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Gli attacchi di panico aumentano anche fra gli atleti

Gli psicoterapeuti dell’Osservatorio Nazionale Adolescenza, presenti  da anni negli Istituti scolastici di ogni ordine e grado sul territorio nazionale, hanno accolto numerose richieste di aiuto all’interno delle attività svolte in ambito scolastico e online. Nei colloqui svolti all’interno dei progetti di sportello di ascolto psicologico, è emerso che circa 1 adolescente su 4 ha sperimentato nell’ultimo anno vissuti depressivicirca 1 su 5 ha manifestato problematiche legate all’ansia, in particolare disturbi di panico e fobia sociale, e il 25% ha messo in atto condotte autolesive.

Nella mia esperienza nello sport agonistico ho assistito a un aumento delle crisi d’ansia e degli attacchi di panico fra gli atleti e le atlete adolescenti. Gli attacchi di panico negli atleti possono verificarsi durante le competizioni o negli allenamenti intensi e stressanti. Questi attacchi sono episodi improvvisi di paura intensa o disagio che possono manifestarsi con una serie di sintomi fisici e psicologici. Le caratteristiche degli attacchi di panico possono includere:

  1. Ansia e paura intensa - Gli atleti possono sperimentare una sensazione opprimente di ansia e paura, spesso senza una causa evidente o connessa a una situazione specifica.
  2. Sintomi fisici - Questi possono includere palpitazioni, sudorazione eccessiva, tremori, sensazione di soffocamento o mancanza di respiro, nausea, vertigini o sensazioni di svenimento. Alcuni atleti possono anche avvertire dolori al petto o formicolii alle mani e ai piedi.
  3. Sensazione di perdita di controllo -  Gli attacchi di panico possono far sentire agli atleti di perdere il controllo della situazione o della propria mente, causando un senso di terrore.
  4. Pensieri catastrofici - Durante un attacco di panico, gli atleti possono avere pensieri catastrofici riguardo alla propria salute, prestazione sportiva o alla possibilità di fare brutte figure davanti agli altri.
  5. Isolamento e evitamento - Dopo aver sperimentato attacchi di panico, gli atleti potrebbero evitare situazioni o ambienti che ritengono possano scatenare nuovamente la stessa reazione.

Le cause degli attacchi di panico negli atleti possono essere varie, tra cui:

  • Stress e pressione da performance - Gli atleti possono provare pressioni elevate dovute all’aspettativa di prestazioni eccezionali, il che può generare ansia e paura di fallire durante gli eventi sportivi.
  • Esposizione a infortuni o fallimenti - Le esperienze passate di infortuni gravi o fallimenti sportivi significativi possono generare ansia anticipatoria, portando a un’alta sensibilità emotiva durante l’attività sportiva.
  • Caratteristiche personali - Alcuni atleti possono essere più inclini geneticamente o a causa di esperienze personali a sviluppare attacchi di panico.

Innanzitutto è utile imparare a respirare per rilassarsi e poi essere presenti nel qui ed ora mantenendo la consapevolezza anche durante un attacco di panico che avrò una fine. Questo approccio mentale permette il recupero di una condizione di maggiore calma che al momento era andata perduta. Questo stimola anche un’ulteriore azione che riguarda lo spostamento dell’attenzione da una condizione psicofisiologica negativa, debilitante e percepita come non controllabile a uno stato mentale che permette di distanziarsi dai sintomi fisici e dai pensieri catastrofici. Di conseguenza è importante affrontare gli attacchi di panico negli atleti attraverso strategie di gestione dello stress, consulenza psicologica, tecniche di rilassamento, mindfulness tramite il supporto di psicologi dello sport specializzati.

