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Il coaching mentale per gli allenatori

La questione dell’estrema frequenza con cui gli allenatori vengono esonerati durante lo svolgimento del campionato pone questioni che vanno oltre la semplice spiegazione che attribuisce questa situazione ai presidenti. Gli allenatori devono comunque, in virtù del principio di miglioramento continuativo, intraprendere percorsi di incremento delle loro competenze professionali. Non tanto di quelle tecnico-tattico ma soprattutto di quelle riguardanti la gestione della squadra. Nel lavoro di coaching che svolgo con gli allenatori le aree di miglioramento che evidenziano riguardano:

Rapporti interpersonali 53%
Processi decisionali 12%
Fiducia in sé 35%

Come si può notare è molto sentita l’esigenza di incrementare le abilità in relazione al tema dei rapporti interpersonali che sono in effetti la chiave vincente o perdente del rapporto con la squadra. Quindi al di là delle responsabilità dei club nel sostenere spesso con poca convinzione i loro allenatori, è d’altra parte altrettanto evidente che gli allenatori quando s’impegnano in attività di coaching rivolto a se stessi  lo fanno per migliorare dal punto di vista delle loro capacità relazionali. Inutile trincerarsi dietro affermazioni del tipo – sono sereno – come fa Ranieri avendo ottenuto una serie di sconfitte terrificanti o dire come Delio Rossi che non serve lo psicologo. Lo psicologo invece è utile proprio per confrontarsi su questi aspetti relazionali che sono decisivi per la vita professionale di un allenatore.

Allenatori e arbitri

Fra allenatori e arbitri è sempre una bella lotta fra personalità che vogliono imporre gli uni agli altri il loro punto di vista. Sui media non vi è dialogo, è guerra aperta a difesa della propria squadra contro l’altra, che per definizione ha torto. Chi ha ragione? Dipende per chi si voglia propendere. Il tono da avere con gli arbitri (tranne ovviamente per gli allenatori che si astengono da questa rissa verbale) è sempre accusatorio, quando commettono un errore la spiegazione può variare tra due scelte: è un incapace perchè non ha visto oppure ha visto ma volutamente non ha fischiato. Non è previsto dire: ha sbagliato perchè tutti commettiamo errori. D’altra parte gli arbitri e i loro capi si trincerano sempre dietro “siamo bravi, va bene così.” Non commettono errori perchè sono stressati o perchè non sono concentrati e, quindi, non si allenano per sopperire a questi limiti. L’unico loro impegno è la preparazione fisica, come si preparano mentalmente non è importante perchè impareranno con l’esperienza. Peccato si potrebbe fare molto ma … dimenticavo non ci sono i soldi.

E’ dura la vita degli allenatori?

Un articolo di Roberto Renga sul Messaggerro di oggi è dedicato alla questione del licenziamento degli allenatori di calcio vittime degli umori dei presidenti o di un palo. Il testo s’intitola infatti “Offesi e derisi la dura vita degli allenatori”. Si parla della difficoltà che i tecnici incontrano nel dovere ottenere risultati immediati e della rabbia e depressione che provano nel non sentirsi compresi e nell’essere licenziati su due piedi. Condivido queste considerazioni e comprendo gli stati d’animo di chi si trova a vivere queste situazioni. Va però detto che queste sono le regole dell’attuale mondo del calcio. Sono regole che si basano sul principio della “percezione di utilità” del proprio lavoro da parte delle persone di cui si è assunta la responsabilità. Vuol dire che sin dall’inizio bisogna venire a patti con l’ambiente di cui si è il leader, altrimenti questo stesso ambiente ti rigetterà. C’è una storia zen che illustra bene questo fenomeno. Un cavaliere viene chiamato di contadini di un villaggio per difenderli dai mostri, quando arriva si accorge che sono solo delle zucche che stanno crescendo nei campi, prende la spada e le distrugge tutte. I contadini spaventati ammazzano subito dopo il cavaliere perchè credono che se ha ucciso quei mostri con facilità, farà la stessa cosa con loro. I mostri però ricrescono e allora chiamano un altro cavaliere, il quale si rende conto che sono zucche ma comprendendo le paura dei contadini, dice che hanno ragione e che la situazione va studiata, sino a quando viene il giorno che sono gli stessi contadini che uccidono i mostri. Quindi … bisogna ovviamente avere idee e non essere conformisti ma bisogna anche comprendere l’ambiente senza volerlo stravolgere, perchè Gaber diceva “tu sei solo e loro sono tanti”. Più condivisione è la regola e magari servirsi di consulenti psicologi che potrebbero dare una mano a questi “poveri ma ricchi di soldi” allenatori.

