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Le adolescenti in UK lasciano lo sport

Uno studio condotto da Women in Sport, intitolato “Reframing sport for teenage girls: tackling teenage disengagement” ha messo in evidenza che più di 1 milione di ragazze che si consideravano sportive alle elementari perdono interesse nell’attività fisica da adolescenti.

Le ragioni dominanti sono da attribuire alla paura di essere giudicate, la mancanza di fiducia e l’antipatia degli altri.
Poco meno della metà (47%) ha detto di essere troppo impegnata con il lavoro scolastico per continuare a fare sport.

Il 78% delle ragazze che praticano sport dichiarano di astenersi dal praticarlo quando hanno le mestruazioni, per dolore e percezione di fatica.

Il sondaggio ha anche scoperto che la pandemia ha colpito le preoccupazioni delle ragazze adolescenti sul loro aspetto, così come i problemi di salute mentale, più dei ragazzi. Ha trovato che sono meno fisicamente attivi dei ragazzi in generale e sono molto meno propensi a partecipare a sport di squadra.

I dati di questa indagine mostrano una situazione in UK piuttosto grave, poiché solo il 37% delle ragazze dichiarava di praticare attività fisica rispetto al 54% dei ragazzi. Percentuali che peggiorano di molto fra 17-18 anni in cui solo 3 ragazze su 10 si descrivono come sportive, rispetto a 6 ragazzi su 10.

L’autostima e i problemi di immagine corporea sono stati trovati come problemi con cui tutte le ragazze hanno lottato, ma questo era particolarmente vero per le ragazze che avevano smesso di prendere parte allo sport e all’attività fisica quando sono cresciute.

 

 

Il rapporto ha mostrato che la maggior parte delle ragazze ha capito i benefici dell’essere attivi e che volevano aumentare i loro livelli di attività fisica, ma solo il 47% ha detto che hanno trovato facile motivarsi.

Stephanie Hilborne, l’amministratore delegato di Women in Sport, ha detto: “È una farsa assoluta che le ragazze adolescenti siano spinte fuori dallo sport su tale scala”. Ha aggiunto che perdere lo sport in questa fase formativa della loro vita equivale a una “perdita di gioia e di buona salute per tutta la vita”.

“Dobbiamo sfatare il mito che le ragazze adolescenti abbandonano lo sport semplicemente perché le loro priorità cambiano. La nostra ricerca ha scoperto che il 59% delle ragazze adolescenti che erano sportive amano lo sport competitivo, ma sono state bocciate a causa di stereotipi dei primi anni, opportunità inadeguate e una completa mancanza di conoscenza sulla gestione della pubertà femminile.

“Le ragazze adolescenti non stanno lasciando volontariamente lo sport, ma vengono spinte fuori come conseguenza di radicati stereotipi di genere. Dobbiamo tutti fare di più per invertire questa tendenza e non continuare ad accettare questo come inevitabile”.

L’associazione chiede alla scuola e alle associazioni sportive di mantenere le ragazze impegnate nello sport, soprattutto durante la transizione dalla scuola primaria alla scuola secondaria e durante la pubertà.

La fatica mentale: come ingannarla

Walter Staiano, Andrea Bosio, Helma M. de Morree, Ermanno Rampinini e Samuele Marcora (2018). The cardinal exercise stopper: muscle fatigue, muscle pain or perception of effort?  Progress in Brain Research, 240, 175-200.

La capacità di sostenere l’esercizio aerobico ad alta intensità è essenziale per le prestazioni di resistenza. La cessazione di un esercizio aerobico ad alta intensità è dovuta a fatica muscolare, dolore muscolare o a un aumento della percezione dello sforzo?

I partecipanti allo studio hanno effettuato una prova sul  cicloergometro a carico costante e alta intensità. Sono stati spinti fino al massimo sforzo possibile. I risultati mostrano che nel momento in cui l’atleta smette volontariamente di pedalare (momento teorico di massimo esaurimento) in realtà possiede ancora una capacità di esercizio elevata. Significa che dal punto di vista fisiologico, quando l’atleta si percepisce esaurito in realtà può ancora produrre una potenza circa doppia rispetto a quella che lo ha portato all’esaurimento. I dati mettono in luce che il fattore che impedisce la prosecuzione dell’esercizio, nel momento in cui ci si ferma durante uno sforzo intenso, non è la mancanza di forza per continuare a quella intensità o la percezione di dolore ai muscoli. Il motivo per cui si interrompe o si diminuisce l’intensità durante uno sforzo ad alta intensità risiede nella percezione dello sforzo.

Un trucco per continuare alla stessa intensità è di distrarre la mente con un pensiero che sostenga questo sforzo ancora per qualche secondo o per qualche metro, quello è il momento decisivo della gara perchè chi non ragiona in questo modo smetterà o rallenterà in modo eccessivo mentre noi continueremo.

