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La Juventus impari da Aristotele

Aristotele diceva che “Noi siamo ciò che facciamo costantemente. L’eccellenza quindi non è un atto ma una abitudine”. Trasferendo questa affermazione nel mondo terreno del calcio significa ad esempio: che la Roma sta costruendo in queste prime otto partite un’abitudine positiva che è alla base dell’eccellenza. La Juventus, al contrario, avedo subito 10 goal e perso sinora quella combattività che la distingueva dalle altre squadre deve cambiare a ogni costo, perchè ciò che fa sta determinando un’abitudine a reagire in maniera insufficiente. In sostanza le abitudini guidano i nostri comportamenti e il lavoro di Antonio Conte deve essere quello di sradicarli perchè la squadra collettivamente sta imparando a non reagire e non c’è nulla di più negativo.

Juventus assente, ritornare in altro orario

Vedere l’intervista a Conte è imbarazzante, perchè non sa trovare ragioni per spiegare l’assenza della Juventus a partire dal 70° del secondo. Errori banali: primo goal su rigore; secondo, papera di Buffon; terzo, giocatore lasciato libero come se si fosse all’oratorio e, l’ultimo, contropiede. Quindici minuti in cui la Juventus è stata presente sul campo solo fisicamente e non mentalmente. Non solo non ha lottato, non ha proprio giocato. E’ difficile capire come la squadra che negli ultimi due anni ha fatto dell’impegno totale e arrembante la sua caratteristica fondamentale ora manchi proprio in questo e non solo oggi, perchè in questo campionato ha preso già 10 goal. Giocatori stanchi e mentalmente soddisfatti? Non si può giocare per tre anni consecutivi sempre al proprio meglio e questo è il modo in cui si verifica? Insofferenza verso un leader che li richiama sempre al valore del duro lavoro? Il maggior livello di classe della squadra di quest’anno ha portato a credere che si può vincere impegnandosi di meno? Solo Conte e la squadra lo possono sapere. Aspettando il Real Madrid.

Le ragioni della rinascita della Roma

Il cambiamento dell’atteggiamento in campo della Roma e delle conseguenze che ne derivano: migliore gioco, combattività dei singoli, forte coesione e maggiore senso di appartenenza rappresenta un dato positivo non solo per la Roma, prima in classifica, ma per il calcio italiano. Il primo passo verso questo cambiamento è rappresentato dalla diversa organizzazione della società, più chiara, senza sovrapposizione nei ruoli dirigenziali chiave, che ha determinato la scelta dei giocatori da cedere e quelli da immettere, facendo attenzione alle necessità di bilancio e a prendere non solo giocatori bravi ma anche dotati della personalità necessaria per giocare ad alto livello. Il secondo tassello è costituito dalla scelta di un allenatore non glamour o filosofo ma concreto. Dal punto di vista psicologico si è presentato come il classico padre severo ma giusto; in tal modo i giocatori si sono sentiti rispettati e così da questo nuovo ambiente e dall’intreccio di queste relazioni è nato il gioco attuale.  Il risultato della Roma dimostra che per vincere è innazitutto necessario avere un’organizzazione societaria efficace e un allenatore (il leader della squadra) che valorizzi i calciatori, non li escluda per un pregiudizio personale e che faccia rispettare regole semplici e ben definite. Solo a questo punto inizia l’allenamento del gioco.

Il ruolo dello psicologo dello sport nella squadra nazionale

Si è tenuta presso la Scuola dello Sport un workshop sul ruolo delle differenti figure professionali che lavorano in una squadra nazionale prima e durante grandi eventi sportivi. In relazione al ruolo dello psicologo ho messo in luce quali sono le principali attività da svolgere:

  • La preparazione psicologica essenziale è stata svolta in precedenza
  • Non introdurre nuove strategie e procedure ma aiutare gli atleti a seguire le loro abitudini
  • Lo psicologo non deve essere ossessionato dal “fare”
  • Sono necessarie 24 ore di assistenza e disponibilità a fornire consulenza in qualsiasi ambiente
  • Lo psicologo deve essere preparato all’unicità dei giochi olimpici
  • Seguire il programma preparato in precedenza
  • Essere reattivo e efficace
  • Promuovere l’uso di routine comportamentali e e piani giornalieri
  • Aiutare gli atleti a restare concentrati sulla competizione senza lascirsi distrarre dall’ambiente del villaggio e dell’atmosfera olimpica
  • Aiutare atleti e allenatori a non porre eccessiva enfasi sulla gara
  • Aiutare la squadra a generare un’atmosfera positiva e facilitante soluzioni efficaci
  • Essere pronti a sostenere psicologicamente i tecnici
  • Preparare strategie di gestione delle relazioni interpersonali
  • Comunicazione interpersonale fra i membri dello staff: gestione del tempo libero, relazioni con capo delegazione e dirigenti federali, gestione dei media

Come ragiona Jonny Wilkinson

Alcune idee tratte dal nuovo libro di Jonny Wilkinson (Rugby quantistico, in collaborazione con i due fisici Etienne Klein e Jean Iliopoulos)su cui possiamo riflettere.

