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Chi è il miglior allenatore nel calcio?

In questi ultimi anni il ruolo dell’allenatore nel calcio viene spesso messo in discussione. Sembra un lavoro che trova rilevanza solo nella singola partita. Se la squadra vince si è un buon leader, in caso contrario non si sono dimostrate le qualità necessarie per guidare una squadra. Un esempio di questo fenomeno è rappresentato da Claudio Ranieri, che l’anno successivo ad avere vinto con il Leicester il campionato inglese, avere vinto il premio come migliore allenatore FIFA è stato esonerato per i risultati negativi della stessa squadra.

Come valutare quindi un allenatore nel calcio?

Alcuni spunti che verranno approfonditi in blog successivi.

  1. Si parte dal concetto che l’allenatore ha l’obbligo di contribuire allo sviluppo professionale e personale del calciatore.
  2. L’allenatore dovrebbe essere in grado di riflettere in modo professionale sulla sua attuale esperienza con la squadra che allena, allo scopo di esserne consapevole e per elaborare un piano di miglioramento.
  3. Dovrebbe comprendere qual è il suo impatto sui calciatori e sulla squadra.
  4. Dovrebbe sapere in che modo si evidenzia la sua leadership sulla squadra, attraverso quali comportamenti dei singoli, dei giocatori più rappresentativi e del collettivo.
  5. Dovrebbe avere la volontà di sentirsi impegnato in un processo di miglioramento continuativo per migliorare la sua esperienza nel calcio.

Usiamo i pensieri migliori degli altri per cambiare noi stessi

I pensieri degli altri sono un ‘opportunità per riflettere sulla nostra situazione, su come stiamo lavorando per realizzare i nostri obiettivi. Un errore che si commette facilmente è di convincersi che giacché si sta facendo bene, si debba per forza continuare nello stesso modo in maniera quasi automatica, senza faticare e impegnandosi di meno. In quei momenti ci si rilassa, si diventa presuntuosi e si pensa che il risultato debba arrivare naturalmente.

Per reagire a questo pensiero sbagliato, ne riporto un altro di Claudio Ranieri, che probabilmente vincerà con il Leicester il campionato inglese e che pur avendo un vantaggio di + 8 punti a poche giornate dal termine, afferma:

“Abbiamo fatto tantissimo, ma in realtà ancora nulla. Ora bisogna ripulire i pensieri, non leggere, non ascoltare, rimanere concentrati. Lottare su ogni pallone e in ogni istante, come finora. Pensare solo alla prossima partita”.

Le emozioni del calcio

Orgoglio e determinazione chiedevano in settimana i due allenatori di Lazio e Udinese e ciò non è stato. La conseguenza è che le due squadre hanno meritatamente perso, perchè se è vero che tecnica e tattica sono indispensabili, se la testa della squadra non funziona non si può giocare per vincere. Questo è lo stress agonistico: dovere fare per forza il risultato quando si è stanchi e non abituati al vertice della classifica (Udinese) o troppo rilassati per avere vinto il derby (Lazio). Le squadre forti sono quelle che giocano per chiudere la partita (questo non implica che ci riescano sempre), le altre sono quelle che hanno questo atteggiamento in maniera alternata.

Le facce piene di umanità di Conte e Ranieri viste in questi due giorni raccontano di come anche questi allenatori-condottieri vivano in modo emotivamente intenso ed estremo le gesta dei loro giocatori. Vanno apprezzati per non volersi nascondere.

Il coaching mentale per gli allenatori

La questione dell’estrema frequenza con cui gli allenatori vengono esonerati durante lo svolgimento del campionato pone questioni che vanno oltre la semplice spiegazione che attribuisce questa situazione ai presidenti. Gli allenatori devono comunque, in virtù del principio di miglioramento continuativo, intraprendere percorsi di incremento delle loro competenze professionali. Non tanto di quelle tecnico-tattico ma soprattutto di quelle riguardanti la gestione della squadra. Nel lavoro di coaching che svolgo con gli allenatori le aree di miglioramento che evidenziano riguardano:

Rapporti interpersonali 53%
Processi decisionali 12%
Fiducia in sé 35%

Come si può notare è molto sentita l’esigenza di incrementare le abilità in relazione al tema dei rapporti interpersonali che sono in effetti la chiave vincente o perdente del rapporto con la squadra. Quindi al di là delle responsabilità dei club nel sostenere spesso con poca convinzione i loro allenatori, è d’altra parte altrettanto evidente che gli allenatori quando s’impegnano in attività di coaching rivolto a se stessi  lo fanno per migliorare dal punto di vista delle loro capacità relazionali. Inutile trincerarsi dietro affermazioni del tipo – sono sereno – come fa Ranieri avendo ottenuto una serie di sconfitte terrificanti o dire come Delio Rossi che non serve lo psicologo. Lo psicologo invece è utile proprio per confrontarsi su questi aspetti relazionali che sono decisivi per la vita professionale di un allenatore.

Allenatori, perfezionismo e credibilità

E’ il momento di Conte, allenatore della Juventus, oggi Sacchi ne parla sulla Stampa dicendo che è un cultore del perfezionismo. Allora usiamo anche noi psicologi questo termine in modo positivo, che troppo spesso, invece, l’associamo a qualcosa di negativo. Il perfezionismo significa lavorare in modo scrupoloso e perseverante nel tempo. E’ un fondamento della fiducia che si applica al gioco, ai compagni e a se stessi. Tutti dovremmo chiederci quanto siamo superficiali e discontinui nell’impegno piuttosto che perfezionisti.
Secondo: questa può essere la stagione di Ranieri perchè spesso quando si superano con successo delle prove iniziali così significative dal punto di vista mentale, le squadre si compattano e l’allenatore conquista un bonus di credibilità da spendere nei momenti difficili.