Nuova Zelanda: un programma per cambiare l’approccio allo sport dei giovani

Lo sport giovanile, la necessità della polisportività, le cause dell’abbandono, l’aumento degli infortuni e il ruolo dei genitori, degli allenatori e dei dirigenti. Questi sono i temi di una progetto sviluppato in Nuova Zelanda per riconsiderare gli approcci fino a oggi utilizzati. E’ un esempio che sembra provenire da Marte, tanto è la distanza culturale e scientifica dal mondo sportivo italiano, dove un approccio di questo tipo non sarebbe mai possibile e e dove è totalmente assente la ricerca su questi temi.

La lettura di quanto segue sarà certamente utile per aprire le nostre menti sul problema della pratica sportiva e dell’abbandono e per sviluppare idee e progetti adatti alla nostra realtà italiana.

Sport NZ e cinque dei più grandi sport di partecipazione in Nuova Zelanda – Rugby, Cricket, Calcio, Netball e Hockey – hanno lanciato un’importante campagna di sensibilizzazione del pubblico che chiede agli animatori dello sport giovanile di riconsiderare i loro approcci. Ma perché l’appello all’azione è così urgente?

La campagna  ”Tieniti al passo con il gioco” si concentra sul motivo per cui gli adolescenti si allontanano sempre più dallo sport. Le prove raccolte nel corso del tempo nell’indagine sulla partecipazione nazionale di Sport NZ Active NZ mostrano che, se si confrontano i ragazzi dai 12 ai 14 anni con quelli dai 18 ai 24 anni, le ore settimanali di attività fisica diminuiscono da 12 a 5. Inoltre, il numero di attività diminuisce da 6,4 a 2,5 e la partecipazione settimanale scende sostanzialmente dal 98% al 75%. La campagna invita tutti coloro che si occupano di sport giovanile, in particolare i genitori, gli allenatori e gli amministratori, a dare una svolta a questa situazione.

Inoltre, i dati del censimento dello sport nelle scuole secondarie di secondo grado mostrano che, nonostante l’aumento delle iscrizioni scolastiche negli ultimi tre anni, la partecipazione allo sport interscolastico è diminuita. Per Sport NZ questo è preoccupante, perché le abitudini formatesi negli anni dell’adolescenza passano agli anni degli adulti. Fondamentalmente gli adolescenti inattivi diventano adulti inattivi.

Anche se alcuni dei drop-off possono essere attribuiti agli inevitabili cambiamenti che si verificano durante l’adolescenza, tra cui la motivazione, la contesa sul tempo e l’impatto della tecnologia, ci sono altri fattori che aggravano questo declino.

Sport NZ dice che gli anni passati a studiare l’argomento, e ad esaminare i modelli d’oltreoceano, dimostrano che i giovani sono meglio serviti quando le loro esigenze sono messe al primo posto. E la motivazione principale che spinge i giovani a fare sport è il divertimento (76%), seguito da uscite con la famiglia o con gli amici (44%). Il fatto è che lo sport è visto da molti adolescenti come un altro modo per entrare in contatto con gli amici e divertirsi. E se il divertimento finisce, perché vi è un aumento un aumento di pressione e di richiesta tempo, è probabile che i giovani abbandoneranno lo sport.

Anche se alcuni genitori potrebbero essere tentati di lasciare che i loro figli si specializzino presto in uno sport, magari incoraggiati da un allenatore o da un amministratore di club, le statistiche mostrano che questa è probabilmente una cattiva idea. Studi australiani dimostrano che la probabilità di passare dall’essere identificati come giovani talenti a diventare un atleta d’elite è inferiore al 10%.

E non ne varrà necessariamente la pena. L’eccesso di allenamento e di gioco può portare a infortuni e bruciare i giovani giocatori. Le statistiche dell’ACC hanno mostrato un’impennata del 60% dal 2008 negli infortuni legati allo sport nei ragazzi tra i 10 e i 14 anni – il doppio dell’aumento di qualsiasi altra fascia d’età. Ci sono diverse ragioni per questo picco, ma una preoccupazione crescente è che la pratica di un solo sport può essere tanto dannosa quanto il non praticare abbastanza esercizio fisico.

Per chi cerca una guida utile, l’ACC incoraggia la linea guida di un’ora per ogni anno, sia la quantità di sport organizzato svolto per settimana – sia di allenamento che di competizione – e non dovrebbe superare l’età del bambino. Il superamento delle ore consigliate aumenta le probabilità di un “infortunio a insorgenza graduale”.

