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Campione senza squadra: Balotelli

Balotelli è un campione senza squadra. Nessuno lo vuole perchè con lui in campo nessuno è tranquillo, sanno che in qualsiasi istante si può fare espellere. Sono inutili le dichiarazioni di questi giorni verso Mancini e Prandelli, servono comportamenti diversi. I fuoriclasse devono giocare al servizio della squadra. Una storia diversa ma simile per la distanza che si era creata con la squadra è quella di Magic Johnson, il campione della pallacanestro. Lui era sempre stato fortissimo sin da giovane, faceva la maggior parte dei canestri della squadra, faceva vincere le partite ma i compagni di squadra si sentivano incapaci e depressi e nessuno lo ringraziava o si mostrava contento per quello che faceva. Decise che quella situazione era per lui insopportabile, il suo comportamento cambiò e mise le sua capacità al servizio della squadra. L’umore della squadra cambiò, i compagni furono molto più motivati, incrementarono le loro abilità e continuarono a vincere. Riuscirà a orientare il suo narcisismo su un percorso vincente e non solo effimero?

Lavorare sulla squadra e la personalità

Luis Enrique si trova a affrontare una situazione molto difficile e mi chiedo se per insegnare la sua idea del calcio non abbia poco responsabilizzato sin dall’inizio i singoli pensando invece che ciò che conta è solo il collettivo. Ma quando si sta affogando si ritorna a parlare dei singoli, forse è tardi, anche perchè nel caso della Roma si parte da una condizione di depressione agonistica e non certo di rabbia. La Roma è una squadra astenica che ad oggi non sa reagire alle difficoltà che le pongono gli avversari e un leader, che non c’è mai stato in questo periodo, non s’inventa in un weekend. La mia idea è che quale che sia il tipo di calcio che si vuole insegnare, bisogna sempre avere dei giocatori che, anche fuori dal campo, trascinino i compagni con i loro comportamenti, senza questi giocatori non ci sarà mai una squadra forte. Inoltre, imparare un modulo nuovo di gioco implica un periodo d’instabilità e di paure, senza leader che incitano a credere nel gioco qualsiasi squadra sbanda e non sa cosa fare.

Juventus: squadra e individualità

La Juventus corre e pensa, ma questo non basterebbe vincere se non avesse avuto le parate di Buffon e le reti di Caceres e Del Piero. Può sembrare banale dirlo ma accanto all’intensità e al gioco di squadra, servono le individualità che nel momento in cui devono fare, sono presenti e non sbagliano. Al contrario di Vucinic che è apparso presuntuoso nei suoi continui e falliti tentativi  di saltare Maicon e poi nell’occasione del goal, praticamente un rigore, sbagliato. Quando non ragiona in campo diventa un fattore negativo a causa delle occasioni che spreca. L’insegnamento che se ne può trarre è che la squadra serve per giocare bene e divertire e le individualità per vincere. Se uno di questi fattori viene a mancare si è solo “dei giovani di belle speranze”.

Il panico dell’Inter

In inglese dicono “from hero to zero”, da eroe a nulla. Questo è l’insegnamento che ci viene in queste settimane dall’Inter. Cosa è successo? Il lavoro dei giocatori non dovrebbe essere solo quello di perseguire l’eccellenza ma anche di non distruggersi quando le partite prendono una brutta piega. La squadra dovrebbe avere un piano A per quando si gioca bene ma anche un piano B a cui ricorrere quando si è in difficoltà. In mancanza del piano B è facile andare nel panico perchè l’immagine di squadra campione non corrisponde a come si sta giocando in quel momento e non si sa come reagire. Se fossero alpinisti sarebbero tutti morti, perchè non avrebbero considerato che non sono in forma come squadra e avrebbero affrontato le difficoltà della salita come se lo fossero. Lottare viene prima della tattica. L’allenatore della nazionale di basket, Pianigiani, ai suoi giocatori che avevano sul campo un atteggiamento simile, durante il time out disse “ci vuole un po’ di dignità, nessuno fa un salto, facciamo a cazzotti almeno, ma che cazzo c’avete dentro.” Bisognerebbe chiederlo anche all’Inter.

La fiducia di una squadra

La Fiorentina ha perso la fiducia è quanto si legge sui giornali di oggi. E’ un tema ricorrente nelle spiegazioni di prestazioni negative di una squadra di calcio. Posta in questo modo la questione sembra anche difficilmente risolvibile nel breve tempo ed è un concetto che è utile per spiegare qualcosa che non si capisce o che non si sa come risolvere. Se invece si capisce di cosa è composta la fiducia probabilmente ci si sta già avvicinando alla cura. Un primo ingrediente della fiducia è la competenza, il sapere fare. La domanda è quindi: “I calciatori e la squadra sanno cosa sanno fare?” Secondo: “Sono concordi su come devono giocare nelle varie fasi della partita o hanno dubbi/timori?” Terzo: “Sanno mantenere con coerenza questo tipo gioco durante l’incontro?” Quarto. “La squadra ha un piano per reagire a situazioni di gioco impreviste?” Se non si risponde a queste quattro domande non si potrà migliorare, perchè non si è consapevoli di cosa manca, l’allenatore per primo. Non ci si può nascondere dietro la frase: “La squadra non ha seguito le mie indicazioni” oppure “La squadra non ha personalità”, bisogna conoscere cosa ha determinato questi effetti altrimenti si continuerà a perdere.