La salute mentale dei giovani atleti è ancora poco studiata

Purcell R, Henderson J, Tamminen KA, et al. Starting young to protect elite athletes’ mental health. British Journal of Sports Medicine 2022,  57:439-440.
Una ricerca appena pubblicata che riassume il tema della salute mentale fra i giovani atleti di élite ha evidenziato questi risultati, piuttosto allarmanti.
  • I disturbi mentali sono un’importante condizione di salute che colpisce i giovani a livello globale.
  • Circa la metà di tutti i disturbi mentali comuni emerge prima dei 18 anni.
  • Il 58% dei disturbi mentali negli adolescenti non viene individuato e trattato.
  • I giovani atleti d’élite mostrano un significativo stigma nei confronti della salute mentale e atteggiamenti negativi verso la ricerca di aiuto, compresa la paura delle conseguenze della ricerca di aiuto in un contesto sportivo d’élite.
  • Le ricerche pubblicate sulla salute mentale nello sport d’élite sono triplicate negli ultimi due decenni. Solo pochi studi trasversali hanno invece studiato atleti d’élite giovani di età compresa tra i 12 e i 18 anni.
  • Il 16,9% soffre attualmente di almeno un disturbo mentale, con una prevalenza nell’arco della vita del 25,1%. I sintomi di salute mentale auto-riferiti dagli atleti giovani variano dal 6,7% per l’ansia al 9,5% per la depressione,
  • Le ragazze/donne hanno una probabilità significativamente maggiore rispetto ai ragazzi/uomini di riferire sintomi o di essere valutati clinicamente come affetti da psicopatologia.
  • I giovani atleti che praticano sport individuali riportano una maggiore gravità dei sintomi rispetto a quelli che praticano sport di squadra.
  • Vi è urgente bisogno di uno solido sviluppo della ricerca su questo argomento.
  • I giovani atleti d’élite possono trovarsi di fronte a una serie di circostanze di vita che aumentano il rischio di sviluppare disturbi mentali, tra cui le “pietre miliari” dello sviluppo come la pubertà, il ruolo dei genitori, la navigazione in relazioni interpersonali più complesse, l’impegno con i social media come “nativi digitali” e la negoziazione di aspetti della formazione della loro identità, come il genere, la cultura o la sessualità. A sui si aggiungono quelle connesse al porre l’enfasi sui risultati sportivi.

 

Gli adolescenti sono un nuovo problema di questi anni?

Gli adolescenti sono un nuovo problema di questi anni? No è un modo di dire tipico di ogni generazione di adulti.

Ecco un esempio di un seminario svoltosi nel 1965, 56 anni fa, durante il 1° Congresso Mondiale di Psicologia dello Sport.

Sport and psycho-social integration
in Proceedings, Roma, 1965

Topic: Progressive maladaptation of young at the development of our society. In a period typically social, the anti-social character of young is growing up.

Main themes: Adolescents are under pressure by the tension between speed of knowledge, pleasure to consume and fast exploitation of the things and the delay to have a stable professional and economical position in the society

Sport roles

  • Break the psycho-social boarders
  • Allow the personal realization
  • Permit to play a relevant social function
  • Determine the dialogue with the other generations
  • Allow a collective affirmation at regards of the authoritarian society, as positive actors of the society

Le adolescenti in UK lasciano lo sport

Uno studio condotto da Women in Sport, intitolato “Reframing sport for teenage girls: tackling teenage disengagement” ha messo in evidenza che più di 1 milione di ragazze che si consideravano sportive alle elementari perdono interesse nell’attività fisica da adolescenti.

Le ragioni dominanti sono da attribuire alla paura di essere giudicate, la mancanza di fiducia e l’antipatia degli altri.
Poco meno della metà (47%) ha detto di essere troppo impegnata con il lavoro scolastico per continuare a fare sport.

Il 78% delle ragazze che praticano sport dichiarano di astenersi dal praticarlo quando hanno le mestruazioni, per dolore e percezione di fatica.

Il sondaggio ha anche scoperto che la pandemia ha colpito le preoccupazioni delle ragazze adolescenti sul loro aspetto, così come i problemi di salute mentale, più dei ragazzi. Ha trovato che sono meno fisicamente attivi dei ragazzi in generale e sono molto meno propensi a partecipare a sport di squadra.

