Archivio mensile per giugno, 2014

Perchè guardo i mondiali di calcio

Il calcio è un gioco semplice, tribale, s’insegue una palla che è l’arma con cui colpire la preda che è la porta. E’ uno sport che tutti, almeno fra i maschi, hanno giocato da bambini; averne avuto esperienza diretta consente a tutti di capire quanto è difficile spedire la palla dove si vuole.  Le squadre piacciono se sono combattive, se corrono e se almeno qualcuno è così bravo da farci stare a bocca aperta per le sue giocate. E’ un gioco in cui il goal è un evento raro, non si vince 87 a 65 come nel basket, infatti 1 a 0 è il punteggio finale più frequente. Per questa ragione la fortuna svolge un ruolo talvolta importante, come in Brasile-Cile partita in cui il Cile ha preso un palo in pieno a pochissimi minuti dalla fine e allo stesso modo ha perso ai rigori; due pali hanno eliminato il Cile. Un centimetro a sinistra e il risultato sarebbe stato diverso. D’altra parte nello sport si vince e si perde per un centimetro e anche per il calcio vale questa regola non scritta. Il calcio ci piace anche perché alla maggior parte di noi sopra i 40 anni ci ricorda di quando ogni momento libero era un’occasione per giocare a pallone: a scuola durante l’intervallo con il cancellino o con palle di carta, nel cortile di casa, all’oratorio, ai giardini facendo le porte con il cappotto. Il calcio è nei nostri ricordi: dal Grande Torino, a Rivera e Mazzola, a Italia-Brasile nel 1970, ai Mondiali vinti in Spagna e in Germania, a Paolo Rossi e Schillaci, e tanto altro in funzione della squadra di cui siamo/siamo stati tifosi e naturalmente ci sono anche gli scandali che ancora oggi continuano a rovinarlo. Il calcio è tutte queste cose e per questo continuerò a vedere le partite del mondiale.

Vinci un pallone, dona un pallone

Con il progetto “Vinci un pallone, Dona un pallone”, Coca Cola ha cercato di collegare il calcio dei supercampioni a quello sociale: la scintilla che ha creato questo legame è rappresentata dal pallone Brazuca, lo stesso utilizzato durante i Mondiali in Brasile. Ne verranno destinati 3.000 a società sportive Uisp che si distinguono per progetti etici e sociali. Questo pallone coloratissimo è stato il protagonista di una grande kermesse in spiaggia a Rimini dove è stata organizzata la “Sfida di palleggio collettivo” tra tutti i partecipanti.

Ai primi 500 è stato donato il Brazuca. Uisp-Unione Italiana Sport Per tutti insieme a Coca Cola per il calcio etico e sociale: durante il mese di giugno Coca Cola ha messo in palio ogni giorno 50 palloni dei Mondiali di calcio. Grazie al progetto “Vinci un pallone, Dona un pallone”, per ogni pallone vinto ne ha donato un altro alla Uisp-Unione Italiana Sport Per tutti, associazione non profit, per progetti di calcio con caratteristiche di impegno etico e sociale.

“Il calcio Uisp è passione e divertimento, senza dimenticarsi di guardarsi intorno – dice Simone Pacciani, vicepresidente nazionale Uisp – questo sport popolare diventa ovunque occasione di relazioni e di integrazione, ogni squadra è una piccola comunità di persone che si conoscono e si aiutano. Il calcio per tutti Uisp è amicizia e stile di vita attivo, a tutte le età. Ogni fine settimana l’Uisp organizza in tutta Italia 10.000 partite di calcio. Un patrimonio di coesione sociale che non conosce frontiere”.

L’amore per la propria squadra tatuato sulla pelle

Tifosi estremi. Delneri Martins Viana, 69 anni, si è tatuato gran parte del corpo per la sua squadra del cuore, il Botafogo con 83 tatuaggi dedicati alla sua squadra.  ”Il club viene prima di me. Voglio solamente che vinca sempre la mia squadra, non voglio altro“.

