempre riusciti a esprimersi al loro meglio nonostante queste intense espressioni di paura.

  • Analizzando il panorama dell’atletica italiana, si ha la sensazione che i risultati migliori arrivino da atleti anagraficamente non così giovani come ad esempio negli anni Ottanta e che il vivaio di talenti stenti a decollare. Quale interpretazione possiamo dare di questo fenomeno e come evitare l’alta percentuale di drop-out sportivo nell’adolescenza?

Nel libro intitolato “Nati per correre” di A. Finn e dedicato agli atleti keniani vengono prese in considerazioni molte ipotesi sul loro successo emerge con chiarezza che la molla principale risiede nel loro desiderio di avere successo.

“Prendi mia figlia, ha aggiunto, è bravissima nella ginnastica, ma non credo farà la ginnasta. Probabilmente andrà all’università e diventerà medico. Ma un bambino keniano, che non fa altro che scendere al fiume per prendere l’acqua e correre a scuola, non ha molte alternative all’atletica. Certo anche gli altri fattori sono determinanti, ma la voglia di farcela e riscattarsi è la molla principale” (p.239).

  •  Si può affermare che la pratica di uno sport svolga un ruolo di prevenzione rispetto a disturbi mentali quali l’ansia e la depressione?

Lo sport e l’attività fisica promuovono il benessere se vengono svolte come attività del tempo libero e per il piacere di sentirsi impegnati in qualcosa che si vuole liberamente fare.  Al contrario quando vengono svolte allo scopo di fornire prestazioni specifiche possono determinare, come qualsiasi altra attività umana, difficoltà di ordine psicologico e fisico. Direi che vale anche per lo sport e l’attività fisica la stessa regola che è valida per qualsiasi attività umana. Il problema non proviene da cosa si fa: sport agonistico o ricreativo ma da come si fa: crescita e soddisfazione personale o ricerca del risultato a ogni costo e dagli obiettivi del contesto sociale e culturale nel quale queste attività vengono praticate: sviluppare la persona attraverso lo sport o vincere è l’unica cosa che conta.

(da Runners e benessere, Giugno 2015)

#RealMadridJuventus serve tranquillità e pazienza

Tranquillità e pazienza due parole che riflettono un modo di essere che torna a essere importante prima della semifinale di Champions League Real Madrid – Juventus. Ancelotti dice: “Dobbiamo rimanere tranquilli e concentrati su ogni dettaglio. E’ solo la tranquillità che ti porta a dare il massimo”. Quindi prima la mente e poi la tecnica.

Il nemico è l’impulsività, l’azione senza la mente, la fretta di fare subito goal. Sentire troppo la partita è l’errore da evitare e i primi 20 minuti riveleranno chi fra le due squadre avrà appreso meglio la lezione sulla calma.

Questo atteggiamento tranquillo e paziente costituisce un esempio di maturità in cui l’orgoglio per quanto fatto sinora, la fiducia nelle proprie capacità e la voglia di vincere si fondono così bene insieme che sembrano scomparire nella calma che prepara il momento in cui si dovrà invece affondare per cercare il goal. Chi avrà più calma, saprà aspettare il momento in cui mettere veramente in difficoltà l’avversario.

Il momento è l’altro concetto chiave di questa partita bisognerà costruirlo e giocarlo con efficacia.

 

La prima abilità per vincere è la pazienza

È risaputo che la pazienza è un’abilità mentale importante che permette di tollerare gli errori e gli insuccessi. Consente, infatti, di non dimenticare cosa siamo capaci di fare e di continuare a servirsene per raggiungere i nostri obiettivi. Pertanto chi non ha la pazienza, mentre si rifiuta di accettare gli errori, non viene esentato dal commetterne altri e finisce con il provare sofferenze maggiori.

Genitori e allenatori devono fare proprio questo atteggiamento mentale perché consente loro di mantenere elevata la motivazione e la convinzione che con l’impegno e dedizione i loro figli e atleti potranno gareggiare al meglio di sé. Gli atleti, dal loro punto di vista, devono accettare come ha scritto Ludio Dalla “che la vita è lotta dura, coraggio e la voglia d’inventare”.

