Archivio per il tag 'angoscia'

Idee per il nuovo anno sportivo

Ho ripreso lo scorso sabato l’attività di quella che considero la nuova stagione sportiva. Sono partito con tennis, tiro a volo, pallamano, la revisione di un articolo sull’insegnamento del calcio  ai bambini con autismo e la lettura di una decina di progetti tesi in fase di realizzazione. Non è stato un inizio soft ma mi sta fornendo un senso di normalità di lavoro, in un momento che ovviamente non è così. Come tutti convivo con questa percezione d’incertezza e con il non sapere cosa succederà nei prossimi mesi.

Il mio lavoro è piuttosto pianificato e senza questa pandemia sarebbe vario e interessante. Nel frattempo si fa “come se” dovesse procedere come previsto, con la consapevolezza che ci si deve preparare agli adattamenti e cambiamenti necessari in funzione di come la situazione sanitaria evolverà. Penso, ad esempio, al progetto “Calcio Insieme” con i nostri 80 giovani con autismo che giocano a calcio. Con la AS Roma e l’Accademia di calcio integrato ci stiamo organizzando per potere svolgere l’attività di allenamento nel rispetto delle norme e in sicurezza per tutti.

Il mio lavoro è con gli atleti adolescenti che aspirano all’eccellenza ma non sanno se raggiungeranno questi livelli prestativi e con gli atleti di livello assoluto che si preparano per affermarsi a livello internazionale. In larga parte, sono consapevoli della rilevanza della componente mentale della loro attività e sanno che devono impegnarsi anche in un lavoro psicologico, che non è certamente facile da fare. In un periodo di crisi come è l’attuale, il supporto psicologico diventa ancora più essenziale per imparare ad accettare le paure, l’ansia verso il futuro e le limitazioni richieste per garantire la propria salute e quella delle persone con cui si lavora quotidianamente.

Ho vissuto le loro paure durante il lockdown, quando lasciati da soli a casa, molti hanno rischiato di vivere nell’angoscia e di subire passivamente quel periodo. Il supporto psicologico svolto con loro è stato, a mio avviso, indispensabile per consentirgli di prendere in mano la loro vita anche in quei momenti così negativi. Ora le limitazioni si sono fortemente ridotte, ma le paure restano finché non avremo il vaccino. Lo psicologo resta l’unica persona con cui condividere queste preoccupazioni e per migliorare la resilienza e la fiducia.

Le nostre principali organizzazioni sportive, rispetto a quelle di altri paesi europei, non si sono occupate in modo evidente di queste problematiche e lo stesso vale per le organizzazioni degli psicologi dello sport. Non sono stati prodotti documenti condivisi e specifici e, quindi, la responsabilità è stata lasciata alle singole iniziative dei professionisti.

Che dire, mi auguro di realizzare insieme a tutte le persone con cui lavoro i progetti che abbiamo pianificato. Quello che è certo è che noi non molliamo mai, siamo stati e saremo sempre pronti a risolvere i problemi che si presenteranno. Il mio motto è: “una cosa fatta bene, può essere fatta meglio” (Gianni Agnelli).

In bocca al lupo a tutti gli ottimisti!!

La mentalità di chi non rispetta le regole

“Finché respiro spero” diceva Cicerone, oggi lo potremmo tradurre in “finché c’è vita c’è speranza”, più brutale ma altrettanto vero. Il coronavirus colpisce proprio questa capacità che è alla base dei bisogni fisiologici e psicologici degli esseri viventi.  Si può non bere o mangiare per qualche giorno, ma non si può fare a meno di respirare neanche per qualche minuto se non siamo un campione di apnea subacquea. Una respirazione corretta è alla base dell’auto-controllo e gli stress della nostra vita quotidiana determinano come primo effetto negativo proprio problemi di respirazione. La paura ci fa bloccare il fiato, la rabbia  l’altera per permetterci di urlare contro qualcuno, la tristezza la riduce a un filo d’aria che entra ed esce e l’ansia ci fa respirare in modo affannoso e superficiale. Il respiro riflette il nostro livello di forma fisica e di benessere e uno degli effetti di questo nuovo virus è di bloccarlo e di rendere necessario in molti casi la respirazione assistita, pena la morte. Mario Garattini, fondatore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, ha detto che “tutto dipenderà da noi, dalla nostra capacità di evitare il contagio. Atteniamoci alle disposizioni. Se tutti avessero stili di vita adeguati e ci fosse un’adeguata prevenzione, forse saremmo più resistenti”.

