Archivio per il tag 'allenatore'

Sei un allenatore che accetta gli errori?

  • Atleti e allenatori devono accettare gli errori come unica occasione per ottenere in futuro prestazioni ottimali. Per conoscere come un allenatore reagisce agli errori dei suoi atleti fategli rispondere a queste domande:

Che allenatore sei?

1. Quando gli atleti fanno delle belle azioni, approssimativamente quante sono percentualmente le volte che hai risposto con un rinforzo? _______%
2. Quando gli atleti s’impegnano molto (indipendentemente dal risultato), quante sono percentualmente le volte che hai risposto con un rinforzo? _______%
3. Quante volte hai rinforzato gli atleti per la loro correttezza sul campo, per il loro supporto ai compagni e per avere accettato le regole di squadra? _______
4. Quando gli atleti compiono un errore, approssimativamente quante sono percentualmente le volte che hai risposto con un:
  • Incoraggiamento _____%
  • Istruzione correttiva fornita in modo incoraggiante _____%
5. Quando sono stati commessi degli errori, hai sottolineato con forza l’importanza d’imparare da loro?  Sì    No
6. Hai enfatizzato con forza l’importanza di divertirsi durante l’allenamento e le gare? Sì    No
7. Hai detto ai tuoi atleti che fare del loro meglio è quanto ti aspetti da loro?  Sì    No
8. Hai detto loro che vincere è importante, ma che impegnarsi a migliorare le abilità lo è ancora di più?  Si    No
9. Hai fatto o detto qualcosa per aiutare i tuoi atleti ad applicare ciò che oggi hanno imparato in altre attività della loro vita (per esempio, fare le cose giuste a scuola, in famiglia o nella vita sociale)?  Sì    No
10. Qualcosa su cui pensare:  faresti qualcosa di diverso se avessi l’occasione di ripetere nuovamente questo allenamento o questa gara?

Le competenze dell’allenatore del settore giovanile

Il tecnico della scuola calcio e  in generale di ogni disciplina sportiva giovanile è chiamato sul campo a svolgere diverse funzioni e ad assolvere compiti diversificati. Risulta evidente, quindi, che debba possedere conoscenze e competenze professionali non solo legate agli aspetti tecnico-tattici della disciplina sportiva ma trasversali alle diverse funzioni che si trova a svolgere.

Le competenze necessarie si possono suddividere in 4 categorie:

  1. competenze tecniche
  2. competenze didattiche specifiche
  3. competenze psicologiche
  4. competenze gestionali organizzative

Molto spesso gli allenatori pensano che sia sufficiente saper giocare e, nel peggiore dei casi, saper parlare di calcio per poterlo insegnare ai bambini e ai giovani. Tale convinzione si accompagna spesso ad un atteggiamento per cui ogni mancato progresso del piccolo atleta viene attribuito all’atleta stesso. L’atteggiamento caratterizzato dal porre sempre all’esterno le problematiche relative alle difficoltà di apprendimento e alla mancanza di  motivazione pone in evidenza l’impellente bisogno per i tecnici di migliorare le loro competenze didattiche, relazionali e psicologiche.

Il modo migliore per comprendere le caratteristiche utili al tecnico nello svolgimento delle sue attività è lasciare la parola proprio agli allenatori stessi. In uno studio realizzato da John Salmela nel 1996, allenatori di alto livello hanno riportato una lista di competenze considerate necessarie nello svolgimento della loro attività.

Riporto di seguito le attività ed i compiti indicati, relativamente a coloro che operano nell’avviamento dell’attività sportiva e nei settori giovanili:

  • Saper sviluppare un pensiero critico che aiuti a rinnovare le proprie modalità di relazione e di insegnamento, soprattutto quando le caratteristiche degli allievi cambiano notevolmente.
  • Saper allenare costantemente se stessi nell’insegnare meglio.
  • Saper valutare ed adattare il proprio approccio e le strategie didattiche utilizzate.
  • Creare un ambiente ed un’atmosfera davvero capaci di invogliare i processi di apprendimento.
  • Saper sviluppare e potenziare il proprio stile personale di insegnamento, del quale però è necessario essere del tutto consapevoli.
  • Saper aiutare gli allievi a porsi degli obiettivi a breve e medio termine e a valutare in modo corretto le loro potenzialità.
  • Integrarsi il più possibile nel mondo psicologico dei propri allievi, offrendo loro supporto e genuino sostegno.

