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Il disagio giovanile riguarda anche lo sport

Quando oggi si parla di giovani si accosta sempre il termine disagio, a dimostrazione che i giovani rappresentano un problema. E’ certamente un’interpretazione limitata del mondo dei giovani italiani. Ciò non toglie che per molti il disagio esiste e si manifesta anche nell’aumento del consumo di droghe tra gli adolescenti. Infatti,  ’ultima relazione al Parlamento sulle dipendenze ha fotografato ancora una volta l’aumento del consumo di droghe tra i 15 e i 19 anni. La percentuale di liceali è passata, in modo preoccupante, dal 18,7% al 27,9% nel giro di un solo anno. Solo la cannabis coinvolge 580mila adolescenti (24%) da Nps, nuove sostanze psicoattive (10%): cannabinoidi sintetici (K2, Yucatan Fire, Spice), oppioidi sintetici (codeina, morfina, fentanyl), ketamina, catinoni (anfetamine, ecstasy), che spesso si consumano insieme all’alcool.  Ci si droga per moda, ribellione, ricerca del piacere, allontanamento del dolore, normalizzazione, “è la luna di miele di chi non ha ancora pagato il prezzo dell’abuso», afferma Massimo Barra, fondatore della comunità Villa Maraini, che continua così: «Quando li incontri, questi ragazzini sembrano orfani, orfani della famiglia, di entusiasmo, di rapporti significativi, di cose positive, cani perduti senza collare che hanno bisogno di parlare, di fare, di persone non patologiche».

Forse questi giovani non fanno sport perché è possibile che gli effetti delle droghe assunte non glielo permettano. Non dobbiamo però pensare che la pratica sportiva renda immuni da problematiche psicologiche negative. Lo scandalo del calcio appena iniziato ci mostra come giovani adulti che hanno raggiunto il loro obiettivo di diventare un calciatore professionista con un conto in banca con molti zeri, non sono affatto felici e cadono nella trappola del gioco, della ludopatia. Sono giovani che vivono un dramma personale che trova le sue basi in personalità poco coscienziose, poco socialmente responsabili e con un limitato autocontrollo. Vuol dire non essere stati educati contro questi tranelli della vita ma anche avere intorno un ambiente sociale che non è stato in grado di guidarli nelle scelte.

D’altra parte il mondo degli adulti che si occupa di sport non è immune da gravi carenze nello svolgere questo ruolo formativo.  Un esempio  grave di questa mancanza, la si trova ad esempio nella sentenza della allenatrice della ginnastica, che ha giustificato gli insulti gravi alle ragazze come eccesso di amore. Questa sentenza dimostra la totale misconoscenza di chi l’ha redatta delle conoscenze scientifiche e culturali sul ruolo di adulti che guidano giovani. E’ un precedente che sarà utilizzato certamente in futuro da chi usa questi metodi sadici per allenare.

Un altro fatto inquietante riguarda la scarsa partecipazione dei giovani con disabilità allo sport. E’ un problema generale che riguarda tutti i giovani ma per questi ragazzi è ancora più evidente la gravità della mancanza di opportunità. Non è dato di sapere quanti siano in Italia i giovani con disabilità coinvolti nello sport e i sedentari. Solo nel Lazio sono circa 22.000 i giovani con disabilità iscritti alla scuola dell’obbligo, personalmente non credo che i praticanti siano più del 20%.

Non ci sono ragioni per sperare che questi situazioni migliorino, non ci sono infatti progetti nazionali che propongano modi diversi per affrontare queste problematiche.

Cos’è la pressione

Antonio Rüdiger: “Da dove vengo, la pressione non riguarda il calcio.

La pressione è non sapere cosa mangerai domani.

Intendo… pressione??? No, no, no.

Ogni volta che sento la minima pressione quando mi allaccio gli scarponi prima di una partita di calcio, penso a un ricordo specifico, e subito ritrovo la serenità.

La prima volta che sono tornato in Sierra Leone con i miei genitori dopo la guerra civile, eravamo in taxi dall’aeroporto, e ci siamo impantanati nel traffico. Eravamo lì, fermi, e guardavo fuori dal finestrino tutta la povertà e la fame. Uomini e donne vendevano frutta, acqua, vestiti e altre cose ai passeggeri in arrivo dall’aeroporto.

