Archivio per il tag 'crisi'

Ultimo avvertimento sulla crisi climatica

Scienziati:  ”ultimo avvertimento” sulla crisi climatica.

  • Crescenti emissioni di gas serra = mondo sull’orlo di danni irrevocabili, necessaria solo azione rapida e drastica.
  • Conoscenze crisi climatica: otto anni di lavoro, centinaia di scienziati, migliaia di pagine = unico messaggio, agire ora, o sarà troppo tardi.
  • Segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres:  ”Questo rapporto è una chiamata a gran voce per accelerare in modo massiccio gli sforzi per il clima da parte di ogni Paese, di ogni settore e in ogni momento. Il nostro mondo ha bisogno di un’azione per il clima su tutti i fronti: tutto, ovunque, in una volta sola”.
  • Il mondo è già devastato:. condizioni meteorologiche estreme causate dai cambiamenti climatici hanno provocato un aumento delle morti per l’intensificarsi delle ondate di calore in tutte le regioni, milioni di vite e case distrutte da siccità e inondazioni, milioni di persone che soffrono la fame e perdite sempre più irreversibili negli ecosistemi vitali.
  • L’ultimo capitolo di lunedì, chiamato rapporto di sintesi, sarà quasi certamente l’ultima valutazione di questo tipo finché il mondo avrà ancora la possibilità di limitare l’aumento della temperatura globale a 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali, la soglia oltre la quale i nostri danni al clima diventeranno rapidamente irreversibili
  • Kaisa Kosonen, esperta di clima di Greenpeace International: “Questo rapporto è sicuramente un ultimo avvertimento su 1,5C. Se i governi continueranno a seguire le politiche attuali, il budget rimanente per le emissioni di carbonio sarà esaurito prima del 2030″.
  • 3 miliardi di persone vivono già in aree “altamente vulnerabili” ai cambiamenti climatici e metà della popolazione mondiale soffre di una grave carenza d’acqua per almeno una parte dell’anno. Gli estremi climatici stanno “sempre più determinando lo sfollamento” di persone in Africa, Asia, Nord, Centro e Sud America e nel Pacifico meridionale.
  • Questi effetti sono destinati ad aumentare rapidamente.
  • Speranza di rimanere entro 1,5°C. Hoesung Lee ha dichiarato: “Questo rapporto di sintesi sottolinea l’urgenza di intraprendere azioni più ambiziose e dimostra che, se agiamo ora, possiamo ancora garantire un futuro sostenibile e vivibile per tutti”.
  • Guterres: i governi devono attuare azioni drastiche per ridurre le emissioni ,investire nelle energie rinnovabili e nelle tecnologie a bassa emissione di carbonio e raggiungere emissioni nette di gas serra pari a zero “il più vicino possibile al 2040″, senza aspettare la scadenza del 2050 che la maggior parte di essi ha sottoscritto.

Tennis, Badosa: +aspettative = -attenzione al gioco

Sembrava tutto pronto per l’ascesa definitiva di Paula Badosa nello stardom del tennis femminile, ma il 2022 che si prospettava essere l’annata della consacrazione è stato finora piuttosto deludente (l’ultima sconfitta ieri a Tokyo contro la 19enne cinese Qinwen Zheng). Un paradosso se si considera che Badosa ad un certo punto di questa stagione, precisamente dopo il torneo di Stoccarda, è diventata la numero due del mondo, una posizione mantenuta però soltanto due settimane. Come si è arrivati dal numero due del mondo all’ormai noto tweet di questa mattina di Badosa? “Non vinco nemmeno al parchìs“. Una frase forte per una tennista che attualmente è al numero otto del mondo che però sta vivendo una fase complicata a livello emozionale. Il riferimento al parchìs è tipicamente spagnolo, un gioco da tavolo con i dadi in cui quattro giocatori si sfidano per raggiungere un obiettivomolto famoso in Spagna e con qualche similitudine con il gioco dell’oca. Una metafora che tradisce la frustrazione di Badosa che nel tweet dopo ha ringraziato tutti per il supporto, aggiungendo che continuerà a lottare”.