(di Daniela Sepio)

Ti alleni a gareggiare?

A partire da quando i giovani atleti hanno acquisito le abilità tecniche richieste dallo sport che praticano e sono diventati bravi nell’esecuzione delle azioni sportive specifiche, diventa importante allenarli a gareggiare. Sono questi gli obiettivi dell’allenamento che si svolge a partire dai 16 anni e che porterà alcuni a diventare atleti di livello internazionale.  Non bisogna infatti confondere l’acquisita maestria con la capacità di fornire prestazioni adeguate al proprio livello. Infatti, non è difficile incontrare giovani adolescenti capaci, bravi dal punto di vista tecnico ma scarsi in gara. Per questa ragione una parte dell’allenamento, che con l’accrescere dell’età diventerà sempre più significativa e ampia, deve essere dedicata a raggiungere lo scopo di insegnare all’atleta ad esprimersi al meglio in condizioni di confronto con altri atleti. Per primo l’allenatore non deve avere timore nel riconoscere che questo è uno scopo essenziale del suo lavoro e delle esercitazioni che propone agli atleti. Questo tipo di allenamento ha l’obiettivo di insegnare all’atleta a mantenere inalterata la qualità della sua prestazione in condizioni di pressione competitiva.

Alleno mio figlio?

Sempre più di frequente mi viene chiesto come gestire la difficile situazione in cui ci si trova essendo l’allenatore del proprio figlio.

Nel calcio professionistico non avviene quasi mai, anche se negli anni possiamo trovare qualche nome illustre da Cesare Maldini che allenava Paolo, a De Rossi nella Primavera della Roma. Nel mondo delle scuole calcio, per scelta o meno, spesso tra i piccoli giocatori da allenare c’è il proprio figlio. A volte si è spinti da un inevitabile scelta logistica e a volte capita che la scelta non sia proprio casuale. Non mi sento di demonizzare a priori la situazione, ma invito a riflettere: “Perché mi trovo ad allenare mio figlio? È realmente una casualità oppure nei miei pensieri c’è stato il desiderio di avere la certezza che sia seguito nella maniera adeguata, di avere sempre il controllo della situazione in casa e fuori o semplicemente la convinzione di non ritenere valida nessuna alternativa possibile (nessuno potrà allenarlo bene quanto me)?”.

So che può capitare e che sia una scelta consapevole o meno ritengo importante fare alcuni passi fondamentali.

Il primo passo è riflettere sulla necessità della scelta: è davvero così inevitabile? Una volta deciso di andare avanti è importante avere la capacità di guardarsi dentro e capire a quali di queste inevitabili categorie di allenatore-papà si appartiene:

  • Evitante: per evitare di essere criticati di volere favorire il proprio figlio e di vederlo etichettare come raccomandato il padre reagisce trattandolo peggio degli altri: la colpa sarà spesso la sua, riceverà meno incoraggiamenti (magari poi lo consolo a casa) e meno attenzioni.
  • Esigente: rischiare di chiedere al proprio figlio molto di più di quello che si richiede agli altri giovani calciatori. Il padre non è mai soddisfatto del proprio figlio, perché è suo padre e può permettersi di esserlo.
  • Buonista: avere un comportamento lassista nei confronti di quei comportamenti del figlio che invece andrebbero sanzionati e limitati.

Ogni allenatore-papà difficilmente  potrà raggiungere la giusta posizione all’interno del suo duplice ruolo, ma dovrà tendere il più possibile alla situazione ideale in cui il proprio figlio è un componente della squadra come tutti gli altri,  avrà qualità da valorizzare, difetti da correggere e tante cose da imparare come i suoi compagni. In lui potranno essere visibili potenzialità da esprimere ma anche  limiti da superare oppure inevitabilmente da accettare.