Ed è in quel momento che ho capito perché i miei genitori non chiamavano mai il nostro quartiere a Berlino “il ghetto”.

Dicevano sempre che era il paradiso in terra. E non è stato fino a quando sono andato in Sierra Leone che ho finalmente compreso il loro punto di vista, perché un uomo si avvicinò alla nostra macchina vendendo del pane e sembrava davvero disperato. Abbiamo detto: “No, va bene”.

Poi un altro uomo si avvicinò alla nostra macchina vendendo del pane e cercò di vendercelo con più insistenza, dicendo quanto fosse fresco.

“No, no, grazie”.

Poi un terzo uomo si avvicinò alla nostra macchina vendendo del pane e faceva davvero il massimo. Parlava di quanto fosse il miglior pane della città e pregava, per favore, per favore, di comprare il pane da lui.

Penso a questo ricordo quando comincio a sentire pressione a causa del calcio. Perché la verità è che tutti e tre quegli uomini vendevano lo stesso pane esatto, dalla stessa panetteria, alle stesse macchine.

Una di quelle famiglie avrebbe avuto un piatto di cibo sulla tavola.

Le altre due, forse no.

Questa è pressione. Questa è la vita reale.”

 

Effetti della partecipazione sportiva negli over50

Kim, A., Park, S., Kim, S., & Fontes-Comber, A. (2020). Psychological and social outcomes of sport participation for older adults: A systematic review. Ageing & Society, 40(7), 1529-1549.

Questa rassegna presenta studi che hanno esplorato gli esiti psicologici e sociali della partecipazione sportiva tra gli anziani over50.

Gli studi inclusi hanno rilevato che la partecipazione sportiva può migliorare la soddisfazione di vita degli adulti più anziani, la vita sociale (ad esempio, cameratismo, reti sociali uniche, appartenenza sociale, senso di comunità) e lo stato psicologico personale (ad esempio, la partecipazione ad attività sportive e la partecipazione ad attività sportive). empowerment personale, fiducia in se stessi, autostima, autoefficacia, orgoglio).

Due studi hanno evidenziato che i partecipanti ai Masters Games e ai Senior Games apprezzano la competizione in sé, confrontando i propri livelli di prestazione con quelli degli altri, spingendo il proprio corpo a raggiungere il meglio personale e godendo del riconoscimento e dei risultati ottenuti.

Un ruolo unico della partecipazione sportiva tra gli adulti più anziani è che i partecipanti allo sport senior cercano di resistere agli stereotipi negativi dell’invecchiamento attraverso il coinvolgimento nello sport. Diversi studi hanno riscontrato che la partecipazione sportiva continuativa era significativa per gli anziani per evitare e resistere alla visione di “essere vecchi”. Queste persone anziane hanno espresso che il coinvolgimento continuo nella partecipazione sportiva agonistica può ritardare e controllare il processo di invecchiamento.

Dal punto di vista di un invecchiamento di successo, questa visione è degna di nota in quanto stimola gli anziani a essere più attivi fisicamente per mantenersi in salute. Tuttavia, allo stesso tempo, diversi ricercatori hanno messo in evidenza il lato negativo di questo tipo di visione, implicando che tale visione può stigmatizzare e trascurare gli individui che non sono fisicamente attivi nelle politiche di salute pubblica.

Dato che uno dei risultati più comunemente identificati è la diminuzione dei sintomi depressivi tra i bambini/adolescenti e la riduzione dello stress e del disagio tra gli adulti che partecipano a programmi sportiv, è interessante che negli articoli inclusi siano stati trovati risultati incoerenti tra gli adulti più anziani. Infatti, alcune indagini hanno riscontrato che circa il 70% del campione (atleti master anziani che partecipano a un Senior Winter Games) ha riferito uno stress pre-agonistico. Cinque diversi tipi di fattori di stress includevano la prestazione, la logistica, la novità, la preparazione e la salute, mentre le strategie di coping più comuni erano la risoluzione dei problemi e la ricerca di supporto e alloggio.

