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Quanto è difficile essere tifosi di se stessi

Ma quanto è difficile essere il primo tifoso di se stessi! Un atleta dovrebbe mostrare questa convinzione nei propri confronti e invece è una delle cose più difficili da fare. Alcuni esempi:

  • Una ragazza mi dice “Ho fatto quattro gare quest’anno e nessuna è andata bene … allora smetto non serve nulla che continui a fare bene solo in allenamento”.
  • Un ragazzo mi dice “stavo gareggiando bene poi ho pensato che non potevo continuare in questo modo e così ho sbagliato e non sono entrato in finale”.
  • Un altro ragazzo ai campionati del mondo prima della finale “Questa volta devo prendere una medaglia”. E’ arrivato quarto.
  • Una ragazza “questa volta ho perso male non ho creduto fino in fondo in me stessa”.

Ognuno di loro svolge l’attività di atleta in modo professionale, è la loro attività principale, è quella in cui vogliono realizzarsi nella vita. In queste occasioni non si sono dimostrati i migliori tifosi di se stessi.  Lo sport agonistico richiede un elevato livello di fiducia in se stessi e l’incoscienza di sapere che la prossima volta andrà meglio di questa. Questa consapevolezza nasce dall’impegno profuso in allenamento, dal sapere che è vero che 1, 2, 3 0 più volte non andrà bene, ma non importa perché continuando in questo modo verranno anche i risultati. L’importante è continuare a sostenersi soprattutto quando le cose vanno male. In sintesi serve:

  • impegno totale in allenamento
  • sostegno totale in gara indipendentemente dai risultati
  • aspettativa fiduciosa dei risultati

Doping o impegno?

Spesso mi chiedo che senso abbia il continuare a parlare di eccellenza nello sport quando continuamente scopriamo quanto il doping sia penetrato in questo mondo e quanto l’etica in molti atleti si confonda con l’omertà. L’etica in questi casi consiste nel proteggere un compagno che si dopa in accordo a una patologica definizione di morale, secondo cui si deve proteggere il proprio ambiente indipendentemente dalle azioni illegali e immorali che vengono praticate. La motivazione principale addotta per giustificare questo approccio al doping consiste nel pensare che non si possa eccellere senza questo aiuto. Assunto questo punto di vista, chi si oppone, condannando questo tipo di cultura sportiva, viene considerato un moralista che vuole imporre delle regole anacronistiche, poiché tutti si dopano. Domina la filosofia dell’Embé: “Hai visto hanno preso Tizio che si dopava”, “Embè che sarà mai, tanto lo fanno tutti, se vuoi vincere non c’è alternativa”. Questa filosofia si caratterizza per due idee principali: “Tanto peggio, tanto meglio” e “Sono tutti dei ladri”. Quando questa concezione si è diffusa fra gli adulti, molti hanno cominciato a doparsi per partecipare alle gare Master; vi sono casi in cui i genitori hanno chiesto al medico un “aiutino” per il loro figlio, sempre più spesso le palestre sono diventate luoghi di vendite di prodotti illegali e vi sono medici e fisioterapisti che hanno intrapreso questo tipo di consulenza per aumentare i loro guadagni. E’ invece proprio a partire dall’ampia diffusione di questa desolante concezione della cultura sportiva che dobbiamo reagire e continuare a parlare di eccellenza. Riguarda quelle prestazioni sportive di livello assoluto che dipendono solo dall’impegno e dedizione dell’atleta e dall’avere seguito insegnanti e programmi di altrettanto valore. Non dobbiamo cedere alla filosofia dell’Embè perché questa devasta i nostri giovani e i loro insegnanti. Il doping e ogni azione illegale nello sport vanno combattute diffondendo la cultura dell’impegno e del diritto di sognare che è possibile raggiungere qualsiasi risultato. Bisogna colpire penalmente chi si dopa ma allo stesso tempo bisogna cambiare questa cultura dello sport mortifera. I bambini e gli adolescenti rappresentano il nostro futuro e devono imparare che si può avere successo grazie al proprio impegno. Dobbiamo fare di più e meglio perché gli allenatori siano non solo professionalmente competenti ma sposino totalmente una visione etica del lavoro.

Essere noi stessi grazie solo al nostro impegno

Un genitore mi scrive parlando di ragazzi che migliorano le loro prestazioni sportive ottenendo tempi che fanno sospettare all’uso di doping e di come sia possibile sostenere la motivazione del proprio figlio a continuare nel suo impegno sportivo. Siamo in presenza di due problemi. Il primo riguarda il sospetto di doping. A questo riguardo se si vuole intervenire si deve parlarne con la propria società sportiva per verificare se la propria percezione è per loro corretta o quant’altro. Nel caso continui ad avere questi dubbi si dovrebbe decidere cosa si vuole fare e quali sono le procedure previste per denunciare questi presunti casi.