Infine lascio, a tutti i papà in cerca del Campione, che non si chiedono se il reale desiderio del proprio figlio sia realmente quello di stare su un campo di calcio,  l’invito a riflettere su un brano della ormai famosissima biografia di Andre Agassi:
“Ho sette anni e sto parlando da solo perché ho paura e perché sono l’unico che mi sta a sentire. Sussurro sottovoce: Lascia perdere, Andre, arrenditi. Posa la racchetta ed esci immediatamente da questo campo. Non sarebbe magnifico, Andre? Semplicemente lasciar perdere? Non giocare a tennis mai più? Ma non posso. Non solo mio padre mi rincorrerebbe per tutta la casa brandendo la mia racchetta, ma qualcosa nelle mie viscere, un qualche profondo muscolo invisibile me lo impedisce. Odio il tennis, lo odio con tutto il cuore, eppure continuo a giocare, continuo a palleggiare tutta la mattina, tutto il pomeriggio, perché non ho scelta”.

(di Daniela Sepio)

Le competenze dell’allenatore

Spesso con gli allenatori si discute di quali debbano essere le loro competenze principali e spesso si tende a ripetere le frasi più banali: “deve avere carisma”, “deve essere un leader”,  ”deve essere deciso e fermo nelle decisioni”. Sono frasi di carattere generale che non vogliono dire nulla, perché ogni allenatore ha una sua idea di cosa vuole dire “avere carisma o essere un leader”. Qui di seguito riporto invece una serie di competenze specifiche che un allenatore dovrebbe avere e su cui ciascuno può confrontare i propri comportamenti.

  • Sentirsi impegnati ad acquisire e ampliare nuove tattiche e strategie.
  • Non smettere mai di auto-valutarsi e di fare aggiustamenti.
  • Maturare come allenatore richiede tempo. E’ necessario essere pazienti e onesti con se stessi.
  • Sapere che solo perché qualcosa ha funzionato negli ultimi tre anni non fornisce garanzie che continui a farlo nel prossimo futuro. E’ necessario sapere valutare e adattare il proprio approccio e le strategie.
  • Sapere lavorare duro e bisogna saperlo accettare.
  • Essere consapevoli che per diventare esperti ci vorranno molte più ore di quelle che si era previsto.
  • Permettere agli atleti di esprimere le loro opinioni senza che si sentano intimiditi.
  • Trovare uno stile di allenamento che rispetti la propria personalità e consenta di esprimersi al proprio massimo.
  • Sapere aiutare gli atleti a identificare e raggiungere i loro obiettivi.
  • Sapersi conquistare il rispetto degli atleti, essendo di esempio nel rispettarli.
  • Sapere creare un ambiente che sia percepito dagli atleti come educativo, collaborativo, divertente e sfidante.
  • Comunicare agli atleti in maniera chiara le proprie aspettative, i pensieri e le convinzioni.
  • Sapere che la decisione finale spetta all’allenatore.

Obiettivi della consulenza psicologica

Obiettivi principali della consulenza psicologica nello sport di alto livello

  • Sviluppo/miglioramento competenze psicologiche atleti per affrontare le gare
  • Valutazione psicologica atleti
  • Consulenza per allenatori su aspetti specifici di loro interesse
  • Soluzioni problemi di singoli atleti che i tecnici non sanno come fronteggiare
  • Collaborazione nella gestione del gruppo al di fuori allenamento
  • Sostegno ad atleti e allenatori durante la competizione
  • Gestione dello stress agonistico di atleti, tecnici e staff
  • Miglioramento benessere atleta e vita extra-sportiva
  • Gestione psicologica infortuni

I top atleti hanno bisogno di un allenatore-leader

Un’abilità decisiva per un allenatore di atleti di alto livello consiste non solo nel possedere un bagaglio tecnico aggiornato, ma soprattutto nell’abilità di gestire i suoi migliori atleti. E’ un allenatore – leader perchè svolge la funzione di condurli a realizzare le migliori prestazioni. Non è un allenatore – insegnante così come lo deve essere con quelli meno esperti. E’ un allenatore che dialoga e che si pone nei panni dell’altro per stabilire una vicinanza emotiva. Questo perchè gli atleti di livello assoluto hanno uno specifico profilo così sintetizzabile:

