Archivio mensile per gennaio, 2024

Lo smartphone in classe determina distrazione e prestazioni più negative

Arnold L. Glass & Mengxue Kang (2019) Dividing attention in the classroom reduces exam performance,Educational Psychology, 39:3, 395-408

Quando agli studenti è permesso utilizzare telefoni, tablet o altri dispositivi a fini non accademici durante le lezioni in aula, ottengono risultati peggiori negli esami finali, secondo uno studio della Rutgers University–New Brunswick.

Lo studio, pubblicato in Educational Psychology, ha anche scoperto che gli studenti che non utilizzano dispositivi elettronici in classe, ma partecipano a lezioni in cui il loro utilizzo è consentito, ottengono comunque risultati inferiori, suggerendo che l’uso di telefoni e tablet danneggia l’ambiente di apprendimento di gruppo.

“Molti studenti dedicati pensano di poter dividere la loro attenzione in classe senza compromettere il loro successo accademico, ma abbiamo riscontrato un effetto insidioso sulle prestazioni degli esami e sulle votazioni finali”, ha dichiarato il ricercatore principale Arnold Glass, professore di psicologia presso la School of Arts and Sciences di Rutgers–New Brunswick. “Per gestire l’uso dei dispositivi in classe, gli insegnanti dovrebbero spiegare agli studenti l’effetto dannoso delle distrazioni sulla ritenzione, non solo su di loro, ma per l’intera classe.”

Glass, insieme alla studentessa laureata Mengxue Kang, ha guidato l’esperimento per testare se consentire agli studenti di dividere la loro attenzione tra i dispositivi elettronici e il docente influenzasse le prestazioni nei test svolti durante la lezione e negli esami finali.

L’esperimento ha coinvolto 118 studenti di psicologia cognitiva di Rutgers–New Brunswick durante un semestre del loro corso. I laptop, i telefoni e i tablet erano vietati durante metà delle lezioni e consentiti durante l’altra metà. Quando i dispositivi erano permessi, agli studenti veniva chiesto di registrare se li avevano utilizzati a fini non accademici durante le lezioni.

Lo studio ha rilevato che l’utilizzo di un dispositivo non abbassava i punteggi degli studenti nei test di comprensione durante le lezioni, ma riduceva i loro punteggi negli esami finali di almeno il 5 percento, ovvero mezzo voto. Questo risultato dimostra per la prima volta che l’effetto principale della divisione dell’attenzione in classe è sulla ritenzione a lungo termine.

Inoltre, quando l’uso dei dispositivi elettronici era consentito in classe, le prestazioni erano inferiori sia per gli studenti che li utilizzavano sia per quelli che non li utilizzavano.

Questo è il primo studio effettuato in una classe reale che mostra una relazione causale tra distrazioni da un dispositivo elettronico e le prestazioni successive negli esami.

Non c’è nulla da fare contro lo stress quotidiano?

Parlare di stress è facile, tutti viviamo cambiamenti improvvisi del nostro umore, basta una telefonata, un errore, ma spesso proprio per questa facilità a sentirsi stressati si acquisisce l’abitudine a pensare che non si può nulla contro questa condizione psicologica. Poi ci sono gli paranti ottimisti che vanno dicendo in giro, che non bisogna preoccuparsi tanto a un certo questo fastidio passerà.

Non è solo questione di pensieri perchè lo stato ansioso si trasforma in comportamenti che si mettono in atto, per distrarsi da questo stato psicologico che non piace, i più attivi a questo punto mettono in moto comportanti che vorrebbero allontanarli da questo disagio: per cui alcuni mangiano, altri bevono alcolici, altri ancora vanno a dormire troppo tardi per potersi addormentare subito e dimenticarsi di se stessi, e così via.

Lo spavento domina queste azioni e pensieri e un po’ alla volta si consolida per cui s’impara a convivere con questo disagio psicologico perchè lo si considera inamovibile,  molti si considerano anche sfortunati perchè frequentano altre persone che a loro avviso non soffrono a causa dello stress. Quando questo pensiero magico, la sfortuna, si accoppia con il disagio psicologico, si diventa più remissivi e passivi e si potrebbe cominciare a pensare che non c’è nulla da fare.

Ora la domanda seguente è come fare per uscire da questo tunnel di passività.

La verità è che vivere spaventati o pensare che non ci sia nulla da fare fa male. Il coraggio sta nell’imparare a conoscersi, accettarsi e rinascere.