In relazione alla motivazione del giovane nuotatore che si sente impotente e demotivato, bisogna certamente per prima cosa ascoltare il proprio figlio e accettare le sue emozioni di delusione e di rabbia. Nel contempo bisognerà dirgli che nel mondo dello sport vi sono persone che scelgono le scorciatoie mentre ve ne sono altre che basano il loro miglioramento solo ed esclusivamente sul proprio impegno.  Queste ultime devono essere il suo modello e ad esse deve fare riferimento quando pensa al suo futuro di atleta. Come in ogni altra attività umana ci sarà sempre chi ottiene dei risultati con la truffa, possono vincere qualche battaglia ma non vinceranno la guerra fino a quando saremo in molti a praticare uno sport pulito. Queste a mio avviso sono le ragioni di cui parlerei a mio figlio, dicendogli che il duro lavoro paga, magari all’inizio più lentamente, ma nessuno gli potrà mai togliere la soddisfazione di sapere che siamo ciò che siamo solo grazie a noi stessi, al nostro impegno e dedizione. Credo che questo sia un buona motivazione per essere fieri di se stessi.

Noi siamo ciò che facciamo quotidianamente

Aristotele diceva che “Noi siamo ciò che facciamo costantemente. L’eccellenza quindi non è un atto ma una abitudine.” Infatti lo sport è pieno di storie di giovani che sono stati rovinati dal loro talento (fisico e tecnico), perchè hanno pensato che questo dono fosse sufficiente per avere successo e quando poi la vita li ha messi di fronte alle prove decisive loro hanno perso e sono scomparsi. Perchè noi siano ciò che facciamo quotidianamente, studio, lavoro e per gli atleti allenamento. Quindi l’eccellenza nasce dall’abitudine a allenarsi con una dedizione pressochè totale. Chi non capisce che questo è la strada da percorrere quotidiamente crede di sopperire con il proprio talento naturale; purtroppo è solo un’illusione che alle prime asperità verrà demolita.

Juventus assente, ritornare in altro orario

Vedere l’intervista a Conte è imbarazzante, perchè non sa trovare ragioni per spiegare l’assenza della Juventus a partire dal 70° del secondo. Errori banali: primo goal su rigore; secondo, papera di Buffon; terzo, giocatore lasciato libero come se si fosse all’oratorio e, l’ultimo, contropiede. Quindici minuti in cui la Juventus è stata presente sul campo solo fisicamente e non mentalmente. Non solo non ha lottato, non ha proprio giocato. E’ difficile capire come la squadra che negli ultimi due anni ha fatto dell’impegno totale e arrembante la sua caratteristica fondamentale ora manchi proprio in questo e non solo oggi, perchè in questo campionato ha preso già 10 goal. Giocatori stanchi e mentalmente soddisfatti? Non si può giocare per tre anni consecutivi sempre al proprio meglio e questo è il modo in cui si verifica? Insofferenza verso un leader che li richiama sempre al valore del duro lavoro? Il maggior livello di classe della squadra di quest’anno ha portato a credere che si può vincere impegnandosi di meno? Solo Conte e la squadra lo possono sapere. Aspettando il Real Madrid.

Le ragioni per insegnare ai cani a salire sugli alberi

La ricerca del talento si è spesso basata su un’idea di base che può essere così riassunta: perchè insegnare a un cane a salire su un albero, quando le scimmie lo fanno così bene. Apparentemente il ragionamento non fa una grinza e di conseguenza gli scienziati si sono messi a ricercarle e a scartare i cani. Poi sono sorti i primi problemi, per cui ad esempio i lemuri pur trovandosi a loro agio sugli alberi sono troppo lenti, altre sono troppo indisciplinate e aggrediscono e così via . Nonostante queste limitazioni ancora oggi molti selezionano gli atleti/scimmie sulla base delle  caratteristiche fisiche e motorie che mostrano in un determinato momento. La natura ci porta però anche altri esempi che di solito non vengono considerati. La storia del bruco che diventa farfalla o quella del cigno che da giovane non è proprio uno splendore come lo è da adulto insegnano che l’apparenza, quindi come si è in un determinato momento dello sviluppo, può non corrispondere a come si diventerà.  Queste storie ci devono insegnare che la ricerca sul talento non si deve basare sulla semplice somma delle capacità possedute in un detereminato momento ma deve essere impostata su un tragitto a lungo termine, perchè non è detto che i più bravi a 14 anni lo saranno anche a 16. Impegno e dedizione sono due dimensioni che di solito non fanno parte delle dimensioni esaminate, ma sono considerate come le più importanti dagli atleti di alto livello, dovrebbero invece cominciare a essere prese in considerazione. L’altro aspetto decisivo per avere successo come atleta consiste nel valutare il grado di miglioramento di un giovane durante una stagione agonistica. Atleti inizialmente meno competenti possono giungere a gareggiare con quelli più bravi grazie a una maggiore disponibilità a imparare dall’allenamento. Per cui non scartiamo per definizione i cani, potrebbero riservarci sorprese interessanti.

