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Colmare il gap mentale tra allenamento e competizione

Nel contesto dell’atletica leggera, la tenacia e la resilienza degli atleti vengono messe frequentemente alla prova durante gli allenamenti. Gli esercizi basati su tempi prestabiliti, ripetute estenuanti e ritmi di gara simulati rappresentano sfide quotidiane che costringono gli atleti ad attingere profondamente alle loro risorse mentali per mantenere la prestazione richiesta. In questo modo, qualità psicologiche fondamentali come la gestione della fatica, la capacità di sopportare lo stress e la determinazione a non cedere diventano parte integrante del processo di allenamento, venendo sollecitate e sviluppate in modo sistematico e diretto.

Al contrario, negli sport individuali a componente tattica più marcata (come il tennis, il judo, la scherma, ecc.), allenare tenacia e resilienza fuori dal contesto competitivo si rivela molto più complesso. In allenamento, infatti, le situazioni di stress emotivo, incertezza o pressione decisionale sono spesso simulate solo in parte e non sempre riescono a riprodurre la tensione reale della gara. Di conseguenza, gli atleti possono arrivare alla competizione senza essere completamente preparati ad affrontare momenti critici come un calo di rendimento, un errore decisivo o la pressione dell’avversario. Questo “gap” tra l’allenamento e la gara espone l’atleta al rischio di cedimenti mentali nei momenti più delicati.

Per colmare questa distanza, è fondamentale integrare nell’allenamento situazioni che stimolino le componenti emotive e psicologiche della prestazione, creando contesti artificialmente stressanti o inserendo variabili impreviste che obblighino l’atleta a reagire, adattarsi e mantenere lucidità tattica sotto pressione.

1. Simulare pressione e incertezza

Gli allenamenti devono includere esercizi in cui l’atleta si trovi a gestire:

  • Punteggi sfavorevoli simulati (es. partire sotto di un set o con punti di svantaggio).
  • Obiettivi a tempo o a vincolo (es. “devi vincere 3 scambi consecutivi in 2 minuti” o “risolvere un’azione entro pochi secondi”).
  • Decisioni rapide con opzioni variabili, proprio come in gara.

2. Inserire imprevisti e variabilità
Non sempre l’allenamento deve essere prevedibile:

  • Cambiare le condizioni improvvisamente (es. campo più stretto, avversario diverso, modifiche delle regole).
  • Introduzione di “disturbi” controllati (rumori, interruzioni, piccoli errori da gestire).

3. Allenare la fatica mentale oltre che fisica
In gara, lo stress mentale pesa quanto quello fisico:

  • Prevedere esercitazioni in condizioni di stanchezza (ad esempio, lavorare sulla tattica o sulla tecnica subito dopo sforzi intensi).
  • Far prendere decisioni sotto affaticamento cognitivo, non solo fisico.

4. Lavorare sull’autoefficacia e sulle strategie di coping
Integrare sedute specifiche, anche brevi, in cui:

  • Si insegnano tecniche di gestione dello stress (respirazione, self-talk positivo, routine di reset mentale).
  • Si costruisce fiducia attraverso il “problem solving” in allenamento (“Cosa fai se perdi fiducia? Come reagisci se sei sotto pressione?”).

5. Misurare anche gli aspetti mentali
Non valutare solo il risultato tecnico o fisico, ma anche:

  • La capacità di reagire agli errori.
  • La prontezza nel cambiare strategia.
  • La qualità delle scelte sotto pressione.

Non sappiano insegnare la resilienza ai giovani

Come è possibile che sapendo dalla ricerca come si diventa 

una persona resiliente gli adulti di oggi non sappiano insegnarlo 

ai propri figli e allievi a scuola e nello sport?

Conoscere non è saper fare

Sapere in teoria come si diventa resilienti (es. affrontare le difficoltà, imparare dagli errori, sviluppare un mindset di crescita…) non significa saperlo mettere in pratica. La resilienza si costruisce nel quotidiano, con coerenza e pazienza. E questo è molto più difficile che capirlo da un libro.

Bagaglio emotivo degli adulti

Molti adulti non hanno mai ricevuto un’educazione emotiva o resiliente quando erano bambini. Se non hai fatto pace con le tue fragilità, con le tue cadute, con i tuoi fallimenti, sarà difficile insegnare a un giovane che sbagliare va bene e che le difficoltà si possono affrontare.

