Archivio mensile per febbraio, 2013

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Non bisogna mai subire l’allenamento o la gara

Fra le difficoltà che un atleta deve affrontare vi è quella di essere pronto a non subire un allenamento, un avversario o le situazioni che si presentano durante una competizione. Subire vuol dire rinunciare a esprimere il proprio valore mentre si entra in uno stato mentale fatto di lamentele, di sensazioni d’incapacità e di recriminazione. Ci si può lamentare nei confronti dell’allenatore che propone esercizi che non piacciono o perchè ci si sente sfortunati. Sono mille le ragioni a cui agganciarsi per entrare in questa condizione mentale negativa che per qualche istante allontana da sé la responsabilità di quanto è avvenuto, perchè la colpa è degli altri o della sfortuna. Questa soddisfazione è di breve durata perchè subito dopo l’atleta si sente dominato da una condizione di poca fiducia verso di sé.

Sono proprio questi i momenti in cui si deve reagire. La prima cosa da fare è essere consapevoli che ognuno è il padrone delle proprie azioni quotidiane e nessun altro. La seconda, riguarda il sapere che gli ostacoli rappresentano le uniche opportunità per migliorare e quindi vanno ricercati per potere imparare ad affrontarli. Terzo, si deve ripensare alle difficoltà che si sono vissute, sapere in che modo le si è affrontate e se si sarebbe potuto fare meglio. Quarto, bisogna pensare alle prossime giornate, verificare quali ostacoli potrebbero presentare e pianificare azioni più efficaci.

I campioni sono diversi perchè reagiscono subito alle difficoltà

Ci possono essere molti aspetti che fanno la differenza fra un campione e un buon atleta e che dipendono dalle caratteristiche fisiche e fisiologiche di ognuno, dalla qualità e quantità dell’allenamento, dal vivere in un ambiente sociale che lo sostiene e lo protegge e dalle abilità psicologiche che ha sviluppato nel lavoro quotidiano e in gara. Tutte queste caratteristiche sono necessarie  e spesso portano a dire che quel determinato atleta è proprio un talento. Non sono però sufficienti a predire i successi che i campioni raggiungono. A mio avviso, la caratteristica decisiva risiede nella reazione alle difficoltà, è in quel momento che si capisce se il giovane ha la stoffa per essere un campione. I pragmatici americani che da tempo l’hanno capito hanno coniato il detto: “Non importa quante volte cadi, ma quanto in fretta ti rialzi”. In tal modo l’errore non è mai vissuto come un’espressione d’incapacità ma come una comune difficoltà che s’incontra sul proprio cammino e che come tale deve essere affrontata. Talvolta invece gli atleti dopo un errore hanno difficoltà rifocalizzarsi nuovamente sulla loro prestazione, per la ragione che continuano a restare prigionieri del pensiero collegato all’errore. Così dopo l’errore sono confusi perchè pensano alle cause che lo hanno determinato, piuttosto che continuare a restare concentrati su ciò che sta accadendo in gara. Altre volte entrano in campo con la convinzione che non commetteranno errori e così quando fanno il primo, rimangono stupiti e non sono pronti a reagire. Altre volte ancora vivono l’errore non come un fatto probabile ma come una dimostrazione che non sono abbastanza capaci ad affrontare queste situazioni e così si accentua in loro l’insicurezza con l’effetto di aumentare la probabilità di sbagliare.

L’errore più grave e poi quello di credere che giacché ci si è allenati bene, la gara si svolgerà per forza bene. In questo caso, ci si mette in una condizione di presunzione, in cui di fatto si presume che non ci saranno problemi. La situazione, invece  è esattamente l’opposto, perchè in ogni competizione vi sono fasi di difficoltà che mettono alla prova la convinzione e la tenacia dell’atleta. Chi pensa che sia sufficiente essere in forma e non è disposto a reagire alle difficoltà con forza e decisione fornirà una prestazione al di sotto delle sue possibilità. In altre parole bisogna allenarsi a vivere le difficoltà con lo spirito seguente: “Finalmente sono in un momento difficile, così ho la possibilità di allenarmi a uscire da questo problema!”.