Questa notizia mette in evidenza quanto sia sempre difficile ottenere risultati che corrispondano agli standard di risultato che un’atleta si è posta. A prima vista sembrerebbero situazioni più tipiche di un’età adolescenziale quando ancora non si conoscono bene le proprie qualità, invece si tratta di esperienze di atlete di livello mondiale assoluto. Infatti, La badessa no è l’unica a vivere queste crisi basti ricordare la Osaka o le difficoltà di molte altre top 10.

Un’indagine che ho condotto con Robert Nideffer e Jeff Bond (ex-direttore dell’Australian Institute of Sport) su atleti di livello mondiale assoluto ha mostrato che la differenza tra i vincitori di una medaglia olimpica e quelli che ne avevano vinte in numero maggiore, i cosiddetti, vincitori seriali consisteva essenzialmente nella maggiore capacità di questi ultimi di restare concentrati sul compito.

Questo risultato starebbe a indicare che i vincitori seriali non si fanno distrarre dalle loro aspettative e quelle del loro ambiente, pensano meno al risultato, sono meno influenzati dall’ambiente esterno e mostrano invece un focus totale su come performare al loro meglio. Altre indagini condotte prevalentemente in atletica hanno a loro volta mostrato che, per questi atleti, le ultime due ore che precedono la gara sono determinanti per attivare questa modalità attentiva.

La crisi di Juve e Inter

La crisi di una squadra si manifesta quando problemi di gioco e una ridotta coesione collettiva fra calciatori e allenatore si saldano insieme. Questo ha determinato l’ennesima pessima prestazione della Juventus con il Monza e la terza sconfitta dell’Inter in campionato.

Se il gioco subisce l’influenza negativa derivata dagli infortuni, dall’inserimento di nuovi acquisti, dall’appannamento dello stato di forma di qualche titolare la squadra non può produrre il gioco che vorrebbe. In queste situazioni ciò che deve sostenere il team è la coesione, l’unità d’intenti, il lavoro collettivo. In pratica, i calciatori devono interagire in campo allo scopo di mostrarsi uniti e fiduciosi delle proprie competenze di squadra anche se in quella fase non sono ottimali.  Napoleone era solito dire che vinceva le sue battaglie anche con i sogni dei suoi soldati e questa frase è una metafora efficace di cosa si debba intendere per efficacia collettiva.

Questa mentalità deve essere favorita dai comportamenti e dalle dichiarazioni dell’allenatore, che consapevole dei limiti del gioco, deve agire per suscitare la forza psicologica dei calciatori come squadra. Come dice bene Al Pacino nel film “Ogni maledetta domenica” nel ruolo dell’allenatore di una squadra in crisi: Perciò… o noi risorgiamo adesso, come collettivo, o saremo annientati individualmente”.

La  mia impressione è che Allegri e Inzaghi pensino troppo agli schemi, al gioco e meno a rendere propositivi i singoli e la squadra. La motivazione ad aiutarsi, a uscire dalle situazioni difficili e a volere andare avanti insieme, viene prima del gioco. Non ci si può nascondere dietro il pensiero, secondo cui perché i calciatori sono professionisti molto ben pagati dovrebbero sempre esprimersi al massimo o sapere come comportarsi nei momenti di nervosismo o di depressione. Non si può affermare come ha detto Allegri in relazione al percorso in Champions che la partita decisiva sarebbe stata quella in casa con il Benfica, vuol dire buttare sabbia nei delicati ingranaggi di una squadra. O restare perplessi, come ha detto Inzaghi, dopo la partita con l’Udinese. Sembrano avere perso la consapevolezza della condizione psicologica della squadra e dei singoli. Non sono i moduli di gioco di per se stessi a fare grande una squadra ma come questi sono interpretati. Come per un attore non è sufficiente avere imparato la parte a memoria, il suo successo dipenderà da come interpreterà il suo ruolo. Interpretare implica un forte coinvolgimento psicologico. E’ su questo che devono lavorare gli allenatori e, magari, potrebbero anche rendersi conto che lavorare con uno psicologo dello sport potrebbe essere loro di aiuto.

