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Lo sport impara dallo sport

Il terzo tempo nel rugby è quello che vede le squadre avversarie e i tifosi ritrovarsi per mangiare e bere insieme, scambiandosi considerazioni e opinioni, al di là di chi ha vinto e perso. Il terzo tempo celebra qualcosa di più importante di un incontro agonistico ovvero il rispetto reciproco e il fair play, tutte peculiarità che hanno reso questo sport primo in sportività.

Negli ultimi anni anche il settore giovanile e scolastico del calcio ha inserito nel Comunicato Ufficiale n1 (documento pubblicato dal settore giovanile e scolastico della FIGC contenente tutte le indicazioni sulla stagione sportiva) la promozione del terzo tempo, e scrive: Il Settore Giovanile e Scolastico promuove l’organizzazione del Terzo Tempo Fair Play da parte delle società. Nel corso del Terzo Tempo “FAIR PLAY”, le società e le famiglie mettono a disposizione dei/delle partecipanti una merenda da condividere tra loro, allargando naturalmente l’invito anche a tecnici, dirigenti e genitori delle squadre coinvolte in occasione dell’incontro. In questo modo il Settore Giovanile e Scolastico intende diffondere i valori della sana competizione sportiva”.

L’introduzione del terzo tempo nel calcio è stata molto criticata poiché i comportamenti poco nobili che lo  contraddistinguono, poco si addicono ad una tradizione di fair play come quella del rugby. Penso invece che i giovani calciatori non devono pagare ancora una volta le spese del calcio adulto e per questo motivo se il calcio non sa insegnare a sé stesso, deve imparare da chi ha più radicate tradizioni positive. Lo ricordo ai presidenti delle scuole calcio, ai dirigenti ed ai genitori che spesso dimenticano e ancora più spesso non sanno neanche dell’esistenza  del terzo tempo. Non è un furto del calcio, è invece un segno di riflessione dello sport primo per popolarità, che prende in prestito da chi ne sa di più. Gran parte del mio lavoro consiste nel fornire strumenti psicologici a chi ruota intorno ai giovani calciatori per far si che la loro esperienza sportiva possa essere la migliore possibile e se questo può essere un ulteriore strumento per mandare un messaggio positivo, allora dobbiamo promuoverlo. Credo che  il calcio adulto come è oggi, non sappia sostenere il terzo tempo, i bambini invece possono farlo e in un percorso, purtroppo al contrario, possono essere da esempio per i più grandi. Spesso si dimentica che il vero cambiamento del calcio può avvenire solo a partire dalle sue radici: le scuole calcio.

(di Daniela Sepio)

Perché io non posso giocare a calcio?

Come psicologa dello sport mi trovo spesso ad incontrare genitori di piccoli calciatori per dar loro degli strumenti affinché possano sostenere in modo efficace i propri figli nell’attività sportiva. Proprio in uno di questi incontri, è stata inaspettatamente recapitata una lettera da parte di una mamma. La pubblico con piacere cosicché possa essere spunto di riflessione per chi vive il calcio giovanile.

“La prima volta che il dottore mi disse: signora sarà un maschio! Pensai subito: giocherà come tutti i bambini a calcio e sarà un super calciatore. Pensa quanti goal farà! Purtroppo il fato non ha voluto tutto questo. Perché mio figlio non potrà mai giocare a calcio e non potrà mai camminare. Non vi nascondo che alla scoperta della malattia di mio figlio mi è caduto il mondo addosso, però poi vai avanti.
Voi vi chiederete cosa c’entra tutto ciò con oggi!
Vi scrivo per farvi capire che forse a vostro figlio non importa se non ha il numero 10, se non è titolare in ogni partita, se sono di più le volte che non gioca. Tutto questo sicuramente vi darà fastidio perché direte:

  • io ho pagato e quindi ho diritto che mio figlio giochi
  • giocano sempre gli stessi
  • mio figlio non è meno bravo degli altri

Ora mettetela come vi pare ma vi siete mai posti una domanda? Mio figlio di tutto ciò che ne pensa? E se io non mettessi bocca sulla sua attività sportiva? Forse lui è’ contento così, gli basta stare con gli amici e divertirsi.
Parlo al di fuori di tutto, perché non avrò mai questi problemi. Però proprio perché sono al di fuori di queste problematiche, vi posso garantire che non importa far vedere al mondo intero che vostro figlio è  il numero uno. E’ importante vedere che loro siano felici e sereni, e se sbagliano un rigore, se stanno in panchina, se non giocano al 100% non mortificateli, ne difendeteli. Sta a voi farli sentire i numero uno, in qualsiasi situazione. Il mio numero uno non potrà mai dare calci ad un pallone.
Lasciateli liberi di giocare, allora si, che saranno i numero uno.
Pensate a quando mio figlio torna da scuola piangendo e mi dice
” Mamma, anche io voglio giocare a calcio. Perché non posso?”