Anche se ogni genitore vuole sostenere il proprio figlio nel diventare una star sul campo sportivo, troppo e troppo presto potrebbe avere l’effetto opposto.

Bambini messi fuori dallo sport dai comportamenti negativi dei genitori

Bambini di otto anni lasciano lo sport per colpa del  comportamento dei genitori. E’ quanto emerge da un sondaggio del Marylebone Cricket Club (MCC) e il cricket charity Chance to Shine. Sono stati intervistati 1.002 di 8-16 anni, il 45% ha detto che il cattivo comportamento dei genitori ha fatto decidere di non fare sport. L’84% dei genitori di quei bambini ha convenuto che il comportamento negativo ha scoraggiato la partecipazione dei giovani.

Nel sondaggio, il 41% dei bambini ha dichiarato che i loro genitori criticano le loro prestazioni. Il 16% dice che è accaduto frequentemente o per tutto il tempo – mentre il 58% dei genitori ha affermato che c’erano più urla da bordo campo.

Un bambino ha riferito di aver visto una madre distruggere un finestrino della macchina dopo che la squadra avversaria ha segnato, un altro che un papà ha colpito l’arbitro per aver fatto uscire suo figlio, mentre un genitore ha ricordato che è stata chiamata la polizia quando due genitori hanno iniziato a picchiarsi.

Gli allenatori di Chance to Shine hanno organizzato un programma estivo di lezioni basate sui concetti di sport competitivo e  fairplay  rivolte a 350.000 bambini in oltre 5.000 scuole statali come parte della campagna di MCC Spirit of Cricket.

L’allenatrice Kate Croce, che gioca per l’Inghilterra, ha detto: “Vogliamo che i bambini siano competitivi, ma c’è una linea che non deve essere superata, valida per i bambini e per tutti i genitori invadenti.”

La piramide dell’attività motoria

Che in Italia si faccia poca attività fisica a scuola e che non vi sia un progetto globale per risolvere questo problema è un dato di fatto. Ancora una volta la soluzione del problema è solo sulle spalle delle famiglie che spesso non hanno una consuetudine con lo sport attivo e tantomeno con il movimento. L’unione di queste due difficoltà determina un abbandono precoce dello sport da parte delle bambine già a partire dalla scuola media, che nei maschi si sposta due/tre anni più avanti. Di fatto a 15 anni meno del 50% dei giovani pratica sport in modo continuativo. La Società Italiana di Pediatria in occasione della Giornata mondiale del bambino e dell’adolescente ha presentato la Piramide dell’Attività Motoria che illustra le caratteristiche di uno stile di vita attivo e salutare.  Purtroppo è un tema di cui non viene percepita l’importanza dai politici ma anche dai cittadini e per il quale mostrare con dati che la sedentarietà è la causa di molte malattie non è stato sinora sufficiente a darle importanza rispetto al dato che fumare fa venire il cancro, di cui invece la maggior parte delle persone è convinta.

Ragazze: no sport, no autostima

E’ stato presentato a Milano con il Patrocinio del Comune il Progetto Autostima: “6 ragazze su 10 abbandonano il loro sport preferito perchè sono insoddisfatte del proprio corpo. Insieme, perchè nessuna ragazza appenda le scarpe al chiodo”.

L’iniziativa nata da una ricerca Dove, promuoverà in 10 scuole secondarie di primo grado di Milano, un ciclo di 4 incontri, riservati a ragazze e ragazzi tra i 12 e i 14 anni. Coordinati da Mauro Grimoldi (presidente ordine psicologi della Lombardia), due psicologi seguiranno il gruppo classe con l’obiettivo di incoraggiare i partecipanti ad avere una giusta consapevolezza di sé e a costruire un sano e positivo rapporto con il proprio corpo. L’iniziativa, nei prossimi mesi, si allargherà ad altre città italiane.

Una ricerca internazionale, condotta quest’anno da Dove, dimostra che in tutto il mondo sono tante le ragazze che sviluppano blocchi psicologici a causa di una bassa autostima. Nel mondo, il 60% delle ragazze tra i 15 e i 17 anni evita normali azioni quotidiane – andare dal dottore, fare sport o farsi interrogare a scuola – perché si sente a disagio nel proprio corpo. Inseguendo un modello irraggiungibile di bellezza, le ragazze finiscono per non esprimere ciò che sono realmente. I dati emersi in Italia sono particolarmente significativi: 8 ragazze su 10 non si sentono bene nel proprio corpo, a causa degli stereotipi imposti dai media, dalla società e a volte da se stesse. Soltanto il 3% delle ragazze si ritiene bella, il 45% si definisce con reticenza carina, il 25% si preoccupa del proprio peso e il 36% dichiara che si sentirebbe più felice se fosse più bella. La ricerca dimostra inoltre come nel nostro Paese ci sia un collegamento diretto tra la sensazione di inadeguatezza, la mancanza di autostima e l’insorgere di insicurezze che a volte rischiano di influire considerevolmente sulle semplici attività quotidiane. Il 52% delle ragazze italiane non fa attività sportive, perché insoddisfatte del proprio corpo.