Cultura della performance

Viviamo in una società che premia il risultato, la prestazione, l’efficienza. Questo crea un contesto dove l’errore è visto come una debolezza e non come un’opportunità. Genitori, insegnanti e allenatori rischiano di trasmettere inconsapevolmente ansia da prestazione più che resilienza.Comunicazione incoerente

A volte si dicono le cose giuste, ma si fanno quelle sbagliate: un genitore può dire “l’importante è partecipare” ma poi arrabbiarsi se il figlio perde una gara. Oppure un insegnante può dire “l’errore è parte del processo” ma punire severamente un errore nel compito. I bambini imparano più da ciò che vedono fare che da ciò che sentono dire.

Mancanza di tempo e ascolto

Educare alla resilienza richiede ascolto, pazienza, tempo. In una società frenetica e stressata, molti adulti faticano a trovare quello spazio mentale e relazionale per costruire una relazione educativa profonda.

Mancanza di formazione pratica

Anche quando c’è la volontà, manca spesso una formazione pratica per insegnare la resilienza: non basta dire “devi essere forte”. Servono strumenti, giochi, dialoghi, esempi, esperienze. Non tutti gli educatori e allenatori li hanno a disposizione o sanno usarli.

In che modo l’ansia aumenta la resilienza?

L’ansia è spesso percepita come un’emozione negativa, ma in certi contesti può contribuire alla crescita personale e alla resilienza. Ecco alcuni modi in cui l’ansia potrebbe essere correlata alla resilienza:

  1. Sensibilizzazione al pericolo: L’ansia può rendere una persona più consapevole e attenta ai potenziali pericoli. Questa iperattivazione può essere utile in situazioni in cui è necessario reagire rapidamente e adattarsi a nuove circostanze.
  2. Miglioramento delle prestazioni: In alcune circostanze, un livello moderato di ansia può migliorare le prestazioni. L’ansia può fungere da stimolo per affrontare sfide e compiti, spingendo le persone a dare il massimo di sé stesse per superare le difficoltà.
  3. Sviluppo di strategie di coping: L’esperienza dell’ansia può portare le persone a sviluppare strategie di coping più efficaci. Queste strategie possono includere l’apprendimento di tecniche di gestione dello stress, il potenziamento delle abilità di problem solving e l’adozione di atteggiamenti più positivi di fronte alle sfide.
  4. Aumento della consapevolezza emotiva: L’ansia può rendere le persone più consapevoli delle proprie emozioni e delle situazioni stressanti. Questa consapevolezza può essere un passo importante verso la gestione emotiva e la costruzione della resilienza.
  5. Sviluppo di adattabilità: L’ansia può essere associata a esperienze di incertezza. Attraverso la gestione di tali situazioni, le persone possono sviluppare una maggiore flessibilità e adattabilità, due caratteristiche chiave della resilienza.

Tuttavia, è importante sottolineare che non tutte le persone rispondono alla stessa maniera all’ansia, e un eccesso di ansia può avere effetti negativi sulla salute mentale e fisica. La chiave è trovare un equilibrio sano e imparare a gestire l’ansia in modo costruttivo. L’aiuto di professionisti della salute mentale può essere prezioso per sviluppare strategie di coping adeguate e migliorare la resilienza.

Addio all’esplosiva e indimenticabile Tina Turner

Una spiegazione definitiva di cosa si debba intendere per resilienza c’è l’ha fornita Tina Turner nel maggio del 2018 dichiarando a Marie Claire:

«La gente pensa che la mia vita sia stata dura, ma penso che sia stato un viaggio meraviglioso. Più invecchi, più ti rendi conto che non è quello che è successo che conta, ma è come lo affronti».

Nei giorni in cui ti senti un po’ giù, sentire Tina Turner è veramente una ventata di energia esplosiva che fa bene all’anima. Tutto in lei trasmetteva forza, a partire dalla sua voce, i movimenti, la musica.  La sua vita ha rappresentato il potere dell’ottimismo nonostante le difficoltà. Nonostante la separazione dei genitori e le violenze ripetute subite dal primo marito per citarne solo alcune.

Ottimismo come emerge dal testo di “Non abbiamo bisogno di un altro eroe“.