(di Daniela Sepio)

Il calcio giovanile: da dove ripartire?

A pochi giorni dal rinnovo delle cariche FIGC si parla molto di calcio giovanile e di come ricostruirlo. Si è detto di insegnare la tecnica prima  della tattica, si parla dell’importanza dei vivai, si parla di formazione degli allenatori. È tutto giusto, ma il cambiamento deve inevitabilmente passare attraverso una rivoluzione culturale del calcio giovanile che è visto spesso solo in termini di risultati e non di crescita psico-sociale dei giovani e di necessità di formazione degli allenatori. In uno degli ultimi corsi per allenatori giovanili che ho condotto, la maggior parte degli allenatori che erano lì proprio per imparare a gestire e condurre squadre di bambini avrebbero preferito non trovarsi davanti dei Piccoli Amici turbolenti e giocherelloni, perché troppo difficili da gestire e da far vincere. La maggior parte degli allenatori avrebbe voluto vedere affidata a sé almeno una squadra di GIOVANISSIMI. La spiegazione qual è stata? La possibilità di allenare un calcio adulto.

Rimango stupita perché mi aspetterei il desiderio di far crescere i calciatori di domani e invece li vogliono già cresciuti. Le categorie della scuola calcio sembrano far paura, forse perché l’entusiasmo di piccoli bambini rumorosi e vivaci può essere gestito solo da allenatori competenti che siano anche leader capaci, in grado di trasformare bambini scalmanati in giocatori appassionati, che non perdano mai la voglia di divertirsi. Ogni allenatore vuole la squadra vincente e il piccolo campione, subito, ma nessuno sembra voler lavorare per costruire la vittoria che verrà e il campione di domani. La vittoria forse potrà arrivare ma quello che da lì poteva essere il campione di domani sarà “bruciato” già a dodici anni per la mania di vittoria di un adulto che pensa di sapere tutto del calcio. Questo è un problema del calcio, una parte fondamentale che meriterebbe decisioni per il futuro.

Il sostegno dei genitori allo sport dei figli

Qualche giorno fa ricevo la telefonata di un genitore che mi chiede come convincere il proprio figlio a lasciare il calcio, visto che, a detta sua,  non sembra affatto lo sport per lui. Viene preso in giro per le sue scarse capacità e comincia a perdere la fiducia in sé stesso. Il bambino ha 10 anni, a lui il calcio piace e si diverte, ma evidentemente  non basta e purtroppo il mondo del calcio giovanile, in molte realtà, non eccelle per comprensione  e spazio per tutti. Ho consigliato al genitore di cambiare prospettiva, di guardare quel che stava accadendo come un episodio formativo in cui il suo compito  doveva  essere quello di aiutare il proprio figlio a riflettere sui suoi bisogni sportivi ed emotivi. Ho consigliato di ascoltarlo, di aiutarlo a riflettere, ma soprattutto gli ho chiesto di guardarlo con gli occhi di chi crede in lui e nelle sua capacità. Il presupposto indispensabile affinché il bambino possa credere in sé e nelle proprie capacità, è che i genitori credano in lui.

L’episodio mi ha dato la possibilità di riflettere sulle difficoltà che molti genitori incontrano nel sostenere i propri figli nell’attività sportiva e, per questo motivo, ritengo utile condividere alcune regole fondamentali:

  • Ascoltare: mettere per un momento da parte le proprie idee e sentire cosa hanno da dire
  • insegnare a tollerare la frustrazione
  • Lasciare spazio alle idee personali del proprio figlio su persone  e situazioni
  • Comprendere le proprie aspettative nei confronti del figlio
  • Incoraggiare nelle difficoltà
  • Rinforzare i progressi
  • Sostenere l’impegno senza farlo dipendere dai risultati positivi
  • Aiutarlo a capire che miglioramento e impegno vanno di pari passo
  • Dialogare con lui sull’attività sportiva rispettando le sue esigenze
  • Rispettare i suoi bisogni emotivi

Il piccolo calciatore probabilmente a settembre sarà un piccolo pallanuotista (perché così vuole la mamma).Se questa scelta non rimarrà solo il desiderio di un genitore, ma anche la scoperta consapevole delle capacità di un bambino allora il suo percorso sportivo decollerà al di là del calcio e la sua autostima farà un importante passo avanti.

