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Lo sguardo del rigorista

Durante il mondiale appena concluso sono stati sbagliati molti rigori, molti si sono chiesti come sia stato possibile. Un aspetto essenziale di questo compiti di precisione riguarda l’orientamento dello sguardo del calciatore in quei momenti, poiché è probabile che dove fissa lo sguardo, lì sia rivolta l’attenzione. Spesso è ciò che non avviene perchè la tensione psicologica eccessiva impedisce al calciatore di svolgere questa semplice azione. Dove guarda un calciatore mentre sta per eseguire un calcio di rigore? Lo ha illustrato in modo letterario ed elegante Eduardo Galeano parlando di un famoso rigore calciato da Meazza:

“Accadde nel Mondiale del 1938. Nelle semifinali, Italia e Brasile giocavano il loro destino, o la va o la spacca. 

L’attaccante italiano Piola crollò all’improvviso, come fulminato da un colpo di pistola, e col suo unico dito ancora vivo indicò il difensore brasiliano Domingos de Guia. L’arbitro svizzero gli credette, soffiò nel fischietto: rigore. Mentre i brasiliani lanciavano grida al cielo e Piola si rialzava scrollandosi la polvere, Giuseppe Meazza collocò la palla sul punto dell’esecuzione. 

Meazza era il bello della squadra. Un piccoletto elegante e innamorato, elegante esecutore di penalty, alzava la testa invitando il portiere come il matador col toro nell’assalto finale. E i suoi piedi, flessibili e sapienti come mani, non sbagliavano mai. Ma Walter, il portiere brasiliano, era bravo nel parare i rigori e aveva fiducia in se stesso. 

Meazza prese la rincorsa, e nel preciso momento nel quale stava per assestare il colpo, gli caddero i pantaloni. Il pubblico restò stupefatto e l’arbitro quasi si ingoiò il fischietto. Ma Meazza, senza fermarsi, afferrò con una mano i pantaloni e vinse il portiere, disarmato da tanto ridere. 

Questo fu il gol che lanciò l’Italia verso la finale del campionato.”

Comunque che il rigore rappresenti anche una difficoltà sempre pronta a presentarsi, è confermato dall’analisi delle percentuali di realizzazione dei rigori calciati dalla nazionale italiana nel corso della sua storia. Infatti, i rigori eseguiti dagli azzurri in tutte le competizioni sono stati 86, di cui 67 sono quelli segnati e 19 quelli falliti. Pertanto quelli sbagliati rappresentano il 22% di quelli eseguiti[1].

La metafora del matador che guarda il toro sta a indicare che il rigorista guarda diritto di fronte a sé in un punto preciso, senza abbassare gli occhi.

Come prepararsi al mondiale di calcio

Si è già parlato molto di come i calciatori  e le squadre dovrebbero affrontare questa stagione sportiva in cui la Coppa del mondo si gioca per la prima volta in inverno, spezzando in due parti i campionati nazionali. Penso che i giocatori dovrebbero ragionare con l’idea che la partita più importante è quella successiva, senza fermarsi a considerare che è una di campionato, di coppa europea o sarà la prima del mondiale. Infatti, quando si conduce una vita particolarmente impegnativa, giocando ogni settimana partite importanti con la consapevolezza che questo tipo d’impegno si protrarrà sino quasi all’estate del 2023, bisogna ragionare nel dare il meglio di se stessi durante la settimana. Ciò permette di non stressarsi inutilmente con pensieri negativi che riguardano come mantenere la forma fisica e mentale per un periodo così lungo, la paura d’infortunarsi o le troppe partite da giocare ad alto livello. In quest momenti, si deve pensare a ciò che si può controllare nell’immediato, la prossima partita, lavorare per togliersi dalla mente responsabilità maggiori e, poi, lavorare per recuperare. Proprio il recupero dalla partita appena giocata è, a mio avviso, un aspetto centrale dell’allenamento dei calciatori, dalla prevenzione degli infortuni al rilassamento e allo stare con le persone che si ama. Maggiore è l’impegno nel gioco, maggiore è l’importanza di questa fase di recupero. L’impegno è a non accumulare stress psicofisici inutili ora, che sommandosi a quelli futuri possono favorire infortuni e comunque una condizione di stanchezza mentale che richiederebbe tempo per essere smaltita.

