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Il problema della Serie A è anche un problema di allenatori troppo garantiti

Le partite del nostro campionato dimostrano troppo spesso che concetti quali:

  • Andare oltre i propri limiti e mantenere elevati standard
  • Eccellere per se stessi
  • Rivaleggiare per superare gli altri

non fanno parte della cultura attuale delle squadre se non con rare eccezioni.

La questione è come mai a calciatori professionisti e affermati non venga insegnato a entrare in campo con la determinazione e la concentrazione richieste dalla partita da affrontare. Gli allenatori pensano che la loro squadra giocherà in un certo modo e poi questo non avviene. Forse rispetto ai grandi allenatori italiani del passato quelli attuali sono diventati così presuntuosi da convincersi che basta la loro presenza a infondere coraggio? Forse perché guadagnano troppo e sono troppo garantiti dal punto di vista economico, quindi, in base a ciò ritengono di non essere criticabili e per questa ragione non mettono accanto a sé persone che potrebbero rappresentare la coscienza critica che gli manca.

Al contrario, le esperienze di leadership ad alto livello nel mondo del business insegnano proprio questo, che accanto ai grandi leader vi è sempre un’altra persona esperta con cui si confrontano apertamente e che verifica che le loro idee siano attuate. Forse questi nostri condottieri dovrebbero imparare a servirsi di collaboratori in grado di sapere se i loro calciatori sono disposti a giocare fino in fondo o sono pronti a mollare un centimetro alla volta fino alla fine. Perché è proprio questa la differenza tra vincere e lasciarsi dominare.

Gli errori degli arbitri

Inizia una nuova stagione agonistica, nel calcio come per gli altri sport di squadra, e gli arbitri svolgono un ruolo indispensabile per il corretto svolgimento del campionato. Ai direttori di gara non piace sentirsi dire che possono commettere errori per eccesso di arroganza personale e per eccesso di subordinazione nei confronti di squadre e giocatori. Non sto a parlare di incompetenza tecnica, perchè in questo caso lo sbaglio non è tanto dell’arbitro che mostra questa difficoltà, quanto piuttosto di chi lo ha designato per quella partita. Al contrario, anche l’arbitro internazionale più esperto può commettere errori dovuti a un eccesso di volontà d’imporsi o viceversa dovuti a una cautela eccessiva nei riguardi della squadra di casa, di quella più famosa o dei giocatori più importanti. Errori di presunzione o di soggezione nei confronti degli avversari si manifestano anche nelle squadre di alto livello, fanno parte di quei comportamenti in cui chiunque può cadere quando la tensione agonistica è molto intensa. La classe arbitrale e i suoi dirigenti non dovrebbero quindi negare errori di questo tipo, perchè possono manifestarsi anche nelle persone più competenti. Al contrario gli arbitri dovrebbero essere allenati a riconoscere quando questi atteggiamenti iniziano a manifestarsi nei loro comportamenti sul campo, così da correggerli immediatamente. Una regola che vorrei trasmettere agli arbitri è quella di non negare mai a se stessi un momento di difficoltà ma invece di riconoscerlo il prima possibile e cambiare il proprio comportamento in modo positivo.

I campioni sono diversi perchè reagiscono subito alle difficoltà

Ci possono essere molti aspetti che fanno la differenza fra un campione e un buon atleta e che dipendono dalle caratteristiche fisiche e fisiologiche di ognuno, dalla qualità e quantità dell’allenamento, dal vivere in un ambiente sociale che lo sostiene e lo protegge e dalle abilità psicologiche che ha sviluppato nel lavoro quotidiano e in gara. Tutte queste caratteristiche sono necessarie  e spesso portano a dire che quel determinato atleta è proprio un talento. Non sono però sufficienti a predire i successi che i campioni raggiungono. A mio avviso, la caratteristica decisiva risiede nella reazione alle difficoltà, è in quel momento che si capisce se il giovane ha la stoffa per essere un campione. I pragmatici americani che da tempo l’hanno capito hanno coniato il detto: “Non importa quante volte cadi, ma quanto in fretta ti rialzi”. In tal modo l’errore non è mai vissuto come un’espressione d’incapacità ma come una comune difficoltà che s’incontra sul proprio cammino e che come tale deve essere affrontata. Talvolta invece gli atleti dopo un errore hanno difficoltà rifocalizzarsi nuovamente sulla loro prestazione, per la ragione che continuano a restare prigionieri del pensiero collegato all’errore. Così dopo l’errore sono confusi perchè pensano alle cause che lo hanno determinato, piuttosto che continuare a restare concentrati su ciò che sta accadendo in gara. Altre volte entrano in campo con la convinzione che non commetteranno errori e così quando fanno il primo, rimangono stupiti e non sono pronti a reagire. Altre volte ancora vivono l’errore non come un fatto probabile ma come una dimostrazione che non sono abbastanza capaci ad affrontare queste situazioni e così si accentua in loro l’insicurezza con l’effetto di aumentare la probabilità di sbagliare.

L’errore più grave e poi quello di credere che giacché ci si è allenati bene, la gara si svolgerà per forza bene. In questo caso, ci si mette in una condizione di presunzione, in cui di fatto si presume che non ci saranno problemi. La situazione, invece  è esattamente l’opposto, perchè in ogni competizione vi sono fasi di difficoltà che mettono alla prova la convinzione e la tenacia dell’atleta. Chi pensa che sia sufficiente essere in forma e non è disposto a reagire alle difficoltà con forza e decisione fornirà una prestazione al di sotto delle sue possibilità. In altre parole bisogna allenarsi a vivere le difficoltà con lo spirito seguente: “Finalmente sono in un momento difficile, così ho la possibilità di allenarmi a uscire da questo problema!”.

 

L’Inter ha perso il momento

L’Inter si è persa. Dopo 9 vittorie consecutive, nelle ultime tre partite ha ottenuto 2 sconfitte e 1 pareggio contro squadre di livello inferiore. Probabilmente era ipotizzabile un calo di tensione mentale dopo la vittoria con la Juventus ma non che questa condizione si protraesse per altre due partite. Presunzione e stanchezza mentale sono i due sintomi che hanno colpito l’Inter  in questa fase del campionato. Sono malattie comuni a chi, non abituato a stare ai vertici delle classifiche, inizia a credere che potrà continuare a vincere anche se s’impegna di meno. E’ una vera e propria forma di pensiero magico che colpisce tutti i giocatori che scendono in campo convinti di vincere per averlo fatto sino alla partita precedente o per avere sconfitto la capolista. L’inesperienza dell’allenatore a stare a alto livello gli ha impedito di prevenire questa condizione mentale negativa, che al contrario era del tutto prevedibile. Infatti dopo la vittoria con la Juventus, la squadra avrebbe dovuto fornire una prova del suo valore proprio giocando con la stessa intensità mentale anche la domenica successiva, mentre ciò non è accaduto e ha continuato a perdersi anche nelle due successive.  Certamente l’Inter si riprenderà da questa fase ma dovrà aspettare di ottenere una lunga serie di risultati positivi, prima di sapere se è diventata immune da questa sindrome basata sul virus della presunzione.