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No miracoli nello sport

Lo sport non è un ambiente nel quale succedono miracoli. Sono stato al Campionato del mondo di tiro a volo con la nazionale di Malta ed è successo proprio questo. I tiratori hanno fornito prestazioni al loro massimo livello ma non ci sono stati miracoli. Nella fossa olimpica i tiratori hanno ottenuto la migliore prestazione degli ultimi 10 anni  con 118 e 117 su 125. Mentre nella fossa olimpica l’atleta maltese juniores ha ottenuto il 13° posto su 65 partecipanti. Nella specialità double trap juniores Nathan Xuereb ha terminato al 1° posto la qualificazione con 139 su 150 e in finale è giunto 4°. Riporto questi risultati per spiegare che il viaggio verso l’eccellenza è lungo e si ottiene con miglioramenti che vengono prima consolidati in allenamento. La possibilità concreta di ottenere dei risultati di livello assoluto si costruisce facendo punteggi elevati già in allenamento e partecipando a molte gare internazionali. In queste situazioni la preparazione tecnica e mentale degli atleti viene messa alla prova e permette loro di diventare consapevoli della propria forza e di saperla esercitare nei momenti agonistici più importanti. Per questo non ci sono miracoli ma molto lavoro in cui tecnica e mente si allenano insieme con il supporto dell’allenatore e dello psicologo dello sport.

Il fascino infinito del calcio

Sono terminati i mondiali di calcio e ancora una volta è stato lo spettacolo più seguito al mondo insieme alle Olimpiadi estive. Le ragioni del successo di questo sport sono da sempre le stesse. E’ uno sport facile da capire, che chiunque può praticare e che viene giocato dappertutto, sulla spiaggia come in un parco, su una strada o in qualsiasi spiazzo o cortile. Viene giocato a ogni età dai bambini di 5 anni così come dagli adulti, basta segnare due porte con una maglia, uno zainetto o una pietra e lo spazio tra queste due porte diventa immediatamente il campo da gioco. Gli altri sport di squadra per essere giocati richiedono più competenze tecniche e un minimo di struttura come la rete per la pallavolo o i canestri nel basket. Nel calcio questo non serve, basta che uno porti il pallone e subito si comincia la partita. Queste sono le ragioni per cui il calcio è diventato un gioco universale, perché tutti i maschi da bambini hanno giocato a pallone e diventati adulti si sentono allenatori quando il lunedì mattina discutono con gli amici. Tutti da bambini hanno giocato almeno 20-30-40 o forse più partite di calcio e questa conoscenza pratica del gioco, gli fa credere di essere competenti nel valutare se una squadra ha giocato bene o male. Il calcio in questi ultimi 15 anni ha anche contagiato le ragazze e in molti paesi dal nord Europa, al nord America e al Giappone è veramente molto diffuso. Queste sono secondo me le ragioni per cui il calcio continuerà ad appassionare tutti ancora per molti anni.

Pensieri per le finaliste della coppa del mondo di calcio

Il mio augurio alle quattro finaliste della Coppa del mondo di calcio.

“Essere ciò che siamo e diventare ciò che siamo capaci di diventare è il solo scopo della vita”. (Robert Louis Stevenson)

“Impossibile è una parola che esiste solo nel dizionari dei folli”. (Napoleone Bonaparte)

La tragedia del Brasile

La disfatta del Brasile e le reazioni che si sono avute in tutto il mondo dimostrano che non era solo una partita di calcio. Se non si  parte da questa convinzione non si può capire il dolore che ha provocato. Ho lavorato con atleti che da favoriti hanno perso le olimpiadi e alcuni di loro non si sono più ripresi da quella sconfitta, altri hanno vissuto i quattro successivi coltivando dentro di sé solo un’idea, quella del riscatto. Apparentemente era una partita come tante altre, ma quello che cambia in queste situazioni è il significato della situazione. E’ la differenza tra fare una corsa in pianura e fare la stessa a 5.000m, la distanza è la stessa ma è tutto diverso: a quell’altezza se non sei preparato ad affrontare le difficoltà che comporta crolli a terra dopo 10m. In Brasile l’intero paese si è fermato, le proteste sociali si sono interrotte e tutti si sono uniti nel sostenere con passione estrema la propria squadra. Squadra che si è sciolta come neve al sole, senza sapere e volere reagire al primo goal tedesco. Il peccato di cui si sono macchiati sta nell’avere pensato di essere ciò che non erano, è un peccato di presunzione che per primo ha commesso l’allenatore. Il secondo è stato di credere che Neymar fosse il leader della squadra, forse è un campione, sicuramente non è un capo. E una squadra senza capo non può funzionare anzi sbanda. Una squadra senza testa non potrà mai vincere, perché non sa come affrontare i momenti difficili. Tutto questo senza avere preso in considerazione il livello tecnico modesto di molti giocatori. Era una sconfitta annunciata che solo l’esaltazione emotiva in cui hanno vissuto i brasiliani era riuscita a nascondere sino a ieri.