A rischio chiusura molte società sportive

I rincari dovuti alle bollette colpiscono anche lo sport, parte importante del mondo del lavoro. Riporto qui sotto l’intervento di Tiziano Pesce, presidente UISP

“Servono risorse vere e interventi concreti. Si superino le sperequazioni ancora esistenti e si accompagni la riforma legislativa”.

“Quello che lanciamo, dopo i nostri tanti appelli degli scorsi mesi, è un ulteriore, accorato, grido di allarme!
L’entusiasmo e la grande voglia di ripartire e praticare attività sportiva e fisica, che registriamo in questi giorni di settembre in tutto il Paese, si scontra con i sempre più difficili bilanci delle famiglie, con la sempre più pesante inflazione e con il caro bollette che colpisce duramente chi di gas, energia elettrica, gasolio da riscaldamento, è obbligato a farne un gran uso: le associazioni e le società sportive, gli enti di promozione, i circoli ricreativi, sono letteralmente allo stremo, a partire da chi gestisce, dopo gli enormi sacrifici patiti nel pieno dell’emergenza sanitaria, tra l’altro non ancora del tutto superata, spazi aggregativi, impianti sportivi, palestre e piscine.
I rincari delle forniture arrivano in questi giorni a registrare aumenti anche del 300-400%, percentuali tremende destinate ogni giorno a salire. Rincari assurdi, assolutamente non più sostenibili.
Chiediamo interventi mirati del Governo per non portare alla chiusura il mondo della promozione sportiva e sociale di base, con la cessazione dell’attività per decine e decine di migliaia di sodalizi, che, per milioni di cittadini e cittadine, di ogni età e condizione, rappresentano autentici presidi territoriali di sport per tutti, socialità, inclusione, educazione, promozione della salute, contrasto alle disuguaglianze e tanto altro.
Un ambito che, non dimentichiamolo, rappresenta anche un comparto occupazionale per centinaia di migliaia di persone.
I mesi freddi sono ormai alle porte, servono risorse vere, e non solo crediti d’imposta, di fatto inaccessibili alla maggior parte dei sodalizi, o sarà la fine.
Risorse, a partire dai prossimi decreti aiuti, e interventi strutturali concreti, che non lascino per strada nessuno, né le piccole associazioni e neppure i livelli territoriali degli Enti di promozione sportiva, quasi mai beneficiari dei ristori, torniamo a ribadirlo, seppur in molti territori siano gestori sociali di impiantistica sportivi di prossimità”.
Trovo interessante fare notare che se su questo tema si ricerca in italiano scrivendo “come ridurre consumi impianti sportivi” si trovano testi del 2020, quindi, pre-crisi. Se invece si scrive in inglese “Expensive energy affects sports clubs” si trovano solo testi del 2022. Non capisco la ragione di questa differenza ma la voglio condividere.

Idee per il nuovo anno sportivo

Ho ripreso lo scorso sabato l’attività di quella che considero la nuova stagione sportiva. Sono partito con tennis, tiro a volo, pallamano, la revisione di un articolo sull’insegnamento del calcio  ai bambini con autismo e la lettura di una decina di progetti tesi in fase di realizzazione. Non è stato un inizio soft ma mi sta fornendo un senso di normalità di lavoro, in un momento che ovviamente non è così. Come tutti convivo con questa percezione d’incertezza e con il non sapere cosa succederà nei prossimi mesi.