 

I pensieri di chi vince

Grandi prestazioni richiedono pensieri profondi che conducono all’accettazione della propria ansia e di qualsiasi stato emotivo l’atleta.

Ecco alcuni esempi di grandi campioni italiani.

Giovanni Pellielo (tiro a volo, 4 medaglie olimpiche, 4 ori mondiali)

L’ultima delle serie di selezione è stata la più pesante, ho fatto zero al penultimo bersaglio in prima pedana, ho chiuso con ventitre ed è stata la serie in cui ho sofferto di più perché bisognava fare il risultato in condizioni difficili e con un carico emotivo altissimo in quanto ero comunque l’uomo che aveva vinto due medaglie alle Olimpiadi. Diciamo che in quell’occasione tutti i fantasmi sono arrivati alla mente: è stato difficile chiudere quel risultato ma l’ho chiuso. Poi ho pensato alla finale facendo riferimento al bagaglio di quattro anni d’esperienza e ho rivissuto tutto quello che avevo fatto nell’ultimo anno a livello di preparazione soprattutto psicologica così da affrontare la finale come io volevo e desideravo.

Valentina Vezzali (6 ori olimpici)

Ho un grande rispetto dell’avversario al punto da tremare come una foglia prima dell’inizio di ogni competizione. Quando mancano dieci minuti all’incontro, mi sembra di ritornare all’esame di maturità. Provo la stessa angoscia.

Jannik Sinner (tennis, 1° italiano a vincere un torneo dello slam dopo 48 anni)

Io sotto pressione? Niente in confronto a quella di un chirurgo o di un capofamiglia che deve mettere in tavola la cena. Mantenere una famiglia o non sapere se ti entra un razzo in casa, questa è pressione. Giocare a tennis è un privilegio, una cosa di cui sentirsi onorati.

Incredibile Sinner: “ora mi rimetto a lavorare”

Un amico mi ha appena inviato questo testo che ha mandato ai suoi giocatori e giocatrici.

Ragazzi stampatevelo addosso. Questo ha appena fatto la storia e già parla di come può allenarsi meglio....
Questo è la quintessenza del modo in cui vanno fatte le cose, a prescindere tu sia un tennista o un imprenditore

Infatti Sinner ha risposto proprio in questo modo:

E adesso? Tante cose cambieranno. «Ma che cosa? Io sono sempre lo stesso ragazzo dell’altroieri. Il momento è bellissimo, ma adesso ci tranquillizziamo e ci rimettiamo in riga».

In che senso? «Semplice: c’è tanto lavoro da fare, e non vedo l’ora perché mi piace. Abbiamo realizzato una cosa bella, che ci fa capire che sto facendo le cose giuste. Quindi l’importante è vivere in modo sereno con il mio team e lavorare perché gli avversari ormai mi conoscono, s’è visto a Melbourne e dunque devo migliorare tanto».

Calcio: come eravamo

Non è nostalgia del passato. E’ conoscere da dove veniamo e riflettere dove siamo arrivati oggi nel calcio. Nel Milan di Rocco il genio di cui parla era Gianni Rivera.

60 anni dopo, al netto delle differenze di gioco, gli asini hanno studiato.

Le strategie mentali dei maratoneti

Per gli psicologi dello sport lo studio delle strategie cognitive dei fondisti è particolarmente interessante, in quanto questi atleti si sottopongono a un elevatissimo stress psicofisico durante il quale devono fornire il meglio di sé.

Il primo studio sistematico condotto sulle strategie cognitive dei fondisti è stato effettuato da Morgan e Pollock [1977], su un campione composto da atleti di livello mondiale e da mezzofondisti di livello inferiore. Per classificare le strategie utilizzate durante la corsa gli autori hanno utilizzato i termini associazione e dissociazione.

Nella prima condizione gli atleti si focalizzano sulle sensazioni provenienti dal loro corpo e sono consapevoli dei fattori fisici fondamentali per quel tipo di prestazione. Nella strategia di dissociazione, invece, i pensieri dell’atleta sono concentrati su qualsiasi cosa, eccetto che sulle sensazioni corporee.

Durante la competizione le strategie cognitive del gruppo di élite rispetto a quelle dell’altro gruppo si differenziano in funzione di queste due caratteristiche. Infatti, per contrastare gli stimoli dolorosi gli atleti di livello inferiore si servono della strategia dissociativa, mentre quelli di élite usano quella associativa e conseguentemente modulano il loro passo.