I dati di questa indagine mostrano una situazione in UK piuttosto grave, poiché solo il 37% delle ragazze dichiarava di praticare attività fisica rispetto al 54% dei ragazzi. Percentuali che peggiorano di molto fra 17-18 anni in cui solo 3 ragazze su 10 si descrivono come sportive, rispetto a 6 ragazzi su 10.

L’autostima e i problemi di immagine corporea sono stati trovati come problemi con cui tutte le ragazze hanno lottato, ma questo era particolarmente vero per le ragazze che avevano smesso di prendere parte allo sport e all’attività fisica quando sono cresciute.

 

 

Il rapporto ha mostrato che la maggior parte delle ragazze ha capito i benefici dell’essere attivi e che volevano aumentare i loro livelli di attività fisica, ma solo il 47% ha detto che hanno trovato facile motivarsi.

Stephanie Hilborne, l’amministratore delegato di Women in Sport, ha detto: “È una farsa assoluta che le ragazze adolescenti siano spinte fuori dallo sport su tale scala”. Ha aggiunto che perdere lo sport in questa fase formativa della loro vita equivale a una “perdita di gioia e di buona salute per tutta la vita”.

“Dobbiamo sfatare il mito che le ragazze adolescenti abbandonano lo sport semplicemente perché le loro priorità cambiano. La nostra ricerca ha scoperto che il 59% delle ragazze adolescenti che erano sportive amano lo sport competitivo, ma sono state bocciate a causa di stereotipi dei primi anni, opportunità inadeguate e una completa mancanza di conoscenza sulla gestione della pubertà femminile.

“Le ragazze adolescenti non stanno lasciando volontariamente lo sport, ma vengono spinte fuori come conseguenza di radicati stereotipi di genere. Dobbiamo tutti fare di più per invertire questa tendenza e non continuare ad accettare questo come inevitabile”.

L’associazione chiede alla scuola e alle associazioni sportive di mantenere le ragazze impegnate nello sport, soprattutto durante la transizione dalla scuola primaria alla scuola secondaria e durante la pubertà.

Rapporto: adolescenti e scuola

Scelte compromesse. Gli adolescenti in Italia, tra diritto alla scelta e povertà educativa minorile”

E’ il nuovo report nazionale dell’Osservatorio #conibambini promosso da Openpolis e Con i Bambini nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile.

  • I divari educativi dipendono anche dalla condizione di partenza. Chi ha alle spalle una famiglia con status socio-economico-culturale alto, nel 54% dei casi raggiunge risultati buoni o ottimi nelle prove di italiano. Per i loro coetanei più svantaggiati, nel 54% dei casi il risultato è insufficiente.
  • I 2/3 dei figli con entrambi i genitori senza diploma non si diplomano a loro volta.
  • Nelle grandi città vi è una relazione inversa tra indicatori di benessere economico e quota di neet: a Milano, Quarto Oggiaro ha il doppio di neet della zona di corso Buenos Aires, a Roma, Torre Angela ha il doppio di neet del quartiere Trieste, a Napoli, i quartieri con più neet compaiono anche nella classifica delle zone con più famiglie in disagio.
  • +25,2% il divario tra l’abbandono dei giovani con cittadinanza straniera e i loro coetanei.
  • L’emergenza Covid rischia di compromettere ancor di più il diritto alla scelta degli adolescenti. 

In Italia vivono 3 milioni di persone tra 14 e 19 anni. Se consideriamo la fascia di età che frequenta medie e superiori e limitandosi ai minori, sono 4 milioni i ragazzi di età compresa tra 11 e 17 anni. Si tratta di quasi la metà dei minori residenti in Italia (42%) e del 6,67% della popolazione italiana. Il report dell’Osservatorio indaga il fenomeno della povertà educativa legato a questa fascia di età.