Anche se tre studi hanno rilevato che il coinvolgimento sportivo tende a predire un livello più elevato di soddisfazione di vita, la relazione causale non è stata esaminata a fondo. Oltre al livello di coinvolgimento sportivo, il livello di soddisfazione di vita è influenzato in modo significativo anche da fattori socio-demografici e socio-economici come l’etnia, lo status finanziario, il senso di comunità o le reti sociali legate alla religione.

Diversi studi hanno concettualizzato e reso operativo il costrutto di coinvolgimento serio e hanno utilizzato atleti senior e giocatori di pickleball come parte dei partecipanti al tempo libero serio. Il tempo libero serio si distingue dal tempo libero occasionale in base a sei caratteristiche: (a) necessità di perseverare nell’attività, (b) sviluppo di un’autostima per il tempo libero, (c) necessità di impegnarsi per acquisire abilità e conoscenze, (d) ottenimento di benefici sociali e personali, (e) etica e mondo sociale unici e (f) identità personale e sociale attraente.

 

E- Sports: stress e videogiochi

Nel corso del secolo scorso in psicologia dello sport lo stress è stato uno dei principali argomenti di studio.

Una delle definizioni più citate è di Selye (1956), che definisce lo stress come “una risposta non specifica, di attivazione esibita dall’organismo quando deve affrontare un’esigenza imprevista o adattarsi a una novità disorganizzante”. Si è compreso molto sull’influenza dello stress nella prestazione sportiva, poco si conosce invece su ciò che accade in una prestazione e-sportiva.

La più recente systematic review sullo stress nei gamer viene dall’Università di Lipsia (Leis & Lautenbach, 2020), che raccoglie 17 studi sullo stress negli e-sports. Lo stress deriva da:

  • fattori interni – età, genere, esperienze precedenti
  • fattori esterni – ambiente di gioco, presenza di pubblico, risultati di gioco

Lo stress negli e-sports va monitorato in 3 diversi momenti: baseline (condizione di riposo), competition (l’evento) e post competition (post evento). I livelli di stress e attivazione a seconda del tipo di videogioco e se si tratta di una sessione competitiva o non competitiva.

Per approfondire leggi l’articolo completo di Emiliano Bernardi su  Horizon Psytech & Games

 

Meno sport, più disagio giovanile

In questo periodo si parla molto del ruolo positivo dello sport per i giovani e delle gravi problematiche che questa pandemia ha esercitato sul suo svolgimento, sostanzialmente impedendo la pratica sportiva nelle palestrenelle piscine, a scuola e in tutti gli sport di contatto.

Difatti è stata quasi del tutto impedita l’attività giovanile, che non sia d’interesse nazionale, ed è stata bloccata l’attività di migliaia di società sportive. Questo è un fatto grave di cui nessuno si è preoccupato e per il quale non ci si è interessati a trovare soluzioni. Di questo ho già scritto più volte e non ho letto dichiarazioni che sottolineano un senso di comunità con chi lavora all’interno delle scuole e nello sport ma solo affermazioni categoriche, in cui si dice che le palestre non saranno più disponibili per far praticare sport. Dal punto di vista sociale la mancanza di sport così come la didattica a distanza ha incrementato il disagio dei giovani e aumentato la frequenza di stati di ansia, di depressione e di conflitti all’interno delle famiglie.

Questa situazione drammatica e i suoi esiti negativi sulla salute dei giovani s’inserisce in un contesto italiano fortemente carente per quanto riguarda le opportunità di fare sport per i giovani. Infatti, nel nostro paese solo il 50% dei giovani di 15-17 anni pratica sport in modo continuativo e solo il 41% delle scuole è fornita di una palestra (con il picco max in Friuli Venezia Giulia dove le palestre sono nel  57% delle scuole: quindi un dato sempre basso).

Quindi, la pandemia ha allargato a dismisura un problema già grave. Sarebbero state necessarie soluzioni pragmatiche invece si è sono cercate soluzioni servendosi degli stessi spazi (le classi) che ovviamente erano in contraddizione con il distanziamento fisico. Lo stesso vale per lo sport, si sarebbe potuto pensare a forme di collaborazione tra società sportive e la scuola per portare gli alunni i spazi esterni a fare attività fisica. Un paese meno burocratico e attento ai giovani avrebbe trovato delle soluzioni.