Il mio pensiero è quindi di stare concentrati sul presente, che sono la partita stessa e i giorni che separano da questo evento. Il secondo passo, è di dedicare del tempo a recuperare, per potersi ri-mettere dopo pochi giorni nella condizione migliore per giocare un altro incontro. I calciatori, e soprattutto quelli che ipotizzano di giungere alla fase finale del mondiale, dovrebbero ridurre al minimo i loro impegni mondani e sociali, poiché i loro problemi di forma psico-fisica non riguardano solo come arrivare bene a questa competizione ma successivamente riguarderanno come continuare la stagione fino alla conclusione del campionato e delle coppe per le squadre che avranno anche questo impegno.  Sono convinto che i mesi peggiori per i calciatori saranno quelli del dopo mondiale, perchè saranno giustamente stanchi mentre invece le aspettative delle squadre nei loro confronti continueranno a essere elevate. Ancora di più, in questa terza fase della stagione sportiva, sarà importante il lavoro sul recupero che dovrà essere svolto dai calciatori con il pieno sostegno del Club, dell’allenatore e della squadra. La coesione di squadra giocherà un ruolo primario nell’eliminare le lamentele e l’aggressività di chi non è andato al mondiale contro le attenzioni rivolte a chi ci è andato e viceversa nel non permettere una riduzione dell’impegno e della collaborazione in campo in chi ha giocato il mondiale.

Tennis tavolo: campionati del mondo a squadre

Iniziamo i mondiali a squadre di tennis tavolo. FORZA ITALIA!

Formidabile Giorgia Piccolin, batte Matelova ed è negli ottavi agli Europei

Determinazione  di Giorgia Piccolin ”</p

Cosa sta mancando alle nostre sciatrici?

Cosa sta mancando alle nostre sciatrici? Probabilmente il coinvolgimento totale con la loro prestazione mentre invece domina una condizione mentale di ansia e preoccupazione eccessiva.

La cosiddetta «peak performance» è fornita dall’atleta la cui condizione mentale viene chiamata «flow state» o «stato ideale di performance» e in questa condizione si è totalmente assorbiti dalle componenti rilevanti della prestazione.

In termini applicativi si tratta di chiedere agli atleti di sviluppare conoscenze intorno un’idea relativamente semplice da affermare: “Se sei presente fisicamente in una determinata situazione, perché non sei completamente presente? Cosa serve perché anche la tua mente sia totalmente coinvolta in questo esercizio piuttosto che in questa gara?”.

Già negli anni ’80, Orlick e Partington intervistando atleti canadesi di vertice mondiale hanno rilevato che per loro era di fondamentale rilevanza entrare, prima dell’inizio della competizione, in una condizione di coinvolgimento globale, uno stato di prontezza mentale che somigliava quasi a una forma di sogno che diventava realtà. Analoghe testimonianze giocatori professionisti di golf di alto livello. L’immagine dominante in questi golfisti, espressione di un totale assorbimento nel compito era la seguente: essere concentrati solo sul tiro che si sta per eseguire e su null’altro d’interno o di esterno.

Le persone sviluppano quindi una strategia che gli permette di essere totalmente coinvolti nel compito, che parte dall’uso di metodi che favoriscono l’apprendimento e il perfezionamento di un particolare compito. Ad esempio, la pianista, Alicia del la Rocha per ottimizzare l’esecuzione di passi difficili di una partitura  si serve di una strategia basata sul suonarli in modo più lento e quasi sussurrato. Pure la gestione del tempo è essenziale in questo percorso di concentrazione, non tutti devono servirsi dell’approccio dello scrittore tedesco Goethe che sosteneva che le prime ore del mattino hanno l’oro in bocca. Pur nella differenza nella concezione di quali siano le ore migliori per lavorare, è stato comunque evidenziato che coloro che strutturano il loro tempo di scrittura si dimostrano efficaci, così come coloro che dedicano più tempo alla loro attività hanno maggiori probabilità di raggiungere i risultati sperati.

Quindi, in qualsiasi attività l’expertise è favorita dalla quantità e qualità del tempo speso uniti alla sua organizzazione temporale.

Un’applicazione pratica di questo approccio la si ritrova nella descrizione che Alessandro Del Piero riporta a proposito del volere imparare un determinato modo per calciare una punizione: “Al mondiale di Italia ’90 mi aveva colpito moltissimo il goal di Schillaci contro l’Uruguay … Ricordo che dopo ogni allenamento al Comunale, mi fermavo a provare i calci di punizione, in particolare quel famoso tiro di Schillaci. L’allenatore a volte mi chiedeva cosa facessi ancora lì in campo, e mi invitava a smettere perché non mi stancassi troppo. Io andavo avanti lo stesso, da solo. Sistemavo la palla, facendo una specie di piccola buca con lo scarpino, e lavoravo molto sul piede d’appoggio. Insomma, volevo ricreare le condizioni che avevano prodotto quel famoso tiro, e alla fine il colpo mi riuscì: era un Bologna-Juventus, vincemmo 3-1 e io misi finalmente a segno quel benedetto pallone in quel benedetto modo”.

