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Il calcio femminile

Il terzo posto delle azzurre Under 17 ai mondiali di aprile in Costa Rica è stato un successo, un’impresa unica nel suo genere poiché nessuna Nazionale giovanile di calcio aveva mai vinto prima una medaglia ai campionati del mondo. La parola successo stona però con la poca risonanza che l’impresa ha avuto. Il mondo delle calciatrici è un mondo invisibile, che non aiuta il calcio italiano a riempire la sua più grande mancanza: la presenza di bambine sui campi da gioco.

L’analisi di questa mancanza passa attraverso la comunicazione sbagliata che colpisce molte bambine che vogliono avvicinarsi al calcio:

  • Giudizi di valore (…se giochi a calcio diventerai un maschiaccio!)
  • Pregiudizi di genere (giocare a calcio non ti fa essere aggraziata come una bambina dovrebbe essere)
  • E non ultimo il linguaggio utilizzato quotidianamente con i bambini sui campi di calcio (…correte come delle femminucce, …non sarai mica una femminuccia!)

Il calcio italiano è destinato a persistere nella sua mancanza, almeno finché non ci sarà un cambiamento nel linguaggio, ma anche la profonda comprensione che  il sesso biologico  ha poco a che vedere con le predisposizioni fisiche e psichiche per lo sport. A dispetto di tutto ciò però, le bambine sul campo di calcio potrebbero mettere molta della loro passione, della loro forza e anche del loro desiderio di riscatto come dimostrano questi disegni di piccole calciatrici in erba: calcio femminile

 

(di Daniela Sepio)

 

 

 

 

Perchè guardo i mondiali di calcio

Il calcio è un gioco semplice, tribale, s’insegue una palla che è l’arma con cui colpire la preda che è la porta. E’ uno sport che tutti, almeno fra i maschi, hanno giocato da bambini; averne avuto esperienza diretta consente a tutti di capire quanto è difficile spedire la palla dove si vuole.  Le squadre piacciono se sono combattive, se corrono e se almeno qualcuno è così bravo da farci stare a bocca aperta per le sue giocate. E’ un gioco in cui il goal è un evento raro, non si vince 87 a 65 come nel basket, infatti 1 a 0 è il punteggio finale più frequente. Per questa ragione la fortuna svolge un ruolo talvolta importante, come in Brasile-Cile partita in cui il Cile ha preso un palo in pieno a pochissimi minuti dalla fine e allo stesso modo ha perso ai rigori; due pali hanno eliminato il Cile. Un centimetro a sinistra e il risultato sarebbe stato diverso. D’altra parte nello sport si vince e si perde per un centimetro e anche per il calcio vale questa regola non scritta. Il calcio ci piace anche perché alla maggior parte di noi sopra i 40 anni ci ricorda di quando ogni momento libero era un’occasione per giocare a pallone: a scuola durante l’intervallo con il cancellino o con palle di carta, nel cortile di casa, all’oratorio, ai giardini facendo le porte con il cappotto. Il calcio è nei nostri ricordi: dal Grande Torino, a Rivera e Mazzola, a Italia-Brasile nel 1970, ai Mondiali vinti in Spagna e in Germania, a Paolo Rossi e Schillaci, e tanto altro in funzione della squadra di cui siamo/siamo stati tifosi e naturalmente ci sono anche gli scandali che ancora oggi continuano a rovinarlo. Il calcio è tutte queste cose e per questo continuerò a vedere le partite del mondiale.

L’amore per la propria squadra tatuato sulla pelle

Tifosi estremi. Delneri Martins Viana, 69 anni, si è tatuato gran parte del corpo per la sua squadra del cuore, il Botafogo con 83 tatuaggi dedicati alla sua squadra.  ”Il club viene prima di me. Voglio solamente che vinca sempre la mia squadra, non voglio altro“.

