Archivio mensile per giugno, 2014

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Insegnare la grinta

Un nuovo modo per insegnare l’ottimismo, lo  insegna Amy Lyone agli studenti per diventare consapevoli dei propri pensieri attraverso uno strumento chiamato una “grit pie” (la torta della grinta). La torta di per sé rappresenta un ostacolo per lo studente, e ogni fetta rappresenta una causa realistica del problema. Gli studenti analizzano se i loro pensieri sul problema sono permanenti (“faccio pena in matematica e non sarò mai bravo”) o temporanei (“ero distratto dai miei amici”) e se a causa di questo problema s’incolpano (“non ho chiesto aiuto quando non ho capito il compito di matematica”) o altro (“l’insegnante non mi piace”). Idealmente, i pensieri degli studenti sono temporanei, e se si assumono almeno qualche responsabilità personale per il problema – ambedue permettono un cambiamento positivo molto più facile.

(Da Edutopia)

L’Italia esce fuori dai problemi e vince

Noi siamo fatti così, bisogna darci per spacciati, dobbiamo percorrere una strada di avvicinamento piena di buche come non vincere da più di sei mesi e avere giocatori importanti infortunati (Montolivo, Rossi, Buffon fra gli altri), essere considerati come un calcio di secondo ordine  e non più competitivo perché prima vengono i tedeschi, gli spagnoli e gli inglesi. A questo punto noi che non siamo considerati favoriti risorgiamo, siamo i più bravi a toglierci dall’orlo del baratro e a risalire. I nostri avversari non capiscono come ciò sia possibile, perché questo modo di fare apparentemente non è logico, per noi al contrario è un modo di essere. Sappiamo piegarci alle avversità senza spezzarci e quando ci rialziamo siamo pronti a combattere contro chiunque. La strategia consiste nel colpire quando gli avversari meno se lo aspettano. Prandelli ha organizzato una squadra che ha saputo tenere il pallone al piccolo trotto mentre gli inglesi erano più veloci nell’arrivare a rete, con un continuo contropiede sulla destra condotto da Candreva e Darmian e un finale di partita basato sul classico difesa e contropiede. Non eravamo favoriti neanche nei mondiali vinti del 1982 e del 2006 e venivamo anche allora da un periodo di grande difficoltà per il nostro calcio. Al Pacino nel film Ogni maledetta domenica nello spogliatoio dice alla sua squadra che “in ogni scontro è colui il quale è disposto a morire che guadagnerà un centimetro”. E’ una metafora efficace per spiegare la condizione mentale che l’Italia ha saputo dimostrare in questa prima partita del mondiale, uscendo dalle difficoltà in cui si è trovata quest’anno con l’organizzazione e la voglia di vincere. Ottimo, ora si tratta di continuare. Leggilo su Huffington Post.

Il disastro della Spagna

La partita della Spagna c’insegna che senza spirito combattivo e forma fisica, la tecnica da sola non serve a niente. E’ stata una partita in cui i campioni del mondo e d’Europa non hanno saputo dimostrare il proprio valore, probabilmente sono mentalmente esauriti e giocano con la convinzione di chi pensa che basti il proprio passato per intimorire gli avversari. Non hanno saputo reagire al pareggio e lo sguardo di Casillas, di chi si è smarrito e non crede a ciò che accadendo può rappresentare lo stato d’animo della squadra. Quando non sei preparato a perdere non puoi vincere, perché dai per scontato il risultato positivo e non sei pronto a reagire alle difficoltà che ci sono in ogni partita. In campo si vince o si muore, e solo chi è disposto a perdere tutto vincerà.

The World Cup by the numbers

Ayrton Senna ispira i giocatori brasiliani

Inizia oggi il Mondiale di calcio e Nike ha deciso di sfruttare la voce di Ayrton Senna per celebrare lo spirito brasiliano con il film “Get There”, in cui sprona i suoi connazionali a combattere per raggiungere i loro obiettivi.

La voce di Senna, tratta da un documentario d’archivio, ha lo scopo di motivare tutti i brasiliani e rappresenta il secondo capitolo della campagna “Dare To Be Brasilian” lanciata nel novembre 2013.