Allenatori di calcio

E’ stato appena aperto un nuovo sito dedicato agli allenatori di calcio delle squadre dilettantistiche con lo scopo di fornire informazioni specifiche non solo di tipo tecnico e tattico, ma anche di aree delle scienze dello sport. Un ampio spazio è dedicato alla psicologia dello sport con brevi articoli su tematiche dell’attività giovanile e dell’attività dilettantistica così da raccogliere idee e suggerimenti da proporre agli allenatori. L’indirizzo del sito è: www.AllenatoriCalcio.it

 

Lo sport è in decadenza

Sulla Repubblica di oggi Fabrizio Bocca si pone la questione se lo sport italiano sia in decadenza visti i recenti risultati di calcio, basket e atletica. Ovviamente in relazione a queste discipline non si può certo dire che siamo ai vertici. La questione è comunque complessa e una risposta risiede di certo nella possibilità di fare lavorare allenatori capaci. A tale scopo faccio un esempio che conosco direttamente in uno sport, il tiro a volo in cui siamo fra le nazioni più forti. Ebbene in questo sport vi è da noi mancanza di allenatori, abbiamo bravi istruttori che insegnano la tecnica ma quasi nesun allenatore fatta eccezione per quelli della nazionale. Ci salviamo perchè chi è forte ha davanti una carriera molto lunga potendo vincere un’olimpiade anche oltre i 40 anni. Il punto è che gli allenatori italiani esperti ci sarebbero ma allenano all”estero. Infatti siamo un paese esportatore di competenza e alleniamo in Brasile, Cipro, India, Iran, Danimarca e Turchia, perchè si dice che da noi non ci sono i soldi. Allora un aspetto dello sport italiano è di non fare fuggire i migliori allenatori e di fornirgli opportunità vantaggiose di carriera, altrimenti è scontato che, proprio perchè sono bravi, non rimarranno qui a perdere tempo.

Idee sul prossimo campionato di calcio

Il campionato di calcio dovrebbe iniziare domenica e da psicologo consiglierei ai presidenti di controllare il loro protagonismo narcisistico e di mantenere la calma perduta, ai calciatori di dimostrare il loro valore in campo e non altrove, agli allenatori di valorizzare il loro staff, di non pensare di avere sempre ragione  e di non circondarsi solo di “yes man”, agli arbitri di non subire le tensioni del campo ma di ridurle e gestirle. Suggerirei a ognuno di scrivere un bel tema partendo da questi titoli, potrebbero scoprire cose nuove  su se stessi e prevenire alcuni errori.

Le competenze psicologiche dell’allenatore

Mentre è abbastanza evidente la richiesta che gli atleti fanno di sviluppare programmi di preparazione psicologica, è invece quasi del tutto inesistente la stessa richiesta da parte degli allenatori. Al contrario molti tecnici si ritengono anche bravi psicologi, poggiando questa convinzione sul fatto di essere stati atleti e di capire i propri giovani perchè anche loro hanno vissuto le stesse esperienze. Altri pensano che sia sufficiente un buon programma di allenamento e che il resto non conta nulla e se poi non si emerge è perchè l’atleta non aveva sufficiente motivazione o talento. E quando si ha una difficoltà questa verrà risolta allenandosi di più. Mi chiedo perchè i manager ritengono i programmi di autosviluppo personale degli incentivi che l’azienda offre loro per migliorare professionalemente mentre i nostri allenatori percepiscono questo stesso percorso come una diminuzione della loro leadership, oppure la bollano con un “non ci credo”, come se si trattasse di un atto di fede.