Fuori dalle rovine

fuori dalle macerie
Non possiamo commettere gli stessi errori questa volta
Noi siamo i bambini,
l’ultima generazione
Noi siamo quelli dimenticati
E mi chiedo quando mai cambieremo
Vivendo sotto la paura, finché non rimane altro

Non abbiamo bisogno di un altro eroe
Non ci serve di conoscere la strada di casa
Tutto ciò che vogliamo è la vita oltre la cupola del tuono

Cercando qualcosa a cui poter fare affidamento
Deve esserci qualcosa di meglio là fuori
amore e compassione, il loro giorno sta arrivando
Tutto il resto sono castelli costruiti in aria
E mi chiedo quando mai cambieremo
Vivendo sotto la paura, finché non rimane altro
Tutti i bambini dicono

Non abbiamo bisogno di un altro eroe
Non ci serve di conoscere la strada di casa

Tutto ciò che vogliamo è la vita oltre la cupola del tuono
Perciò cosa facciamo con le nostre vite?
Lasciamo solo un segno
La nostra storia splenderà come una luce
O finirà nel buio
Diamo tutto o niente!

 

Incontro su sport e psicologia

Le occasioni pubbliche per parlare di psicologia dello sport sono poco frequenti e questa iniziativa guidata da Patrizia Steca è una di queste volte in cui si parlerà di esperienze di resilienza e scoperta di nuove pratiche. L’incontro potrà esser seguito in presenza ma anche online, come ormai d’abitudine: E’, quindi, aperto a chiunque sia interessato a questi temi quale che sia la sua residenza geografica. Gli esperti che parleranno sono totalmente coinvolti nello sport come allenatori, psicologi e dirigenti e suggerisco di non perdere questa opportunità.

Allenare la generazione Z

Daniel Gould, Jennifer Nalepa & Michael Mignano (2019). Coaching Generation Z Athletes. Journal of Applied Sport Psychology, 32:1, 104-120.

Anche se è sempre stato essenziale per gli allenatori adattare il loro allenamento alle caratteristiche dell’atleta, questo può essere oggi più importante che mai, poiché gli allenatori si adattano a una nuova generazione di atleti cresciuti in un’era totalmente digitale, che ha avuto effetti importanti sulle loro caratteristiche e sui loro modi di comportarsi.

I giovani atleti di oggi rappresentano la Generazione Z (Gen Z):

  • Giovani nati dopo il 1996, che costituiscono il 26% della popolazione statunitense e il 27% della popolazione mondiale
  • I giovani della Gen Z sono stati influenzati dall’incertezza socioeconomica (ad esempio, la recessione globale del 2008), dal terrorismo internazionale (ad esempio, l’11 settembre) e dai disastri naturali (ad esempio, l’uragano Katrina).
  • Sono la generazione più istruita della storia e sono la prima generazione di giovani cresciuti in un ambiente totalmente digitale, il che ha fatto sì che i giovani della Gen Z abbiano eccellenti competenze tecnologiche
  • Allo stesso tempo, a causa della quantità di tempo che dedicano alla tecnologia, si pensa che abbiano tempi di attenzione più brevi, la necessità di un feedback frequente e la mancanza di indipendenza.

Lo psicologo sociale Jean Twenge (2017):

  • I giovani d’oggi crescono più lentamente (ad esempio, fanno sesso in età più avanzata, aspettano più a lungo prima di prendere la patente di guida, consumano alcolici più tardi rispetto ai millenial che li hanno preceduti) e sono la generazione più protetta e sicura di sempre, ma allo stesso tempo evitano le responsabilità degli adulti, come l’abbandono della casa e l’indipendenza economica.
  • Cresciuti nel mondo digitale passano meno tempo a contatto diretto con i loro amici e i loro cari. Questo è uno dei motivi per cui hanno i più alti problemi generazionali di depressione, ansia e solitudine. Infine, crescendo in un mondo digitale molto coinvolgente, i giovani della Gen Z hanno tempi di attenzione più brevi, e spesso svolgono più compiti anche quando questo può non essere efficace.
Encel, Mesagno e Brown (2017) hanno intervistato 298 atleti britannici per determinare sia il loro utilizzo di Facebook sia se l’utilizzo di Facebook è legato all’ansia. I risultati hanno rivelato che il 68% degli atleti ha utilizzato Facebook entro 2 ore dalla gara e il tempo trascorso sui social media è stato correlato alla scala di disturbo della concentrazione della scala dell’ansia sportiva.

Nelle fasi iniziali del lavoro con gli atleti della Gen Z, gli allenatori sentivano che agli atleti mancava la capacità di affrontare le avversità.

Nel corso del tempo, con pratiche strutturate di costruzione della resilienza, gli allenatori hanno osservato un miglioramento delle capacità degli atleti di Gen Z di gestire le avversità. Creando situazioni di allenamento stressanti e allenando gli atleti attraverso di esse, gli atleti di Gen Z hanno migliorato la loro resilienza.