L’Italia è seconda agli europei di pallavolo

Mi è piaciuta la partita dell’Italia di pallavolo che ha mantenuto una tensione giusta in tutti set. Dal punto di vista della mentalità a mio avviso sono stati troppi gli errori in battuta e poi nell’ultimo set due punti sono stati persi per incomprensione tra due giocatori del tipo “la prendo io o la prendi tu” e poi l’ultimo punto dell’incontro con la palla giudicata fuori mentre era dentro. Quando si gioca punto su punto sono mancanze gravi, attribuibili all’approccio mentale di quei momenti. Non a caso l’allenatore italiano durante i time out ha spesso incitato la squadra a mantenere una costante attenzione e determinazione su ogni palla. Squadra che deve continuare a crescere soprattutto sul versante agonistico in vista del traguardo olimpico e guidata sul campo da Mastrangelo.

Cos’è una truffa

In questi giorni  in riferimento allo scandalo del calcio si molto detto a proposito di come si commettono le truffe, di quale sia la rete che le organizza. Vorrei dare un contributo sulla definizione di truffa; ovvero cos’è  una truffa, una frode:
E’ un’azione che viene svolta in maniera segreta, senza fare sapere ai diretti interessati che gli si stanno sottraendo informazioni rilevanti riguardanti la prestazione della squadra. I truffati non sanno di esserlo perchè gli si fa apparire il falso per vero.Viene violato, quindi, il rapporto di fiducia fra coloro che la compiono e la squadra che ne è vittima e ciò si basa sul fattore non-verità; la partita solo formalmente è stata giocata in maniera regolare, perchè il risultato era già stato stabilito prima dell’inizio dell’incontro e ottenuto tramite complicità non visibili a chi non inganna. La truffa è tesa a determinare benefici economici e di potere sociale ai frodatori, ha sempre una finalità specifica.

L’angoscia competitiva

Sul tema “vincere è l’unica cosa che conta” si è detto molto parlando dei giovani atleti che giustamente non devono essere oppressi dall’idea del risultato, mentre si dovrebbero concentrare sul fare del loro meglio. Penso invece che sia stato poco discusso in relazione allo sport agonistico di livello assoluto e in riferimento a quel numero limitato ma sotto gli occhi di tutti rappresentato dagli atleti fortissimi. Gli americani nel loro pragmatismo hanno coniato la frase: “from hero to zero” per identificare quella linea sottile su cui si muovono questi atleti che hanno l’obbligo di vincere. Gli atleti conoscono bene questa regola del gioco e per quanto siano talentuosi e vincenti sanno di non potere corrispondere a queste aspettative che li vorrebbe sempre sul podio, belli e sorridenti. E’ per questa pressione con cui devono convivere che improvvisamente emergono le loro debolezze, quelle della Pellegrini con gli attacchi di ansia, quelle dell’Inter in cui si è inceppato quel sistema di collaborazione in campo che ha permesso i risultati della scorsa stagione e molti altri. L’antidoto più semplice a cui ricorrere è quello illegale, il doping e l’abuso di farmaci. L’antidoto ecologico è vivere in un ambiente sociale (famiglia e amici) comprensivo e affettivo. Può non bastare, perchè l’atleta deve imparare a vivere con questa angoscia esistenziale, che si può chiamare angoscia competitiva, che consiste nel sapere che non sempre si può corrispondere alle proprie aspettative e a quelle degli altri. Bisogna imparare di più a accettare i propri limiti, soprattutto chi è impegnato a allargarli sempre di più. Come diceva Sartre bisogna volere tutto sapendo di non poterlo raggiungere.

La questione Juventus

La questione Juventus si pone come esempio di una squadra che ha perso completamente ogni forma di autocontrollo agonistico e persegue una china negativa. Questo esempio mi permette di porre ancora una volta in evidenza la difficoltà di leadership degli allenatori degli sport di squadra, che credono di essere sufficientemente adeguati per guidare psicologicamente le loro squadre senza alcuno aiuto di consulenti dell’area psicologica. Ma perchè invece nella aziende più competitive, invece, i consulenti vengono utilizzati proprio per valorizzare il ruolo dei massimi dirigenti? Perchè ciò non avviene negli sport individuali dove molti dei migliori atleti seguono programmi di preparazioe psicologica? La ragione risiede solo nel narcisismo grandioso di questi allenatori che ritengono di essere dei Cesari, quando molto spesso non sono altro che delle false imitazioni.