W l’Italia

Parte il Mondiale di calcio, spero di divertirmi

Bravo Pirlo che dice cosa vuole: vincere il mondiale

32brasile Mondiali 2014, Brasile favorito con Spagna e Germania, lItalia è in seconda fila...

Cosa impariamo dal free urban movement

I tre giorni di Try&Enjoy organizzati dalla UISP e Bologna Fiere personalmente mi hanno trasferito un significato arricchito di quello che dobbiamo intendere non solo per sport per tutti ma anche della relazione tra giovani e sport. Iniziamo da quanto hanno raccontato gli ospiti stranieri. In Danimarca negli ultimi 10 anni sono stati costruiti 70 impianti dove praticare il parkour, che è lo sport più diffuso fra i giovani insieme al calcio. Secondo, viene praticato anche dai bambini a scuola nei 45 minuti di attività motoria che ogni giorno i danesi fanno a scuola. Terzo, sono atleti coloro che hanno fondato l’impresa che ha promosso in questi anni questaattività. Sta accadendo ciò che è già avvenuto più volte in passato (con Gatorade, Nike e Patagonia per citare solo alcuni esempi famosi) in cui sono gli esperti del mondo sportivo che creano aziende per diffondere il loro modo di vivere lo sport. Lo stesso è avvenuto anche in Belgio dove un appassionato di skateboard con il suo gruppo a Bruxelles è passato dalla protesta contro la municipalità per l’assenza di spazi alla riqualificazione di una piazza dove fare convivere sportivi e i cittadini che frequentano uno spazio pubblico, lavorando con architetti e ingegneri per costruire uno spazio adatto per lo skateboard in termini strutturali e di come doveva essere, ad esempio, la pavimentazione per ottenere il migliore scivolamento possibile. Ambedue questi gruppi stanno lavorando anche in altri paesi europei portando la loro professionalità e avendo trasformato la loro passione in un lavoro. L’altra esperienza riportata veniva dalla Francia dove invece non esiste nessuno spazio strutturato e dove si ha difficoltà a diffondere queste attività così com’è anche nel nostro paese.

Perché il free urban movement è così ben accolto anche nella scuola come i danesi c’insegnano? Perché se lo liberiamo dalla sua accezione glamour divulgata da 007 nel film Casino Royale o dalle espressioni estreme che possono raggiungere i suoi atleti migliori, è in realtà un’espressione completa dei movimenti umani di base e quindi adatta a essere insegnata nella scuola primaria. Con il parkour si sviluppano infatti la coordinazione, l’equilibrio, i salti, la corsa, ma anche abilità cognitive come la consapevolezza visuo-spaziale e i processi decisionali. L’educazione tramite queste forme di movimento migliora la connessione tra se stessi e l’ambiente fisico. Insegna anche a prendersi dei rischi calcolati, a sapere ciò che si può fare in un determinato momento con il livello di abilità motoria che si possiede e questa è una componente essenziale dell’autostima mentale e corporea di un giovane.

Inoltre è l’attuazione in forma moderna e adatta a individui che crescono e si sviluppano in città di forme di attività che sono sempre esistite. In campagna i bambini hanno sempre saltato i muretti, giocato nei fienili, saltato i fossi e salito gli alberi. Da ragazzo questa attività negli scout la chiamavamo “challenge” ed era una gara in cui si saliva sugli alberi con una corda e poi ci si dondolava come tarzan prima di buttarsi a terra, si correva giù di corsa nelle pietraie, si faceva il passaggio alla marinara tra due alberi, si saliva e si scendeva di corsa nei boschi per arrivare alla fine al traguardo. Oggi si propone la stessa cosa ma in città sfruttandone gli spazi e le architetture.

A questo riguardo anche gli architetti che si occupano di vivibilità nelle città hanno infatti iniziato a occuparsi di free urban movement in tutte le sue manifestazioni dagli spazi per camminare o andare in bici  a quelli per praticare altre forme di movimento. Lo scopo è di adattare le città al movimento umano libero e spontaneo. Quindi queste nuove espessioni motorie, in quanto ancora poche diffuse e poco accettate in molti paesi europei, rappresentano una forma di sviluppo di sport a misura di ognuno, attualizzando per la vita cittadina attività che hanno sempre fatto parte della storia dell’uomo e cioè camminare, correre, saltare e se è il caso fermarsi e tornare indietro se proseguire è pericoloso.

