Archivio mensile per novembre, 2014

Mental coach e psicologi dello sport: confusione anche tra gli psicologi

Per lavorare nello sport di prestazione è necessario possedere una preparazione specifica. Nel caso dello psicologo è necessario possedere una formazione in psicologia dello sport, così come un medico diventa medico dello sport attraverso un percorso di studi post-laurea. Questa idea è piuttosto semplice e nella maggior parte delle altre nazioni vi sono percorsi istituzionalizzati di questo genere. Pertanto lo specialista in psicologia dello sport è la figura professionale che è competente per la formazione ricevuta a svolgere il lavoro di mental coach. Ma perché oggi è così diffuso l’uso dei termini “mental coach”. La ragione per cui viene utilizzata è che in tal modo chiunque voglia lavorare in ambito psicologico ha trovato un’espressione chiara e comprensibile che gli permette di proporsi sul mercato sportivo (e non solo) senza svolgere in modo illegale la professione di psicologo. Pertanto chiunque può definirsi mental coach senza trovare alcuna opposizione da parte di istituzioni o organizzazioni. Nello specifico queste persone propongono a un ambiente che ignora in larga parte quale sia il lavoro dello psicologo dello sport miracoli a breve termine. E spesso dirigenti, allenatori e atleti che non hanno voglia di selezionare veramente consulenti competenti ma hanno solo voglia di scaricare i loro problemi su qualcun altro cadono in questo tranello.

Sono veramente sconcertato dall’intervista che la psicologa Laura Messina ha voluto dare a chi gli chiedeva quale fosse la differenza fra psicologo e mental coach. Sono queste risposte che continuano a diffondere idee sbagliate, superficiali e dannose per il mondo dello sport

«Ma qual è la differenza sostanziale tra uno psicologo ed un mental coach?

Lo psicologo ha una preparazione specifica che si concentra e studia i comportamenti degli individui, i loro processi mentali e la parte interiore conscia e inconscia. Il mental coach non opera in ambito clinico, non ha nessuna competenza per gestire il disagio psicologico. Ma pone un focus sul miglioramento della performance e cerca di portare l’individuo ad esprimersi al massimo.

Oltre ad una differente formazione (lo psicologo deve avere la laurea; al mental coach basta un corso di formazione) è diverso il contesto lavorativo (lo psicologo lavora su patologia e recupero clinico; il mental coach lavora in ambito di motivazione, concentrazione, performance) e l’ambito di intervento (il mental coach opera su una domanda di miglioramento; lo psicologo utilizza strumenti di indagine psicodiagnostica e opera su una domanda di cambiamento).

Sottolineate le differenze direi che sarebbe auspicabile che le due figure professionali potessero integrarsi sinergicamente ed essere complementari per un risultato d’eccellenza».

Cos’è la prontezza mentale

La prontezza mentale si basa sul concetto di resilienza. La resilienza è la capacità di un atleta di recuperare rapidamente, resistere e fornire una prestazione ottimale nei momenti di maggiore pressione competitiva e nelle principali situazione di stress.

Ettore Messina: un esempio di mentalità vincente

Che bello sentire dire da Ettore Messina al suo esordio come head coach su una panchina NBA: “Ero terribilmente impaurito da questo esordio, generalmente lo sono in modo controllato, oggi è stato diverso. Non ho pensato ad essere il primo coach non americano in grado di vincere una partita NBA perché volevo rimanere concentrato sull’obiettivo finale. E’ stato bello”.

L’ex ct della Nazionale azzurra, ora assistant manager ai San Antonio Spurs, ha sostituito in panchina l’head coach Greg Poporvich, costretto a fermarsi per motivi di salute e a sottoporsi ad alcuni trattamenti medici: il team texano, campione in carica, ha superato 106-100 gli Indiana Pacers.