L’abbandono scolastico prima del tempo, più frequente dove ci sono fragilità sociali, è l’emblema di un diritto alla scelta che è stato compromesso. E spesso non è che la punta dell’iceberg: dietro ogni ragazzo e ragazza che lascia la scuola anzitempo ci sono tanti fallimenti educativi che non possono essere considerati solo problemi individuali o delle istituzioni scolastiche. Sono fallimenti per l’intera società nel preparare la prossima generazione di adulti.

“Con la pandemia le disuguaglianze sociali ed educative crescono e aggravano una situazione caratterizzata da grandi divari strutturali – ha commentato Marco Rossi-Doria, vicepresidente di Con i Bambini. La povertà educativa, come evidenzia il report, ha spesso origine in queste disparità, non solo economiche, ma sociali e culturali. È un fenomeno che non può riguardare solo la scuola o le singole famiglie, ma chiama in causa l’intera ‘comunità educante’ perché riguarda il futuro del Paese. In questa fase di grandi difficoltà, i ragazzi dovrebbero rappresentare il fulcro di qualsiasi ripartenza. Non dovremmo criminalizzarli, come spesso accade, per alcuni comportamenti devianti o relegarli ad un ruolo passivo. Credo fortemente che siano una generazione migliore, hanno dimostrato grande senso di responsabilità, dovrebbero partecipare attivamente alle scelte che incidono sul futuro loro e, di conseguenza, del Paese. Dobbiamo loro – conclude Rossi-Doria – grandi opportunità”.

I divari educativi molto spesso dipendono dalla condizione di partenza. Per troppe ragazze e ragazzi la scelta appare già vincolata: dove nasci, in che posto vivi, la condizione sociale della famiglia contribuiscono a determinare molti aspetti. Dall’origine sociale e familiare ai livelli negli apprendimenti; dalle prospettive nel territorio in cui si abita all’impatto dell’abbandono scolastico. Su questi fattori, purtroppo, l’emergenza Covid rischia di incidere in modo fortemente negativo. Nei mesi scorsi abbiamo potuto constatare le profonde disuguaglianze tra le famiglie con figli nella possibilità di adeguarsi ai ritmi e agli stili di vita imposti dalla pandemia.

Partiamo dall’istruzione. Tra gli alunni di terza media, all’ultimo anno prima della scelta dell’indirizzo da prendere, i divari sociali sono molto ampi. Chi ha alle spalle una famiglia con status socio-economico-culturale alto, nel 54% dei casi raggiunge risultati buoni o ottimi nelle prove di italiano. Per i loro coetanei più svantaggiati, nel 54% dei casi il risultato è insufficiente.

Questi dati ci dicono come la condizione sociale si trasmetta di generazione in generazione. Nascere in una famiglia con meno opportunità da offrire significa generalmente partire già svantaggiato anche sui banchi di scuola. Dai dati sull’abbandono scolastico emerge che i due terzi dei figli con entrambi i genitori senza diploma non si diplomano a loro volta.

Il livello di istruzione, di competenze e conoscenze è strettamente collegato anche alle possibilità di sviluppo di un territorio. Nei test alfabetici l’87% dei capoluoghi del nord Italia presenta un risultato superiore alla media italiana. Nell’Italia meridionale e centrale la quota di comuni che superano questa soglia scende rispettivamente al 25% e al 36%. Un dato che, oltre a confermare i profondi divari territoriali tra gli adolescenti italiani, sembra essere legato alla quota di famiglie in disagio nelle città.

La principale minaccia per le prospettive future di un adolescente è uscire dalla scuola superiore senza un’istruzione adeguata. Questo rischio è molto più concreto nelle aree interne, dove l’offerta educativa viene più spesso minata da fattori come l’alta mobilità dei docenti, pluriclassi composte da alunni di età diverse, scuole sottodimensionate. Confrontando i risultati Invalsi degli adolescenti che vivono nelle aree interne con il dato medio regionale emergono due aspetti. Il primo è che, con poche eccezioni, i punteggi degli adolescenti dei comuni interni sono più bassi di quelli dei loro coetanei. Il secondo è che la condizione educativa delle aree interne non è omogenea in tutto il paese. Tra quelle più popolose, la migliore nei test di italiano (Basso Ferrarese) supera non solo la media delle aree interne italiane (+7 punti), ma anche la media nazionale complessiva (di oltre 4 punti) e quella emiliana (+2,42). Al contrario, la peggiore nei test di italiano (Calatino) è a -14 punti dalla media siciliana, a -16 da quella nazionale delle aree interne e quasi 20 punti al di sotto della media nazionale complessiva.