Ventura: un CT senza leadership condivisa

Il limite principale di Ventura è stato di non aver saputo costruire una squadra unita e fornire una leadership autorevole. Per fare qualcosa di straordinario ed entrare nella storia, come ha detto Tavecchio, si deve costruire un clima motivazionale in cui ogni calciatore  si deve sentire unito agli altri da un filo che è un amalgama di volontà, tenacia, impegno, coraggio e umiltà. Questa costruzione viene prima di ogni schema o tattica di gioco, perché la sua funzione è di esaltare il valore umano di ognuno, che in una squadra unita su queste basi diventa molto di più della somma dei singoli valori. Si vince di più grazie al gruppo poiché la prestazione nasce dall’integrazione del comportamento di tutti i giocatori, che fanno bene cose diverse, insieme e contemporaneamente.

La squadra deve sempre ragionare in termini di NOI e il ruolo dell’allenatore è decisivo per favorire la partecipazione dei giocatori cercando di accoglierne le indicazioni, trattando tutti con gli stessi criteri ed evitando favoritismi, dando ad ognuno un ruolo e un obiettivo specifico individuale e di squadra. Ora tutto questo è mancato perché Ventura ha impiegato calciatori fuori dal loro ruolo, ha dato fiducia a qualcuno che non era in forma rinunciando a chi stava meglio, non ha messo in campo il più talentoso. Dopo la partita con la Spagna, non ha capito l’impatto psicologico negativo che avevano subito i calciatori e continuando con la retorica che sono professionisti e che una sconfitta non li avrebbe influenzati. Ovviamente è successo il contrario.

A questo punto, i veri leader della nazionale e cioè Buffon, De Rossi, Chiellini e pochi altri hanno dovuto riunire la squadra per sopperire alle carenze del commissario tecnico. Ventura è stato incapace di comprendere il loro stato d’animo e non ha saputo condurli, come avrebbe dovuto fare, fuori da questo tunnel di negatività, spingendoli a lottare nelle due successive partite.  Il cui valore fondamentale risiedeva non solo nel risultato ma soprattutto nella reazione morale che avrebbe permesso alla squadra di affrontare la Svezia da una condizione psicologica totalmente diversa. I leader in campo della squadra non hanno potuto fare di più, perché avrebbe significato andare a uno scontro diretto sulla formazione da mettere in campo.

Ventura non li ha di certo ascoltati e l’episodio che meglio evidenzia questa situazione è rappresentato dalle parole di Daniele De Rossi in panchina quando dice che se si vuole vincere la partita non dovrebbe essere lui a scaldarsi ma Insigne. Suggerimento non ascoltato. E lasciamo perdere sulla mancanza totale di senso di responsabilità e di senso di comunità dei dirigenti e del ct nel lasciare parlare per primo e da solo Gianluigi Buffon a spiegare il senso di questa eliminazione. D’altra parte, come dice Gigi Riva nel suo bellissimo articolo, “Nell’ora della verità a Ventura è mancato il coraggio (del resto, uno non se lo può dare)”.

Andrea Pirlo: l’ultimo dei talenti italiani si è ritirato

Andrea Pirlo ha definitivamente concluso la sua carriera. Il suo ritiro sancisce la fine di un tipo di calciatore che è tecnico, guida il gioco della squadra, calcia le punizioni e segna le reti, è un leader, nei momenti decisivi della partita fa la differenza. In Italia, non ci sono più giocatori di questo genere, lui era l’ultimo, insieme a lui ci sono stati nello stesso periodo Totti, Baggio e Del Piero.

Evidentemente la formazione calcistica dei nostri giovani non permette più lo sviluppo di questo tipo di calciatori, adesso in nazionale abbiamo un centrocampo fatto di anonimi e un attacco di giovani che non hanno ancora vinto nulla e spesso deludono. Abbiamo una difesa forte, ex-fortissima, speriamo basti per vincere con la Svezia e andare ai mondiali in Russia.

I goal migliori di Pirlo

Andrea Pirlo

Tamberi non era mentalmente pronto per la finale

Se è vero che le parole che esprimiamo comunicano un significato psicologico, quelle espresse d Giammarco Tamberi per spiegare la sua prestazione negativa nella finale del salto in alto ai mondiali di atletica leggera, ci dicono in quale direzione questo ragazzo dotato di talento deve migliorare.

Tamberi ha definito così la sua prestazione “La giornata è iniziata male, non avevo le sensazioni giuste … sono deluso e arrabbiato ma non so con chi prendermela. In genere s’impara dalle sconfitte, ma io devo ancora capire perchè. La pioggia mi ha condizionato? La pioggia c’è per tutti, non ci sono scuse, gli altri hanno saltato, si poteva fare, io no. Non capisco cosa è andato storto e dove ho sbagliato … se ho sentito la pressione? Sinceramente no, pensavo di stare bene, non vedevo l’ora di gareggiare dopo la lunga trasferta, invece niente … scusate”.