Messina ha un palmares incredibile: 4 Eurolega (2 con la Virtus Bologna, 2 con Cska Mosca), 4 campionati italiani, 7 Coppe Italia, 1 Coppa delle Coppe, 6 Campionati russi e 1 argento europeo con la nazionale italiana.

Ma non ha paura dei sentimenti che prova e neanche di ammetterli in pubblico. Questa è certamente una delle principali caratteristiche dei vincenti: accettare la paura anche estrema e restare concentrati sull’obiettivo finale.

Così piccoli e già sedentari

Ho scritto ieri dell’importanza del ruolo dei genitori nel determinare lo stile di vita fisicamente attivo o passivo dei loro figli. Oggi sono usciti i risultati poco confortanti della ricerca intitolata “Piccoli più”, progetto nazionale finanziato e promosso dal Centro Nazionale di Prevenzione e Controllo delle Malattie – Ministero della Salute. Lo studio è basato sull’osservazione di 3 mila bambini in cinque città italiane. I partecipanti allo studio sono stati studiati attraverso questionari compilati dai genitori e con visite a 6, 12, 24 mesi di vita. Purtroppo i risultati dimostrano il ruolo negativo e non educativo svolto da molti genitori già nel primo anno di vita, che con il loro stile di vita stimolano i figli alla sedentarietà.

Peso forma - Confrontando i pesi e le altezze dei bambini partecipanti al progetto con le linee guida dell’Organizzazione mondiale della sanità, risulta che a 12 mesi il 23,4% dei maschi e il 22,1% delle femmine è al di sopra del valore soglia utilizzato per definirli in sovrappeso. L’obesità infantile è già presente al primo anno.

Incidenti  nel 1° anno di vita - Il 21,2% dei bambini ha avuto un incidente nei primi 12 mesi di vita, in gran parte una caduta da un piano rialzato che ha reso necessario il pronto soccorso.

Uso di Tv, Pc e tablet - Il 72% dei genitori dichiara che il bambino di un anno rimane davanti alla televisione o ad altro media elettronico (PC, tablet, smartphone) acceso, senza differenze tra giorni feriali o fine settimana. Nel 21% dei casi l’esposizione è già superiore ad 1 ora al giorno. L’8% dei genitori ha dichiarato di lasciare il bambino da solo davanti alla televisione.

Muoversi - Solo 1 donna su 4 ha praticato sport durante la gravidanza in maniera non saltuaria. Inoltre 1 donna su 3 ha riportato di essersi cimentata almeno una volta alla settimana in attività come passeggiare a passo spedito o andare in bicicletta, in media per 3-4 ore alla settimana.

Roma poco convinta delle sue capacità

Dopo la partita CSKA-Roma mi sono chiesto se difendere il risultato di 1-0 come ha fatto la Roma stando per due terzi del secondo tempo nella sua metà campo sia un segnale di realismo o quanto invece sia una dimostrazione di un limite mentale che le ha impedito di continuare a fare il suo gioco abituale. Florenzi sembra propendere per questa seconda interpretazione del risultato: – E’ una grande beffa per noi, ma ce la siamo quasi meritata perché non siamo stati nella ripresa la Roma del primo tempo. Siamo rimasti tutti dietro e non abbiamo tenuto il pallone, ci dispiace perché prendere gol a 15″  fa veramente male-.

Interessante è anche l’interpretazione di Totti che ha paragonato il goal subito dalla sua squadra all’ultimo secondo a un pugno di Tyson. Continuando con la stessa metafora, direi che è abbastanza evidente che non si può lasciare a lungo l’iniziativa a Tyson perché prima o poi arriva il pugno del ko.

Vi è una terza spiegazione: si difende perché non si è sicuri della propria condizione fisica … ma sarebbe ben strano non avere questa certezza, poiché un’adeguata condizione fisica è alla base anche della convinzione di mentale di sapere essere competitivi e vincenti per tutta la partita.