Educare i giovani al senso di realtà

Il principale compito che dovrebbero assolvere i genitori è di educare i propri figli al senso di realtà. Dico questo perché fra i giovani sportivi non è molto sviluppato e questi giovani manifestano aspettative totalmente irrealistiche, perché non sono basate su quello che sanno fare ma su quello che vorrebbero raggiungere. Purtroppo questo modo di ragionare è già presente nei bambini e bambine di 11/12 anni. Sui campi da tennis si vedono bambini che sbattono la racchetta per terra o la prendono a calci, che imprecano contro se stessi o che si deprimono dopo avere commesso qualche errore. In tutti gli sport si vedono genitori che quando i figli sbagliano si affrettano subito a dargli dei consigli per toglierli anche quella piccola angoscia che viene dopo un errore. Angoscia educativa che spinge a trovare da se stessi la soluzione ma invece gli viene tolta questa opportunità di imparare dagli errori. I genitori in questo modo impediscono ai giovani di crescere, di capire il proprio valore come atleta e di reagire autonomamente alle difficoltà. Quanti sono i genitori che con serenità dicono: “hai sbagliato va bene, impegnati per migliorare, continua a provare e a fare del tuo meglio, tutto il resto non ha importanza”. Non si vince una gara perché si vuole vincere. La mentalità vincente è di chi s’impegna a fare del proprio meglio nonostante gli errori che sicuramente commetterà durante la gara. I giovani devono essere educati a impegnarsi e ad apprezzare se stessi per quello che fanno e non per i risultati che raggiungono. I genitori a loro volta devono accettare che i loro figli sbaglino perché solo in questo modo i ragazzi impareranno ad apprezzare i loro miglioramenti e la fatica che gli è costata.

Lo psicologo dello sport nel calcio giovanile

La Federazione Italiana Giuoco Calcio è l’unica federazione che rende obbligatoria la presenza di uno psicologo per le società che intendono raggiungere il titolo di scuola calcio qualificata. La figura dello psicologo all’interno della scuola calcio si occupa di intervenire a sostegno delle diverse figure presenti, inquadrando ed affrontando con metodologie e strumenti specifici le problematiche di carattere psicologico.  L’obiettivo finale perseguito dallo psicologo è di creare un linguaggio comune fra tutti, che aiuti a dirigersi nella stessa direzione: creare un ambiente che offra ai piccoli atleti la migliore esperienza sportiva possibile. Lo psicologo stimola gli atleti per favorirne la formazione come persone e come sportivi, lavorando sulla motivazione e stimolando la coesione. Interviene inoltre sui tecnici per migliorare la collaborazione nello staff, la comunicazione efficace, lo sviluppo psicologico del bambino, le dinamiche di gruppo, la gestione delle relazioni. Lo psicologo interviene anche sui genitori sostenendo l’importanza della valenza educativa e del divertimento del gioco del calcio.

L’enorme impatto sportivo e sociale del calcio giovanile in Italia  e quindi lo spazio per lo psicologo dello sport è reso ancora più chiaro dai suoi numeri:

  • Società del settore giovanile scolastico: 2.916
  • Tesserati di puro settore giovanile: 619.510
  • Allenatori abilitati Figc: 61.114

(Fonte: Figc- Dati al 30 giugno 2010)

(di Daniela Sepio)

Mordere per vincere: Imparare da Suarez

Il morso di Suarez a Chiellini è la reazione di chi è frustrato nella soddisfazione delle proprie esigenze di calciatore e trova come unica reazione l’offesa fisica all’avversario. Suarez è in buona compagnia, insieme a Zidane e Cantona nel calcio e Tyson nel pugilato, Appartiene a quel ristretto numero di campioni dello sport che non riescono a gestire le proprie emozioni nei momenti di maggiore pressione agonistica. La loro è una reazione primordiale, arcaica, non hanno compiuto un semplice fallo di ritorsione, come quello che è costato l’espulsione di Marchisio. Hanno compiuto invece un fallo primitivo; mordere la spalla, abbattere con una testata l’avversario senza palla o dare un calcio a freddo durante la partita a … un tifoso. Il modo per superare queste situazioni consiste nel non vivere altri momenti di così alta tensione, ma se sei una giocatore non è possibile. Sono proprio queste le condizioni competitive che saranno da te ricordate come quelle in cui sei stato un campione e non un uomo qualsiasi. Ma per loro capirlo è facile, perché stiamo parlando di campioni ma esserlo non è semplice e tantomeno facile.  Per loro è usuale incontrare ostacoli nella soddisfazione dei propri bisogni e saperli affrontare. Ma cosa gli dice la testa in quei momenti? Gli dice purtroppo “vai e colpisci perché altrimenti sarai tu a soccombere e solo se sei duro gli altri ti rispetteranno”. Sono figli di genitori assenti o autoritari  ma saperlo non aiuta, serve invece riconoscere che ora si è adulti responsabili delle proprie azioni e che quale che sia l’educazione ricevuta è giunto il momento di assumersi la responsabilità delle proprie azioni. Suarez è stato squalificato per 10 giornate per un morso a un avversario ed è anche andato dallo psicologo ma ciò non è stato sufficiente.  Non aiuta a cambiare l’essere strapagato, l’essere accettato perché in ogni caso segni molti goal, mentre si dimentica la persona per privilegiare il calciatore. Quanti goal vale un morso, cioè un comportamento anti sportivo? E’ questo il campione a cui vogliamo educare nostro figlio?

