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Coesione e esperienza

Si sente sempre più di frequente dire che i fuoriclasse del calcio non vengono più a giocare in Italia. Questa spiegazione viene spesso usata per spiegare brutte prestazioni e per giustificare lo scarso rendimento agonistico dei calciatori. Personalmente penso che le squadre messe sotto accusa in queste prime partite dalla Roma al Milan o al Palermo hanno sbagliato anche per scarsa coesione e ridotto uso da parte dei giocatori della loro esperienza. La tattica o la presenza di campioni in una squadra non sono tutto, conta pure il comune sentire che si è uniti e che ognuno è portatore della propria esperienza professionale. Sono questi due aspetti che permettono di uscire da fasi di gioco difficili, dai problemi di qualcuno che vengono mitigati dall’iniziativa di qualcun’altro. Se mancano questi due ingredienti la squadra non ha un’anima e i giocatori vivono nell’attesa di possedere la tattica che gli permetterà di vincere. Non è così, sapere cosa fare è utile ma lo è altrettanto sentirsi responsabili degli errori di un reparto o di un compagno altrimenti si è solo dei mercenari che quando le cose si mettono male scappano.

Mental coaching in Italia

E’ di oggi la notizia pubblicata dalla Gazzetta dello Sport che molti allenatori delle squadre nazionali mettono in evidenza l’importanza della componente mentale della prestazione sportiva e richiedono l’utilizzo dello psicologo dello sport. Affinché questa richiesta non resti appesa nel vuoto è necessario che il Coni e le Federazioni si decidano a promuovere azioni che prevedano questo servizio alle squadre. E’ chiaro che la scelta migliore sarebbe quella di un intervento progettato dalla preparazione olimpica con la messa in atto non di tanti progetti separati ma di un unico programma nazionale centrato sulla realizzazione di programmi di coaching mentale per atleti e allenatori. La Società Italiana di Psicologia dello Sport di cui sono presidente è ovviamente disponibile a collaborare alla realizzazione di questo progetto

Il riscaldamento mentale

Nella maggior parte degli sport non è possibile iniziare bene una gara se non ci si sente mentalmente pronti. Bisogna avere la sensazione che ci dice che lo siamo. Se questo è vero, perchè il riscaldamento è solo fisico e la parte mentale è trascurata? Quando si accorgeranno gli allenatori  che non basta dire: “Ok ragazzi, mi raccomando concentrati”.

Gli allenatori: cervelli in fuga

L’Italia non esporta solo scienziati ma anche allenatori. Sono molti e ben preparati quelli che accettano le offerte che provengono da tutto il mondo. Calcio, basket e pallavolo sono gli sport di squadra che esportano molti dei migliori allenatori. Lo stesso avviene negli sport individuali. Nella scherma la Errigo ha dichiarato che farà di tutto per trattenere il suo allenatore che è in viaggio per la Francia. Damilano, l’allenatore plurimedagliato della marcia è in Cina. 5/6 allenatori di tiro a volo sono ormai stabilmente all’estero. Per cui non solo non si fa lo sport nella scuola ma se per caso vuoi proprio fare l’atleta, non sarà facile trovare un allenatore di alta specializzazione ed esperto nella gestione degli atleti nei più grandi eventi agonistici. Ottimo, continuiamo così!

E’ il momentum delle partite decisive

Siamo alla fine del campionato e lo si nota anche dalle parole degli allenatori che sono sempre più di carattere assoluto: “Lo scudetto non deve sfuggirci”, “Nessuna tabella, pensiamo a vincere”,”Ora conta solo vincere”, “Parma battibile ma solo se siamo perfetti”. In ogni competizione giungono le fasi decisive e spesso in queste situazioni il linguaggio si semplifica ed esprime senza mezzi termini il risultato che si vuole raggiungere. Dal mio punto di vista condivido questi atteggiamenti degli allenatori, perchè vi sono momenti in cui le squadre e i singoli giocatori devono sentirsi totalmente responsabili del risultato della partita. In altre parole, devono giocare con la consapevolezza che c’è un solo risultato utile e per ottenerlo devono essere disposti a oltrepassare i loro limiti. Uscirà vittorioso chi saprà vivere appieno ogni istante della partita, senza lasciarsi influenzare da un eventuale parziale negativo.