Tamberi assume su se stesso la responsabilità della sua prestazione negativa ma non sa spiegarsela. Per me sono tre gli errori mentali che ha commesso:

  • “Pensavo di stare bene” – Un atleta esperto non si accontenta di pensare ma fonda la sua convinzione sulle sensazioni che ha quando fa bene.
  • “Se ho sentito la pressione? Sinceramente no” – A questo punto tre possibilità o sei stanco o sei già appagato o sei così teso da non avvertire la sensazione di tensione. Limitata consapevolezza della propria condizione psicofisica e nessun piano per auto-regolarla.

e infine,

  • gli atteggiamenti narcisisti come quello di avere il volto per metà rasato e per metà con la barba, li lasci fare a Bolt, perchè poi bisogna saperli reggere con prestazioni eccezionali. Altrimenti rappresentano la volontà di affermarsi attraverso una moda e non grazie alla volontà di esprimersi al meglio di sé.

Queste sono a mio avviso le spiegazioni di questa prestazione negativa e gli obiettivi di miglioramento su cui Tamberi dovrebbe allenarsi.

 

Giovanni Pellielo: Una leggenda dello sport olimpico

Oggi a Granada Giovanni Pellielo ha conquistato per la settima volta il diritto di partecipare alle Olimpiadi. E’ arrivato 3° ai campionati del mondo con un percorso esaltante. Nella fase eliminatoria ha ottenuto 124 su 125 classificandosi primo insieme ad altri due tiratori. Nella semifinale ha preso 14 piattelli su 15. Ha dovuto spareggiare con un altro tiratore, ha sbagliato subito e si è trovato a gareggiare contro un altro tiratore per il terzo posto. Di nuovo 15 piattelli, li ha presi tutti mentre il suo avversario ne ha sbagliati 3. Con questo risultato ha vinto anche la carta olimpica per Rio alla prima occasione in cui è stata messa in palio. Se, come probabile, andrà a Rio sarà la sua settima olimpiade dove finora ha vinto 3 medaglie. E’ l’atleta più vincente della storia del tiro a volo, avendo anche vinto 4 mondiali e decine di gare internazionali. Ha 44 anni.

La faccia di chi vuole vincere

Questa è la faccia di chi vuole uscire da un brutto momento e vincere la partita. (L’italia di pallavolo stava perdendo 2-0 contro la Francia, poi è riuscita a ribaltare il risultato vincendo 3-2, grazie all’inserimento di giocatori che volevano vincere come l’alzatore Baranowicz).

Volley, Mondiali: l'Italia ritrova l'orgoglio, battuta in rimonta la Francia

L’Italia esce fuori dai problemi e vince

Noi siamo fatti così, bisogna darci per spacciati, dobbiamo percorrere una strada di avvicinamento piena di buche come non vincere da più di sei mesi e avere giocatori importanti infortunati (Montolivo, Rossi, Buffon fra gli altri), essere considerati come un calcio di secondo ordine  e non più competitivo perché prima vengono i tedeschi, gli spagnoli e gli inglesi. A questo punto noi che non siamo considerati favoriti risorgiamo, siamo i più bravi a toglierci dall’orlo del baratro e a risalire. I nostri avversari non capiscono come ciò sia possibile, perché questo modo di fare apparentemente non è logico, per noi al contrario è un modo di essere. Sappiamo piegarci alle avversità senza spezzarci e quando ci rialziamo siamo pronti a combattere contro chiunque. La strategia consiste nel colpire quando gli avversari meno se lo aspettano. Prandelli ha organizzato una squadra che ha saputo tenere il pallone al piccolo trotto mentre gli inglesi erano più veloci nell’arrivare a rete, con un continuo contropiede sulla destra condotto da Candreva e Darmian e un finale di partita basato sul classico difesa e contropiede. Non eravamo favoriti neanche nei mondiali vinti del 1982 e del 2006 e venivamo anche allora da un periodo di grande difficoltà per il nostro calcio. Al Pacino nel film Ogni maledetta domenica nello spogliatoio dice alla sua squadra che “in ogni scontro è colui il quale è disposto a morire che guadagnerà un centimetro”. E’ una metafora efficace per spiegare la condizione mentale che l’Italia ha saputo dimostrare in questa prima partita del mondiale, uscendo dalle difficoltà in cui si è trovata quest’anno con l’organizzazione e la voglia di vincere. Ottimo, ora si tratta di continuare. Leggilo su Huffington Post.