Da grande vuoi fare l’atleta?

Mi sto rendendo sempre più conto che i ragazzi di 19/20 anni che sono atleti spesso non sono consapevoli di cosa comporti intraprendere questa carriera e soprattutto se quanto fanno è sufficiente per verificare se ne posseggono le caratteristiche. Ad esempio, un adolescente che si allena 15 ore alla settimana in un determinato sport individuale può aspirare con questo tipo d’impegno a diventare un giovane di livello internazionale? L’ho chiesto a molti ma in generale la risposta è: “Non so, io faccio quello che mi dice l’allenatore.” Con una carriera che se va bene dura 10 anni, come si fa a non sapere se ciò che faccio oggi è sufficiente (oltrechè valido) per raggiungere ciò che voglio? Altra domanda: “Hai 20 anni che vuoi fare? Vuoi continuare in questo modo che probabilmente ti permetterà di gareggiare a livello assoluto in Italia? O vuoi qualcosa di più?” La risposta il più delle volte è il silenzio. E allora: perchè gli allenatori non spiegano che con quel tipo d’impegno e di ore di allenamento si può raggiungere questo livello e invece, con un altro allenamento e più ore si può aspirare a un livello di prestazione superiore. Secondo me, non lo fanno semplicemente perchè non ci pensano e non per scelta o forse perchè temono di perdere quei pochi atleti che hanno. Quale che sia la ragione è comunque un peccato che si faccia così poco per rendere i nostri giovani più consapevoli di cosa comporti intraprendere la carriera di atleta. Anzichè ripetere il ritornello che sono pigri, perchè non cominciamo a pensare che forse si annoiano perchè non hanno davanti a loro sfide motivanti.

Allenatori a tempo: poco

Damiano Tommasi nuovo presidente dell’Associazione Italiana Calciatori: “… sono solamente due gli allenatori che hanno iniziato e concluso sulla stessa panchina gli ultimi due campionati in serie A. È il sistema che ha preso questa piega”. Brutta piega perchè questo approccio impedisce di costruire una squadra e richiede invece di produrre immediatamente dei risultati. Non è certo un problema di lavoro a tempo determinato quello che deve preoccupare poichè tutti guadagnano più che a sufficienza. La domanda è questa “Come si fa a porsi dalla parte dei calciatori, rispettando ad esempio i tempi di recupero dagli infortuni o promuovendo un processo di sviluppo se l’unica cosa che conta è il risultato immediato?”

E’ un modello contrario a ogni pianificazione che sia superiore a qualche mese, non permette d’inserire in squadra dei giovani con poca esperienza, non si ha tempo per conoscere i calciatori. Anche perchè se poi si perdono le prime partite o non si piace subito al presidente, c’è l’esonero dopo meno di tre mesi. Giacchè rischiano il tutto per tutto  mostrano un atteggiamento più rigido nel difendere le loro idee e a non accetarne di nuove, proprio perchè devono avere un approccio da assaltatori: vinci o muori. Credo che anche questo sia uno dei fattori che stanno determinando la sempre maggiore debolezza delle nostre squadre all’estero e la mancanza di giovani nelle squadre, meglio un usato sicuro.

Le parole degli allenatori

Leonardo ha detto che Guardiola è più bravo di lui, mentre Del Neri afferma che resterà sicuramente alla Juve. Anche solo pochi anni fa nessun allenatore avrebbe fatto affermazioni di questo genere, perchè denigrarsi o sostenere qualcosa che non è ancora stato definito. Evidentemente, nel mondo della comunicazione, la migliore arma è l’attacco quando si è incerti sul proprio futuro. Moratti vorrebbe Guardiola e io dico che lui è il migliore; la Juve vorrebbe un altro allenatore e io dico che resterò. Da psicologo suggerirei di non fare affermazioni non verificabili e che hanno una finalità diversa da quello che si afferma, però loro guadagnano milioni di euro, io no, forse hanno ragione.