Gli atleti non rispondono bene ai feedback negativi. Gli atleti vivono spesso troppo personalmente i feedback negativi e si arrabbiano di fronte alle critiche.

Gli atleti della categoria Gen Z mostrano brevi intervalli di attenzione. Gli allenatori hanno anche scoperto che gli atleti di Gen Z sono facilmente distratti e hanno difficoltà a bloccare le distrazioni.

Gli atleti di Gen Z sono percepiti come bisognosi di struttura e confini per guidare il loro sviluppo del tennis.

Gli atleti di Gen Z sono per lo più motivati in modo estrinseco dai risultati, dalle cose materiali e dal confronto sociale. Gli allenatori hanno discusso di come la pressione dei genitori e degli allenatori stessi sia una fonte estrinseca che guida la motivazione dei giocatori. In termini di etica del lavoro, la maggior parte degli allenatori ha discusso di come gli atleti di Gen Z lavoravano duramente e avevano una forte etica del lavoro una volta sul campo da tennis.

Gli atleti di Gen Z mostrano scarse capacità di comunicazione. Gli allenatori credevano che i giocatori avessero difficoltà ad esprimere le loro emozioni, fossero timidi ed esitanti a parlare, e che mancassero di abilità di base nella conversazione (cioè il contatto visivo).

Gli allenatori ritengono inoltre che i giocatori di Gen Z controllano ciò che gli viene detto dall’allenatore e non sono pronti a credere a qualcosa solo perché l’allenatore l’aveva detto.

Gli allenatori sono consapevoli che gli atleti di oggi sono più istruiti che nelle generazioni passate, in quanto avevano accesso a un’abbondanza di informazioni online e hanno eccellenti competenze tecnologiche che rendevano facile trovare informazioni per loro.

Gli atleti della Gen Z sono stati percepiti come studenti visivi, il che è stato discusso come un punto di forza, in quanto gli allenatori sono in grado di incorporare la tecnologia come aiuto all’apprendimento durante la pratica e l’allenamento. Infine, gli allenatori hanno ritenuto che gli atleti sono curiosi e aperti all’apprendimento da parte degli allenatori attraverso il loro bisogno di capire il “perché” e la connessione con la performance.

Tottenham e Atalanta prive di resilienza

Le partite di ieri di Champions League hanno messo in mostra un problema di resilienza in alcune squadre, quali il Tottenham (ha perso 7-2 con il Bayern) e l’Atalanta (2-1 con lo Shaktar). Ambedue queste squadre non hanno saputo reagire positivamente alle difficoltà della partita.

Infatti, la resilienza si riferisce proprio alla capacità di reagire immediatamente a un problema. E’ quell’abilità che permette alle persone reagire alle sconfitte, ritornando indietro più forti di prima. Queste persone, piuttosto che lasciarsi travolgere dall’insuccesso e blocchi la loro determinazione, trovano invece un modo per risorgere da quei momenti.

Diciamo anche le squadre che spesso perdono le partite, come in questo periodo (Spal, Sampdoria, Genia e Milan) e quelle che spesso giocano al di sotto del loro livello mostrano una carenza di resilienza. Lo stesso vale per gli allenatori che le guidano.

  • Conoscere le situazioni che si devono affrontare nel dettaglio
  • Avere un piano per fronteggiarle con successo
  • Essere disposti ad adattarsi immediatamente alle situazioni nuove e impreviste
  • Credere nelle proprie capacità personali e della squadra, impegnandosi al massimo per attuarle
  • Sapere reagire positivamente e immediatamente a un errore
  • Comunicare e sostenere i compagni per tutta la durata della prestazione
  • Scaricare la tensione quando è possibile e nelle pause di gioco
Sono competenze che si dovrebbero costantemente migliorare. La domanda che dovrebbero porsi gli allenatori sono::
  1. Sono consapevole dell’importanza della resilienza?
  2. Sono convinto che si possa allenare?
  3. Quanto spesso l’alleno nella mia squadra?

 

 

Le principali competenze degli atleti vincenti

Le competenze psicologico che un atleta deve dimostrare in gara e in allenamento sono spesso difficili da elencare perché si rischia di fare una lista senza fine, che quando diventa troppo ampia perde la sua utilità poiché non si sa più da dove cominciare e cosa serve realmente nei momenti più importanti di una gara. Ciò nonostante oggi vorrei provare a elencare le abilità che dal mio punto di vista rappresentano una pietra miliare nella vita sportiva di un atleta.