 

Non ha ancora l’altezza ma ha un talento incredibile per il basket

Julian è un ragazzo di 11 anni, guida il suo tean durante il riscaldamento, facendo rimbalzare due palle contemporaneamente. L’età, le dimensioni del suo fisico e in particolare la forte differenza di altezza rispetto ai compagni hanno determinato su di lui un’enorme attenzione. Questo video di Julian è, infatti, stato visto da 1.27 milioni di persone su YouTube.

http://www.youtube.com/watch?v=H-lOPSSdb6w

 

La Juve è stanca e appagata

Per la Juventus era una delle tante partite da vincere per continuare a restare in cima alla classifica, mentre per la Roma era la partita della disperazione e non poteva perderla. La Roma ha vinto 1-0 contro la Juve. Parzialmente appannata dalla fatica della partita di pochi giorni fa contro il Celtic, la Juve non ha giocato con la determinazione di chi vuole vincere, infatti la partita è stata abbastanza noiosa. I gioctori sono sembrati appagati dal risultato positivo contro il Celtic e hanno giocato nella speranza che non succedesse niente e che una punizione di Pirlo potesse risolvere la partita. Non è stato così e ha dato alla Roma la possibilità di risorgere. A questo punto bisogna aspettare i risultati delle altre partite, per sapere se il Napoli saprà giocare con la convinzione necessaria di chi sa che può portarsi a soli 2 punti dalla Juve o se questa idea, invece, paralizzerà il cervello della squadra, facendogli perdere questa occasione.

Serena Williams è la nuova e più anziana n.1 del tennis

Serena Williams

Complimenti a Serena Williams che è ritornata a essere la numero 1 del tennis mondiale all’età di 31 anni. E’ la prima tennista di questa età ad avere raggiunto nuovamente il vertice assoluto della classifica. Non ci credeva neanche lei che ci sarebbe riuscita o che avrebbe di nuovo vinto un torneo del Grande Slam. La Williams è un esempio di come si possa restare ai vertici per 15 anni e di come si possono superare in modo vincente infortuni anche gravi. Dal punto di vista mentale è un formidabile esempio di perseveranza e di tenacia che le hanno permesso di uscire con successo dai problemi fisici che ha avuto.

La parabola di Pistorius da eroe a omicida

In questi anni lo sport è stato spesso fonte di illusioni e delusioni, perchè la piaga del doping e della corruzione hanno determinatola caduta di tanti campioni, evidenziando un mondo in cui spesso l’idea di “vinca il migliore” l’avevano solo gli appassionati mente i diretti interessati, gli atleti, sapevano che non era vero, perchè qualcuno  stava truccando il gioco. Ieri  a questo quadro negativo si è aggiunto un nuovo e terribile episodio che riguarda l’uccisione a colpi di pistola da parte di Oscar Pistorius della sua fidanzata, Reeva Steenkamp. Ha sparato ben quattro colpi pensando che fosse un ladro che era entrato in casa.  Da dove nasce questo istinto omicida? Perché non si sparano quattro colpi se non si vuole uccidere e lui lo ha fatto al primo sospetto; ha sparato per ammazzare, non certo per spaventare il presunto ladro. I casi di femminicidi non arrivano inaspettati, all’improvviso, ma sono preceduti da una serie di comportamenti che costituiscono altrettanti segnali di rischio e quindi possono essere analizzati e riconosciuti per mettere in moto meccanismi di prevenzione e protezione. Pistorius era molto geloso e vi sono racconti sui suoi comportamenti alterati quando è ubriaco, ma sinora non erano stati considerati così rilevanti da potere essere considerati come predittori di quanto è avvenuto. “E’ uno sport che si decapita da sé”, ha scritto Emanuela Audisio. Pistorius è finito ma è stato l’artefice del suo destino e si è  rovinato con le sue mani, mentre Reeva Steenkamp ha perso la vita per niente, a causa di un uomo che non ha voluto autocontrollarsi.

Nuovo blog sulla corsa

London Marathon

Il quotidiano inglese The Guardian propone un nuovo blog dedicato a quelli che corrono, è molto interessante e divertente e ne consiglio la lettura: http://www.guardian.co.uk/lifeandstyle/the-running-blog/2013/feb/05/welcome-to-guardian-running-blog

Corri o cammina mezz’ora ogni giorno per 100 giorni

Parte il 15 febbraio, una nuova disfida podistica di ePODISMO, rivista nazionale mensile di podismo, corsa a piedi, maratona, atletica.

La Disfida dei 100 giorni alla Cento, che accompagnerà i partecipanti fino al 25 maggio 2013, giorno di partenza della “100km del Passatore“, l’ultramaratona più bella del mondo che ogni anno da Firenze, si snoda nel Mugello e sull’Appennino ed arriva a Faenza, in terra di Romagna.