Tollerare la frustrazione per vincere

Il tennis è uno sport in cui vince chi tollera meglio dell’avversario la frustrazione dell’errore. E’ infatti un gioco in cui circa ogni 30 secondi viene assegnato un punto a uno dei due giocatori e ciò si ripete per almeno 100 volte e spesso anche di più. Pertanto ogni 30 secondi un tennista gioisce per il punto a suo favore mentre l’altro è frustrato per avere mandato fuori la risposta o per non avere saputo rispondere al colpo dell’avversario. Questa situazione si ripete per un lungo periodo di tempo, non meno di 90 minuti e spesso molto di più. Si può vincere pur commettendo molti errori, alcuni forzati dall’avversario altri meno. Chi non impara a tollerare il fastidio provocato dall’errore è destinato a perdere la partita.

La frustrazione nasce dal non avere messo dentro una palla nonostante le molte ore di allenamento … che c’è di male nell’avere questo stato d’animo? Assolutamente nulla. Pertanto, non bisogna lottare contro questa emozione, bisogna avvertirla senza paura e giungere a tollerarla. E’ ovvio che nessuno è contento di sbagliare … ma bisogna sapere che nel tennis si vince pur sbagliando, non è uno sport di precisione, ma vince chi commette meno errori dell’avversario … un bel respiro profondo e via giocare il prossimo punto fiduciosi nell’allenamento che si è condotto in precedenza.

Non bisogna giocare il punto come se fosse l’ultimo, perché in tal modo la pressione agonistica aumenta e si giocherà con la paura di sbagliare (il braccino del tennista).  Bisogna accettare di avere paura, tollerare i propri errori anche se è fastidioso, servirsi della mente per mostrare sul campo quei comportamenti che trasmettono a se stessi convinzione e mantengono l’avversario sotto pressione anche se è in vantaggio.

Il tennis è un gioco veloce che si sorregge sulla forma fisica e mentale e sulla qualità di gioco del tennista … ma è anche un gioco di pazienza in cui non si può pensare di avere vinto o perso dopo mezz’ora di gioco, sapendo che la partita sarà molto più lunga. Solo chi unisce queste abilità è destinato ad avere una carriera di successo.

E’ paziente solo chi dopo un errore non affretta il suo gioco per recuperare subito lo svantaggio o al contrario lo rallenta con l’intenzione di correre meno rischi. Si mostrerà paziente invece chi accetta la frustrazione derivata dall’errore riportando immediatamente la mente su come giocare in modo efficace il punto successivo, basando questa convinzione su quanto imparato in allenamento e in partita.

Il tennista è un uomo o donna d’azione che nelle pause tra i punti si trasforma per pochi attimi in un pensatore che deve risolvere il problema del gioco seguente.

 

Perchè i keniani sono i migliori corridori sulle lunghe distanze?

Negli ultimi anni i 25 più veloci maratoneti sono stati keniani, sono in tanti a chiedersi come ciò sia possibile e ancora una volta il dibattito è come sempre tra genetica e ambiente.

Maratoneta e manager di un atleta keniano, Tom Payn attribuisce una grande importanza alla componente mentale della corsa e così risponde a : ”La principale cosa che ho imparato dai keniani riguarda il loro atteggiamento mentale, il loro modo di correre, sono rilassati e anche se hanno una prova negativa subito la dimenticano, pensando vincerò la prossima volta e batterò il record. Sono molto fiduciosi e mostrano un eterno ottimismo a riguardo della prossima gara”. Lo stesso concett viene riferito da Boniface Kiprop Kongin, l’atleta che allena e che afferma “per avere successo bisogna essere ottimisti e pazienti”.

Intervista e video sul Guardian

Cambiare non è difficile ma ci vuole pazienza e applicazione

Imparare nuove abilità psicologiche per migliorare le proprie prestazioni non è difficile anzi è abbastanza facile. Nonostante sempre più atleti intraprendano la strada dell’allenamento mentale, molti dopo un breve periodo lo abbandonano pur continuando a pensare che vorrebbero essere più fiduciosi, più concentrati, più tenaci e così via. Ciò avviene perchè molti pensano che la preparazione psicologica sia qualcosa che si può imparare in qualche mese (pochi comunque) e che poi in modo spontaneo quando si andrà in gara si sarà mentalmente pronti. Infatti molti atleti hanno difficoltà a capire che la preparazione psicologica alla gara è una vera e propria forma di allenamento e che come avviene per l’allenamento fisico e quello tecnico che non hanno mai termine lo stesso vale per quello mentale. Significa che bisogna impegnarsi a migliorare mentalmente ogni giorno che si dedica al proprio sport, non ci possono essere scorciatoie.