Inoltre, durante la corsa i maratoneti esperti non attribuiscono molta importanza alla cosiddetta zona del dolore, per almeno due motivi che li differenziano dai meno esperti. Il primo si riferisce alla loro superiorità fisiologica, che gli permette di correre al loro limite incontrando un grado minore di difficoltà. Il secondo, riguarda il fatto che evitano questa zona del dolore, poiché sono capaci di autoregolarsi durante l’intero arco della corsa, basandosi proprio sulle loro sensazioni interne.

Nello specifico nella fase associativa il podista, nello sforzo di massimizzare la prestazione e ridurre al minimo i disagi o le sensazioni dolorose, si focalizza continuamente sulle sensazioni fisiche quali sono la respirazione, la temperatura, la pesantezza dei polpacci e delle cosce e le sensazioni addominali. Questa modalità cognitiva è abbastanza impegnativa per gli atleti, in quanto richiede l’abilità di concentrarsi per lunghi periodi di tempo. La fase dissociativa si presenta quando l’atleta in modo volontario si distrae dai feedback sensoriali che incessantemente riceve dal corpo.

In sintesi:

  • Associazione e dissociazione dovrebbero essere considerate come i due poli estremi di un continuum e non interpretate in termini dicotomici, specialmente quando vengono usate nella corse di lunga distanza.
  • L’uso delle strategie associative è maggiormente correlato con prestazioni di lunga distanza veloci rispetto all’uso delle strategie dissociative.
  • In gara i runner preferiscono servirsi di strategie associative (focalizzazione sul monitoraggio dei processi del corpo e controllo della strategia di gara). Invece, in allenamento si servono maggiormente di strategie dissociative, sebbene queste due strategie sono comunque utilizzate in ambedue i contesti.
  • La dissociazione è inversamente correlata con la consapevolezza fisiologica e i sentimenti derivati dalla percezione dell’intensità dello sforzo profuso. Ciò è stato maggiormente evidenziato negli studi di laboratorio.
  • La dissociazione non aumenta la probabilità d’infortunarsi e può ridurre la fatica e la monotonia della corsa e delle corse svolte a scopo ricreativo.
  • L’associazione può consentire all’atleta di continuare a gareggiare anche in presenza di un dolore sensoriale.
  • La dissociazione dovrebbe venire utilizzata come tecnica di allenamento da chi vuole aumentare la sua adesione all’esercizio, perché permette di percepire in modo migliore e più piacevole il fine dell’esercizio.
  • All’aumento del carico dell’allenamento si verifica uno spostamento da strategie dissociative a strategie associative, così da incrementare la concentrazione dell’atleta sul compito che dovrà svolgere.
  • Quando si utilizza un focus attentivo rivolto verso se stessi, per aumentare l’efficienza della corsa, ci si dovrebbe concentrare sulle sensazioni del corpo piuttosto che sulle risposte automatiche  come il respiro e i movimenti della corsa.

L’efficacia collettiva negli sport di squadra

Negli sport di squadra è bene ricordare che per vincere «La squadra campione batte una squadra di campioni», a indicare che anche la squadra ideale composta da soli campioni deve comunque integrare le competenze di ognuno coordinandole in modo efficace, nonostante possegga a priori un migliore potenziale qualitativo a livello individuale.

Per integrare le competenze è necessario distinguere fra la competenza acquisita attraverso l’esperienza di giocare un determinato sport e l’esperienza di giocare in una particolare squadra.

L’importanza di questa distinzione è stata messa in evidenza da studi che hanno evidenziato che la conoscenza condivisa è importante per la coordinazione della squadra e che si giunge a condividere la conoscenza con altri membri della squadra giocando quello sport ma anche giocando in quella particolare squadra.

La conoscenza condivisa è anche acquisita prima di una data partita attraverso una pianificazione esplicita. Gli allenatori abitualmente forniscono ai giocatori informazioni sulle azioni previste dalla squadra comunicando loro piani d’azione per affrontare gli avversari. La pianificazione può avvenire a diversi livelli di funzionamento della squadra

A livello più generale, si stabiliscono i risultati che si vogliono ottenere, ad esempio “vincere 2-0″. La pianificazione a questo livello implica una decisione su quale risultato perseguire.

A livello immediatamente inferiore, il disegno si riferisce all’approccio comportamentale generale adottato per manifestare un determinato atteggiamento, come ad esempio il “gioco aggressivo” e la decisione su quale progetto impiegare è definita schema.