 

La psicologia domina nel calcio, ma non gli psicologi

Nel calcio si parla molto di psicologia e ancora ieri abbiamo sentito le frasi di Antonio Conte, sull’ansia dei suoi giocatori, quelle di Fonseca sui 20% di blackout della sua squadra e quelli di Andrea Pirlo sulla mentalità vincente che deve avere la Juventus. Qualche tempo fa Alessandro Costacurta aveva parlato della intelligenza emotiva che dovrebbe guidare i calciatori.

Queste frasi dimostrano quanto sia elevata la sensibilità di questo mondo sportivo sulla psicologia, la question però è che sono meno delle dita di una mano quelli che lavorano in una società di calcio. Chi se ne occupa nella squadra? L’allenatore è lo psicologo della squadra se questo da una parte è una funzione del tutto abituale per chi svolge un ruolo di leadership in qualsiasi gruppo , dall’altra rappresenta un ulteriore grado di responsabilità che non condivide con nessuno poiché all’interno dello staff non è presente uno psicologo dello sport.

Quest assenza, ovviamente, non è di oggi ma è una costante con qualche eccezione. Attualmente a mia conoscenza solo La Juventus e il Verona ne hanno uno che lavora con i calciatori.

Non va meglio neanche nei settori giovanili e nelle scuole calcio dove invece sono abbastanza diffusi ma spesso con ruoli marginali.

Siamo molto lontani dal ruolo che lo psicologo svolge nel club USA. Robert Nideffer e Kenneth Ravizza hanno lavorato per anni con molte squadre di football americano e di baseball. Il sistema di valutazione del comportamento dell’allenatore nel baseball giovanile è stato introdotto ormai più di 40 anni fa. Nel calcio nel Regno Unito, Chris Harwood ha proposto un programma di sviluppo degli allenatori della accademia di calcio fondato su caratteristiche psicologiche, che ormai è utilizzato dalle società di calcio ed è diffuso nel mondo di lingua inglese.

Da noi siamo fermi a esperienze di singoli/e professionisti/e, pochi/poche, e comunque l’interesse delle società è scarso.

 

La terapia della foresta di Miyazaki Yoshifumi

shinrin-yoku? “E’ un’attività in cui le persone si rilassano sincronizzandosi o armonizzandosi con la il bosco. Il termine è stato coniato nel 1982 da Akiyama Tomohide, direttore della Japan Forestry Agency. L’agenzia voleva che le persone visitassero le foreste giapponesi e si rilassassero. Era un modo per aumentare il valore di queste terre

Nel 1990, ho condotto il primo esperimento per studiare gli effetti di quest attività nell’isola di Yakushima.

In quel periodo, era stata sviluppata una nuova tecnica per individuare nella saliva i livelli di cortisone, un ormone collegato allo stress. Ce ne siamo serviti per misurare lo stress e il rilassamento. “La terapia della foresta”, si riferisce allo shinrin-yoku, attività derivata dai dati scientifici ed è un termine creato da me nel 2003″.

“Ci sono due ragioni per cui oggi ne abbiamo bisogno. Una riguarda lo scivolamento verso una società artificiale. Dato che gli esseri umani e i loro antenati esistano da circa 7 milioni di anni, noi abbiamo speso il 99.99% di quel tempo vivendo nella natura. I nostri geni si sono adattati alla natura, e non sono cambiati dopo 2/3 cento anni dalla rivoluzione industriale. Dato che abbiamo corpi che sono adatti alla natura, vivere nella società moderna ci mette in una condizione di stress.

La seconda ragione riguarda lo spostamento verso una società dell’information technology basata sui computer. E’ interessante notare che nel 1982, due anni dopo la creazione della parola shinrin-yoku, la parola  “technostress” si è diffusa negli USA.