Leggilo anche su:  L’HuffingtonPost

L’atteggiamento perdente dell’Italia

Nel calcio il goal è un evento raro e come tale può essere segnato in qualsiasi momento, al primo minuto come all’ultimo oppure mai. Per questa ragione bisogna essere aggressivi, decisi, motivati e uniti come squadra per fare quello che serve per segnare una rete. L’Italia ieri non ha mostrato in campo questo atteggiamento e non è bastato sperare nelle parate di Buffon e nelle invenzioni di Pirlo per Balotelli. Il Costarica è una squadra che invece ha creduto per tutta la partita nel risultato da ricordare per tutta la vita: battere l’Italia. Anche noi abbiamo un sogno come ha detto Pirlo ed è quello di vincere il mondiale, ma per raggiungerlo bisogna sbattersi sino all’esaurimento  in ogni partita quale sia l’avversario. E’ questo l’atteggiamento che Garcia e Conte hanno insegnato alle loro squadre ed è questo che è mancato ieri alla nostra squadra. Cadere 11 volte nella trappola del fuorigioco vuol dire non essere stati attenti tanto quanto era necessario. Affermare che non si può pretendere che si segni una rete quando si è in campo solo per 20 minuti, vuol dire non avere capito che invece è proprio questo che ti viene chiesto, altrimenti avrebbero messo un altro in campo. Farsi ammonire perché ci si è innervositi, vuol dire che non hai ancora la mentalità per affrontare impegni di questo livello agonistico. Troppe azioni individuali e dribbling insistiti nella parte finale della partita dimostrano poca ricerca dell’altro e il desiderio di diventare il salvatore della partita. “Emozionato Io? Non ci sono emozioni” ha detto Cassano, neanche Buffon e Pirlo farebbero affermazioni di questo tipo nonostante siano abituati a partite così importanti. E’ mancata invece proprio la carica emotiva come squadra. La tensione che senti già prima di entrare in campo e che ti dispone a impegnarti oltre la fatica e difficoltà perché ti senti pronto. Le emozioni servono per alzare la soglia della stanchezza fisica e mentale. Come dice un famoso detto africano: ogni mattina non importa che tu sia un leone o una gazzella  l’importante è che cominci a correre.

Recensione libro: 7 Things We Don’t Know!

7 Things We Don’t Know!

Coaching Challenges in Sport Psychology and Skill Acquisistion

 Jean Fournier and Damian Farrow

 Mindeval Canada Inc, 2013

www.mindeval.com

The link to read the first chapter is here: www.mindeval.com/en/

 7 Things We Don’t Know! is a book designed for progressive coaches who are motivated to consider and potentially adjust their current coaching or training programs so that they are getting the most out of contemporary Sport Psychology and Skill Acquisition research. I believe it will also relevant for the sport psychologists because the authors talk about coaching problem, imagery, cognitive processes like anticipation and attention from a perspective different from usual. In this way, many practitioners could start to think in a different way your daily job with athletes and coaches.

Second, what makes this book different from many other texts on Sport Psychology and Skill Acquisition is that the content is presented in the most applicable manner to coaches and athletes. It is written with a short and concise style, and numerous practical examples are provided to illustrate how the theories could be applied to practice.

The imagery is discussed in light of its practical application, it’s well explained the use of this skill must match well with the athletes’ needs, integrating this mental activity in the coaching sessions.  The second chapter is devoted to the use of mindfulness in mental coaching. Jean Fournier propose a mindfulness program based on his experiences in different sports and the pages on this topic illustrate his approach based on four steps: presentation of the method and assessment, mindfulness training, acceptance training and attention training. The third regards the thinking. He try to clarify: what does focus mean? The readers will find suggestions  to find the relevant focus point in different sports and different situations, to improve the focus in training and to apply all these things during the competitions. The following chapter is about  the use of the routines, it’s explained why they are useful in sports but there is a new aspect introduced in this presentation, regarding the use of mindfulness in the routine planned by the athletes. The next four chapters are written by the other author, Damian Farrow. His first chapter talks about the relevance of variability during training and the need to organize the drills in a way very near to the competition rules and development. It’s a chapter that I suppose very useful for the coaches, who must always to cope with the dilemma about necessity to integrate the repetitions and athletes’ motivation and about the relation between the standard repetitions and drills more similar to the game characteristics. In these pages Farrow provides information confirming the concept that the athletes learn to anticipate instead to be born with this gift and he talks about a number of training approaches to improve this skill.  Goal of the following chapter is to encourage coaches to use implicit coaching style instead to use only an explicit style. Farrow remember that probably the best implicit information an athlete can receive is the Nike motto: “Just do it.” The last chapter regards another relevant question: have the athletes need of a coach feedback provided in a real time? Today coaches with the help of the new technologies have the opportunity to provide information in real time with great precision. The problem they have to cope with regards their competences to use the correct timing without the risk to overload the athletes’ mind. Farrow talks about the definition of the bandwidth of correctness for a movement. Established this range of correctness the coaches will know exactly when to provide a corrective feedback.

