Archivio mensile per giugno, 2012

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Passeggiata sopra le cascate del Niagara

Il funambolo statunitense Nik Wallenda  ha attraversato le cascate del Niagara, partendo dalla parte statunitense e finendo in Canada. A percorso in 30 minuti: 550 metri di fune larga  61 millimetri a 60 metri di altezza con sotto la potenza dell’acqua delle cascate del Niagara.  Ha annunciato di avere l’intenzione di superare  il Grand Canyon, un tragitto tre volte più lungo.

Vedi: http://www.youtube.com/watch?v=jtbzvn0umEo

Il lamento della Pellegrini

La Pellegrini si lamenta dell’attenzione mediatica che è intorno a lei, quando è stata lei stessa a cercarla per creare il suo personaggio. Non ci vedo nulla di male nella notorietà che ha raggiunto non solo tramite i risultati sportivi ma anche per mezzo del marketing di se stessa che qualcuno le avrà pianificato. La questione è che una volta messa in moto la macchina mediatica non si ferma quando lo decide lei … quindi impari a conviverci come fanno tutti i campioni.

Prandelli si affida alla scienza?

Ma qualcuno gli può dire che oltre ai test fisici, per capire chi è più in condizione e chi meno, esiste la psicologia, che potrebbe fornirgli utili indicazioni, altrettanto scientifiche, per capire chi ha la mentalità per giocare partite importanti con uno spirito combattivo e vincente? Oppure la psicologia non viene considerata come una scienza perché consiste nel pensiero dell’allenatore?

Nuovo sito atletica leggera

Oggi a Misano Adriatico, nel corso dei Tricolore Juniores e Promesse, viene ufficialmente lanciato il nuovo sito www.iocorro.net. Si tratta di un progetto promosso dalla FIDAL dedicato al mondo del running con tanti articoli, novità sull’allenamento, la psicologia, la corretta alimentazione e video tutorial girati dagli olimpionici azzurri Gabriella Dorio e Stefano Baldini che daranno preziosi consigli per tutti, dagli atleti più esperti a coloro che vogliono iniziare a muoversi. IoCorro ha l’obiettivo di creare una vera e propria community, rivolta soprattutto ai giovani, per condividere passione per l’atletica e stile di vita sportivo. Nell’attesa del lancio del sito web, è possibile iniziare a seguire IoCorro attraverso Facebook (www.facebook.com/Iocorro), Twitter (@iocorro_net) o il canale YouTube dove è già disponibile il primo video: http://www.youtube.com/watch?v=oanY2aLZrL4

La mente non è stata convocata in nazionale

La principale spiegazione che Prandelli ha fornito per illustrare le ragioni  del pareggio con la Croazia è che i calciatori hanno mostrato poca energia e aggressività. Sembrava una valutazione interessante perché poneva l’accento sulla componente mentale della prestazione. Da quanto si legge sui giornali non sembra essere invece questo il punto, infatti emerge che i calciatori sono fisicamente stanchi, quindi la fatica è una questione che riguarda ciò che avviene dalle sopracciglia in giù. D’altra parte in uno staff pieno di preparatori fisici, fisioterapisti e medici non si può certo andare oltre il muscolo e peccato che il cervello non lo sia. Intanto, con le conoscenze che ci offrono le scienze dello sport, sappiamo che la fatica è un fattore assolutamente identificabile prima della partita, e allora partendo da questa conoscenza perché non prevedere un approccio adeguato a questa condizione? Secondo, la partita non è certo un esercizio estetico di moduli di gioco, le partite bisogna saperle giocare e possibilmente vincerle. Cosa serve allora parlare per giorni di schemi di dove giocherà quel giocatore piuttosto che quell’altro, quando ciò che conta per primo sono gli individui e cioè i calciatori. Voglia di essere vincenti, questo dovrebbe essere il primo criterio per scegliere chi andrà in campo, che in pratica si traduce nel sapere chi ha più combattività (aggressività) e energia da spendere, il modulo lo si costruisce a misura su chi possiede oggi queste caratteristiche. I cambi dovrebbero rispondere alla stessa logica. Chi è in grado di garantire questo atteggiamento quando in campo si ha un decremento di queste caratteristiche? Perché la squadra migliore non è quella composta dai migliori giocatori ma è quella che fornisce il risultato migliore. Chi si occupa del recupero mentale dei calciatori? Chi si preoccupa di trasmettere energia mentale anche quando si è stanchi fisicamente? Schemi e tecnica sono inutili quando non c’è la mente a guidare, ma la nazionale continua a ipertrofizzare lo staff sanitario.

