La fragilità dei più forti

Le Olimpiadi sono diventate da tempo un business incredibile che dissangua gli Stati che li ospitano, determinando debiti da pagare in vari decenni successivi; ciò non toglie che continuano a affascinare tutti noi anche se smaliziati a ogni tipo di spettacolo e di truffa. Infatti, noi, gli spettatori e loro, gli atleti, siamo accomunati da un unico desiderio. Noi speriamo di vedere prestazioni incredibili che ci facciano sognare mentre loro, alcuni sperano di fornirle e la maggior parte vuole potere dire “io c’ero.”
Per la maggior parte degli atleti partecipare alle Olimpiadi è la realizzazione di un sogno per cui si sono impegnati a riuscirci con tutte le loro forze. Facciamo qualche esempio. La rappresentativa italiana sarà composta da alcune fra le più grandi atlete di tutti i tempi. “Le anziane” Alessandra Sensini, Josefa Idem e Valentina Vezzali, vogliono continuare a vincere anche questa volta per dimostrare che l’età non conta. Federica Pellegrini, star del nuoto, anche lei vuole ripetersi per terza volta e su distanze diverse. Infine la più giovane Jessica Rossi, non ancora ventenne, è la favorita nella fossa olimpica femminile. Ognuna di loro persegue il proprio sogno, sono divise da più di vent’anni di età e di esperienza ma l’obiettivo sarà lo stesso.
Sotto questo punto di vista le Olimpiadi non sono cambiate affatto, poiché continuano a rappresentare il massimo risultato sportivo a cui un atleta può aspirare. Salire sul podio significa entrare nella storia dello sport. Forse è solo retorica dirà qualcuno, personalmente non lo penso. Si partecipa alle Olimpiadi per diritti acquisiti sul campo sportivo e infatti è possibile che un vincitore di medaglia olimpica nella precedente edizione non vi partecipi, perché non ha ottenuto nei quattro anni seguenti quel risultato che glielo avrebbe permesso.
Le Olimpiadi sono ogni quattro anni e non tutti vi partecipano due volte, a differenza dei mondiali o delle più importanti gare internazionali che sono in larga parte su base annua. Chi sbaglia un mondiale può ripeterlo l’anno successivo, chi sbaglia un’Olimpiade deve aspettare quattro anni, sempre che si qualifichi. Lo stress raggiunge livelli incredibili. Un’atleta che ho allenato mentalmente, sbagliò un’Olimpiade, giurò a se stessa che a quella seguente sarebbe partita dall’Italia solo 10 giorni prima dell’inizio della gara e non un mese prima come aveva fatto la volta precedente andata male. Ebbe ragione perché vinse la medaglia d’argento. Un altro prima dell’inizio della finale olimpica mi disse di dirgli qualcosa che lo motivasse perché aveva voglia di scappare, sentiva la nausea e stava a pezzi. Gli parlai brevemente dei sacrifici che aveva fatto per giungere al quel momento, vinse la medaglia d’argento. Per i favoriti al podio i traumi di una sconfitta si portano dietro per anni, non sono facili da superare anche se nel frattempo si è vinto un altro campionato del mondo. Conosco un atleta che ha vinto tre volte il campionato del mondo ma non è mai entrato in finale alle Olimpiadi, lui cambierebbe questi tre titoli per una medaglia ai giochi olimpici.
Questi atleti non reagiscono in questo modo perché sono psicologicamente fragili ma perché il loro investimento personale sulla preparazione di questo evento agonistico è così totalizzante e prolungato nel tempo che la sconfitta è spesso vissuta da loro come una vera e propria disfatta personale. Vincere le olimpiadi significa avere fatto in quel determinato giorno “la gara della vita”, forse non dovrebbe essere così drammatico ma è quasi impossibile vivere questa prestazione in modo diverso. E’ la realizzazione di un sogno e di tanti sacrifici, è certamente ben retribuito dal punto di vista economico, ma non ci scrolleremo mai d’addosso questa percezione estrema e romantica della prestazione olimpica come composta da momenti irripetibili che tutti sperano siano vincenti.

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