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Mentalità e tecnica di devono allenare insieme

Mentalità e tecnica si allenano attraverso lo sviluppo di una idea precisa di gioco. I video sui goal del Barcellona a livello giovanile dimostrano come questi due aspetti sono parte di un modo d’insegnare il calcio. Il Barcellona ha il suo … quante squadre italiane lavorano in questo modo anzichè insegnare solo la tattica e la tecnica? Senza la mente non c’è visione del gioco e i giovani si allenano a diventare dei soldatini.

http://www.fcbarcelona.com/football/formative/detail/article/top-five-youth-team-goals-of-the-week-may-4-5

http://www.guardian.co.uk/football/video/2013/jun/13/messi-barcelona-youth-goals-video

Come ragiona Jonny Wilkinson

Alcune idee tratte dal nuovo libro di Jonny Wilkinson (Rugby quantistico, in collaborazione con i due fisici Etienne Klein e Jean Iliopoulos)su cui possiamo riflettere.

“Quando ci si allena bisogna fare il meglio del meglio. Vuol dire che non basta far passare il pallone tra i pali, ma esattamente in mezzo”.

“Già prima di calciare, sento il punto preciso in cui entrerò in contatto con il pallone. Nella mia testa vedo la traiettoria esatta del pallone”.

“Il motivo per cui mi alleno mentalmente, è che in questo modo posso avere un allenamento assolutamente perfetto”.

“Non sono mai soddisfatto di quello che faccio sul campo. Per questo continuo a lavorare dopo gli allenamenti con sessioni di due o tre ore. Il mio obiettivo è di creare un clima di sicurezza intorno a me, di fabbricare delle abitudini forti e utili sulle quali potermi appoggiare”.

“Il rugby è il vero gioco di squadra, sì. Come dicevo, siamo sempre connessi. E’ impossibile avere l’occasione di segnare una punizione senza gli uomini della mischia”.

“Tempo fa ho letto che il miglior modo per raggiungere i propri obiettivi è quello di aiutare gli altri a raggiungere i loro. Ne sono profondamente convinto”.

 

La mente del rugbista

La vita l’è bela. Basta avere l’ombrela. C’è Lo Cicero che dice addio e ringrazia. E invece tipi che proprio non ce la fanno. Prendi O’Driscoll e Wilkinson, leggende che dal rugby hanno avuto tutto e che al rugby hanno dato tutto: fintano, dribblano e alla fine restano ancora un anno. Sulla mente dei rugbisti leggi:

http://quartotempo.blog.lettera43.it/2013/05/08/rugby-psicologia-come-pensano-i-rugbisti-a-colloquio-con-alberto-cei/

Le piccole azioni che influenzano la mente in positivo

Iniziare a essere più positivi verso di sè e più convinti di fornire di una prestazione efficace si basa sul cominciare a mostrare aalcuni facili comportamenti che però possono fare passare una prestazione da negativa a positiva.

Queste semplici azioni riguardano:

  1. Dopo un errore fare un respiro profondo e immaginare immediatamente cosa si deve fare in quel momento.
  2. Quando si è troppo preoccupati per la competizione che si deve iniziare, bisogna immaginarsi una prestazione passata positiva e lasciarsi sentire le sensazioni che si hanno mentre si fa questo esercizio.
  3. Durante il riscaldamento bisogna trovare il feeling con l’attrezzo o mezzo sportivo che si usa, (pallone, racchetta, arma, imbarcazione) bisogna sentire che quell’oggetto è proprio il nostro.
  4. Durante il riscaldamento bisogna anche avvertire che il corpo si sta preparando alla gara e trarre piacere da quelle sensazioni che ci dicono che ci stiamo preparando bene.
  5. Bisogna mentalmente immaginarsi se si tratta della corsa di sentire che le gambe girano come mi aspetto che sia o se le sento troppo rigide insisto negli allunghi in modo da sciogliere le tensioni muscolari inutili. In relazione ad altri sport bisogna identificare quali siano gli esercizi che meglio mettono in luce se siamo pronti, e dedicarsi a sentire le sensazioni per noi giuste prima dell’inizio della gara.

Sono solo alcuni esempi concreti di cosa possa fare un atleta per imparare a guidare se stesso a mettersi nella condizione mentale ottimale prima e durante la gara.

 

 

 

Campioni di mentalità

Nel calcio è diventato un luogo comune affermare che abbiamo pochi campioni e che per questa ragione le nostre squadre hanno difficoltà a imporsi a livello internazionale. Gli allenatori dicono che abbiamo pochi talenti calcistici e che è questo il problema. Di solito  la definizione di talento si basa sulle abilità tecniche dei calciatori e sulla loro prestanza fisica, mentre si presta meno attenzione alle loro abilità psicologiche. Ciò determina che abbiamo probabilmente un solo giovane fuoriclasse, El Shaarawy e molti altri che sono sicuramente bravi ma che non emergono per continuità di gioco e capacità di fare la differenza in una squadra. A mio avviso si dovrebbe tenere maggiormente in considerazione lo sviluppo mentale dei calciatori e la loro abilità ad adattarsi ai differenti moduli di gioco delle squadre del nostro campionato. Se non si fa questo il rischio è di avere giocatori bravi ma che mostrano difficoltà di adattamento nel passaggio da una squadra all’altra o nel giocare contro avversari che hanno differenti moduli di gioco. Inoltre le elevate aspettative di questi giocatori e delle loro società possono rappresentare un ulteriore ostacolo al loro successo. Inutile ripetere che programmi di allenamento mentale potrebbero essere utili a loro per svolgere questa professione con successo.