Si è infatti determinato intorno al Brasile un enorme effetto alone di cui sono state vittime anche i media, che si è manifestato nel continuare ad affermare che certamente questa squadra non era forte come nel passato ma era pur sempre il Brasile.  Questa squadra mi ha invece ricordato le ricostruzioni di Cinecittà, che viste di fronte sembrano come quelle reali ma andando dietro ci si accorge che sono costruzioni di cartone, e che dietro la facciata non c’è niente. Ora al Brasile serve una nuova generazione di calciatori, che non abbia vissuto in prima persona questa tragedia e che voglia giocare per divertirsi e per stare insieme, che sono le motivazioni migliori per gestire l’emozione di vestire la maglia brasiliana sapendo che il mondo si aspetta che si vinca sempre.

Tutto il Brasile giocherà con la propria squadra

Il Brasile in queste ore sta tenendo il fiato sospeso, la vita quotidiana si è fermata per lasciare spazio all’attesa e poi alla partita con la Germania.

Un amico, psicologo dello sport, John Salmela da Belo Horizonte dove vive da anni mi ha scritto ieri:

“It is total silence here in my world in Brazil. There was no game yesterday nor today. I seems like I am in Samuel Becketts´ play, Waiting for Godot! … But life will change tomorrow with the game between Brazil and Germany in Belo Horizonte! The city has been completely electrified, welcoming and generous, but since we are off on the coast, few foreigners know about Belo, although it has 5 million inhabitants. So, as I did in the three previous games and since we live about 3 km from the Mineirão stadium, I go out in my car and pick up 4-5 fans from different countries (Iran, Costa Rica, England), and drive the  500 m from the stadium. They cannot believe what I did, and will do so tomorrow with the Germans while trying not to bring up Hitler´s name. Enjoy the Cup if you can, but you can be certain that I will be either living or dying.”

Nel calcio, bisogna meritarsi la fortuna

Secondo Oronzo Pugliese, allenatore di calcio negli anni 70/80 la fortuna di una squadra consisteva nell’avere a disposizione i più bravi giocatori del mondo. Brasile e Argentina hanno vinto con l’aiuto della fortuna le due partite contro il Cile e la Svizzera. In questo caso con un ardito parallelo con il pensiero di Machiavelli, si può dire che la fortuna è la virtù esercitata dai più forti.  Per questo la fortuna non è così cieca come si è soliti dire, i più forti la calamitano su di sé. Devono però anche sapersela meritare, non a caso l’Argentina ha fatto molto più tiri in porta della Svizzera e il Brasile ha avuto ai rigori un portiere migliore. E’ altrettanto evidente che la fortuna interviene quando i due avversari non dimostrano una evidente superiorità di uno dei due. Più che in ogni altro sport, nel calcio il risultato ben si presta a essere influenzato dalla fortuna poiché la rete può essere determinata da una leggerezza compiuta in un determinato momento dal comportamento di un singolo calciatore. E’ il caso di Di Maria, uno dei migliori in campo, che viene ammonito in un’azione difensiva compiuta un minuto dopo avere segnato la rete del vantaggio dell’Argentina. Da questa leggerezza si è sviluppata l’azione che ha condotto al palo colpito da un giocatore svizzero, punito anche da un successivo rimpallo sulla gamba che ha messo la palla fuori di pochi centimetri. In altre parole, il peccato di un singolo può ricadere pesantemente sulla squadra. Questo è il calcio, sport in cui si può vincere per l’azione di un singolo ma che con altrettanta facilità un comportamento singolo può determinare la sconfitta. Pertanto, in una partita che si sviluppa attraverso molti singoli episodi attribuire il risultato alla fortuna non ha senso; di solito vince la squadra che ha creato più episodi positivi, agli avversari restano i pali presi che ne evidenziano la competitività in campo ma non la costanza nel perseguire la vittoria con il cuore e la mente. Leggilo anche su L’Huffington Post.