In sintesi, credo che la Roma debba lavorare molto per cambiare questa mentalità rinunciataria e questa scarsa convinzione di se stessa. Per primo il suo allenatore dovrebbe evitare errori di questo tipo poiché è lui il capo e per primo deve trasmettere alla squadra la convizione di essere in grado di lottare nello stesso modo fino al fischio finale dell’arbitro.

La sedentarietà nasce in famiglia

Spesso per spiegare l’elevata percentuale di giovani sedentari si dice che è colpa della scuola che non promuove l’attività fisica, non stimolando la loro partecipazione al mondo dello sport. Certamente questa è una delle spiegazioni del ridotto coinvolgimento sportivo degli adolescenti. Vi è però un’altra questione importante da tenere presente e riguarda direttamente le famiglie. Diciamo pure che la maggior parte della famiglie italiane non conduce uno stile di vita fisicamente attivo, anzi gli adulti dai 25 ai 65 anni fanno poco sport e spesso sono sovrappeso.

  • il 32% degli adulti è sovrappeso e l’11% è obeso
  • il 20% degli adulti svolge attività fisica in modo continuativo, il restante 80% pratica in modo saltuario o è completamente sedentari
Molti di questi adulti sono genitori e con il loro esempio quotidiano trasmettono ai loro figli il proprio stile vita. Non è quindi un caso se il picco di attività sportivo per le ragazze è intorno agli 11 anni mentre per i ragazzi a 14 anni. Nelle età successive l’abbandono sportivo è una costante che caratterizza il resto dell’adolescenza e i primi anni della vita adulta.
Sento dire che invece bisognerebbe essere contenti di queste percentuali che indicano un incremento notevole della pratica sportiva degli adulti e dei giovani negli ultimi 30 anni. Questo ragionamento è però sbagliato alla sua origine, poiché in quegli anni gli adulti erano molto più attivi fisicamente perché si camminava più spesso e per tragitti più lunghi e l’obesità non era ancora diventata un problema di salute nazionale. Inoltre, i giovani pur se a scuola facevano poca attività fisica, potevano giocare per strada e andare all’oratorio e questo li rendeva più attivi. E non erano inseguiti da genitori con le loro merendine. Oggi tutto questo è impossibile, non esiste più il gioco libero e spontaneo e vi sono altre forme di svago che li allontanano dalla pratica dello sport.
Per concludere, i genitori sono un tassello decisivo per lo sviluppo di uno stile di vita fisicamente attivo e dovrebbero essere sensibilizzati e aiutati a fare le scelte giuste per se stessi e per i loro figli.

Lo sviluppo dell’atleta è un processo a lungo termine

Quanti sanno che queste sono le fasi di sviluppo di un atleta da quando è un bambino, diventa adolescente, è un atleta e al termine della carriera si ritira?

Sport, responsabilità e dimensioni delle palle

La National Science Foundation ha annunciato i seguenti risultati relativi alla pratica sportiva nelle aziende americane:

  1. Lo sport dei dipendenti della manuntenzione è il bowling.
  2. Lo sport degli impeiegati è il football.
  3. Lo sport dei supervisori è il baseball.
  4. Lo sport del middle management è il tennis.
  5. Lo sport dei manager è il golf.

Conclusioni: maggiore è il livello di responsabilità aziendale, più piccole sono le palle.

Come la nostra società ostacola la motivazione a muoversi

  1. I ragazzi delle città camminano quattro volte meno di quelli che vivono in città a misura di pedone.
  2. Più gli adulti guardano i telegiornali che amplificano e accentuano i fatti di cronaca nera, più sono intimiditi e restano a casa a guardare la TV.
  3. I bambini che non vanno più a scuola a piedi perdono uno dei primi momenti individuali di formazione e di avventura.
  4. TV, computer, videogiochi e internet limitano le opportunità di movimento già ridotte dalla diffusione dell’automobile.
  5. In città andare a piedi diventa un simbolo di inadeguatezza  e di appartenenza a un ceto svantaggiato.