Una evidenza interessante rispetto all’analisi della presenza di giovani che non studiano e non lavorano nelle grandi città italiane è la relazione inversa tra gli indicatori di benessere economico (ad esempio, il valore immobiliare) e la quota di neet. I giovani che non lavorano e non studiano spesso si concentrano nelle zone socialmente ed economicamente più deprivate.

Napoli, i 10 quartieri con più neet in ben 8 casi compaiono anche nella classifica delle 10 zone con più famiglie in disagio. A Milano, Quarto Oggiaro ha il doppio di neet rispetto a zona di corso Buenos Aires. A Roma, a Torre Angela la quota di neet è oltre il doppio del quartiere Trieste.

Altra differenza sostanziale si registra prendendo in riferimento la cittadinanza. È di 25,2% il divario in punti percentuali tra l’abbandono dei giovani con cittadinanza straniera e i loro coetanei.

In Italia un adolescente su 12 ha una cittadinanza diversa da quella italiana. Poco meno di 200 mila persone, contando i minori stranieri dai 14 anni in su. Oltre 300 mila ragazze e ragazzi, se si considerano i residenti tra 11 e 17 anni. Nel caso degli adolescenti senza la cittadinanza italiana, sono diversi i segnali che indicano come particolarmente forte la minaccia della povertà educativa. Dalle difficoltà di inserimento nel percorso scolastico, alle disuguaglianze nell’accesso agli indirizzi delle scuole superiori. Fino all’abbandono precoce degli studi, fenomeno particolarmente preoccupante tra i giovani.

Infine, gli altri divari. Già prima dell’emergenza (2019), il 9,2% delle famiglie con almeno un figlio si trovava in povertà assoluta (contro una media del 6,4%). Quota che tra i nuclei con 2 figli supera il 10% e con 3 o più figli raggiunge addirittura il 20,2%. Ma anche i divari territoriali e nella condizione abitativa, con il 41,9% dei minori vive in una abitazione sovraffollata. Un ulteriore aspetto critico è stato rappresentato dai divari tecnologici. Prima dell’emergenza, il 5,3% delle famiglie con un figlio dichiarava di non potersi permettere l’acquisto di un computer. E appena il 6,1% dei ragazzi tra 6-17 anni viveva in una casa con disponibilità di almeno un pc per ogni membro della famiglia. Per tutti questi motivi, l’esperienza della pandemia è stata ed è spesso tuttora vissuta in modo molto diverso sul territorio nazionale, con effetti che gravano soprattutto sui minori e le loro famiglie. Si pensi all’impatto del lockdown per i bambini e i ragazzi che vivono in case sovraffollate, oppure alla possibilità di svolgere la didattica a distanza dove mancano i dispositivi o l’accesso alla rete veloce.

Come lavorate con i giovani atleti?

Avete mai pensato come s’inizia a lavorare con un giovane atleta? Di seguito alcune domande per riflettere.

  • Avete uno schema di come sviluppare l’intervento di preparazione mentale con un giovane adolescente?
  • Da quali competenze partire?
  • Vi prendete un periodo di osservazione e prima parlate con l’allenatore?
  • Cosa iniziate a osservare?
  • Cosa dite come prime cose all’atleta?
  • Vi servite di un’intervista strutturata? E su quali temi principali?
  • Quanto tempo trascorre tra questa fase introduttiva e l’inizio dell’intervento?
  • Cambia il vostro lavoro e gli obiettivi se lavorate in un periodo lontano dalle gare o se invece l’intervento inizia in un periodo di gara?
  • Di solito in relazione a quali aspetti del vostro lavoro vi sentite di più a vostro agio per iniziare?
  • Se è minorenne parlate sempre anche con i genitori?  Qual è il vostro obiettivo?
  • In che modo verificate la motivazione del giovane a intraprendere questo lavoro mentale?
  • Avete chiaro in mente cosa volete dire nei primi tre minuti in cui per la prima volta parlate con l’atleta? Cosa volete che ricordi di questa introduzione?

