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Come segnare o sbagliare un rigore

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15 anni fa Totti faceva il cucchiaio a Van der Sar – GUARDA IL VIDEO

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PELLE E ZAZA – RIGORE SBAGLIATO ITALIA – GERMANIA – EURO 2016

Pirlo e Totti e poi il vuoto

Instagram, le foto degli atleti italiani più amate del 2014

Andrea Pirlo e Francesco Totti le ultime leggende del calcio italiano,

Roma poco convinta delle sue capacità

Dopo la partita CSKA-Roma mi sono chiesto se difendere il risultato di 1-0 come ha fatto la Roma stando per due terzi del secondo tempo nella sua metà campo sia un segnale di realismo o quanto invece sia una dimostrazione di un limite mentale che le ha impedito di continuare a fare il suo gioco abituale. Florenzi sembra propendere per questa seconda interpretazione del risultato: – E’ una grande beffa per noi, ma ce la siamo quasi meritata perché non siamo stati nella ripresa la Roma del primo tempo. Siamo rimasti tutti dietro e non abbiamo tenuto il pallone, ci dispiace perché prendere gol a 15″  fa veramente male-.

Interessante è anche l’interpretazione di Totti che ha paragonato il goal subito dalla sua squadra all’ultimo secondo a un pugno di Tyson. Continuando con la stessa metafora, direi che è abbastanza evidente che non si può lasciare a lungo l’iniziativa a Tyson perché prima o poi arriva il pugno del ko.

Vi è una terza spiegazione: si difende perché non si è sicuri della propria condizione fisica … ma sarebbe ben strano non avere questa certezza, poiché un’adeguata condizione fisica è alla base anche della convinzione di mentale di sapere essere competitivi e vincenti per tutta la partita.

In sintesi, credo che la Roma debba lavorare molto per cambiare questa mentalità rinunciataria e questa scarsa convinzione di se stessa. Per primo il suo allenatore dovrebbe evitare errori di questo tipo poiché è lui il capo e per primo deve trasmettere alla squadra la convizione di essere in grado di lottare nello stesso modo fino al fischio finale dell’arbitro.

Il business delle scuole calcio

Inchiesta di Repubblica sulle Scuole calcio

“Alla partenza, l’ambizione di tutti è l’azzurro e alimenta il business delle scuole calcio: 7.189 in Italia, numero impressionante se paragonato alle scuole medie (8mila) o elementari (16mila). Le rette annuali variano da 300 a 900 euro e garantiscono ai gestori ricavi a molti zeri. Realtà spesso piccole, che contribuiscono alla formazione e alla crescita dei bimbi. Antonio Piccolo, istruttore della scuola calcio Arci Scampia (tre campi in erba sintetica, 500 iscritti), spiega: “Ai ragazzi meno bravi non bisogna bruciare i sogni, ma neppure alimentare false illusioni. Bisogna insegnare loro che nella vita c’è altro: lo studio, il lavoro, essere cittadini migliori. Hanno come riferimento la tv, i milioni di Balotelli. Giocano perché vogliono arrivare, sono sempre meno quelli che lo fanno per divertirsi. Invece il calcio è bello perché hai degli obiettivi condivisi con un gruppo di compagni, perché dà emozioni anche in Eccellenza, in Promozione, la domenica con gli amici. È legittimo sognare, ma i ragazzi vanno protetti. Prima di tutto da madri e padri, che spesso invece cercano il riscatto della loro vita attraverso i bambini. Poi dai personaggi che s’aggirano per i campi: qui tutti sono agenti Fifa, tutti avvicinano i genitori, tutti fanno i talent scout. In un quartiere come il nostro, abbiamo un dovere in più”.
Le accademie si dividono su tre livelli qualitativi. Il 73% sono centri di base. Per avere lo status di scuola calcio “riconosciuta” servono tecnici qualificati, un medico, strutture adeguate (24% del totale). Più in alto ancora ci sono le scuole calcio “specializzate” (232, il 3%): hanno convenzioni con istituti scolastici e uno psicologo che incontra genitori, istruttori, dirigenti. Spiega il professor Alberto Cei, psicologo dello sport: “La difficoltà maggiore per le società è gestire i genitori. Finché i bambini hanno 8-9 anni, tutto tranquillo. Poi, cresce l’ansia di avere in casa il nuovo Totti e persino i nonni cominciano a lamentarsi. Protestano se il bimbo gioca in una squadra mista, con le bambine, pensano “proprio a me?”. Gli incontri con lo psicologo servono a creare un clima positivo, a elevare la qualità dell’insegnamento”.