Il mio lavoro è piuttosto pianificato e senza questa pandemia sarebbe vario e interessante. Nel frattempo si fa “come se” dovesse procedere come previsto, con la consapevolezza che ci si deve preparare agli adattamenti e cambiamenti necessari in funzione di come la situazione sanitaria evolverà. Penso, ad esempio, al progetto “Calcio Insieme” con i nostri 80 giovani con autismo che giocano a calcio. Con la AS Roma e l’Accademia di calcio integrato ci stiamo organizzando per potere svolgere l’attività di allenamento nel rispetto delle norme e in sicurezza per tutti.

Il mio lavoro è con gli atleti adolescenti che aspirano all’eccellenza ma non sanno se raggiungeranno questi livelli prestativi e con gli atleti di livello assoluto che si preparano per affermarsi a livello internazionale. In larga parte, sono consapevoli della rilevanza della componente mentale della loro attività e sanno che devono impegnarsi anche in un lavoro psicologico, che non è certamente facile da fare. In un periodo di crisi come è l’attuale, il supporto psicologico diventa ancora più essenziale per imparare ad accettare le paure, l’ansia verso il futuro e le limitazioni richieste per garantire la propria salute e quella delle persone con cui si lavora quotidianamente.

Ho vissuto le loro paure durante il lockdown, quando lasciati da soli a casa, molti hanno rischiato di vivere nell’angoscia e di subire passivamente quel periodo. Il supporto psicologico svolto con loro è stato, a mio avviso, indispensabile per consentirgli di prendere in mano la loro vita anche in quei momenti così negativi. Ora le limitazioni si sono fortemente ridotte, ma le paure restano finché non avremo il vaccino. Lo psicologo resta l’unica persona con cui condividere queste preoccupazioni e per migliorare la resilienza e la fiducia.

Le nostre principali organizzazioni sportive, rispetto a quelle di altri paesi europei, non si sono occupate in modo evidente di queste problematiche e lo stesso vale per le organizzazioni degli psicologi dello sport. Non sono stati prodotti documenti condivisi e specifici e, quindi, la responsabilità è stata lasciata alle singole iniziative dei professionisti.

Che dire, mi auguro di realizzare insieme a tutte le persone con cui lavoro i progetti che abbiamo pianificato. Quello che è certo è che noi non molliamo mai, siamo stati e saremo sempre pronti a risolvere i problemi che si presenteranno. Il mio motto è: “una cosa fatta bene, può essere fatta meglio” (Gianni Agnelli).

In bocca al lupo a tutti gli ottimisti!!

La preparazione mentale nelle ultramaratone

  • Il prossimo 28 giugno centinaia di atleti parteciperanno alla 40^ edizione della Pistoia-Abetone. Ad attenderli ci sarà un duro percorso di 50 km. Possiamo dare qualche consiglio su come affrontare al meglio questa gara?

La pazienza è la prima qualità che deve dimostrare di possedere un ultra-maratoneta. All’inizio della gara ci si deve annoiare, nel senso che il ritmo della corsa deve essere facile ma non bisogna cadere nella tentazione di correre più veloce di quello che si è programmato.

  •  In una competizione così lunga sono inevitabili i momenti di crisi. Come è possibile superarli?

Nella corsa di lunga distanza le difficoltà sono inevitabili, quindi la domanda non è tanto “se ci troveremo in difficoltà” ma “quando verrà quel momento cosa devo fare per superarlo”. La risposta non può essere improvvisata in quel momento ma deve essere già pronta, poiché anche in allenamento avremo incontrato difficoltà di quel tipo. Quindi in allenamento: “come mi sono comportato, che cosa ho pensato, quali sensazioni sono andato a cercare dentro di me per uscire da una crisi?”. In gara abbiamo dentro di noi queste risposte, dobbiamo tirarle fuori. Ogni runner in quei momenti deve servirsi della propria esperienza, mettendo a fuoco le immagini e le emozioni che già in passato gli sono state utili.

  • Malgrado le difficoltà e i sacrifici per affrontare una gara di lunga distanza, il popolo dei maratoneti è in aumento. Come si spiega questa tendenza?