  • Auto-controllo – vuol dire sapere quali sono i comportamenti da metter in atto nelle varie situazioni sportive e che bisogna sapere gestire per soddisfare le richieste di gara. L’auto-controllo richiede il rispetto dell’avversario e nel contempo l’abilità a indirizzare se stessi e la propria aggressività per oltrepassare le difficoltà poste dalla gara e dall’avversario, con l’obiettivo di fornire la migliore prestazione di cui si è capaci.
  • Prontezza all’azione – l’atleta è una persona che agisce e quindi deve essere pronto a calciare una palla, a tirare un colpo, a mettere una botta, a correre a un ritmo preciso, ad anticipare gli avversari, a iniziare piuttosto che concludere in modo efficace una gara e così via. La prontezza si manifesta quindi in un elevato livello di consapevolezza situazionale: bisogna sapere cosa fare in un determinato momento e farlo nel modo migliore.
  • Tenacia e resilienza – non mi è chiara la distinzione fra questi due concetti psicologici, ma ritengo che un atleta debba continuare a fare del suo meglio anche quando è stanco, quando tutto sembra perduto, nei momenti decisivi, quando manca poco alla fine di una gara, quando si sente confuso ma sa che ha preparato un piano per quei momenti.
  • Attenzione – Robert Nideffer ha detto che l’attenzione è l’unica cosa che conta nei momenti decisivi, sono d’accordo e per questa ragione la considero come quell’abilità che mette in grado l’atleta di sapere dove indirizzare il proprio impegno mentale. Bisogna sapere a cosa prestare attenzione, sapere quando servirsi di uno stile attentivo rivolto in modo ampio verso l’ambiente piuttosto che invece averne uno più ristretto e focalizzato su pochissimi fattori esterni. Senza un’attenzione adeguata non si è in grado di comprendere cosa sta per accadere e di muoversi anticipatamente.
  • Ottimismo – La spiegazione delle prestazioni sportive è un fattore importante poiché determina l’aspettativa in relazione a quelle future. Gli esseri umani sono spesso impegnati a spiegarsi i propri risultati positivi e negativi. E’ pertanto fondamentale che un atleta abbia una percezione ottimista delle proprie prestazioni, poiché se si spiegano i risultati positivi in termini di fortuna o mancanza di avversari competenti, difficilmente si potrà migliorare e acquisire una mentalità vincente.

Essere resilienti è importante perché nella nostra società i cambiamenti e le difficoltà sono pervasive.

La resilienza rappresenta l’abilità a recuperare rapidamente dai cambiamenti e dalla situazione difficili o di crisi. E’ associata alla flessibilità, all’adattamento, all’ottimismo e all’apertura mentale.

Essere resilienti è importante perché nella nostra società i cambiamenti e le difficoltà sono pervasive.

La resilienza può essere appresa. Di fronte ai fatti tragici di questo periodo, dobbiamo:

  • sviluppare e mantenere un senso di scopo che dia un significato, anche oggi, al nostro impegno nel contesto in cui viviamo
  • essere consapevoli di quali sono i nostri valori più importanti e che cosa facciamo per mantenerli
  • riconoscere che siamo molto di più del nostro lavoro e che la nostra identità personale ci accomuna a milioni di altre persone

La resilienza spiegata da Tiger Woods

Se sei un campione lo fai capire da come affronti le sconfitte e Tiger Woods lo è.

Un giorno, dopo il punteggio peggiore della sua carriera, Tiger Woods ha giocato la fase finale del Torneo Memorial come se fosse una domenica qualsiasi. Indossava la camicia rossa. Ha giocato con lo stesso ritmo. Ha gettato fili d’erba in aria per giudicare il vento e si è accucciato a leggere i putt più importanti. L’unica differenza era che ha giocato da solo e non coppia. Ha anche tolto da solo un’asta della bandiera quando il suo caddy era occupato a rastrellare un bunker.
“Solo perché sono in ultima posizione non cambia come gioco a golf”, ha detto. “Se è il primo giorno o l’ultimo giorno, non importa. Bisogna giocarsela tutta”

“Questo è uno sport solitario”, ha detto Woods. “Questa è una delle cose più difficili del gioco del golf, ed è anche una delle cose migliori del gioco del golf. Quando sei su, nessuno ti può rallentare. Quando sei fuori, nessuno ti viene a prendere. E’ duro ma devi affrontarlo.

Tiger Woods carded a 74 Sunday at Muirfield Village, a day after his career-high round of 85. (Sam Greenwood/Getty Images)