Lo psicologo dello sport nel calcio giovanile

La Federazione Italiana Giuoco Calcio è l’unica federazione che rende obbligatoria la presenza di uno psicologo per le società che intendono raggiungere il titolo di scuola calcio qualificata. La figura dello psicologo all’interno della scuola calcio si occupa di intervenire a sostegno delle diverse figure presenti, inquadrando ed affrontando con metodologie e strumenti specifici le problematiche di carattere psicologico.  L’obiettivo finale perseguito dallo psicologo è di creare un linguaggio comune fra tutti, che aiuti a dirigersi nella stessa direzione: creare un ambiente che offra ai piccoli atleti la migliore esperienza sportiva possibile. Lo psicologo stimola gli atleti per favorirne la formazione come persone e come sportivi, lavorando sulla motivazione e stimolando la coesione. Interviene inoltre sui tecnici per migliorare la collaborazione nello staff, la comunicazione efficace, lo sviluppo psicologico del bambino, le dinamiche di gruppo, la gestione delle relazioni. Lo psicologo interviene anche sui genitori sostenendo l’importanza della valenza educativa e del divertimento del gioco del calcio.

L’enorme impatto sportivo e sociale del calcio giovanile in Italia  e quindi lo spazio per lo psicologo dello sport è reso ancora più chiaro dai suoi numeri:

  • Società del settore giovanile scolastico: 2.916
  • Tesserati di puro settore giovanile: 619.510
  • Allenatori abilitati Figc: 61.114

(Fonte: Figc- Dati al 30 giugno 2010)

(di Daniela Sepio)

Mordere per vincere: Imparare da Suarez

Il morso di Suarez a Chiellini è la reazione di chi è frustrato nella soddisfazione delle proprie esigenze di calciatore e trova come unica reazione l’offesa fisica all’avversario. Suarez è in buona compagnia, insieme a Zidane e Cantona nel calcio e Tyson nel pugilato, Appartiene a quel ristretto numero di campioni dello sport che non riescono a gestire le proprie emozioni nei momenti di maggiore pressione agonistica. La loro è una reazione primordiale, arcaica, non hanno compiuto un semplice fallo di ritorsione, come quello che è costato l’espulsione di Marchisio. Hanno compiuto invece un fallo primitivo; mordere la spalla, abbattere con una testata l’avversario senza palla o dare un calcio a freddo durante la partita a … un tifoso. Il modo per superare queste situazioni consiste nel non vivere altri momenti di così alta tensione, ma se sei una giocatore non è possibile. Sono proprio queste le condizioni competitive che saranno da te ricordate come quelle in cui sei stato un campione e non un uomo qualsiasi. Ma per loro capirlo è facile, perché stiamo parlando di campioni ma esserlo non è semplice e tantomeno facile.  Per loro è usuale incontrare ostacoli nella soddisfazione dei propri bisogni e saperli affrontare. Ma cosa gli dice la testa in quei momenti? Gli dice purtroppo “vai e colpisci perché altrimenti sarai tu a soccombere e solo se sei duro gli altri ti rispetteranno”. Sono figli di genitori assenti o autoritari  ma saperlo non aiuta, serve invece riconoscere che ora si è adulti responsabili delle proprie azioni e che quale che sia l’educazione ricevuta è giunto il momento di assumersi la responsabilità delle proprie azioni. Suarez è stato squalificato per 10 giornate per un morso a un avversario ed è anche andato dallo psicologo ma ciò non è stato sufficiente.  Non aiuta a cambiare l’essere strapagato, l’essere accettato perché in ogni caso segni molti goal, mentre si dimentica la persona per privilegiare il calciatore. Quanti goal vale un morso, cioè un comportamento anti sportivo? E’ questo il campione a cui vogliamo educare nostro figlio?