Successivamente, le procedure costituiscono specifiche sequenze di azioni di tipo globale come “attaccare dal centro”. La pianificazione a questo livello implica una decisione, chiamata strategia, su quale procedura (o procedure) impiegare.

Al livello più basso, le operazioni costituiscono azioni di microlivello come “il giocatore X dovrebbe tentare, quando possibile, di passare al giocatore Y”. Una decisione a questo livello su quale operazione impiegare è chiamata tattica.

Mentre la pianificazione può avvenire a qualsiasi livello di astrazione, il disegno e cioè il progetto di partita che coinvolge solo i livelli più alti pone pochi vincoli su come quel piano di azione potrebbe essere implementato ai livelli inferiori. Per esempio, nel calcio il progetto di “giocare in attacco con elevata intensità” fornisce pochi vincoli specifici sulle selezioni momento per momento dei giocatori a livello operativo durante la partita, consentendo flessibilità nell’uso delle tattiche per attaccare con elevata intensità.

Mental coaching negli sport ad alta intensità

Birrer, D. and Morgan, G. (2010), Psychological skills training as a way to enhance an athlete’s performance in high-intensity sports. Scandinavian Journal of Medicine & Science in Sports, 20: 78-87.

Negli sport professionali e semi-professionali di oggi, la sottile linea che separa la vittoria dalla sconfitta si sta progressivamente assottigliando. Già ai Giochi Olimpici di Pechino del 2008, la differenza tra il primo e il quarto posto nelle gare di canottaggio maschile era in media dell’1,34%, mentre l’equivalente per le donne era solo dell’1,03%. Questa crescente densità di prestazioni crea una pressione enorme. Non sorprende quindi che negli ultimi anni sia stata riconosciuta l’importanza dell’allenamento psicologico delle competenze (PST) e che sia aumentato il numero di atleti che utilizzano strategie di allenamento psicologico.

Il presente lavoro si propone di analizzare l’effetto del PST sul progresso delle prestazioni di un atleta, con particolare attenzione a un gruppo di sport che comportano un carico ad alta intensità. Gli sport ad alta intensità (HIS) sono caratterizzati da una durata dell’impatto compresa tra 1 e 8 minuti, con un’intensità d’impatto molto elevata e un’erogazione di potenza continua per tutta la fase della prestazione. Esempi tipici di HIS sono il canottaggio, il nuoto, la corsa su pista di 800 e 1500 m, il ciclismo su pista e la canoa in acqua piatta.

Quello che sembra essere cruciale per fornire prestazioni al massimo livello è la presenza della paura del fallimento. L’impatto psicologico e fisico della paura sono numerosi. Influisce sullo stato affettivo degli atleti, può ridurne la motivazione ad allenarsi e competere, influire sulla fiducia in sé stessi degli atleti e sulle loro abilità volitive ed attentive, genera sentimenti di ansia e aumenta la tensione muscolare, che può portare a perdita di coordinazione.

Diverse strategie sono state proposte per modificare il loro stato di attivazione: tecniche psicologiche di stimolazione o di riduzione dell’attivazione, coinvolgendo auto-dialogo, immaginazione, attività fisica, rilassamento breve o guidato; routine pre-performance e performance; strategie di esercitazione mentale; gestione dello stress e strategie di potenziamento dell’umore.

La maggior parte delle ricerche mostra che queste strategie possono ridurre l’ansia o l’interpretazione dei sintomi dell’ansia da performance come debilitanti. Quasi tutti gli studi non sono riusciti a dimostrare un impatto chiaro sulla performance. Una ragione potrebbe essere che non è ancora chiaro se e quando l’ansia o la paura esercitano un effetto benefico, quale livello di attivazione facilita la performance e in quali condizioni lo stesso livello potrebbe essere debilitante.

È rilevante il riconoscimento precoce e il controllo dei sintomi d’ansia associati a prestazioni superiori negli atleti d’elite. Questa affermazione indica che due fattori sono importanti per gli atleti:

  1. Conoscere il loro stato individuale di attivazione facilitante la performance prima e durante la competizione.
  2. Essere consapevoli del loro attuale stato di attivazione e di come poterlo influenzare perchè diventi un fattore facilitante la performance.

Tuttavia, considerando la quantità di ricerche condotte in questo settore, c’è sorprendentemente poca conoscenza specifica dello sport riguardo al livello ottimale individuale di attivazione.

