Il problema di Schumacher, il pilota che ha più ha vinto nella storia della Formula 1, è nella sua incapacità di accettare un ruolo diverso da vivere che non sia quello del pilota. Per nessuno è facile abbandonare un lavoro in cui si è stati il n.1 per molti anni ma viene il momento in cui bisogna cambiare vita. La difficoltà sta proprio nel volere fare una vita diversa da quella precedente e non sentirsi interiormente in grado di saperlo fare. E’ una situazione peggiorata dall’estremo benessere economico che gli permetterebbe di ampliare di molto le opzioni fra cui scegliere. Schumacher sinora non ha saputo scegliere e ha fatto la cosa più semplice che poteva: tornare a correre. A questo punto è veramente solo, molto di più di quando correva a 300 all’ora e deve esplorare un terreno che non conosce senza alcuna guida che non sia la sua sensibilità psicologica e, mi auguro, l’affetto della sua famiglia e degli amici veri. Per noi comuni mortali sembra impossibile che così ricco e vincente siano finito in questa trappola, ma è la dimostrazione ancora una volta che i soldi non sono tutto. Dovrà intraprendere un viaggio al centro di se stesso per scoprire chi è ora e cosa vuole per essere felice.
Archivio mensile per settembre, 2012
Parlando ai giovani psicologi dello sport dico spesso che al di là dei contenuti che si propongono di sviluppare, l’obiettivo della consulenza nello sport è che la nostra attività sia percepita da allenatori e atleti come utile. Anni fa il training autogeno era molto di moda e spesso veniva insegnato agli atleti, che imparavano a rilassarsi ma altrettanto spesso non ne percepivano l’utilità in relazione alla prestazione. Talvolta incontravo atleti che mi dicevano: “Un tuo collega mi ha insegnato a rilassarmi, ma poi ho smesso perché non ho capito a cosa mi servisse” . Gli atleti sono individui orientati alla pratica, che valutano l’efficacia dell’allenamento in funzione dei risultati che gli permette di raggiungere. Lo psicologo è troppo spesso orientato a dimostrare la sua competenza e a ragionare per schemi che sono rigidi. Per cui, ad esempio, si pensa che si riduce lo stress agonistico attraverso il rilassamento, oppure si migliora la concentrazione solo attraverso esercizi di ripetizione mentale. Bisogna invece sviluppare un programma di allenamento mentale sulla base delle esigenze dell’atleta e in relazione allo sport praticato. Inoltre, gli sportivi sono persone pragmatiche che apprezzano chi gli fornisce dei compiti da svolgere, potendone verificare l’utilità durante l’allenamento. Compito dello psicologo deve essere quello di proporre delle ’attività che ritiene che saranno percepite come utili perché hanno lo scopo di migliorare almeno un aspetto della prestazione. Tutto ciò che non produrrà questo effetto verrà memorizzato dall’atleta come interessante ma inutile. Quindi:
- Ascoltare l’atleta e/o l’allenatore
- Comprenderne le esigenze
- Capire queste esigenze a quali comportamenti corrispondono
- Ipotizzare in che modo e con quali tecniche questi comportamenti possono essere appresi/migliorati
- Stabilire quali sono i parametri per cui si potrà affermare che questo risultato è stato raggiunto
- Condividere con l’atleta questo percorso di allenamento
- Metterlo in atto e sapere se e come correggerlo
- Valutare il proprio lavoro (durante e al termine)
E’ di oggi la notizia che il Rapporto trimestrale sulla situazione economica e sociale della Commissione Europea ci attribuisce i primo posto per posti di lavoro persi e riduzione delle entrate delle famiglie. Siamo un paese alle corde come un pugile suonato che qualcuno sostiene per non farlo cadere definitivamente a terra. Siamo un paese in cui non solo c’è poco lavoro e si guadagna poco ma a molti manca anche la salute perché si rovinano con il cibo spazzatura o mangiando quantità eccessive di cibo. Questo fenomeno ha un costo sociale annuo molto elevato, pari a 8,3 miliardi,che corrispondono al 6,7% della spesa pubblica che si perde in cure mediche, in prevalenza per malattie cardiovascolari e diabete, ma anche per dietologi e psicologi (negli Usa il costo dell’obesità per lo Stato tocca il 9% della spesa medica complessiva, 147 miliardi di dollari). Costo che non potrà che peggiorare: nel 2025 si prevede che il 43% degli adulti sarà obeso. La guerra per la diffusione di una cultura del benessere è possibile farla ma nessuno ne parla. Non ha costi particolari, non richiede accordi fra le parti sociali, non richiede che la situazione economica europea cambi, è indifferente al valore dello spread. Mi chiedo se nessuno, a partire dal ministero della salute, fa nulla perché questo tema non è terreno di scontro politico che è l’arte principale in cui si esercitano i politici o perché anche chi governa a Roma come nelle Regioni non capisce o non è interessato alla salute dei cittadini. Potrebbe anche essere che l’idea di migliorare l’alimentazione e di favorire la diffusione dell’attività fisica sono soluzioni così banali che si ritiene che ogni persona dovrebbe essere capace di trovare da solo la soluzione migliore per sé.
