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Rugby: Italia-All Blacks

Il rugby è impegno, avanzamento e aggressività e l’Italia ha fatto una delle sue più belle partite perché ha mostrato questo atteggiamento con continuità.  Il rugby è uno sport in cui non ci si può risparmiare, non si può tirare indietro la gamba, non ci si può isolare dal gioco, non si può all’ultimo momento passare la palla a un compagno perché si ha paura di sbagliare. I giocatori italiani oggi hanno fatto tutto questo, giocando con una intensità ottimale. Hanno perso, era scontato, lottando con intelligenza sino all’ultimo minuto.

Fiducia e impegno

Si parla spesso di squadre di calcio che non sono tecnicamente all’altezza per potere essere competitive nel nostro campionato di Serie A. I commenti sono spesso centrati sulle difficoltà tecniche delle squadre o dei singoli giocatori. Raramente vengono fatti commenti ragionati sugli aspetti psicologici. A mio avviso esistono alcune abilità mentali che sono in larga parte disgiunte dall’abilità tecnico-tattica. Sono la fiducia, l’impegno, la concentrazione e lo spirito di gruppo. Partiamo dalla fiducia: i giocatori devono essere fiduciosi verso se stessi e il collettivo. Poi occorre l’impegno che garantisce intensità di gioco. Quando si dice che una squadra è determinata significa che gioca in modo convinto e con intensità. Si deve giocare con questo atteggiamento anche quando gli avversari sono più forti, anche quando si sono persi dei contrasti, proprio perché sono queste situazioni di difficoltà a misurare quanto è forte la convinzione collettiva e individuale e qual è il limite oltre il quale l’impegno diminuisce. In sostanza giocatori e allenatori non devono nascondersi dietro i limiti tecnici della squadra per giustificare prestazioni negative sotto il profilo mentale, perché questi aspetti vanno esaminati come indipendenti anche se si manifestano nello stesso momento.

Bravo Conte

Il video di Conte che parla ai giocatori della Juve è stato visto da migliaia di persone (http://video.repubblica.it/sport/il-coach-carica-la-squadra-l-arringa-di-conte-e-un-cult/91946/90339). Bene. Conte in sostanza afferma che bisogna lottare per raggiungere i propri sogni e che non bisogna regalare agli altri delle occasioni che potrebbero essere le nostre. Questo vale per ogni persona, giovane o adulta, e non solo per i campioni. Sacrificio, impegno e rispetto delle regole questo è ciò che ci viene chiesto in questo periodo ma che a badare bene dovrebbe valere sempre, anche nei periodi delle vacche grasse. Quindi che lo guardino in tanti può servire a mettere dei semi positivi nella loro testa, l’importante è che non sia percepito come una semplice manifestazione di machismo maschile, un’eslosione di testosterone che alla prima difficoltà scompare e si ritorna a lamentarsi delle ingiustizie. Un po’ come fa Ibrahimovic quando afferma “Non capisco il perchè del secondo rigore, ma ora capisco perchè Mourinho si arrabbia sempre al Camp Nou”. Sul rigore è legittimo sostenere le proprie opinioni, ma non si può giustificare la propria grigia prestazione accusando gli altri.

Impegnati ma non determinati

Non basta impegnarsi per vincere e quindi non basta dire ”che i giocatori ce l’hanno messa tutta”. Un esempio, il rigore che Milito ha sbagliato. Non parlo di tecnica che non mi compete, ma quando un giocatore sa che deve assolutamente mettere dentro quel pallone e avverte questa pressione non deve tentare il tiro di precisione ma deve calciare di forza. Perchè in questo modo dimostra e scarica tutta la sua rabbia su quel tiro, manifestando nei fatti di essere determinato. Una volta Gullit disse la stessa cosa: quando sei stanco non tentare di essere preciso ma tira una cannonata. In termini psicologici significa: sto mettendo tutta la mia forza mentale e fisica in questa azione perchè voglio sfondare la rete. Il tiro di Milito è solo un esempio e questo atteggiamento si può allenare, sostenendo i calciatori a tirare in questo modo. L’impegno non serve a niente se non è sostenuto dalla volontà di vincere.

I problemi dell’Inter

Non mi convincono le spiegazioni fornite sulle sconfitte dell’Inter e non mi riferisco al merito degli acquisti e cessioni di calciatori, dell’invecchiamento della squadra o degli eventuali errori d’impostazione tattica della squadra. Certamente sono aspetti importanti ma nelle valutazioni che ho ascoltato e letto mi sembra manchi qualcosa, che a mio avviso viene prima di tutto e cioè: impegno e dedizione. Significa entrare sul campo con la voglia di dare il meglio di sè anche sapendo che non si è al massimo della preparazione (quale che ne sia il motivo), con la voglia di dimostrare che si ha un’anima. Ecco perchè gli allenatori sono spesso paragonati ai condottieri, perchè devono fare ardere questo fuoco, e non è retorica. Dice bene Al Pacino-allenatore nel film “Ogni maledetta domenica” bisogna lottare 1 cm alla volta. Questo approccio viene prima degli schemi, perchè è quello che serve proprio a esaltare il gioco squadra, povero o ricco che sia. “NOI siamo questi” deve dire la squadra, “siamo disposti a lottare?”  Questo ragionamento è semplice e terribile nello stesso tempo. Semplice perchè elimina ogni altra giustificazione, terribile perchè ognuno sa che da quel momento non può più mentire a se stesso. O ci stai o sei fuori e quando i giocatori purtroppo si escludono, a quel punto viene mandato via l’allenatore.