Gli atleti possono interpretare l’intensità dei sintomi legati all’ansia o all’attivazione come facilitanti (gli atleti vengono chiamati “facilitatori”) o debilitanti (gli atleti vengono chiamati “debilitatori”) rispetto alla performance e questa differenziazione potrebbe essere critica nel favorire l’efficacia della gestione pre-competizione. Facilitatori e debilitatori sperimentano più o meno gli stessi sentimenti nelle fasi precedenti a una competizione, ma l’intensità è inferiore nei facilitatori.

I facilitatori sembrano capaci di utilizzare un repertorio di abilità psicologiche, che permette loro di reinterpretare le sensazioni cognitive e somatiche negative come facilitanti per la performance. Al contrario, i debilitatori cercano di utilizzare le stesse abilità psicologiche ma non sono in grado di controllarle internamente, sperimentando una perdita di controllo (incapacità di raggiungere uno stato pre-performance positivo), una fiducia inferiore e una interpretazione debilitante continua dell’input sensoriale mostrano che potrebbe essere possibile ristrutturare l’interpretazione degli atleti di sintomi di ansia e fiducia con:

  • interventi multimodali (immaginazione, razionalizzazione, ristrutturazione cognitiva, definizione degli obiettivi e auto-dialogo),
  • effetti positivi sulla loro fiducia,
  • valutazione dell’ansia e delle loro performance.

Dottori di ricerca ansiosi e depressi

L’Associazione dottori e dottorandi italiani ha condotto una ricerca su  7.000 iscritti a un dottorato che hanno risposto al questionario posto e che hanno messo in luce che quasi la metà degli studiosi del gradino più alto dell’istruzione-formazione del Paese abbia una salute mentale ad alto rischio.

  • 27 %  riporta punteggi classificati come gravi o molto gravi su una scala che valuta l’ansia, il 36% denuncia una situazione simile per quanto riguarda la depressione e il 37% per lo stress. Dati più alti di quelli riscontrati nella popolazione generale ma anche di quelli dei colleghi dottorandi e dottorande all’estero. Solo il 52% non presenta alcun punteggio grave.
  • 20% ha valori gravi nelle tre dimensioni psicopatologiche: stress, ansia, depressione.
  • 16.243 euro (1.195 netti al mese) è l’importo lordo minimo fissato dal ministero dell’Istruzione e della Ricerca per una borsa di dottorato. Il potere di acquisto è in calo dell’8,7 per cento rispetto a 15 anni fa e del 9 per cento rispetto al valore del 2020.
  • 61,6%  dei dottorandi è nella fascia tra 1.100 e 1.200 euro al mese, il minimo della borsa. Il 9%  è al disotto. Meno di un terzo del campione, quindi, supera i 1.200 euro mensili e solo il 18,6%  supera i 1.300 euro mensili.
  •  24 città su 40  ospitano l’80,2% del totale dei posti di dottorato in Italia. L’affitto di un monolocale di 35 metri quadrati in centro è superiore al 30 per cento della borsa.
  • 52% non riuscirebbe a sostenere una spesa imprevista di 400 euro, e solo il 26% supera la soglia determinante di 800 euro, “quella utilizzata nelle statistiche ufficiali per determinare lo stato di povertà”.
  • 88% percepisce la precarietà del ruolo e oltre il 50% inizialmente intenzionato a rimanere nel mondo accademico dichiara di aver cambiato idea.
Essere brave e bravi in Italia è una disgrazia.

Emma 90 anni e il piacere della pressione pre-gara

Quale migliore invito a praticare sport di quello di Emma Maria Mazzenga, che a 90 anni ha abbattuto di ben 6 secondi il vecchio record del mondo sui 200m, che resisteva da 20 anni,  correndo questa distanza in 54.47  secondi : “Mi alleno tre volte a settimana, ho partecipato a Mondiali ed Europei. In gara sento la tensione, alla fine i muscoli sono indolenziti ma lo spirito sta molto meglio”.

Talvolta è vero che tutto è possibile. Ci sono persone come Emma che s’impegnano per il piacere di farlo: “Mi diverto, posso frequentare tante persone, con me sono tutti gentilissimi. E poi l’agonismo mi è sempre piaciuto: ho lo spirito della gara”.

Hanno il piacere di vivere l’emozione della gara, che invece blocca molti giovani atleti: “Eh sì, ero in tensione. Anche se i 200 li affronto abbastanza facilmente, al traguardo arrivi sempre, mentre mi mandano in crisi i 400, che sono la mia gara, perché io non ho tanta velocità, ho più resistenza”.

E allora W Emma e tutte/i quelli come lei.

Emma Maria Mazzenga festeggia il suo record