Leggilo anche su:  L’HuffingtonPost

L’atteggiamento perdente dell’Italia

Nel calcio il goal è un evento raro e come tale può essere segnato in qualsiasi momento, al primo minuto come all’ultimo oppure mai. Per questa ragione bisogna essere aggressivi, decisi, motivati e uniti come squadra per fare quello che serve per segnare una rete. L’Italia ieri non ha mostrato in campo questo atteggiamento e non è bastato sperare nelle parate di Buffon e nelle invenzioni di Pirlo per Balotelli. Il Costarica è una squadra che invece ha creduto per tutta la partita nel risultato da ricordare per tutta la vita: battere l’Italia. Anche noi abbiamo un sogno come ha detto Pirlo ed è quello di vincere il mondiale, ma per raggiungerlo bisogna sbattersi sino all’esaurimento  in ogni partita quale sia l’avversario. E’ questo l’atteggiamento che Garcia e Conte hanno insegnato alle loro squadre ed è questo che è mancato ieri alla nostra squadra. Cadere 11 volte nella trappola del fuorigioco vuol dire non essere stati attenti tanto quanto era necessario. Affermare che non si può pretendere che si segni una rete quando si è in campo solo per 20 minuti, vuol dire non avere capito che invece è proprio questo che ti viene chiesto, altrimenti avrebbero messo un altro in campo. Farsi ammonire perché ci si è innervositi, vuol dire che non hai ancora la mentalità per affrontare impegni di questo livello agonistico. Troppe azioni individuali e dribbling insistiti nella parte finale della partita dimostrano poca ricerca dell’altro e il desiderio di diventare il salvatore della partita. “Emozionato Io? Non ci sono emozioni” ha detto Cassano, neanche Buffon e Pirlo farebbero affermazioni di questo tipo nonostante siano abituati a partite così importanti. E’ mancata invece proprio la carica emotiva come squadra. La tensione che senti già prima di entrare in campo e che ti dispone a impegnarti oltre la fatica e difficoltà perché ti senti pronto. Le emozioni servono per alzare la soglia della stanchezza fisica e mentale. Come dice un famoso detto africano: ogni mattina non importa che tu sia un leone o una gazzella  l’importante è che cominci a correre.

Spagna: la caduta degli Dei

E’ sempre difficile capire quando si è finiti e a questa regola si è uniformata anche la Spagna. Il risultato di questa inconsapevolezza della squadra che ha dominato il mondo del calcio negli ultimi 6 anni sta nelle due partite perse al mondiale contro l’Olanda e il Cile e nei sette goal subiti. Maurizio Crosetti su Repubblica per spiegare quanto è accaduto usa la metafora dei dinosauri: “Questa è un’era geologica che si chiude … Tutti diranno: c’era la Spagna, era la padrona dell’universo finché una notte cadde come morirono i dinosauri. Così smisurati, così fragili”. Il gioco dei mille passaggi non ha più funzionato senza l’intensità e la velocità. Caratteristiche che si perdono non solo per esaurimento fisico ma soprattutto per perdita della volontà, del desiderio di continuare a essere ciò che si è stati sino a un attimo prima. Quando ciò non avviene si continua a giocare a memoria ma si è persa quella scintilla mentale che permetteva di nascondere la palla agli avversari e di colpirli quando si voleva. La Spagna è entrata in campo ed ha iniziato a giocare nel solito modo, a memoria, ma persa la palla i suoi giocatori non hanno saputo riprenderla, perché gli altri sono stati sempre più veloci e combattivi. Perdere la palla ha determinato nei giocatori solo frustrazione, di chi non capiva come fosse possibile e non ha invece determinato rabbia agonistica proprio perché la testa aveva esaurito ogni forma di reazione. La competizione sportiva è dura e non lascia spazio a chi non si rialza velocemente dopo essere caduto e per rispetto della gara gli avversari non ti danno il tempo di riprenderti anzi insistono a strapazzarti fino alla fine della partita. Sbagliare è fisiologico, tutti sanno che fa parte del gioco; non essere pronti a riprendersi immediatamente invece è una grande problema e la Spagna è caduta rovinosamente in questo tranello e ha perso. Inoltre, penso che Del Bosque abbia convocato  per i mondiali i giocatori basandosi sul principio che la squadra che ha vinto non si cambia, con l’aggiunta del’affetto che ovviamente avrà per questi giocatori. Anche questo tema relativo al ruolo dell’allenatore non è certamente facile da affrontare e a posteriori è troppo semplice farne il capro espiatorio. Guardiola ad esempio dopo avere vinto tutto e in modo ripetitivo con il Barcellona se ne andò per stanchezza personale ma forse anche per la consapevolezza di avere raggiunto un picco di successi difficilmente ripetibili. Del Bosque invece ha accettato la sfida di continuare dopo avere vinto consecutivamente due europei e un mondiale, e di tentare un’impresa quasi impossibile ma fantastica se fosse riuscita: su quale fondamenta ha basato la sua decisione? Forse non lo sapremo mai e comunque tanto di cappello per avere osato così tanto.