Impegno o intelligenza

La questione di come le persone acquisiscono livelli elevati di competenza è un tema ancora oggi dibattuto. Quanto pesano le caratteristiche innate, i doni genetici, rispetto a quelle acquisite? Le ricerche di Ericcson sembravano avere dimostrato che ciò che conta fosse la quantità di tempo dedicata. Studiando un gruppo di giovani violinisti di 20 anni aveva evidenziato che “i migliori” si erano applicati per 10.000 ore, mentre “i bravi” si erano fermati a 8.000 ore di pratica e i meno bravi a 5.000 ore.
Questa e molte altre ricerche hanno portato a formulare la regola delle 10.000 ore in 10 anni per chi vuole eccellere in una qualsiasi attività. Secondo questo approccio l’intelligenza viene considerata come un fattore importante solo fino al punteggio di 120 dopo di che non è di alcuno aiuto nel migliorare le prestazioni.
Altre indagini scientifiche hanno contestato questo approccio sottolineando al contrario il ruolo decisivo dell’intelligenza. Ad esempio gli studi sui giovani intellettualmente precoci di di Lubinski e Benbow hanno dimostrato che i giovani che sono al 99,9 percentile di intelligenza rispetto a quelli che sono “solo” al 99,1 hanno da tre a cinque più probabilità di pubblicare un articolo scientifico, di prendere un dottorato, di pubblicare un lavoro letterario o di depositare un brevetto. Quindi un livello intellettuale molto alto sembra invece fornire un enorme vantaggio nel proprio sviluppo personale. Analogamente Hambrick e Meinze hanno scoperto che possedere una elevata capacità di memoria di lavoro è predittivo del successo in una vasta serie di attività. Per cui se si prendono in considerazione due pianisti con lo stesso numero di ore di pratica quello che avrà più memoria di lavoro avrà più successo nel leggere uno spartito mai visto sino a quel momento. Il pensiero in questi casi corre a Mozart che scriveva brani musicali già a 6 anni, è però altrettanto vero che in realtà sembrano essere stati scritti dal padre e che anche nella prima adolescenza le sue creazioni non fossero altro che adattamenti di musiche già composte da altri, mentre il suo primo capolavoro l’avrebbe scritto a 20 anni e quindi dopo 10 anni di formazione musicale. La questione su quanto pesi la genetica o l’apprendimento resta ancora una volta aperta.

Impegno e dedizione

Ieri ho dato i numeri per il successo. Partendo da quelli voglio mettere in evidenza che sono 817 gli atleti USA che hanno fatto parte della squadra olimpica che hanno identificato questa dimensione come quella decisiva per il loro successo. Ed è giusto che questa scoperta l’abbia commissionata il comitato olimpico della nazione da battere nello sport. Perchè? Perchè i forti sviluppano attività efficaci come quella d’intervistare i loro campioni e di domandargli quali sono i fattori alla base del loro successo. In Italia questo non è mai stato fatto perchè le ricerche sul talento prevedono solo la ricerca di dati antropometrici o fisiologici, siamo dominati da queste figure professionali. Peccato perchè resteremo indietro.

La cultura del lavoro: che sia NBA o greco

Leggo sulla Stampa l’intervista a Marco Belinelli, giocatore NBA, in cui spiega come ha fatto a conquistare un posto nel quintetto degli Hornets (New Orleans): “Semplice, si chiama extrawork: arrivi prima agli allenamenti e te ne vai dopo, per essere sempre pronto. Come dicono qui sono uno che – ha fame -, che vuole vincere e dare tutto e mi alleno sempre, la squadra lo ha capito subito.” Retorica no: l’insegnante di greco della classe di mia figlia il primo giorno di scuola spiegò come dovevano fare per imparare: oltre le ore di scuola, dovevano fare una versione al giorno e prima di tutto scrivere e poi riscrivere l’alfabeto sino a quando non l’avessero imparato. In questo modo sono circa 500 ore di greco all’anno; corrispondono allo stesso numero di ore che dovrebbe dedicare all’allenamento sportivo un giovane sedicenne che volesse emergere nel suo sport. In sostanza vi è un solo metodo per giocare in NBA o imparare il greco: impegno e dedizione sostenuti da insegnanti/allenatori bravi.