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La mentalità vincente di Carlo Ancelotti al servizio del Brasile

Carlo Ancelotti sarà il prossimo commissario tecnico del Brasile, in un paese in cui il calcio è vissuto come una fede religiosa e le sconfitte sono un lutto nazionale. Riuscirà a esprimere il suo modo di lavorare anche in questo ambiente in cui è normale pensare che il compito della nazionale di calcio è di esprimere il calcio migliore e di vincere la Coppa del Mondo?

E’ un’impresa che credo riempia di orgoglio chi si trova ad affrontarla come regista di questa squadra in un paese in cui il calcio è tutto e che nel contempo spaventi perchè si viene chiamati per ottenere l’unico risultato che può  rendere felice i brasiliani, vincere dopo più di 20 anni dall’ultimo successo.  Ancelotti con il suo fare pragmatico  proverà anche qui a seguire il suo stile di lavoro che si basa su 9 caratteristiche. Probabilmente saranno necessari degli adattamenti perchè allenare un club è ovviamente diverso da allenare una nazionale, che è anche la più iconica del calcio mondiale.

  1. Educare la squadra a perseguire la vittoria attraverso un gioco offensivo e creativo
  2. Favorire lo sviluppo di un ambiente di lavoro positivo
  3. Costruire un forte spirito di squadra stimolando una grande capacità di sacrificio e un impegno reciproco
  4. Favorire in ogni singolo il senso di responsabilità (valutato sulla base delle sue azioni e dei suoi comportamenti)
  5. Proteggere la tradizione e i principi del Club
  6. Lavorare per dare continuità ai successi del Club
  7. Competere per tutti i più grandi trofei
  8. Costruire una chiara identità e uno stile di gioco che tengano conto della tradizione del Club
  9. Costruire buoni rapporti tra i vari team di lavoro

Le parole chiave sono: educare, ambiente, spirito, responsabilità, tradizione Club, identità, rapporti, lavorare e competere. E’ un approccio centrato sull’attenzione rivolta a coinvolgere tutto l’ambiente e alla cura delle relazioni interpersonali. In tal modo, vengono esaltati e continuamente alimentati i valori del gruppo, intesi come principi e identità del Club, coesione di squadra e senso di responsabilità dei calciatori e dello staff. Su queste basi si fonda il lavoro e si mantiene elevato lo spirito di squadra durante la lunga e intensa stagione agonistica del calcio e in tutte le competizioni a cui si partecipa. In particolare,  la squadra deve diventare dominante in campo, giocando senza paura, mostrando personalità e il proprio carattere allo scopo di assumersi la responsabilità collettiva di sviluppare un gioco offensivo.

Il fragile umore dell’Italia della pallavolo

“Fa male” dice il ct della nazionale femminile di pallavolo Davide Mazzanti, al termine del match perso contro il Brasile nella semifinale dei campionati del mondo. “Ci siamo resi conto da subito che sarebbe stata una partita faticosa per noi; anche nelle difficoltà comunque abbiamo avuto la possibilità di girare la partita, ma è indubbio che quel finale di terzo set a livello psicologico ci ha un po’ tagliato le gambe. Nel quarto set infatti non siamo rientrati in campo con la giusta lucidità, con il set abbiamo perso anche la consapevolezza di poter star davanti a loro. Quella di stasera era una partita nella quale avremmo dovuto scegliere bene i colpi e invece abbiamo aspettato sempre troppo. Sarà difficile sabato perché non è la finale che avremmo voluto giocare; ora abbiamo un po’ di tempo per guardarci in faccia e andare in campo per fare il nostro”.

Questa valutazione ci permette di capire cosa si debba intendere per pressione psicologica quando si giocano partite di livello assoluto. Anche solo un errore come quello della Egonu nel finale del terzo set che avrebbe permesso all’Italia di andare 2-1 possono avere un effetto negativo micidiale tagliare le gambe come ha detto Mazzanti. Questi fatti ci dicono quanto sia elevato il livello di stress psicologico che vivono le squadre e come l’equilibrio mentale possa essere rotto da singoli episodi.

Questo è il bello dello sport di livello assoluto non solo la qualità del gioco ma quanto questo sia determinato dalla condizione psicologica che a sua volta può variare a seguito di singoli episodi. Tutto può cambiare in un’istante ed è estremamente difficile sapere reagire e non subire questi momenti. La soluzione va oltre l’allenamento, la preparazione mentale e l’aver già giocato partite di questo livello. Servono giocatrici che sappiano trasmettere fiducia e incoraggiamento in modo continuo e con intensità, poiché se è vero che singoli episodi cambiano l’umore della squadra, allora lo può essere anche in senso positivo e, quindi, qualcuna deve prendersi questa responsabilità.