Italia non competitiva

A forza di sbagliare goal… si pareggia. La migliore spiegazione psicologica è quella fornita da Prandelli quando dice che è mancata cattiveria e energia. Quando non ci sono non si può essere competitivi.

Tre giorni per recuperare lo stress della partita

Il calendario del campionato europeo di calcio rispetta la regola dei tre giorni di riposo tra una partita e l’altra. Questo è infatti il tempo necessario ai calciatori per recuperare la fatica della partita. Sono risultati che emergono dall’analisi dei match della scorsa stagione effettuata dall’allenatore olandese Raymond Verheijen, che ha studiato questo fenomeno in sette paesi per 10 stagioni. Con un recupero più breve la maggior parte delle squadre segna meno reti, ne subisce di più, perde più partite e s’incrementa la probabilità d’infortunio. Solo il campionato portoghese ha preso in considerazione la questione e ha spostato le partite al venerdì e al lunedì. A conferma della validità di questa scelta, le squadre portoghesi sono le uniche in Europa a non avere subito questo tipo di difficoltà. Quando sentiremo parlare di questo anche da noi? Anziché sempre sterilmente chiedersi il perché di tanti infortuni? Leggi: http://worldfootballacademy.com/wp-content/uploads/2012/05/WFA_Study-on-recovery-days.pdf

La fragilità dei più forti

Le Olimpiadi sono diventate da tempo un business incredibile che dissangua gli Stati che li ospitano, determinando debiti da pagare in vari decenni successivi; ciò non toglie che continuano a affascinare tutti noi anche se smaliziati a ogni tipo di spettacolo e di truffa. Infatti, noi, gli spettatori e loro, gli atleti, siamo accomunati da un unico desiderio. Noi speriamo di vedere prestazioni incredibili che ci facciano sognare mentre loro, alcuni sperano di fornirle e la maggior parte vuole potere dire “io c’ero.”
Per la maggior parte degli atleti partecipare alle Olimpiadi è la realizzazione di un sogno per cui si sono impegnati a riuscirci con tutte le loro forze. Facciamo qualche esempio. La rappresentativa italiana sarà composta da alcune fra le più grandi atlete di tutti i tempi. “Le anziane” Alessandra Sensini, Josefa Idem e Valentina Vezzali, vogliono continuare a vincere anche questa volta per dimostrare che l’età non conta. Federica Pellegrini, star del nuoto, anche lei vuole ripetersi per terza volta e su distanze diverse. Infine la più giovane Jessica Rossi, non ancora ventenne, è la favorita nella fossa olimpica femminile. Ognuna di loro persegue il proprio sogno, sono divise da più di vent’anni di età e di esperienza ma l’obiettivo sarà lo stesso.
Sotto questo punto di vista le Olimpiadi non sono cambiate affatto, poiché continuano a rappresentare il massimo risultato sportivo a cui un atleta può aspirare. Salire sul podio significa entrare nella storia dello sport. Forse è solo retorica dirà qualcuno, personalmente non lo penso. Si partecipa alle Olimpiadi per diritti acquisiti sul campo sportivo e infatti è possibile che un vincitore di medaglia olimpica nella precedente edizione non vi partecipi, perché non ha ottenuto nei quattro anni seguenti quel risultato che glielo avrebbe permesso.
Le Olimpiadi sono ogni quattro anni e non tutti vi partecipano due volte, a differenza dei mondiali o delle più importanti gare internazionali che sono in larga parte su base annua. Chi sbaglia un mondiale può ripeterlo l’anno successivo, chi sbaglia un’Olimpiade deve aspettare quattro anni, sempre che si qualifichi. Lo stress raggiunge livelli incredibili. Un’atleta che ho allenato mentalmente, sbagliò un’Olimpiade, giurò a se stessa che a quella seguente sarebbe partita dall’Italia solo 10 giorni prima dell’inizio della gara e non un mese prima come aveva fatto la volta precedente andata male. Ebbe ragione perché vinse la medaglia d’argento. Un altro prima dell’inizio della finale olimpica mi disse di dirgli qualcosa che lo motivasse perché aveva voglia di scappare, sentiva la nausea e stava a pezzi. Gli parlai brevemente dei sacrifici che aveva fatto per giungere al quel momento, vinse la medaglia d’argento. Per i favoriti al podio i traumi di una sconfitta si portano dietro per anni, non sono facili da superare anche se nel frattempo si è vinto un altro campionato del mondo. Conosco un atleta che ha vinto tre volte il campionato del mondo ma non è mai entrato in finale alle Olimpiadi, lui cambierebbe questi tre titoli per una medaglia ai giochi olimpici.
Questi atleti non reagiscono in questo modo perché sono psicologicamente fragili ma perché il loro investimento personale sulla preparazione di questo evento agonistico è così totalizzante e prolungato nel tempo che la sconfitta è spesso vissuta da loro come una vera e propria disfatta personale. Vincere le olimpiadi significa avere fatto in quel determinato giorno “la gara della vita”, forse non dovrebbe essere così drammatico ma è quasi impossibile vivere questa prestazione in modo diverso. E’ la realizzazione di un sogno e di tanti sacrifici, è certamente ben retribuito dal punto di vista economico, ma non ci scrolleremo mai d’addosso questa percezione estrema e romantica della prestazione olimpica come composta da momenti irripetibili che tutti sperano siano vincenti.