(Di Daniela Sepio)

Il fascino infinito del calcio

Sono terminati i mondiali di calcio e ancora una volta è stato lo spettacolo più seguito al mondo insieme alle Olimpiadi estive. Le ragioni del successo di questo sport sono da sempre le stesse. E’ uno sport facile da capire, che chiunque può praticare e che viene giocato dappertutto, sulla spiaggia come in un parco, su una strada o in qualsiasi spiazzo o cortile. Viene giocato a ogni età dai bambini di 5 anni così come dagli adulti, basta segnare due porte con una maglia, uno zainetto o una pietra e lo spazio tra queste due porte diventa immediatamente il campo da gioco. Gli altri sport di squadra per essere giocati richiedono più competenze tecniche e un minimo di struttura come la rete per la pallavolo o i canestri nel basket. Nel calcio questo non serve, basta che uno porti il pallone e subito si comincia la partita. Queste sono le ragioni per cui il calcio è diventato un gioco universale, perché tutti i maschi da bambini hanno giocato a pallone e diventati adulti si sentono allenatori quando il lunedì mattina discutono con gli amici. Tutti da bambini hanno giocato almeno 20-30-40 o forse più partite di calcio e questa conoscenza pratica del gioco, gli fa credere di essere competenti nel valutare se una squadra ha giocato bene o male. Il calcio in questi ultimi 15 anni ha anche contagiato le ragazze e in molti paesi dal nord Europa, al nord America e al Giappone è veramente molto diffuso. Queste sono secondo me le ragioni per cui il calcio continuerà ad appassionare tutti ancora per molti anni.

I diritti dei piccoli calciatori

Si avvicina il momento in cui le società Sportive cominciano ad organizzarsi.  Le scuole calcio programmano il nuovo anno e a settembre i campi si riempiranno di bambini. Le statistiche dicono che la metà dei bambini sceglie il calcio. Alla luce di questo è importante ricordare a tutti coloro che lavorano all’interno delle scuole calcio che i bambini non sono adulti in miniatura e che per lavorare con loro non basta la passione per il calcio, serve la passione per il mondo dei bambini, serve sapere, cosa pensano, come ragionano, cosa possono fare.  Soprattutto serve sapere come trattarli e questi principi fondamentali tratti dalla “Carta dei diritti dei bambini e dalla “Carta dei diritti dei ragazzi allo sport” dovrebbero sempre essere un riferimento per  chi si occupa di calcio come di qualsiasi altro sport giovanile:

  • Il diritto di divertirsi e giocare
  • Il diritto di fare sport
  • Il diritto di beneficiare di un ambiente sano
  • Il diritto di essere circondato ed allenato da persone competenti
  • Il diritto di seguire allenamenti adeguati ai suoi ritmi
  • Il diritto di partecipare a competizioni adeguate alla sua età
  • Il diritto di praticare sport in assoluta sicurezza
  • Il diritto di avere i giusti tempi di riposo
  • Il DIRITTO DI NON ESSERE UN CAMPIONE

“Carta dei diritti dei bambini” (New York- convenzione sui diritti del fanciullo, 1989)

“Carta dei diritti dei ragazzi allo sport” (Ginevra, commissione tempo libero ONU, 1992 )

Pensieri per le finaliste della coppa del mondo di calcio

Il mio augurio alle quattro finaliste della Coppa del mondo di calcio.

“Essere ciò che siamo e diventare ciò che siamo capaci di diventare è il solo scopo della vita”. (Robert Louis Stevenson)

“Impossibile è una parola che esiste solo nel dizionari dei folli”. (Napoleone Bonaparte)

Come pensano gli argentini

Esempio di modestia argentina

Tutto il Brasile giocherà con la propria squadra

Il Brasile in queste ore sta tenendo il fiato sospeso, la vita quotidiana si è fermata per lasciare spazio all’attesa e poi alla partita con la Germania.

Un amico, psicologo dello sport, John Salmela da Belo Horizonte dove vive da anni mi ha scritto ieri:

“It is total silence here in my world in Brazil. There was no game yesterday nor today. I seems like I am in Samuel Becketts´ play, Waiting for Godot! … But life will change tomorrow with the game between Brazil and Germany in Belo Horizonte! The city has been completely electrified, welcoming and generous, but since we are off on the coast, few foreigners know about Belo, although it has 5 million inhabitants. So, as I did in the three previous games and since we live about 3 km from the Mineirão stadium, I go out in my car and pick up 4-5 fans from different countries (Iran, Costa Rica, England), and drive the  500 m from the stadium. They cannot believe what I did, and will do so tomorrow with the Germans while trying not to bring up Hitler´s name. Enjoy the Cup if you can, but you can be certain that I will be either living or dying.”