Try&Enjoy con il free urban movement

In quale direzione va lo sport giovanile? Try&Enjoy è la risposta dell’Uisp, ovvero prova e divertiti. Per tre giorni, dal 6 all’8 giugno, la più grande associazione di sportpertutti italiana sarà presente a TheJamBo e animerà gran parte degli spazi della Fiera di Bologna con le attività urban freestyle, ovvero skate, parkour, tricking, speedbol, albering, bike, half pipe, basket. In un mix di sport e musica, arte metropolitana e incontri pubblici sarà possibile scoprire e provare queste nuove espressioni di movimento, che vengono considerate uno stile di vita dalle crew di praticanti, sparse in tutto il mondo.

Gli urban freestyle sono sport? “Penso proprio di sì visto che ne hanno tutte le caratteristiche – risponde Alberto Cei, psicologo – sono espressioni elevate di movimento. Implicano dei rischi e quindi presuppongono un’elevata attenzione, rapida capacità di decisione, oltre a coordinazione ed equilibrio. Ci sono poi altre componenti, come quella di sapersi adattare ad un ambiente mutevole”.

“Chi pratica questo tipo di attività sportive, penso al parkour ad esempio, ha imparato a muoversi sapendo assumersi una dose calcolata di rischio – risponde Cei che venerdì 6 giugno a TheJamBo, coordinerà la tavola rotonda Uisp sulle realtà europee di freestyle – Inoltre sono attività eccitanti, nelle quali si tratta di gestire la parte emozionale evitando che prenda il sopravvento. Una delle cose che mi incuriosisce di più è la capacità di apprendere da soli la pratica di queste attività. Il fatto di poterle esercitare all’aperto e nelle strade rappresenta una forma di riappropriazione di spazi della città. Un po’ come avveniva quando eravamo bambini, negli anni ’60, quando si poteva giocare liberamente in strada”.

Che cosa avviene nel resto d’Europa? Da questo interrogativo partirà l’Uisp nella sua tavola rotonda: qual è l’atteggiamento delle istituzioni in città nelle quali queste attività giovanili vengono favorite e non ostacolate? Venerdì 6 giugno la presenza Uisp a TheJamBo si aprirà, infatti, con una tavola rotonda dal titolo “Freestyle urban movement: realtà a confronto”, con la presenza di “Sk8boarder ASBL” (Bruxelles), Team Jiyo (Danimarca), Jump’in City (Lione) e KRaP (Italia). Si confronteranno con loro lo psicologo sportivo Alberto Cei, il presidente Uisp Vincenzo Manco, la giornalista Agnese Ananasso e vari amministratori pubblici. Diretta streaming sul sito Uisp dalle 16.30 alle 17.30.

Per tre giorni il padiglione 35 e l’area 48 della Fiera di Bologna si trasformeranno in 10.000 metri quadrati di sportpertutti. Verranno allestite pedane e strutture in grado di accogliere queste attività sportive, con una scenografia di ambientazione urbana.

Ognuno potrà provare queste attività e seguire i consigli di operatori esperti e qualificati. Lo spirito degli urban freestyle va vissuto dall’interno per essere compreso appieno: l’accento non cade sull’etica del sacrificio e sul risultato, ma su una migliore relazione con se stessi, con il proprio gruppo e con lo spazio fisico. Queste attività favoriscono l’estetica del talento e della creatività. La strada diviene così uno spazio in cui non vi sono ostacoli ma opportunità per muoversi liberamente.