La mente del rugbista

La vita l’è bela. Basta avere l’ombrela. C’è Lo Cicero che dice addio e ringrazia. E invece tipi che proprio non ce la fanno. Prendi O’Driscoll e Wilkinson, leggende che dal rugby hanno avuto tutto e che al rugby hanno dato tutto: fintano, dribblano e alla fine restano ancora un anno. Sulla mente dei rugbisti leggi:

http://quartotempo.blog.lettera43.it/2013/05/08/rugby-psicologia-come-pensano-i-rugbisti-a-colloquio-con-alberto-cei/

Federica Pellegrini e la ritrovata serenità

La storia di Federica Pellegrini sta a dimostrare che anche una delle atlete più dotate di talento e più vincenti dello sport mondiale,  ha bisogno a un certo punto della sua carriera di un periodo di recupero dopo anni di lavoro molto intenso. Non si è presa un anno di riposo ma ha ridotto gli impegni agonistici, le ore di allenamento e si dedica a un’altra specialità. L’esempio di Federica Pellegrini vale per tutti e non solo per gli atleti di livello olimpico. C’insegna che il recupero è parte della storia sportiva di ognuno che non ci si può stressare per anni senza avere un periodo in cui si rallenta e si fa dell’altro. Non si può sempre spingere al massimo, perchè questo atteggiamento porta nel lungo periodo all’abbandono e alla perdita della serenità. Bisogna avere voglia di allenarsi, di sacrificarsi e di provare gioia a essere stanchi, quando invece diventa un peso bisogna fermarsi o ridurre l’impegno. Questo è importante anche per gli atleti amatori, che non devono vincere nulla ma che troppo spesso si consumano senza mai prendere un attimo di riposo. Bisogna non dimenticare mai che il recupero fa parte dell’allenamento.

La voglia di farcela

Dal libro di Finn “Nati per correre” emerge che la caratteristica dominante per diventare un atleta in Kenia sia: la voglia di farcela. E’ questa che fa da locomotiva per tutte le altre. Questa idea ci deve fare riflettere perchè troppo spesso noi come genitori, insegnanti o allenatori pensiamo invece che non sia il risultato di una cultura in cui il giovane cresce ma quasi un regalo che è toccato a qualcuno. Mentre attribuire alla cultura in cui si vive la possibilità di stimolare questa dimensione personale vuole dire conoscere la risposta all’abbandono dei giovani dallo sport ma anche dalla scuola.

Non è solo una questione personale di ogni ragazzo e ragazza, dipende da  come è organizzato il nostro ambiente sociale. Se in Kenia vi è una cultura della corsa radicata e pervasiva, come facciamo a sviluppare in Italia una cultura dello sport ma anche dello studio così significativa? Quali sono i modelli da emulare che trasmettiamo ai giovani? Perchè se non agiamo per rispondere a questi quesiti non riusciremo mai a integrare insieme la necessità dell’impegno e della dedizione con l’abbondanza dell’offerta di percorsi scolastici e sportivi.

Potere scegliere fra più percorsi è senz’altro positivo ma diventa inutile se non è unito al desiderio di farcela. In caso di mancanza si saltella da una scuola a un’altra, chi può paga un diploma in una scuola privata oppure abbandona del tutto la scuola. Ma se i ragazzi non sanno scegliere o non s’impegnano la responsabilità è di chi organizza la scuola e dei genitori che non sono bravi educatori. 

Pratica sportiva e abbandono

Negli Stati Uniti si calcola che il 70% dei giovani abbandoni lo sport fra 13-15 anni. Le ragioni sono molte e così suddivise: infortunio, noia, allenamento eccessivo, limitato sviluppo delle abilità, stress e ansia, specializzazione precoce, allenatori troppo critici, genitori che vogliono realizzarsi attraverso i figli, mancanza d’interazione sociale fra gli atleti. Sono dati negativi, ma almeno negli USA si hanno dati certi mentre da noi queste stesse considerazioni possono solo essere supposte, poichè nessuno si occupa della questione dell’abbandono o di come incrementare la partecipazione allo sport. Noi ci limitiamo a dire che lo Stato non fa nulla e che i giovani di oggi sono pigri. In ogni caso è necessario che gli allenamenti siano basati sul divertimento, l’impegno, la collaborazione, la diversificazione delle esercitazioni e l’atteggiamento entusiasta e dinamico dell’allenatore.