Perchè guardo i mondiali di calcio

Il calcio è un gioco semplice, tribale, s’insegue una palla che è l’arma con cui colpire la preda che è la porta. E’ uno sport che tutti, almeno fra i maschi, hanno giocato da bambini; averne avuto esperienza diretta consente a tutti di capire quanto è difficile spedire la palla dove si vuole.  Le squadre piacciono se sono combattive, se corrono e se almeno qualcuno è così bravo da farci stare a bocca aperta per le sue giocate. E’ un gioco in cui il goal è un evento raro, non si vince 87 a 65 come nel basket, infatti 1 a 0 è il punteggio finale più frequente. Per questa ragione la fortuna svolge un ruolo talvolta importante, come in Brasile-Cile partita in cui il Cile ha preso un palo in pieno a pochissimi minuti dalla fine e allo stesso modo ha perso ai rigori; due pali hanno eliminato il Cile. Un centimetro a sinistra e il risultato sarebbe stato diverso. D’altra parte nello sport si vince e si perde per un centimetro e anche per il calcio vale questa regola non scritta. Il calcio ci piace anche perché alla maggior parte di noi sopra i 40 anni ci ricorda di quando ogni momento libero era un’occasione per giocare a pallone: a scuola durante l’intervallo con il cancellino o con palle di carta, nel cortile di casa, all’oratorio, ai giardini facendo le porte con il cappotto. Il calcio è nei nostri ricordi: dal Grande Torino, a Rivera e Mazzola, a Italia-Brasile nel 1970, ai Mondiali vinti in Spagna e in Germania, a Paolo Rossi e Schillaci, e tanto altro in funzione della squadra di cui siamo/siamo stati tifosi e naturalmente ci sono anche gli scandali che ancora oggi continuano a rovinarlo. Il calcio è tutte queste cose e per questo continuerò a vedere le partite del mondiale.

Mordere per vincere: Imparare da Suarez

Il morso di Suarez a Chiellini è la reazione di chi è frustrato nella soddisfazione delle proprie esigenze di calciatore e trova come unica reazione l’offesa fisica all’avversario. Suarez è in buona compagnia, insieme a Zidane e Cantona nel calcio e Tyson nel pugilato, Appartiene a quel ristretto numero di campioni dello sport che non riescono a gestire le proprie emozioni nei momenti di maggiore pressione agonistica. La loro è una reazione primordiale, arcaica, non hanno compiuto un semplice fallo di ritorsione, come quello che è costato l’espulsione di Marchisio. Hanno compiuto invece un fallo primitivo; mordere la spalla, abbattere con una testata l’avversario senza palla o dare un calcio a freddo durante la partita a … un tifoso. Il modo per superare queste situazioni consiste nel non vivere altri momenti di così alta tensione, ma se sei una giocatore non è possibile. Sono proprio queste le condizioni competitive che saranno da te ricordate come quelle in cui sei stato un campione e non un uomo qualsiasi. Ma per loro capirlo è facile, perché stiamo parlando di campioni ma esserlo non è semplice e tantomeno facile.  Per loro è usuale incontrare ostacoli nella soddisfazione dei propri bisogni e saperli affrontare. Ma cosa gli dice la testa in quei momenti? Gli dice purtroppo “vai e colpisci perché altrimenti sarai tu a soccombere e solo se sei duro gli altri ti rispetteranno”. Sono figli di genitori assenti o autoritari  ma saperlo non aiuta, serve invece riconoscere che ora si è adulti responsabili delle proprie azioni e che quale che sia l’educazione ricevuta è giunto il momento di assumersi la responsabilità delle proprie azioni. Suarez è stato squalificato per 10 giornate per un morso a un avversario ed è anche andato dallo psicologo ma ciò non è stato sufficiente.  Non aiuta a cambiare l’essere strapagato, l’essere accettato perché in ogni caso segni molti goal, mentre si dimentica la persona per privilegiare il calciatore. Quanti goal vale un morso, cioè un comportamento anti sportivo? E’ questo il campione a cui vogliamo educare nostro figlio?