Ebook: Concentrarsi sotto stress

TennisWorldItalia  presenta l’ ebook “Concentrarsi sotto stress” di Alberto Cei.
Avvertire un senso di stabilità e di solidità prima di giocare una partita di tennis è fondamentale: talvolta i giocatori (a volte in modo del tutto inconsapevole) eseguono un respiro profondo, che spesso non è altro che un tentativo mal riuscito di riduzione dello stress. Anche quando lo eseguono bene la loro mente continua a essere preda di pensieri inutili e dannosi.
L’abilità a restare focalizzati sull’obiettivo in situazioni di elevato stress può essere costruita: allenamento, costanza e concentrazione sono elementi essenziali per raggiungere un livello di prestazione ottimale.
Alberto Cei in questo testo insegna la pratica del centering o focalizzazione.
Grazie alle tecniche presenti nel libro chiunque potrà imparare a tenere sotto controllo lo stress per una performance in campo eccellente, a qualsiasi livello si giochi.

Concentrarsi sotto stress: Come concentrarsi nei momenti decisivi di una partita di tennis

Tennis: le pause mentali fanno perdere le partite

Mi sto convincendo che per molti giovani tennisti da cui sarebbe realistico aspettarsi prestazioni e risultati migliori di quelli che ottengono di solito, un fattore di miglioramento significativo risieda nel migliorare la qualità dell’allenamento. In larga parte non si tratta di fare cose diverse ma di esercitarsi con un’ intensità elevata e costante; la stessa che poi si vorrebbe mostrare in campo. In partita, si chiede ai tennisti di giocare in modo costante e adeguato al loro livello per un lungo periodo di tempo, mentre in allenamento questa richiesta è spesso assente. Allenatori e psicologi dovrebbero lavorare insieme per aiutare il tennista a colmare questa lacuna. La domanda è la seguente: “Come si può giocare concentrati per almeno 90 minuti,  se in allenamento non si raggiunge mai questo limite o se si accetta che vi siano delle pause in cui la concentrazione si riduce ai minimi termini?”

Se è vero che ci si allena per ripetere quanto appreso in partita, la ripetizione riguarda non solo la tecnica ma anche il sapere mantenere la concentrazione limitando al minimo le pause mentali, che invece in partita spesso rappresentano il principale ostacolo all’esecuzione del proprio gioco.

Il miglioramento continuo come strategia vincente

Il coaching per affrontare le nuove sfide che lo sport oggi pone consiste  in un allenamento personalizzato, mirato a perfezionare al più alto livello le competenze  individuali e di gruppo e permettere ad ognuno di esprimersi al meglio.

Il coaching è un approccio al cambiamento personale che parte da un apprezzamento totalmente positivo delle prestazioni professionali. Frasi come: “Non bisogna dormire sugli allori” o “Chi si ferma è perduto” esprimono il concetto che da sempre ogni capo ha ripetuto ai suoi e cioè che solo un continuo rinnovamento potrà permettere di continuare a ripetere i successi ottenuti.

A questo proposito è molto calzante il parallelo tra il ruolo manageriale e quello dell’atleta di alto livello:

  • hanno in larga parte raggiunto gli obiettivi che si erano posti e perciò sono considerati persone di successo
  • si caratterizzano per l’energia e l’impegno che pongono nella loro attività
  • le loro competenze emergono in maniera decisiva proprio nelle situazioni di maggiore pressione competitiva o di maggior stress
  • sono convinti di essere in grado di affrontare la maggior parte delle situazioni o dei problemi in maniera efficace
  • si assumono la responsabilità dei risultati delle loro prestazioni
  • sono percepiti come affidabili e competenti
  • sono considerati dai più giovani come un modello da emulare
  • traggono il massimo della soddisfazione dal continuo rinnovarsi delle sfide che affrontano
  • sono orientati a trovare soluzioni
  • ricercano il contributo delle persone che li possono aiutare nel raggiungimento dei loro obiettivi

Non bisogna cadere nell’errore di credere che queste abilità siano facili da raggiungere o che questi individui non vivano dei momenti di difficoltà. Al contrario, queste competenze si ottengono attraverso un lavoro continuo, perseguito anche in quei giorni che sono frustranti e che sembrano non finire mai. Le sconfitte e gli insuccessi sono i momenti più duri e sofferti da metabolizzare ma vanno accettati come parte del gioco a cui si  è scelto di partecipare.