Quando ritirarsi da una splendida carriera sportiva

La carriera degli atleti si sta allungando sempre più, in particolare quella dei più vincenti che continuano la loro striscia positiva. Da Roger Federer a Valentina Vezzali a Francesco Totti sono molti i nomi famosi dello sport mondiale che si trovano in questa situazione. E allora quale può essere il principio per cui si prende la decisione di continuare piuttosto che di abbandonare? Mettendo da parte eventuali problemi fisici che possono impedire o limitare il proseguimento della carriera, l’elemento decisivo da prendere in considerazione riguarda la motivazione e la dedizione che devono continuare a essere forti e intense.

  • Motivazione vuol dire che si raggiungerà l’obiettivo prefissato grazie al proprio personale impegno.
  • Dedizione ci si riferisce all’intensità con cui lo scopo viene perseguito e  si traduce nell’impegno con cui si lavora nel quotidiano.
Quando queste due dimensioni psicologiche sono presenti gli atleti sanno che non è ancora giunto il momento di ritirarsi e i loro allenatori hanno un metro sicuro su cui misurare la volontà dei loro atleti, anzichè basarsi solo quello dell’età cronologica o degli anni di carriera variabili che possono stimolare i pregiudizi dei tecnici.

Totti e Pirlo: gli ultimi campioni

Francesco Totti e Andrea Pirlo sono un po’ come l’ultimo dei Mohicani, al termine della loro carriera potranno dire di essere stati gli ultimi campioni che il calcio italiano ha prodotto. Abbiamo sempre avuto grandi campioni come Mazzola, Rivera, Bulgarelli, Baggio, Mancini, Del Piero, Vialli, Zola per ricordarne solo alcuni ma ora sono finiti. Chi dobbiamo ringraziare di questo stato delle cose, direi coloro che sono al centro del calcio e quindi gli allenatori e i preparatori fisici. La mia idea di come ciò sia avvenuto è semplice. Arrigo Sacchi ha rivoluzionato il calcio, introducendo il calcio totale però questo tipo di gioco era interpretato dai forti campioni che giocavano nel Milan, così come prima era stato introdotto dalla nazionale olandese ma in cui giocavano alcuni dei più forti calciatori del mondo. Quando il sistema si è diffuso si è imbarbarito per cui con i ragazzi si è speso molto più tempo a insegnare la tattica e a prepararli fisicamente anzichè insegnargli la tecnica. Così facendo è quasi impossibile che emerga un giovane, perchè Rivera e Maradona sarebbero stati scartati come troppo gracili o forse non avrebbero mai giocato a calcio in un club perchè si sarebbero annoiati.

Allora sarebbe il momento che gli allenatori mettano da parte i loro narcisismi tattici e i preparatori fisici le loro idee da allenatori di giocatori di football americano  e dedichino molto più tempo nell’insegnare la tecnica del calcio, che è prendere, passare e tirare la palla.

 

Chi guida la Roma in campo?

La Roma è stata subito eliminata e la domanda che molti si pongono in relazione alla sostituzione di Totti quando la squadra stava vincendo 1-0 è la seguente: “meglio un uomo fresco ma inesperto o uno stanco ma dalle qualità indiscusse in grado di decidere in qualunque momento la gara con una giocata?” Posta in questo modo la questione comporta una scelta di campo netta a favore di un giocatore rispetto a un altro. Personalmente porrei la domanda non sulla persona ma sul ruolo svolto in campo. Perchè queste sono partite in cui è necessario che qualcuno in campo guidi la squadra, sia in grado correre o non correre, ma ci deve essere un calciatore che sprona i compagni a lottare, a seguire gli schemi, a essere presenti su ogni pallone. Se Totti ricopre questo ruolo, a mio avviso, dovrebbe giocare, altrimenti va sostituito perchè non si può vivere nell’aspettativa magica che risolva i problemi della squadra con una invenzione.