 

Il calcio a 5 è un altro sport

In questi giorni ho assistito a partite di calcio a 5 e mi sono reso conto che si tratta di un’evoluzione del calcio tradizionale da cui si differenzia in maniera molto significativa. Certamente si gioca con un pallone, vi è un portiere e vince la squadra che fa più goal ma sotto altri aspetti è un’altra cosa. Ecco in cosa a mio avviso si differenzia:

  1. nell’arco di un tempo i giocatori possono alternarsi ogni 3/4 minuti
  2. negli ultimi 2 minuti si possono fare più goal e ribaltare il risultato
  3. l’errore di un giocatore può essere fatale e determinare una rete
  4. è un gioco a elevata intensità, con continui scatti che riducono le energie mentali e fisiche dei giocatori
  5. i tempi di reazione e decisionali devono essere molto rapidi
  6. ogni giocatore deve essere costantemente pronto a difendere e attaccare
  7. l’espulsione di un giocatore determina un vantaggio notevole alla squadra avversaria
  8. viene richiesto un continuo e elevato livello di coesione e collaborazione
  9. bisogna giocare a intensità elevata sino all’ultimo secondo
  10. è richiesto un continuo controllo emotivo sui propri stati d’animo nocivi

Pessima la prima della pallavolo

La nazionale di pallavolo maschile ha giocato una pessima partita contro la Polonia, soprattutto ha perso la testa. Il giocatore più esperto, Mastrangelo, ha litigato con l’arbitro e la squadra nel quarto set si è sciolta. L’allenatore non è stato capace nei time out di trasmettere voglia di giocare. Questa sconfitta non compromette il percorso olimpico ma l’assenza di una reazione positiva della squadra deve essere compresa e risolta, altrimenti accompagnerà la squadra come un fantasma pronto a rovinare il gioco in qualsiasi momento del torneo.

La mente non è stata convocata in nazionale

La principale spiegazione che Prandelli ha fornito per illustrare le ragioni  del pareggio con la Croazia è che i calciatori hanno mostrato poca energia e aggressività. Sembrava una valutazione interessante perché poneva l’accento sulla componente mentale della prestazione. Da quanto si legge sui giornali non sembra essere invece questo il punto, infatti emerge che i calciatori sono fisicamente stanchi, quindi la fatica è una questione che riguarda ciò che avviene dalle sopracciglia in giù. D’altra parte in uno staff pieno di preparatori fisici, fisioterapisti e medici non si può certo andare oltre il muscolo e peccato che il cervello non lo sia. Intanto, con le conoscenze che ci offrono le scienze dello sport, sappiamo che la fatica è un fattore assolutamente identificabile prima della partita, e allora partendo da questa conoscenza perché non prevedere un approccio adeguato a questa condizione? Secondo, la partita non è certo un esercizio estetico di moduli di gioco, le partite bisogna saperle giocare e possibilmente vincerle. Cosa serve allora parlare per giorni di schemi di dove giocherà quel giocatore piuttosto che quell’altro, quando ciò che conta per primo sono gli individui e cioè i calciatori. Voglia di essere vincenti, questo dovrebbe essere il primo criterio per scegliere chi andrà in campo, che in pratica si traduce nel sapere chi ha più combattività (aggressività) e energia da spendere, il modulo lo si costruisce a misura su chi possiede oggi queste caratteristiche. I cambi dovrebbero rispondere alla stessa logica. Chi è in grado di garantire questo atteggiamento quando in campo si ha un decremento di queste caratteristiche? Perché la squadra migliore non è quella composta dai migliori giocatori ma è quella che fornisce il risultato migliore. Chi si occupa del recupero mentale dei calciatori? Chi si preoccupa di trasmettere energia mentale anche quando si è stanchi fisicamente? Schemi e tecnica sono inutili quando non c’è la mente a guidare, ma la nazionale continua a ipertrofizzare lo staff sanitario.

Federica Pellegrini è un bel Caso

Le prestazioni agonistiche di Federica Pellegrini rappresentano un caso interessante da studiare. La storia è presto detta: una fuoriclasse fornisce ai campionati continentali una prestazione molto insufficiente a quello che ci si aspettava e si adducono valutazioni che si basano sulla sua stanchezza e comunque su una componente fisiologica. Per cui, d’accordo, si sottoporrà agli esami necessari per verificare e attestare l’integrità della sua salute fisica. La mia domanda esula dalla persona Pellegrini, potremmo parlare di qualsiasi altro/a fuoriclasse del nuoto. Mi chiedo come sia possibile con i mezzi odierni di valutazione del livello di forma di un atleta non riconoscere in precedenza gli antecedenti della fatica, così da evitare all’atleta di vivere una situazione di certo non piacevole e tantomeno utile. Se poi si scoprisse che la componente fisiologica è a posto, allora emergerebbe la rilevanza dell’aspetto mentale. Se la fatica fosse quindi mentale perchè non dare più spazio all’allenamento mentale? Sono quesiti che ovviamente non troveranno nessuno interessato a rispondere, ma sono convinto che siano essenziali nella gestione di una fuoriclasse.

Scontenti di che?

In questo periodo dell’anno parlò con molti atleti che sono scontenti delle loro prestazioni, si sono allenati per tutto l’inverno e ora vorrebbero vincere sempre o comunque fare molto bene. Aspettative legittime ma irrealistiche, perché ci sono anche gli avversari ma soprattutto in quanto gareggiare non è solo una espressione del proprio valore tecnico ma è un’attività che deve essere guidata dalla mente. Diciamo pure che senza la mente, la tecnica è inutile; perché la gara è gestione efficace dello stress agonistico, che una volta domato consente alla tecnica dell’atleta di esprimersi al massimo livello. Chi non fosse in grado di svolgere questi compiti non potrà mai gareggiare con soddisfazione o in modo vincente.