LA SITUAZIONE IN ITALIA (Dati ANSA)
Da: www.sportmedicina.com/obesita_pandemia.htm
QUANTI SONO GLI OBESI
4 MILIONI DI ADULTI +25% RISPETTO AL 1994 |
LE REGIONI PIU’ COLPITE
MOLISE 12.8% CAMPANIA 11.2% |
CHI SONO
MASCHI 9.2% FEMMINE 8.8% |
LA GEOGRAFIA DELL’OBESITA’
NORD 7.8% CENTRO 7.9% SUD 10.8% ISOLE 9.5% |
L’ETA’
18-24 ANNI 11.6% 45-54 ANNI 12.4% 55-64 ANNI 14.4% 65-74 ANNI 14.2% |
BAMBINI OBESI O SOVRAPPESO
ITALIA 36% SPAGNA 27& SVIZZERA 24% INGHILTERRA 20% FRANCIA 19% GERMANIA 14% |
Pensiero del giorno. David Seabury, psicologo americano, ha scritto nel 1937 “Siamo capaci di far tesoro dell’esperienza più o meno come un tarlo è capace di danzare sulle punte?”
Si è conclusa alcuni giorni fa un tour ciclistico di persone affette da diabete con il progetto “BiciCuoreDiabete” sono andate da Milano a Walkerburg in Belgio percorrendo 1309 km. Con questa iniziativa si è voluto sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza dell’attività fisica per prevenire e curare il diabete. La forma più diffusa di diabete è quella collegata a uno stile di vita sedentario e a un cattivo regime alimentare, che determina questa malattia negli over 40 specialmente se sovrappeso o obesi. Una corretta alimentazione e regolare attività fisica porterebbe a una riduzione sino al 40% dei casi di diabete. Il movimento è comunque molto utile anche nelle persone già malate, poiché aumenta la capacità delle cellule di assorbire il glucosio. La bici sembra essere lo sport di eccellenza non sono in quanto attività aerobica ma anche perché è uno sport non traumatico; non come la corsa che è poco indicata in persone adulte, sedentarie e in sovrappeso.
Guarda: http://www.youtube.com/watch?v=mHGVHbaFYxs
Per informazioni: info@bicicuorediabete.it
In Italia c’è la crisi economica ma per fortuna non nell’ultramaratona e ultratrail. Ad oggi si registrano ben 13.224 finisher in gare di ultra contro i 10.874 del 2011, (primo anno che si è superati i 10.000 finisher) quindi il 21,61% in più e mancano più di 3 mesi alla fine dell’anno.
Si potrebbe raggiungere un incremento del 38% circa, si può quindi affermare che la corsa di lunga durata affascina sempre più atleti ed è in netta crescita. Analizzando meglio i dati si nota che le donne sono aumentate più degli uomini e cioè il 25,94% contro il 21,02% dei maschi. Le donne preferiscono i trail con un incremento del 34,82% contro il 16,74% della gare su strada. Gli uomini sono quasi costanti in quanto l’incremento del trail è pari al 21,14% contro il 21,43% in strada.
Un altro dato riguarda la percentuale fra finisher gare trail e strada, questi erano praticamente pari nel 2010 con 4127 nel trail e 4162 sulla strada, poi nel 2011 sono passati a 6074 (55,86%) finisher sul trail e 4800 (44,14%) su strada. Quest’anno e fino ad ora sono 7420 (56,11%) finisher sul trail e 5804 (43,89%) su strada.
Questi numeri si analizzano da solo ma bisogna ricordare che in Francia, dove il movimento è più sviluppato e con mezzi di controllo più avanzati, nel 2009 si registrarono 32.500 atleti che finirono almeno una gara di ultra, mentre in Italia se calcoliamo che in media un’atleta corre 1,9 gare all’anno di ultra, siamo circa 8.000 atleti, quindi molto lontani.
Sono dati interessanti che rivelano come le corse ultra sono patrimonio di ormai migliaia di persone e non è più un fenomeno per pochi. Cosa dovremmo pensarne noi psicologi? Come la spieghiamo è la dimostrazione del masochismo dell’animo umano, quindi, di una concezione negativa dell’individuo o rappresenta il tentativo di ampliare i propri limiti attraverso una prova certamente estrema ma in cui non c’è il rischio della vita.