La corsa corrisponde a un profondo bisogno dell’essere umano. Infatti noi siamo geneticamente predisposti alla corsa di lunga distanza e più in generale si può affermare che il movimento è vita mentre la sedentarietà è una causa documentata di morte. Sotto questo punto di vista la corsa si è tramutata nelle migliaia di anni in attività necessaria per sopravvivere agli attacchi degli animali e per procacciarsi il cibo in un’attività che viene oggi svolta per piacere e soddisfazione personale. Inoltre, oggi come al tempo dei nostri antenati, la corsa è un fenomeno collettivo, è un’attività che si svolge insieme agli altri. Per l’homo sapiens era un’attività di squadra, svolta dai cacciatori per cacciare gli animali; ai nostri tempi la corsa soddisfa il bisogno di svolgere un’attività all’aria aperta insieme ai propri amici.

  •  Cosa non bisognerebbe mai fare a livello mentale in una competizione sportiva?

Non bisogna mai pensare al risultato ma concentrarsi nel caso della corsa sul proprio ritmo e sulla sensazioni fisiche nelle parti iniziali e finali della gara. Nella fase centrale è meglio avere pensieri non correlati al proprio corpo.

  •  Chi è per lei un campione?

Chiunque sia in grado di soddisfare i propri bisogni è il campione di se stesso e deve essere orgoglioso di avere raggiunto questo obiettivo personale. Quando invece ci riferiamo con questo termine ai top runner, i campioni sono quelli che riescono a mantenere stabili per un determinato periodo di tempo prestazioni che sono oggettivamente al limite superiore delle performance umane nella maratona e che in qualche occasione sono riusciti a superare.

  •  Nella sua esperienza di psicologo al seguito di atleti partecipanti alle Olimpiadi, c’è un ricordo o un aneddoto che le è rimasto nel cuore?

Prima di prove importanti i campioni provano le stesse emozioni di ogni altra persona. Spesso le percepiscono in maniera esagerata, per cui possono essere terrorizzati di quello che li aspetta. La differenza con gli altri atleti è che invece riescono a dominarle e a fornire prestazioni uniche. Ho vissuto questa esperienza per la prima volta ad Atlanta, 1996, in cui un atleta che poi vinse la medaglia d’argento, non voleva gareggiare in finale perché si sentiva stanco ed esausto. Questa stessa situazione l’ho incontrata in altre occasioni ma questi atleti sono sempre riusciti a esprimersi al loro meglio nonostante queste intense espressioni di paura.

  • Analizzando il panorama dell’atletica italiana, si ha la sensazione che i risultati migliori arrivino da atleti anagraficamente non così giovani come ad esempio negli anni Ottanta e che il vivaio di talenti stenti a decollare. Quale interpretazione possiamo dare di questo fenomeno e come evitare l’alta percentuale di drop-out sportivo nell’adolescenza?

Nel libro intitolato “Nati per correre” di A. Finn e dedicato agli atleti keniani vengono prese in considerazioni molte ipotesi sul loro successo emerge con chiarezza che la molla principale risiede nel loro desiderio di avere successo.

“Prendi mia figlia, ha aggiunto, è bravissima nella ginnastica, ma non credo farà la ginnasta. Probabilmente andrà all’università e diventerà medico. Ma un bambino keniano, che non fa altro che scendere al fiume per prendere l’acqua e correre a scuola, non ha molte alternative all’atletica. Certo anche gli altri fattori sono determinanti, ma la voglia di farcela e riscattarsi è la molla principale” (p.239).

  •  Si può affermare che la pratica di uno sport svolga un ruolo di prevenzione rispetto a disturbi mentali quali l’ansia e la depressione?