L’Italia esce fuori dai problemi e vince

Noi siamo fatti così, bisogna darci per spacciati, dobbiamo percorrere una strada di avvicinamento piena di buche come non vincere da più di sei mesi e avere giocatori importanti infortunati (Montolivo, Rossi, Buffon fra gli altri), essere considerati come un calcio di secondo ordine  e non più competitivo perché prima vengono i tedeschi, gli spagnoli e gli inglesi. A questo punto noi che non siamo considerati favoriti risorgiamo, siamo i più bravi a toglierci dall’orlo del baratro e a risalire. I nostri avversari non capiscono come ciò sia possibile, perché questo modo di fare apparentemente non è logico, per noi al contrario è un modo di essere. Sappiamo piegarci alle avversità senza spezzarci e quando ci rialziamo siamo pronti a combattere contro chiunque. La strategia consiste nel colpire quando gli avversari meno se lo aspettano. Prandelli ha organizzato una squadra che ha saputo tenere il pallone al piccolo trotto mentre gli inglesi erano più veloci nell’arrivare a rete, con un continuo contropiede sulla destra condotto da Candreva e Darmian e un finale di partita basato sul classico difesa e contropiede. Non eravamo favoriti neanche nei mondiali vinti del 1982 e del 2006 e venivamo anche allora da un periodo di grande difficoltà per il nostro calcio. Al Pacino nel film Ogni maledetta domenica nello spogliatoio dice alla sua squadra che “in ogni scontro è colui il quale è disposto a morire che guadagnerà un centimetro”. E’ una metafora efficace per spiegare la condizione mentale che l’Italia ha saputo dimostrare in questa prima partita del mondiale, uscendo dalle difficoltà in cui si è trovata quest’anno con l’organizzazione e la voglia di vincere. Ottimo, ora si tratta di continuare. Leggilo su Huffington Post.

Inutile e dannosa amichevole contro l’Irlanda

Inutile e dannosa per gli infortuni a Montolivo e Aquilani la partita amichevole contro l’Irlanda. L’Italia non vince, come spesso è accaduto anche in passato nelle partite che precedono il mondiale di calcio. Pochi i titolari in campo e molti di quelli che avrebbero dovuto farsi notare per trovare un posto nel gruppo che partirà non si sono fatti notare. Queste partite non servono a niente, non migliorano la fiducia dei giocatori e rischiano di lasciare uno stato d’animo d’insoddisfazione in tutti. Prandelli deve fare delle scelte ma credo che ciò che avrà visto in allenamento dovrebbe essere più che sufficiente per decidere, soprattutto conoscendo i calciatori italiani che raramente nelle partite amichevoli entrano in campo con un atteggiamento competitivo e combattivo. E quindi perché giocarle, in particolar modo contro avversari decisi e atletici come gli irlandesi che al contrario hanno più volte sfiorato il goal e che volevano vincere. I nostri invece come al solito hanno fatto il minimo con la presunzione di ottenere il massimo.

Spot anti-nazista del Borussia Dortmund

Il Borussia Dortmund si schiera contro gli ultras nazisti. La società nerogialla, per combattere il fenomeno del neonazismo presente anche nella sua curva ultra, ha realizzato questo video pieno di simbologie naziste raffigurate in modo goffo e satirico: “Calcio e nazisti non si mescolano bene insieme”, recita lo slogan al termine dello spot