I ricordi non passano mai

Di Natale in relazione al rigore sbagliato 4 anni fa contro la Spagna  e a quello messo a segno ieri ha detto “Non ho mai dimenticato, è un filo sottile che mi porto dentro, finalmente ho cancellato un fantasma: era un gol che aspettavo da quattro anni.” Non è una frase retorica questa esperienza è comune a molti atleti. Ho riportato in un blog di alcuni giorni fa di una ragazza che si portò l’incubo delle olimpiadi sino a quella successiva, anche questa volta 4 anni, in cui vinse la medaglia d’argento. Si dovrebbe raccogliere il racconto di questi fantasmi che agitano per molti anni la vita degli atleti  migliori , sarebbe molto educativo per i più giovani sapere che quando l’impegno e la volontà spingono al massimo, gli errori sono vissuti con più facilità  in modo drammatico, proprio perché si è stati coinvolti in modo totale e allora bisogna aspettare che si ripresenti un’occasione della stessa importanza per superarla. Altrimenti l’incubo resta al suo posto e solo il tempo potrà ridurne l’influenza.

Per vincere gli europei di calcio serve il killer instinct

Per vincere gli europei di calcio serve il killer istinct, perché non bisogna perdere le partite che si dominano, come potrebbe fare la Spagna o lasciare troppo spazio perché poi con il contropiede si farà goal come potrebbe fare l’Italia.
Cos’è il killer istinct:

  •  E’ la volontà di fare ciò che è ragionevolmente necessario per vincere o per raggiungere il proprio obiettivo.
  •  E’ la consapevolezza di quando bisogna spingere per chiudere la partita e lo si fa.
  • E’ la consapevolezza che quando si conduce non bisogna lasciarsi sfuggire l’occasione di continuare a farlo.
  • E’ la consapevolezza che quando l’avversario è sotto, bisogna continuare a tenerlo sotto.
  • E’ la volontà di volere riemergere con successo da una fase di gioco negativa.

Come svilupparlo:

  • Mai pensare che sarà facile vincere. Nessuno può garantire alla squadra il risultato finale e tanto meno noi stessi.
  • Mai rilassarsi quando si sta conducendo una partita, se la tensione cala bisogna continuare a darsi degli obiettivi di gioco, per mantenere elevata la concentrazione.
  • Quando si sta vincendo si può ridurre la tensione agonistica e questo è pericoloso. Bisogna servirsi d’immagini mentali che mantengano costante il livello di attivazione.
  • L’eccesso di fiducia della squadra può diventare una trappola che avvolge e favorisce l’emergere di distrazioni. Bisogna agire mentalmente per restare concentrati istante su istante, perché i conti si fanno solo al termine della partita e non un minuto prima.
  • Mai pensare al risultato finale, la squadra deve essere centrata solo sul presente e sul giocare al meglio.
  • Mantenere sempre elevata la pressione sull’avversario è una delle chiavi del successo. Lo scopo è di trasmettere alla squadra avversaria l’idea che qualsiasi cosa possa fare resterà sempre sotto.
  • Mai affrettare l’azione ma giocare sempre con gli stessi tempi che si sono dimostrati efficaci sino a quel momento.