(data by www.krakatoasport.com)
Non è inutile dire che sono troppi altri 13 morti per scalare un 8.000m tutti appartenenti a spedizioni commerciali. Nives Meroi ha detto che la via che stavano facendo è pericolosa tanto che lei stessa è salita sul Manaslu seguendone un’altra più faticosa ma più sicura. La morte accompagna sempre gli alpinisti ma qui era dietro l’angolo: 0 gradi a 6.000m qualche giorno fa, forti nevicate e sapere che quella è una zona di valanghe. Si dirà che allora non ci si dovrebbe andare. Credo che ognuno è libero di fare le proprie scelte, ma come possono farle quelli che partecipano a spedizioni commerciali, il cui obiettivo è di portare tutti in cima e non di tornare indietro se le condizioni sono proibitive. La questione è da anni sempre la stessa: l’obiettivo è la cima e non la vita dei clienti. Questi ultimi raramente sono alpinisti esperti e quindi si abbandonano nelle mani delle loro guide, non decidono, hanno pagato moltissimi soldi e non vogliono rinunciare. Non si rendono conto dei pericoli, perché gli è stato detto che saranno portati in cima. Il loro narcisismo gli impedisce di ragionare, di chiedere e di ricevere risposte. I responsabili delle spedizioni commerciali mi ricordano gli imbonitori dell’800 che vendevano boccettine contenenti medicine miracolose. Qui è lo stesso: immagini di altri clienti in vetta e foto bellissime ma nulla che riguardi i veri pericoli. A aumentare la tragedia vi è il gran numero di persone che le spedizioni commerciali portano in alta quota, questa volta erano 35, e quindi le tragedie sono ancora più spaventose per il numero elevato di persone coinvolte. Purtroppo nulla cambierà e quindi prepariamoci a altre notizie di questo tipo.
Ormai è chiaro perché gli psicologi non lavorano nel calcio italiano, perché i veri psicologi sono gliallenatori. Anche quest’anno leggendo le dichiarazioni degli allenatori si evidenzia immediatamente che parlano quasi esclusivamente di partite che “devono essere prove di maturità”, “devono essere giocate con determinazione”, “devono essere affrontate con la mentalità della provinciale”. Raramente parlano del gioco, anzi alcuni si arrabbiano quando gli vengono fatte domande di questo tipo, perché la ritengono un’invasione in un ambito di loro esclusiva proprietà. E’ chiaro che la mentalità di una squadra è un aspetto decisivo che consente di mettere in azione il gioco che si vuole condurre, lo è altrettanto che ogni allenatore svolge una funzione psicologica importante in qualità di comandante in capo della squadra. Quello che mi chiedo è: sono nati tutti imparati? O è bastato quello che hanno appreso sul campo nella loro carriera di calciatore per sviluppare in modo professionale uno stile di leadership ottimale? E’ possibile che gli allenatori più giovani alle prime esperienze non sentano il bisogno di formarsi a gestire gli stress che genera la guida di un gruppo? Forse guadagnare molti soldi li fa sentire invincibili? Gli allenatori esonerati non sentono mai il bisogno di confrontarsi sui loro dubbi personali?
Si potrebbe continuare all’infinito con queste domande, la risposta è NO.
E’ da alcuni giorni che la questione Allegri, allenatore del Milan, è apparsa sui quotidiani e ieri si è aggiunto un nuovo episodio. Allegri e Inzaghi hanno litigato in modo molto acceso in campo in presenza del pubblico e della squadra giovanile del Milan che Inzaghi allena.
Primo: un insulto di questo tipo di un qualsiasi calciatore avrebbe determinato un coro di commenti negativi e di condanna da parte dei media e ciò non è avvenuto. Ma questo m’interessa poco.
Secondo: mi pongo la domanda come mai due persone pubbliche e di grande successo abbiano perso così facilmente l’autocontrollo. Anche qui non ne faccio una questione morale ma m’interessa capire cosa porta a queste reazioni. C0s’è il solito narcisismo ferito delle persone famose, la cosiddetta Sindrome del Successo basata sul concetto “Come osi parlarmi in questo modo, tu non sai chi sono Io!” Temo che questa sia la spiegazione che li ha portati a questo litigio.
Terzo: suggerirei a questi allenatori e plurimilionari di imparare da Nils Liedholm, da Enzo Bearzot o da Dino Zoff cosa significa autocontrollo. Ricordiamoci sempre un aspetto base della comunicazione interpersonale: si elogia in pubblico e si litiga in privato. Le scenate in pubblico sono la rappresentazione dell’elevato grado di stress che stiamo vivendo e della conseguente difficoltà a mantenere il controllo delle nostre azioni.