Le parole per dire “mente”

Le parole del calcio per dire quanto la mente è decisiva:
Mazzarri (Napoli): “Quando siamo favoriti avvertiamo troppo la pressione”.
Jovetic (Fiorentina) ai tifosi: “Se ci abbandonate siamo rovinati”.
Sannino (Siena): “Conteranno le motivazioni e la capacità di soffrire”.
Donadoni (Parma): “Ci vuole più ferocia e sudore”.
Tesser (Novara): “Salvezza difficile ma dobbiamo crederci”.
Queste sono solo le parole dette ieri che mettono in luce l’estrema rilevanza della mente nel calcio, senza citare Conte, Allegri o Ranieri che sono maestri in queste espressioni o Massimo Mauro che domenica ha detto che Vucinic trarrebbe giovamento da un Motivatore che potrebbe aiutarlo a dare continuità al suo gioco. E allora perchè non dare spazio a chi professionalmente si occupa di queste problematiche, perchè lo psicologo non può essere il consulente dell’allenatore nell’aiutarlo a realizzare con maggiore efficacia quanto affermano?

Orgoglio e grinta

Leggendo le parole di molti allenatori di calcio di questa settimana si evince dalle loro dichiarazioni che ciò che conta è l’orgoglio, mostrare di essere uomini, la grinta, litigare perchè talvolta fa bene alla squadra e così via. Non una parola su come dovrebbero giocare le loro squadre, sulla tattica e strategie di gioco, temi che non vengono più trattati. Se ne può dedurre che domina la logica del “non disturbate il manovratore”, per cui non vi dico come giocheremo perchè  (1) tanto non  capireste, (2) non sono disposto a parlare del mio lavoro tecnico con voi e (3) conta solo mostrare le palle. Scegliete voi l’opzione che preferite. E’ chiaro che questo atteggiamento spiega da solo perchè non vogliono sentire parlare di psicologi nel calcio, ci sono già loro con queste brillanti ricette.

E’ “colpa” degli arbitri

Quando le partite del campionato diventano decisive è il momento per gli allenatori di incolpare gli allenatori. Basta ricordare le proteste dell’ultimo mese a partire dalla Juventua per arriva a ieri con Roma e Parma. Per carità gli arbitri sbagliano ma sono molto più numerosi gli errori dei giocatori, e sono questi ultimi a determinare il risultato finale. Quando gli allenatori non vogliono attaccare la loro squadra, ecco che salta fuori il parafulmine preferito e cioè l’arbitro. Sono interpretazioni conservative quelle degli allenatori, cha salvaguardno il proprio interno e scaricano all’esterno i problemi. Con questo non voglio affermare che gli arbitri non debbano migliorare, e alcuni avrebbero molto da imparare sul versante psicologico, ma non è il tempo.

La malattia delle panchine

Rischiamo che diventino 15 le squadre che cambiano allenatore. Questa situazione al di là delle intemperanze individuali mostra come il sistema di rapporti tra presidente, allenatore e squadra (per non allargarlo a procuratori, direttori sportivi, general manager) non funziona più. Ognuno dovrebbe fare un passo indietro e mettere da parte il proprio narcisismo. I calciatori dovrebbero giocare non solo per se stessi ma anche per l’allenatore, l’allenatore dovrebbe ascoltarli e lavorare per tenere unita la squadra, il presidente dovrebbe sostenere i suoi dipendenti con razionalità. E’ evidente che questo non avviene e allora si perdono le partite spesso per mancanza d’impegno, perchè non si vuole lottare. Così il calcio italiano affonda, non si migliora di certo cambiando 15 allenatori. Qualcuno lo pensa?