 

 

Nuova Zelanda: un programma per cambiare l’approccio allo sport dei giovani

Lo sport giovanile, la necessità della polisportività, le cause dell’abbandono, l’aumento degli infortuni e il ruolo dei genitori, degli allenatori e dei dirigenti. Questi sono i temi di una progetto sviluppato in Nuova Zelanda per riconsiderare gli approcci fino a oggi utilizzati. E’ un esempio che sembra provenire da Marte, tanto è la distanza culturale e scientifica dal mondo sportivo italiano, dove un approccio di questo tipo non sarebbe mai possibile e e dove è totalmente assente la ricerca su questi temi.

La lettura di quanto segue sarà certamente utile per aprire le nostre menti sul problema della pratica sportiva e dell’abbandono e per sviluppare idee e progetti adatti alla nostra realtà italiana.

Sport NZ e cinque dei più grandi sport di partecipazione in Nuova Zelanda – Rugby, Cricket, Calcio, Netball e Hockey – hanno lanciato un’importante campagna di sensibilizzazione del pubblico che chiede agli animatori dello sport giovanile di riconsiderare i loro approcci. Ma perché l’appello all’azione è così urgente?

La campagna  ”Tieniti al passo con il gioco” si concentra sul motivo per cui gli adolescenti si allontanano sempre più dallo sport. Le prove raccolte nel corso del tempo nell’indagine sulla partecipazione nazionale di Sport NZ Active NZ mostrano che, se si confrontano i ragazzi dai 12 ai 14 anni con quelli dai 18 ai 24 anni, le ore settimanali di attività fisica diminuiscono da 12 a 5. Inoltre, il numero di attività diminuisce da 6,4 a 2,5 e la partecipazione settimanale scende sostanzialmente dal 98% al 75%. La campagna invita tutti coloro che si occupano di sport giovanile, in particolare i genitori, gli allenatori e gli amministratori, a dare una svolta a questa situazione.

Inoltre, i dati del censimento dello sport nelle scuole secondarie di secondo grado mostrano che, nonostante l’aumento delle iscrizioni scolastiche negli ultimi tre anni, la partecipazione allo sport interscolastico è diminuita. Per Sport NZ questo è preoccupante, perché le abitudini formatesi negli anni dell’adolescenza passano agli anni degli adulti. Fondamentalmente gli adolescenti inattivi diventano adulti inattivi.

Anche se alcuni dei drop-off possono essere attribuiti agli inevitabili cambiamenti che si verificano durante l’adolescenza, tra cui la motivazione, la contesa sul tempo e l’impatto della tecnologia, ci sono altri fattori che aggravano questo declino.

Sport NZ dice che gli anni passati a studiare l’argomento, e ad esaminare i modelli d’oltreoceano, dimostrano che i giovani sono meglio serviti quando le loro esigenze sono messe al primo posto. E la motivazione principale che spinge i giovani a fare sport è il divertimento (76%), seguito da uscite con la famiglia o con gli amici (44%). Il fatto è che lo sport è visto da molti adolescenti come un altro modo per entrare in contatto con gli amici e divertirsi. E se il divertimento finisce, perché vi è un aumento un aumento di pressione e di richiesta tempo, è probabile che i giovani abbandoneranno lo sport.