Lo sport e l’attività fisica promuovono il benessere se vengono svolte come attività del tempo libero e per il piacere di sentirsi impegnati in qualcosa che si vuole liberamente fare.  Al contrario quando vengono svolte allo scopo di fornire prestazioni specifiche possono determinare, come qualsiasi altra attività umana, difficoltà di ordine psicologico e fisico. Direi che vale anche per lo sport e l’attività fisica la stessa regola che è valida per qualsiasi attività umana. Il problema non proviene da cosa si fa: sport agonistico o ricreativo ma da come si fa: crescita e soddisfazione personale o ricerca del risultato a ogni costo e dagli obiettivi del contesto sociale e culturale nel quale queste attività vengono praticate: sviluppare la persona attraverso lo sport o vincere è l’unica cosa che conta.

(da Runners e benessere, Giugno 2015)

La mente nella ultramaratona: come allenarla a superare i momenti di crisi

Nell’ambito degli eventi organizzati in occasione della 100 km del Passatore  giovedì 21 maggio (ore 20.30), a Faenza la Galleria Comunale accoglierà un incontro su alimentazione e allenamento. L’incontro, promosso in collaborazione con la Iuta (Associazione italiana ultramaratona), prevede gli interventi di Luca Speciani, su “Dieta e prestazioni nello sportivo, in gara e fuori: il cambio di paradigma dell’alimentazione di segnale”, e di Alberto Cei, su “La mente nella ultramaratona: come allenarla a superare i momenti di crisi”.

Chi mi vuole incontrare potrà farlo durante questa serata.

La crisi di El Shaarawy

Continua la crisi di Stephan El Shaarawy che dopo una prima parte di stagione ottima, ha invece disputato un girone di ritorno sottotono e questa crisi sembra continuare anche in nazionale. Sono crisi abbastanza frequenti nei giovani atleti e futuri campioni, poichè non è per niente facile mantenere livelli di prestazioni elevati quando tutti si aspettano che sia così.

Molti atleti  provano questi stati d’animo e dovrebbero seguire un programma di preparazione psicologica per  allenarsi mentalmente a gestirli con efficacia. Mi auguro che Prandelli non sia uno di quegli allenatori che dice “non ti preoccupare, appena fai goal passa tutto”.

Le principali modalità di allenamento sono le seguenti:

  1. Rilassamento associato alla ripetizione mentale della propria prestazione – si tratta di sapersi rilassare scaricando le tensioni inutili e caricandosi con quelle che la favoriscono.
  2. Identificazione della condizione emotiva ottimale  –  Consente al giocatore di allenarsi a mettersi in quella condizione psicologica per lui ottimale, poiché è quella che ha sperimentato in passato in occasione delle sue prestazioni migliori.
  3. Simulazione della partita – Replicare le condizioni di gara in allenamento consente di migliorare le performance e di prepararsi ad affrontare le situazioni non previste che potrebbero accadere. Consiste, ad esempio, nel produrre in allenamento stimoli che possano distrarre l’atleta dalla esecuzione della sua prestazione.
  4. Accettazione dello stress agonistico – E’ essenziale accettare che il rivolgimento emotivo che si avverte prima delle partite è una reazione individuale necessaria, poiché mette in risalto il valore che si attribuisce a quell’evento sportivo. Infatti, senza la percezione di stress le gare sarebbero solo altri allenamenti. Invece, vengono svolte per provare a se stessi il proprio valore competitivo attraverso il confronto con gli altri.

La malattia delle panchine

Rischiamo che diventino 15 le squadre che cambiano allenatore. Questa situazione al di là delle intemperanze individuali mostra come il sistema di rapporti tra presidente, allenatore e squadra (per non allargarlo a procuratori, direttori sportivi, general manager) non funziona più. Ognuno dovrebbe fare un passo indietro e mettere da parte il proprio narcisismo. I calciatori dovrebbero giocare non solo per se stessi ma anche per l’allenatore, l’allenatore dovrebbe ascoltarli e lavorare per tenere unita la squadra, il presidente dovrebbe sostenere i suoi dipendenti con razionalità. E’ evidente che questo non avviene e allora si perdono le partite spesso per mancanza d’impegno, perchè non si vuole lottare. Così il calcio italiano affonda, non si migliora di certo cambiando 15 allenatori. Qualcuno lo pensa?