La tragedia del Brasile

La disfatta del Brasile e le reazioni che si sono avute in tutto il mondo dimostrano che non era solo una partita di calcio. Se non si  parte da questa convinzione non si può capire il dolore che ha provocato. Ho lavorato con atleti che da favoriti hanno perso le olimpiadi e alcuni di loro non si sono più ripresi da quella sconfitta, altri hanno vissuto i quattro successivi coltivando dentro di sé solo un’idea, quella del riscatto. Apparentemente era una partita come tante altre, ma quello che cambia in queste situazioni è il significato della situazione. E’ la differenza tra fare una corsa in pianura e fare la stessa a 5.000m, la distanza è la stessa ma è tutto diverso: a quell’altezza se non sei preparato ad affrontare le difficoltà che comporta crolli a terra dopo 10m. In Brasile l’intero paese si è fermato, le proteste sociali si sono interrotte e tutti si sono uniti nel sostenere con passione estrema la propria squadra. Squadra che si è sciolta come neve al sole, senza sapere e volere reagire al primo goal tedesco. Il peccato di cui si sono macchiati sta nell’avere pensato di essere ciò che non erano, è un peccato di presunzione che per primo ha commesso l’allenatore. Il secondo è stato di credere che Neymar fosse il leader della squadra, forse è un campione, sicuramente non è un capo. E una squadra senza capo non può funzionare anzi sbanda. Una squadra senza testa non potrà mai vincere, perché non sa come affrontare i momenti difficili. Tutto questo senza avere preso in considerazione il livello tecnico modesto di molti giocatori. Era una sconfitta annunciata che solo l’esaltazione emotiva in cui hanno vissuto i brasiliani era riuscita a nascondere sino a ieri.

Si è infatti determinato intorno al Brasile un enorme effetto alone di cui sono state vittime anche i media, che si è manifestato nel continuare ad affermare che certamente questa squadra non era forte come nel passato ma era pur sempre il Brasile.  Questa squadra mi ha invece ricordato le ricostruzioni di Cinecittà, che viste di fronte sembrano come quelle reali ma andando dietro ci si accorge che sono costruzioni di cartone, e che dietro la facciata non c’è niente. Ora al Brasile serve una nuova generazione di calciatori, che non abbia vissuto in prima persona questa tragedia e che voglia giocare per divertirsi e per stare insieme, che sono le motivazioni migliori per gestire l’emozione di vestire la maglia brasiliana sapendo che il mondo si aspetta che si vinca sempre.

Nel calcio, bisogna meritarsi la fortuna

Secondo Oronzo Pugliese, allenatore di calcio negli anni 70/80 la fortuna di una squadra consisteva nell’avere a disposizione i più bravi giocatori del mondo. Brasile e Argentina hanno vinto con l’aiuto della fortuna le due partite contro il Cile e la Svizzera. In questo caso con un ardito parallelo con il pensiero di Machiavelli, si può dire che la fortuna è la virtù esercitata dai più forti.  Per questo la fortuna non è così cieca come si è soliti dire, i più forti la calamitano su di sé. Devono però anche sapersela meritare, non a caso l’Argentina ha fatto molto più tiri in porta della Svizzera e il Brasile ha avuto ai rigori un portiere migliore. E’ altrettanto evidente che la fortuna interviene quando i due avversari non dimostrano una evidente superiorità di uno dei due. Più che in ogni altro sport, nel calcio il risultato ben si presta a essere influenzato dalla fortuna poiché la rete può essere determinata da una leggerezza compiuta in un determinato momento dal comportamento di un singolo calciatore. E’ il caso di Di Maria, uno dei migliori in campo, che viene ammonito in un’azione difensiva compiuta un minuto dopo avere segnato la rete del vantaggio dell’Argentina. Da questa leggerezza si è sviluppata l’azione che ha condotto al palo colpito da un giocatore svizzero, punito anche da un successivo rimpallo sulla gamba che ha messo la palla fuori di pochi centimetri. In altre parole, il peccato di un singolo può ricadere pesantemente sulla squadra. Questo è il calcio, sport in cui si può vincere per l’azione di un singolo ma che con altrettanta facilità un comportamento singolo può determinare la sconfitta. Pertanto, in una partita che si sviluppa attraverso molti singoli episodi attribuire il risultato alla fortuna non ha senso; di solito vince la squadra che ha creato più episodi positivi, agli avversari restano i pali presi che ne evidenziano la competitività in campo ma non la costanza nel perseguire la vittoria con il cuore e la mente. Leggilo anche su L’Huffington Post.