Correre 100km

Alla fine del mese di maggio si è corsa la 100km del Passatore da Firenze a Faenza con un dislivello in salita di +1000 metri. Ho partecipato a questa gara nel 2011. Venivo da anni in cui avevo corso più volte ultra-maratone e skyrace e a quel punto ho cominciato a pensare di fare questa esperienza. L’ho fatto per sfida, ovviamente con me stesso, e per vedere cosa ti dicono il cervello e il corpo, mentre sei impegnato in uno sforzo così prolungato. Già l’allenamento è diverso da quello di una maratona, perché la mia corsa è diventata più lenta e perché in molte sedute sono stato impegnato per quattro/cinque ore avendo solo lo scopo di correre e lasciare trascorrere il tempo (questo per me che avevo l’obiettivo di condurla a termine). Sono prove queste che allenano a essere pazienti, calmi e a sviluppare pensieri che non siano impegnativi, per non sprecare inutili energie. Ho imparato che il tempo del riscaldamento (i primi 35/40 minuti) non serve solo al fisico ma anche alla mente, per allontanarsi gradualmente dal suo stato abituale in cui dominano i pensieri quotidiani, per centrarsi su uno stato vigile e consapevole ma molto più ristretto. In altre parole, una volta che ti accerti che il corpo comincia a rispondere all’impulso di quel tipo di corsa e sta trovando il passo che vuoi mantenere, la mia mente si allontanava da questa focalizzazione sul corpo e da se stessa, lasciando scorrere i pensieri e gli stati d’animo così come si presentavano ma senza dargli importanza. E’ interessante percepire come il corpo trovi questo passo e lo porti senza un intervento della mente che gli dica di farlo. La memoria motoria è ben stabilizzata e questa facilità di accesso al passo e soprattutto la facilità a mantenerlo per un lungo periodo mi consentivano di di gestire meglio la fatica e di risparmiare energie. In tal senso correre da solo è stato particolarmente utile poiché è difficile trovare compagni che seguano questo ritmo senza tendere a accelerarlo nel corso dei km. Sono stato soddisfatto di come ho vissuto l’esperienza dell’allenamento; è stato un risultato importante riuscire a vivere con soddisfazione il trascorrere delle giornate, senza pensare a cosa sarebbe accaduto in gara.

La gara – Alla partenza tutti i partecipanti appaiono rilassati, si chiacchiera in attesa del via, probabilmente perché per la maggior parte di noi non vi è il problema del tempo da realizzare. Si parte e subito dopo comincia la salita che porta a Fiesole e che continuerà per 48km con una decina di km di discesa nel mezzo. La corsa viene affrontata in modi diversi, c’è chi corre sempre, chi alterna la corsa alla camminata veloce. Inoltre vi sono molti in bicicletta che accompagnano i podisti. E’ uno spettacolo diverso da quello abituale delle corse su strada poiché dal 35km vi sono le auto che seguono i corridori, che dal quel momento li seguiranno fino al termine. E’ un aiuto psicologico e ovviamente pratico, ci si può cambiare, mangiare e ricevere un sostegno psicologico. E’ una specie di carovana da corsa ciclistica, che insieme ai punti di ristoro non ti fa sentire da solo. La compagnia degli amici in questo lungo viaggio è essenziale, corrono con te anche dei lunghi tratti e questo ti permette di mantenere il tuo ritmo, di scambiare qualche parola, di correre quando viene notte e la strada è veramente buia con un’altra luce accanto a te. Durante la corsa se il fisico è abbastanza allenato, è come sempre decisiva la mente, non tanto per pensare qualcosa di particolare ma per evitare i pensieri negativi che nascono dalle sensazioni che provi e capire l’andatura che devi mantenere nelle diverse parti della gara. Gli ultimi 25km mi sono concentrato solo sulla luce riflessa sull’asfalto della mia lampadina senza preoccuparmi di null’altro neanche del percorso e in questo stato mentale sono giunto alla fine. E’ stata una bellissima esperienza di 13h5m.

Psicologo dello sport: perché no!

Sono ormai convinto che lo psicologo dello sport sia necessario in qualsiasi società sportiva a partire sin dall’età infantile.  Non è un caso infatti che in uno sport come il calcio praticato in Italia dalla maggioranza dei bambini la federazione gioco calcio abbia deciso di inserire questa figura professionale anche nelle scuole calcio. E’ utile agli allenatori che devono educare non solo il corpo ma anche la mente. E’ utile anche per i migliori che devono imparare a gestire il loro talento attraverso le frustrazioni quotidiane. E’ necessario per gli atleti di livello internazionale che devono gestire il loro stress agonistico in modo efficace. E’ utile a chi vuole vincere una medaglia olimpica per fare la loro migliore prestazione di sempre quel determinato giorno, né un minuto prima né un minuto dopo.