Cambiare non è difficile ma ci vuole pazienza e applicazione

Imparare nuove abilità psicologiche per migliorare le proprie prestazioni non è difficile anzi è abbastanza facile. Nonostante sempre più atleti intraprendano la strada dell’allenamento mentale, molti dopo un breve periodo lo abbandonano pur continuando a pensare che vorrebbero essere più fiduciosi, più concentrati, più tenaci e così via. Ciò avviene perchè molti pensano che la preparazione psicologica sia qualcosa che si può imparare in qualche mese (pochi comunque) e che poi in modo spontaneo quando si andrà in gara si sarà mentalmente pronti. Infatti molti atleti hanno difficoltà a capire che la preparazione psicologica alla gara è una vera e propria forma di allenamento e che come avviene per l’allenamento fisico e quello tecnico che non hanno mai termine lo stesso vale per quello mentale. Significa che bisogna impegnarsi a migliorare mentalmente ogni giorno che si dedica al proprio sport, non ci possono essere scorciatoie.

L’allenamento degli adolescenti

Jacques Commeres è il secondo allenatore della nazionale francese di basket e introduce il tema dell’allenamento degli adolescenti al Congresso che si tiene all’INSEP di Parigi. Secondo questo l’allenatore il basket è uno sport che richiede disciplina e creatività. Evidenzia che oggi giovani sono diversi da quelli che lui ha conosciuto quando ha iniziato la sua carriera. Evidenzia che l’impazienza dei giovani e il loro bisogno di essere sempre connessi può essere un problema poichè per sviluppare e confermare quanto appreso in allenameno bisogna avere del tempo anche dopo l’allenamento. Personalmente, penso che i giovani degli anni ’80 erano più ribelli di quelli di oggi e l’educazione permissiva era già un sistema molto diffuso fra i genitori.  Sono d’accordo in relazione al problema che la rivoluzione tecnologica che li ha investiti riduce la loro capacità di prestare attenzione per lunghi periodi di tempo e che devono essere allenati a scuola come nello sport ad affrontare i compiti con un impegno costante nel tempo e a restare motivati nello svolgimento di quei compiti ripetitivi che sono presenti in ogni attività.

 

La pigrizia mentale del calcio

Il caso di  Mattia Destro giocatore della Roma che sta attraversando un periodo di tempo in cui non riesce a segnare mi sembra possa essere interpretato come un esempio della pigrizia mentale che è presente nei calciatori, negli allenatori e nei dirigenti. L’interpretazione generale di questo fenomeno è del tipo: “non importa, agli attaccanti capita di passare un periodo in cui non segnano, è capitato anche a Tizio, famoso attaccante che poi ha ricominciato a segnare”. Sono giustificazioni che vengono date solo nell’ambiente del calcio. Se mia figlia studiasse e poi prendesse dei brutti voti, non direi di certo “poi passa”. Se in un’azienda un giovane cominciasse a fare degli errori non si direbbe di certo “non importa è solo un blocco momentaneo”. Nel calcio invece questo avviene, ci si allena e poi non si gioca bene ma non importa prima o poi migliorerà. Nel calcio inoltre non c’è fretta di recuperare perchè tutti si aspettano che possa accadere da un momento all’altro. Domina quindi il pensiero magico per cui ogni istante può essere buono per ricominciare a segnare. E’ evidente che con questo approccio mentale mai nessuno penserà che potrebbe essere aiutato da un programma di allenamento mentale costruito proprio per lui, perchè non serve, mentre ciò che conta è coltivare l’illusione che si entra in campo e si farà goal e così tutto passa. Non bisogna inoltre dimenticare che questi giocatori guadagnano molti soldi per cui in ogni caso la loro vita continua a essere tranquilla anche per questa ragione. Se prendi brutti voti a scuola o se sbagli nel lavoro puoi venire bocciato o licenziato e forse per questo che le persone si danno molto più da fare per capire cosa devono fare per migliorare.

Rugby: Italia-All Blacks

Il rugby è impegno, avanzamento e aggressività e l’Italia ha fatto una delle sue più belle partite perché ha mostrato questo atteggiamento con continuità.  Il rugby è uno sport in cui non ci si può risparmiare, non si può tirare indietro la gamba, non ci si può isolare dal gioco, non si può all’ultimo momento passare la palla a un compagno perché si ha paura di sbagliare. I giocatori italiani oggi hanno fatto tutto questo, giocando con una intensità ottimale. Hanno perso, era scontato, lottando con intelligenza sino all’ultimo minuto.