  1. hanno già raggiunto alcuni degli obiettivi che si erano posti e perciò sono considerati persone di successo
  2. si caratterizzano per l’energia e l’impegno che pongono nella loro attività
  3. le loro competenze emergono in maniera decisiva proprio nelle situazioni di maggiore pressione competitiva
  4. sono convinti di essere in grado di affrontare la maggior parte delle situazioni o dei problemi in maniera efficace
  5. si assumono la responsabilità dei risultati delle loro prestazioni
  6. sono percepiti dagli altri come affidabili e competenti
  7. sono spesso considerati dai più giovani come un modello da emulare
  8. traggono il massimo della soddisfazione dal continuo rinnovarsi delle sfide che affrontano
  9. sono orientati a trovare soluzioni
  10. ricercano il contributo delle persone che li possono aiutare nel raggiungimento dei loro obiettivi

Naturalmente non bisogna cadere nell’errore di credere che un buon livello di efficacia in questi ambiti sia raggiunto con facilità o che questi individui non vivano dei momenti di difficoltà. Al contrario, queste capacità e questi standard sono raggiunti e mantenuti attraverso un lavoro continuo, uno sforzo teso al miglioramento anche quando questo sembra lontano, perseguito anche in quei giorni che sono frustranti e che sembrano non finire.

L’allenatore di basket Phil Jackson sull’amore per la squadra

“Cosa intendi dire quando scrivi che l’amore è l’ingrediente critico per un campionato?”

“Conosco squadre che vanno d’accordo, che festeggiano insieme, ma che non sono pronte a condividere e non mostrano quella profonda attenzione che bisogna avere gli uni con gli altri. Bisogna proteggersi reciprocamente. Devi proteggere il culo dell’altro che si sta battendo all’attacco. Devi sapere come dare la palla così gli altri possono fare un buon tiro. Devi uscire da te stesso e pensare agli altri”.

(Di Belinda Luscombe,  Time, June 3 2013, 10 Questions). Phil Jackson ha vinto due titoli NBA da giocatore e11 da allenatore.

 

 

 

 

Il rapporto allenatore-atleta è sufficiente per vincere?

Nel nostro paese vi è ancora una concezione artigianale dello sport di alto livello in particolare modo negli sport individuali. Nella maggior parte dei casi lo sviluppo e l’affermazione di un atleta si basa su una profonda relazione di collaborazione con il suo allenatore. Non è raro che l’allenatore sia il marito dell’atleta o il genitore (padre/madre). E’ evidente che questo sistema è soggetto a tutte quelle interferenze che sono tipiche dei rapporti di coppia. Le componenti psicologiche di ognuno hanno in queste relazioni una rilevanza incredibile, perchè l’allenamento consiste nel costruire situazioni con livelli di stress predeterminati che l’atleta deve affrontare con successo così da permettere un miglioramento delle sue prestazioni di gara. In questo contesto, gli allenatori hanno un ridotto scambio di idee e di confronto professionale con gli altri colleghi e l’uso delle innovazioni prodotte dalle scienze dello sport dipende solo dalla loro curiosità e dal desiderio di aggiornarsi. Il limite di questo approccio non consiste solo nel limitato uso dei contributi della scienza da parte degli allenatori ma anche della difficoltà dei ricercatori di ascoltare e comprendere quali sono le esigenze e le richieste degli allenatori. In altre parole, vi è necessità di parlare insieme, di condividere idee, di criticarsi reciprocamente in modo costruttivo e di costruire piani di lavoro basati sulla collaborazione.

Le competenze dell’allenatore

Sempre nella stessa ricerca condotta alcuni anni fa dal Comitato Olimpico US condotta intervistando gli atleti della squadra olimpica amricana nel periodo 1984-1998 è stato loro chiesto quali erano secondo loro le competenze più importanti di un allenatore.

Questi atleti hanno posto in testa alle competenze l’abilità a insegnare e l’abilità a motivare e incoraggiare. A seguire quelle più tipicamente professionali e relative alla conoscenza dell’allenamento e quelle strategiche dello sport. Pertanto premesso che gli allenatori devono essere in grado di programmare e condurre tecnicamente il loro lavoro, sono però le loro competenze interpersonali e psicologiche a rendere efficace il loro lavoro. Questi dati dovrebbero fare riflettere coloro che organizzano i corsi di formazione per allenatori in cui buona parte delle ore sono dedicate esclusivamente alla componente tecnica di questo lavoro mentre poco tempo è dedicato allo sviluppo di quelle abilità che gli atleti di livello assoluto considerano invece come decisive per il loro successo.