L’amore per la propria squadra tatuato sulla pelle

Tifosi estremi. Delneri Martins Viana, 69 anni, si è tatuato gran parte del corpo per la sua squadra del cuore, il Botafogo con 83 tatuaggi dedicati alla sua squadra.  ”Il club viene prima di me. Voglio solamente che vinca sempre la mia squadra, non voglio altro“.

L’Italia esce fuori dai problemi e vince

Noi siamo fatti così, bisogna darci per spacciati, dobbiamo percorrere una strada di avvicinamento piena di buche come non vincere da più di sei mesi e avere giocatori importanti infortunati (Montolivo, Rossi, Buffon fra gli altri), essere considerati come un calcio di secondo ordine  e non più competitivo perché prima vengono i tedeschi, gli spagnoli e gli inglesi. A questo punto noi che non siamo considerati favoriti risorgiamo, siamo i più bravi a toglierci dall’orlo del baratro e a risalire. I nostri avversari non capiscono come ciò sia possibile, perché questo modo di fare apparentemente non è logico, per noi al contrario è un modo di essere. Sappiamo piegarci alle avversità senza spezzarci e quando ci rialziamo siamo pronti a combattere contro chiunque. La strategia consiste nel colpire quando gli avversari meno se lo aspettano. Prandelli ha organizzato una squadra che ha saputo tenere il pallone al piccolo trotto mentre gli inglesi erano più veloci nell’arrivare a rete, con un continuo contropiede sulla destra condotto da Candreva e Darmian e un finale di partita basato sul classico difesa e contropiede. Non eravamo favoriti neanche nei mondiali vinti del 1982 e del 2006 e venivamo anche allora da un periodo di grande difficoltà per il nostro calcio. Al Pacino nel film Ogni maledetta domenica nello spogliatoio dice alla sua squadra che “in ogni scontro è colui il quale è disposto a morire che guadagnerà un centimetro”. E’ una metafora efficace per spiegare la condizione mentale che l’Italia ha saputo dimostrare in questa prima partita del mondiale, uscendo dalle difficoltà in cui si è trovata quest’anno con l’organizzazione e la voglia di vincere. Ottimo, ora si tratta di continuare. Leggilo su Huffington Post.

Per favore, non ucciderti per una partita di calcio

«Se l’Argentina dovesse vincere il prossimo Mondiale battendo in finale il Brasile, io mi suicido», ha dichiarato il sindaco di Rio de Janeiro, Eduardo Paes, a pochi giorni dall’inizio della Confederations Cup. Il primo cittadino della città brasiliana è consapevole del fatto che la nazionale brasiliana del ct Sabella è tra le favorite per il titolo e che un’eventuale vittoria dell’Argentina proprio in Brasile sarebbe una tragedia sportiva per i brasiliani, così come lo è stata quella subita ai Mondiali casalinghi del 1950 in cui furono sconfitti dall’Uruguay.

A tale riguardo per evitare questa drammatizzazione le consiglio di leggere quanto ha scritto Eduardo Galeano in un capitolo del libro”Splendori e miserie del calcio” (1997)  intitolato”Il peccato di perdere” e che in parte riporto.

“Nel calcio, come in tutte le altre cose, è proibito perdere. In questa fine di secolo, la sconfitta è l’unico peccato che non ha redenzione. Durante il Mondiale del 1994, un pugno di fanatici diede fuoco alla casa di Joseph Bell, il portiere sconfitto del Camerun, e il giocatore colombiano Andrés Escobar cadde crivellato da colpi a Medellìn. Escobar aveva avuto la sfortuna di segnare un autogol, aveva commesso un imperdonabile atto di tradimento alla patria.

Colpa del calcio o colpa della cultura del successo a tutti i costi e di tutto il sistema di potere che il calcio professionistico riflette e integra?”

Rifletta signor Eduardo Paes e accetti l’ipotesi che si può anche perdere, scoprendo magari quanto lenisce il dolore e unisce le persone il volerlo condividere.

La rabbia di Dunga

La facilità di Dunga a irritarsi è stata sotto gli occhi di noi spettatori in ogni istante della partita, anche quando Il Brasile era in vantaggio contro l’Olanda. Come si fa a trasmettere fiducia ai propri giocatori quando si è così instabili? Sono convinto che la sua difficoltà a gestire la propria impulsività sia stata una causa decisiva della sconfitta con l’Olanda.