Final comment: read this book with the spirit to find some new ideas for our work  and to change something in our approach with the athletes.

Spagna: la caduta degli Dei

E’ sempre difficile capire quando si è finiti e a questa regola si è uniformata anche la Spagna. Il risultato di questa inconsapevolezza della squadra che ha dominato il mondo del calcio negli ultimi 6 anni sta nelle due partite perse al mondiale contro l’Olanda e il Cile e nei sette goal subiti. Maurizio Crosetti su Repubblica per spiegare quanto è accaduto usa la metafora dei dinosauri: “Questa è un’era geologica che si chiude … Tutti diranno: c’era la Spagna, era la padrona dell’universo finché una notte cadde come morirono i dinosauri. Così smisurati, così fragili”. Il gioco dei mille passaggi non ha più funzionato senza l’intensità e la velocità. Caratteristiche che si perdono non solo per esaurimento fisico ma soprattutto per perdita della volontà, del desiderio di continuare a essere ciò che si è stati sino a un attimo prima. Quando ciò non avviene si continua a giocare a memoria ma si è persa quella scintilla mentale che permetteva di nascondere la palla agli avversari e di colpirli quando si voleva. La Spagna è entrata in campo ed ha iniziato a giocare nel solito modo, a memoria, ma persa la palla i suoi giocatori non hanno saputo riprenderla, perché gli altri sono stati sempre più veloci e combattivi. Perdere la palla ha determinato nei giocatori solo frustrazione, di chi non capiva come fosse possibile e non ha invece determinato rabbia agonistica proprio perché la testa aveva esaurito ogni forma di reazione. La competizione sportiva è dura e non lascia spazio a chi non si rialza velocemente dopo essere caduto e per rispetto della gara gli avversari non ti danno il tempo di riprenderti anzi insistono a strapazzarti fino alla fine della partita. Sbagliare è fisiologico, tutti sanno che fa parte del gioco; non essere pronti a riprendersi immediatamente invece è una grande problema e la Spagna è caduta rovinosamente in questo tranello e ha perso. Inoltre, penso che Del Bosque abbia convocato  per i mondiali i giocatori basandosi sul principio che la squadra che ha vinto non si cambia, con l’aggiunta del’affetto che ovviamente avrà per questi giocatori. Anche questo tema relativo al ruolo dell’allenatore non è certamente facile da affrontare e a posteriori è troppo semplice farne il capro espiatorio. Guardiola ad esempio dopo avere vinto tutto e in modo ripetitivo con il Barcellona se ne andò per stanchezza personale ma forse anche per la consapevolezza di avere raggiunto un picco di successi difficilmente ripetibili. Del Bosque invece ha accettato la sfida di continuare dopo avere vinto consecutivamente due europei e un mondiale, e di tentare un’impresa quasi impossibile ma fantastica se fosse riuscita: su quale fondamenta ha basato la sua decisione? Forse non lo sapremo mai e comunque tanto di cappello per avere osato così tanto.

Il trionfo di Marco Belinelli in NBA

“Ce l’hai fatta. Bacione. Mamma”. Il messaggio più bello, Marco Belinelli, primo italiano a vincere il titolo Nba, l’ha ricevuto pochi attimi dopo il trionfo.

“Amo questo sport ho sempre visto le finali Nba, e nella testa avevo proprio queste immagini dei festeggiamenti con lo champagne che bagna tutti. Ora, a distanza di poche ore, dopo non aver praticamente dormito mi vengono i brividi. Ho la pelle d’oca. E’ tutto fantastico”.

“Sono sempre stato criticato, in nazionale, nel club e nell’Nba. In molti mi dicevano che non ce l’avrei fatta, io invece non ho mai mollato, neanche nei momenti più duri e oggi mi sono preso la rivincita più bella”.

“Qui sto benissimo, è una grande organizzazione con una grandissima squadra e poi c’è Popovich, un grandissimo coach”.

“Sono orgoglioso di essere seguito in Italia da tantissime persone, anche giovanissime. A loro dico: lavorate duro e non mollate mai. A me tutti dicevano che non ce l’avrei mai fatta e invece ce l’ho fatta”.