“Quando ci si allena bisogna fare il meglio del meglio. Vuol dire che non basta far passare il pallone tra i pali, ma esattamente in mezzo”.

“Già prima di calciare, sento il punto preciso in cui entrerò in contatto con il pallone. Nella mia testa vedo la traiettoria esatta del pallone”.

“Il motivo per cui mi alleno mentalmente, è che in questo modo posso avere un allenamento assolutamente perfetto”.

“Non sono mai soddisfatto di quello che faccio sul campo. Per questo continuo a lavorare dopo gli allenamenti con sessioni di due o tre ore. Il mio obiettivo è di creare un clima di sicurezza intorno a me, di fabbricare delle abitudini forti e utili sulle quali potermi appoggiare”.

“Il rugby è il vero gioco di squadra, sì. Come dicevo, siamo sempre connessi. E’ impossibile avere l’occasione di segnare una punizione senza gli uomini della mischia”.

“Tempo fa ho letto che il miglior modo per raggiungere i propri obiettivi è quello di aiutare gli altri a raggiungere i loro. Ne sono profondamente convinto”.

 

Uscire dalla malattia con il gioco di squadra

Sintini con la moglie al Giro d'Italia

Giacomo Sintini è un giocatore di pallavolo, alzatore della squadra campione d’Italia. Ma lo scorso anno la situazione era molto diversa. Jack non è più quello di prima, ha continui dolori a livello delle costole e della scapola. Bastano pochi esami per capire che la situazione è davvero grave. «I forti dolori che sentivo -spiega Jack- erano dovuti a delle continue microfratture nelle costole. Ma i traumi dello sport non c’entravano nulla. All’interno di un osso era presente una lesione tumorale in continua crescita capace di assottigliarmi sempre di più le costole e causarmi forti dolori. Si trattava di un linfoma al IV stadio di sviluppo». Una diagnosi spietata capace di mettere KO chiunque, anche un tipo forte come Giacomo Sintini. «E’ tutto finito. Non puoi che pensare così quando ti dicono che hai un cancro. Gli ematologi mi avevano confermato che la situazione era abbastanza grave. Io e la mia famiglia rimanemmo pietrificati, completamente in preda allo sconforto» spiega Sintini. Oggi ha sconfitto questa malattia, grazie alle cure ricevute ma è lui stesso a affermare che è stato un vero proprio lavoro di squadra quello fatto insieme ai medici e alla sua famiglia, che gli ha impedito anche nei momenti più dolorosi di non perdere la speranza di potere guarire. (www.fondazioneveronesi.it/la-tua-salute/giro-d-italia/guarire-grazie-alla-ricerca-il-cancro-si-pu-sconfiggere-parola-di-giacomo-sintini/4504)

Le competenze dell’allenatore

Sempre nella stessa ricerca condotta alcuni anni fa dal Comitato Olimpico US condotta intervistando gli atleti della squadra olimpica amricana nel periodo 1984-1998 è stato loro chiesto quali erano secondo loro le competenze più importanti di un allenatore.

Questi atleti hanno posto in testa alle competenze l’abilità a insegnare e l’abilità a motivare e incoraggiare. A seguire quelle più tipicamente professionali e relative alla conoscenza dell’allenamento e quelle strategiche dello sport. Pertanto premesso che gli allenatori devono essere in grado di programmare e condurre tecnicamente il loro lavoro, sono però le loro competenze interpersonali e psicologiche a rendere efficace il loro lavoro. Questi dati dovrebbero fare riflettere coloro che organizzano i corsi di formazione per allenatori in cui buona parte delle ore sono dedicate esclusivamente alla componente tecnica di questo lavoro mentre poco tempo è dedicato allo sviluppo di quelle abilità che gli atleti di livello assoluto considerano invece come decisive per il loro successo.