Leggilo anche su:  L’HuffingtonPost

L’atteggiamento perdente dell’Italia

Nel calcio il goal è un evento raro e come tale può essere segnato in qualsiasi momento, al primo minuto come all’ultimo oppure mai. Per questa ragione bisogna essere aggressivi, decisi, motivati e uniti come squadra per fare quello che serve per segnare una rete. L’Italia ieri non ha mostrato in campo questo atteggiamento e non è bastato sperare nelle parate di Buffon e nelle invenzioni di Pirlo per Balotelli. Il Costarica è una squadra che invece ha creduto per tutta la partita nel risultato da ricordare per tutta la vita: battere l’Italia. Anche noi abbiamo un sogno come ha detto Pirlo ed è quello di vincere il mondiale, ma per raggiungerlo bisogna sbattersi sino all’esaurimento  in ogni partita quale sia l’avversario. E’ questo l’atteggiamento che Garcia e Conte hanno insegnato alle loro squadre ed è questo che è mancato ieri alla nostra squadra. Cadere 11 volte nella trappola del fuorigioco vuol dire non essere stati attenti tanto quanto era necessario. Affermare che non si può pretendere che si segni una rete quando si è in campo solo per 20 minuti, vuol dire non avere capito che invece è proprio questo che ti viene chiesto, altrimenti avrebbero messo un altro in campo. Farsi ammonire perché ci si è innervositi, vuol dire che non hai ancora la mentalità per affrontare impegni di questo livello agonistico. Troppe azioni individuali e dribbling insistiti nella parte finale della partita dimostrano poca ricerca dell’altro e il desiderio di diventare il salvatore della partita. “Emozionato Io? Non ci sono emozioni” ha detto Cassano, neanche Buffon e Pirlo farebbero affermazioni di questo tipo nonostante siano abituati a partite così importanti. E’ mancata invece proprio la carica emotiva come squadra. La tensione che senti già prima di entrare in campo e che ti dispone a impegnarti oltre la fatica e difficoltà perché ti senti pronto. Le emozioni servono per alzare la soglia della stanchezza fisica e mentale. Come dice un famoso detto africano: ogni mattina non importa che tu sia un leone o una gazzella  l’importante è che cominci a correre.

Spagna: la caduta degli Dei

E’ sempre difficile capire quando si è finiti e a questa regola si è uniformata anche la Spagna. Il risultato di questa inconsapevolezza della squadra che ha dominato il mondo del calcio negli ultimi 6 anni sta nelle due partite perse al mondiale contro l’Olanda e il Cile e nei sette goal subiti. Maurizio Crosetti su Repubblica per spiegare quanto è accaduto usa la metafora dei dinosauri: “Questa è un’era geologica che si chiude … Tutti diranno: c’era la Spagna, era la padrona dell’universo finché una notte cadde come morirono i dinosauri. Così smisurati, così fragili”. Il gioco dei mille passaggi non ha più funzionato senza l’intensità e la velocità. Caratteristiche che si perdono non solo per esaurimento fisico ma soprattutto per perdita della volontà, del desiderio di continuare a essere ciò che si è stati sino a un attimo prima. Quando ciò non avviene si continua a giocare a memoria ma si è persa quella scintilla mentale che permetteva di nascondere la palla agli avversari e di colpirli quando si voleva. La Spagna è entrata in campo ed ha iniziato a giocare nel solito modo, a memoria, ma persa la palla i suoi giocatori non hanno saputo riprenderla, perché gli altri sono stati sempre più veloci e combattivi. Perdere la palla ha determinato nei giocatori solo frustrazione, di chi non capiva come fosse possibile e non ha invece determinato rabbia agonistica proprio perché la testa aveva esaurito ogni forma di reazione. La competizione sportiva è dura e non lascia spazio a chi non si rialza velocemente dopo essere caduto e per rispetto della gara gli avversari non ti danno il tempo di riprenderti anzi insistono a strapazzarti fino alla fine della partita. Sbagliare è fisiologico, tutti sanno che fa parte del gioco; non essere pronti a riprendersi immediatamente invece è una grande problema e la Spagna è caduta rovinosamente in questo tranello e ha perso. Inoltre, penso che Del Bosque abbia convocato  per i mondiali i giocatori basandosi sul principio che la squadra che ha vinto non si cambia, con l’aggiunta del’affetto che ovviamente avrà per questi giocatori. Anche questo tema relativo al ruolo dell’allenatore non è certamente facile da affrontare e a posteriori è troppo semplice farne il capro espiatorio. Guardiola ad esempio dopo avere vinto tutto e in modo ripetitivo con il Barcellona se ne andò per stanchezza personale ma forse anche per la consapevolezza di avere raggiunto un picco di successi difficilmente ripetibili. Del Bosque invece ha accettato la sfida di continuare dopo avere vinto consecutivamente due europei e un mondiale, e di tentare un’impresa quasi impossibile ma fantastica se fosse riuscita: su quale fondamenta ha basato la sua decisione? Forse non lo sapremo mai e comunque tanto di cappello per avere osato così tanto.