Le disfide podistiche dei 100 giorni consistono nel correre o camminare almeno mezz’ora ogni giorno per cento giorni consecutivi.

Il limite minimo dei trenta minuti è stato scelto perché è il tempo che serve affinché il proprio organismo tragga effetti benefici dalla corsa giornaliera. Anche dietro la scelta dei 100 giorni vi è una spiegazione razionale: effettuando la stessa attività per 21 giorni si crea un’abitudine. Questa si consolida intorno ai 45 giorni, ed allo scoccare dei 90 giorni il proprio organismo la considera ormai una routine giornaliera che si fa quasi senza pensarci, proprio come lo svegliarsi la mattina e lavarsi i denti.

La partecipazione è libera e gratuitaTutti coloro che porteranno a termine la disfida potranno scaricare un diploma di merito a ricordo dell’iniziativa.

Chi vuol essere parte del contingente di “centocentisti” può trovare tutti i dettagli all’indirizzo www.epodismo.com/100

L’allenatore non deve mai perdere il self-control

  • L’allenatore è colui che deve gestire le emozioni della squadra.
  • Il suo umore esercita una significativa influenza sui giocatori.
  •  Come deve essere l’allenatore? Entusiasta, energico e determinato.
  • Le emozioni che i giocatori provano in partita non determinano il risultato ma come si sentono durante la gara è responsabile del 20% del risultato finale. Ed è l’allenatore che determina l’umore dei giocatori per almeno il 50%.
Ecco perchè l’allenatore non deve mai perdere il self-control, chi guida e ha responsabilità di un gruppo deve sempre trovare un’altra opzione al semplice urlare fuori i suoi stati d’animo, siano essi di rabbia come quelli di Conte, allenatore della Juventus e  di Rossi allenatore della Sampdoria o di rassegnazione come quelli del nuovo allenatore della Roma.

Non ci sono più pasti gratuiti

“Non ci sono più pasti gratuiti” titola il Corriere della Sera. Non abbiamo mai pensato che questa è proprio la regola dello sport? “Se non sei grado di competere è meglio che stai a casa”. Detto così è brutale, ma è la realtà. Anche nel nostro sistema tanto criticato, però vi è un’organizzazione, il Coni, che spinge per mettere gli atleti nella condizione di vincere, cioè di essere competitivi. Sono il primo a dire che questo ruolo potrebbe essere svolto in modo migliore. Però c’è e si chiama Preparazione Olimpica che fornisce finanziamenti a progetti che hanno lo scopo di realizzare programmi che promuovono i nostri talenti nel mondo delle prestazioni agonistiche di livello mondiale.

Nello sport non ci sono pasti gratuiti: o vinci o perdi, sarà duro ma è così e devi combattere anche contro quelli che scelgono le scorciatoie: il doping. Nella politica la regola è invece diversa: si vota sulla promessa (toglieremo l’IMU, daremo posti di lavoro) e molti ci credono e si fiondano a votare per quel partito. I nostri partiti dovrebbero imparare dallo sport, finanziando idee e progetti che promuovono la competitività. Devono dire cosa vogliono fare per i giovani che sono disoccupati, per le aziende che non hanno credito dalle banche e che non sono pagate dalle banche e così via.

Lo sport ci insegna che le proposte devono essere percepite come semplici e realizzabili e non difficili e burocratiche. Ogni persona deve percepirle come realizzabili anche se non ha la raccomandazione, perché verrà valutato per le sue competenze e non per le amicizie. Competenze e imprenditorialità sono alla base della competitività. Familismo e raccomandazione sono invece le regole che conducono alla corruzione. I partiti devono decidere da che parte stare. Usino le regole dello sport e avranno la soluzione a questo dilemma, con la consapevolezza che si sta facendo di tutto, vedi doping, per distruggerlo.

Doping che in economia è un modo di procedere noto da tempo immemorabile, e che comporta il fare apparire per vero (ad esempio la riduzione delle tasse o i falsi in bilancio) ciò che nella realtà è falso. Vi prego non promettete ma dite quello che farete per aumentare la competitività dell’Italia, perché il problema non sono le tasse, ma come guadagnare i soldi per vivere in benessere.

(da http://www.huffingtonpost.it/alberto-cei/la-competitivita-e-assente-lo-sport-puo-insegnarla_b_2648227.html?utm_hp_ref=italy#comments)