Continuità del gioco e combattività: due problemi delle squadre di calcio

I recenti risultati altalenanti di molte squadre di calcio (Roma, Inter, Napoli e Milan) sono attribuili anche a carenze mentali. In particolare, combattività e continuità di gioco mi sembrano due problemi di cui sono vittime queste squadre di calcio. Continuità del gioco significa sapere cosa bisogna fare e farlo. Questo anche nei momenti negativi di gioco o quando si è messi sotto pressione dall’altra squadra. In queste situazioni si deve pensare: “Questo è il mio compito e devo tornare a farlo.” Nei momenti di difficoltà ogni giocatore deve tornare agli elementi di base della sua prestazione, deve impegnarsi nel fare le cose semplici con la consapevolezza che in questo modo gli avversari avvertiranno questa sua determinazione e anche loro potranno sentirsi sotto pressione per non riuscire a realizzare il gioco che vogliono. Giocare con continuità è strettamente associato alla combattività, che è l’atteggiamento che ogni giocare deve mostrare quando è in campo. Combattività e continuità di gioco devono, quindi, essere sempre presenti indipendentemente dal livello tecnico-tattico della squadra, perché determinano l’atteggiamento con cui ogni squadra deve affrontare la partita. Rinunciare ad avere questo modo di giocare o mostrarlo in modo intermittente è a mio avviso uno dei principali errori mentali che ogni allenatore dovrebbe insegnare a evitare.

Il calcio a 5 è un altro sport

In questi giorni ho assistito a partite di calcio a 5 e mi sono reso conto che si tratta di un’evoluzione del calcio tradizionale da cui si differenzia in maniera molto significativa. Certamente si gioca con un pallone, vi è un portiere e vince la squadra che fa più goal ma sotto altri aspetti è un’altra cosa. Ecco in cosa a mio avviso si differenzia:

  1. nell’arco di un tempo i giocatori possono alternarsi ogni 3/4 minuti
  2. negli ultimi 2 minuti si possono fare più goal e ribaltare il risultato
  3. l’errore di un giocatore può essere fatale e determinare una rete
  4. è un gioco a elevata intensità, con continui scatti che riducono le energie mentali e fisiche dei giocatori
  5. i tempi di reazione e decisionali devono essere molto rapidi
  6. ogni giocatore deve essere costantemente pronto a difendere e attaccare
  7. l’espulsione di un giocatore determina un vantaggio notevole alla squadra avversaria
  8. viene richiesto un continuo e elevato livello di coesione e collaborazione
  9. bisogna giocare a intensità elevata sino all’ultimo secondo
  10. è richiesto un continuo controllo emotivo sui propri stati d’animo nocivi

Quanto dura un allenatore sulla stessa panchina?

Le squadre parlano di progetto e gli allenatori vengono mandati via anche dopo pochi mesi. Questa è l’esperienza attuale del nostro calcio e questi due dati di realtà ovviamente si contraddicono a vicenda. Un progetto richiede stabilità nell’impiego delle risorse (finanziarie, organizzative e umane) e ha senso solo se queste si coniugano insieme con un’altra variabile rappresentata dal tempo. Spesso gli allenatori vengono mandati via per le bizze dei presidenti e a questo non c’è rimedio. Altra volte perché s’incolpano della mancanza di risultati, come nel caso di Luis Enrique, che a mio avviso non ha compreso del tutto l’ambiente nel quale lavorava. Sbaglierò ma mi sembra si sia intristito strada facendo e questo non ha fatto bene a lui e alla squadra. Il Napoli ha chiuso un ciclo basato “sulla novità e entusiasmo” ora deve decidere (il suo presidente) se diventare una grande squadra o restare una buona squadra. L’allenatore sarà sempre lo stesso? In altre parole: è l’allenatore adatto per un livello superiore? Un’altra questione che influenza la durata riguarda lo stress percepito dall’allenatore: Guardiola se ne è andato per riposarsi. E poi ancora, mi sembra sia stato Trapattoni a dire che un allenatore non può restare più di cinque anni sulla stessa panchina, perché s’insinua una sorta di abitudine che deteriora la voglia di migliorarsi. Ovviamente vi è l’eccezione di Ferguson. In sostanza vi sono molti fattori che determinano la durata sulla stessa panchina e qualcuno dovrebbe studiare questi aspetti. Direi che gli allenatori hanno bisogno sempre di nuovi stimoli e così le squadre, quindi alcuni anni (5?) sono già un gran successo poi bisogna cambiare. Questo vale anche negli altri sport di squadra: Messina, Rudic e Velasco per ricordare solo tre nomi non allenano più in Italia da tempo.