Anche se alcuni genitori potrebbero essere tentati di lasciare che i loro figli si specializzino presto in uno sport, magari incoraggiati da un allenatore o da un amministratore di club, le statistiche mostrano che questa è probabilmente una cattiva idea. Studi australiani dimostrano che la probabilità di passare dall’essere identificati come giovani talenti a diventare un atleta d’elite è inferiore al 10%.

E non ne varrà necessariamente la pena. L’eccesso di allenamento e di gioco può portare a infortuni e bruciare i giovani giocatori. Le statistiche dell’ACC hanno mostrato un’impennata del 60% dal 2008 negli infortuni legati allo sport nei ragazzi tra i 10 e i 14 anni – il doppio dell’aumento di qualsiasi altra fascia d’età. Ci sono diverse ragioni per questo picco, ma una preoccupazione crescente è che la pratica di un solo sport può essere tanto dannosa quanto il non praticare abbastanza esercizio fisico.

Per chi cerca una guida utile, l’ACC incoraggia la linea guida di un’ora per ogni anno, sia la quantità di sport organizzato svolto per settimana – sia di allenamento che di competizione – e non dovrebbe superare l’età del bambino. Il superamento delle ore consigliate aumenta le probabilità di un “infortunio a insorgenza graduale”.

Anche se ogni genitore vuole sostenere il proprio figlio nel diventare una star sul campo sportivo, troppo e troppo presto potrebbe avere l’effetto opposto.

Org Mondiale della Sanità: 80% degli adolescenti non è attivo

Italia: + povera, + auto – sport

«Immaginatevi un mondo con poche e piccolissime isole di prosperità, immerse in un mare di povertà e stagnazione. Ci stiamo dirigendo lì», a parlare è l’economista Joan Rosés, professore alla London School of Economics, che insieme a Nikolaus Wolf, capo economico alla Humboldt University di Berlino, ha pubblicato la ricerca sul “Ritorno dell’ineguaglianza regionale“.

Questo dato è anche confermato per l’Italia dall’indagine condotta da Save the Children intitolata “Le periferie dei bambini“:

  • 259.000 (11%) bambini e adolescenti delle 14 città più grandi vivono in zone periferiche con problemi urbanistici, educativi e sociali, in prevalenza quartieri dormitorio privi di opportunità. Sono zone piene di sporcizia, l’aria non è pulita e si percepisce un elevato rischio di criminalità.
  • Roma e Genova: vivono in queste aree il 70% dei giovanissimi
  • Napoli e Palermo: il 60%
  • Milano: 43%
  • Cagliari: 35%
  • 1 minore su 4 vive in appartamenti inadeguati
  • in Italia vi sono 10milioni di minori e 37milioni di auto
  • + 50% adolescenti non pratica alcune attività sportiva
  • povertà educativa: nel 2013, 3 milioni e 200mila bambini e ragazzi tra i 6 e i 17 anni (47,9%) non hanno letto nemmeno un libro, a parte quelli scolastici
Sempre più ridotti sono gli investimenti per l’istruzione passati dal 4.6% al 3.9%, laddove in altri paesi europei (Francia e Germania) sono aumentati sino al 5% del PIL.

 

 

Nuove proposte per lo sviluppo dello sport fra i giovani

Aspen Institute propone un modello di sviluppo della pratica sportiva nei bambini e negli adolescenti basato sulle più recenti ricerche in questo ambito che ha lo scopo di incrementare il loro coinvolgimento nello sport. Intende cambiare la cultura sportiva centrata sull’avviamento precoce a un’unica disciplina sportiva e propone la validità di un approccio multi-sportivo anche per coloro che intraprenderanno la carriera sportiva. Questa iniziativa ha anche lo scopo di aumentare il numero di praticanti in modo continuativo che negli ultimi anni si sta riducendo in modo significativo. Il progetto, elaborato insieme alle più importanti organizzazioni sportive e aziende dello sport, si chiama Project Play – Reimagining Youth Sport in America.

 

Fig. 6 Physical activity has long lasting benefits that affect all aspects of a child’s life and last into adulthood. (Courtesy of Aspen Institute Project Play) [Citation]