Questa consapevolezza, associata alla diffusione mondiale del coronavirus e ai suoi effetti devastanti dovrebbe avere sufficientemente terrorizzato le persone da non farle più uscire di casa, motivandole a seguire le regole che sono state diffuse e le cui attuazione è obbligatoria. Ciò nonostante migliaia di persone hanno continuato a viaggiare lungo tutto il paese e la polizia ha multato più di 2000 persone per violazione alle norme restrittive del decreto governativo. Quali le ragioni di questi comportamenti? Superficialità, approccio troppo positivo al problema, angoscia e scarsa abitudine a seguire le regole. La superficialità è una specie di pensiero magico, in cui si pensa che il corona virus sia un problema che riguarda altri, ad esempio anziani e malati, è un modo per proteggersi da sentimenti di tristezza nel breve periodo. Queste persone negano l’esistenza del problema e, quindi, mettono in atto dei comportamenti di fuga dalla loro realtà. Un secondo tipo di atteggiamento è delle persone che hanno un approccio non mediato dalla realtà e che è troppo positivo, come ad esempio chi pensava all’inizio della diffusione che era poco più che un’influenza. Sono individui che vivono nell’illusione di soluzioni positive a breve termine. Un po’ come chi inizia una dieta o vuole smettere di fumare ed è fiducioso di riuscirci solo per il fatto di avere preso questa decisione, sono forme di pensiero illusorio per cui ai primi ostacoli le persone rinunciano a seguire le nuove regole che si sono date perché è troppo difficile. Nel caso del coronavirus il problema si manifesta nella difficoltà a mantenere le regole del distanziamento fisico dalle altre persone e quindi si esce, si fa una passeggiata in compagnia e si porta i figli a giocare ai giardini. Simile negli effetti ma diverso nelle ragioni è l’approccio di chi prova angoscia nel restare a casa, si percepisce come prigioniero, si sente leso nelle sue libertà di movimento e vive questa condizione in modo claustrofobico. Per superarla trova l’unica soluzione nell’uscire fuori. Infine, vi sono coloro che vivono in modo reattivo alle regole, hanno un atteggiamento da eterni adolescenti in lotta contro le norme del mondo degli adulti. Hanno difficoltà a fare proprie le regole, che in questo caso sono obbligatorie, e a sviluppare un concetto pluralistico della convivenza sociale basata non solo sui propri diritti ma anche sui doveri nei riguardi della collettività.

Queste sono alcune possibili interpretazioni di comportamenti che in un periodo di crisi mondiale come quello che stiamo vivendo e di sconvolgimento della nostra quotidianità possono spiegare le azioni dei molti che sembrano non volersi adattare alle nuove regole.

Come battere l’angoscia del coronavirus

In questo periodo ci stiamo allenando a gestire la nostra angoscia.

L’angoscia non riguarda nulla di determinato, non ha un oggetto preciso su sui dirigersi. La paura è sempre rivolta verso una situazione che spaventa o preoccupa e che si può affrontare con un processo logico e razionale.

L’angoscia si riferisce a uno stato d’animo che isola l’individuo dal mondo e ci rende preda della nostra insicurezza profonda. L’angoscia esistenziale è il timore di non riuscire a vivere pienamente ciò che per cui ci sta impegnando, perché non vi è alcuna garanzia per sostenere che in virtù delle nostre capacità saremo felici. Bisogna provare e riprovare ancora ma senza sapere se sarà sufficiente il nostro impegno. Il coronavirus genera queste stesse condizioni psicologiche, faccio tutto ciò  che serve per prevenire il virus ma non so se sarà sufficiente e nessuno lo può dire sino a quando non sarà vinta questa guerra con il virus.

Bisogna attendere con pazienza, quindi sviluppare  quella disposizione d’animo di chi accetta e sopporta con moderazione un dolore o un’avversità (Treccani). E’ paziente chi segue le regole imposte dal governo per eliminare i rischi di contagio; poiché la regola è una “norma, ritenuta valida in ogni situazione e vincolante, formulata con un processo logico di astrazione sulla base della tradizione e dell’esperienza (Treccani). Queste vanno seguite con convinzione che corrisponde alla ferma certezza morale o intellettuale, specialmente se è stata acquisita superando dubbi e ragioni contrastanti.

In breve, battiamo la nostra angoscia seguendo regole con pazienza e convinzione.

L’angoscia competitiva

Sul tema “vincere è l’unica cosa che conta” si è detto molto parlando dei giovani atleti che giustamente non devono essere oppressi dall’idea del risultato, mentre si dovrebbero concentrare sul fare del loro meglio. Penso invece che sia stato poco discusso in relazione allo sport agonistico di livello assoluto e in riferimento a quel numero limitato ma sotto gli occhi di tutti rappresentato dagli atleti fortissimi. Gli americani nel loro pragmatismo hanno coniato la frase: “from hero to zero” per identificare quella linea sottile su cui si muovono questi atleti che hanno l’obbligo di vincere. Gli atleti conoscono bene questa regola del gioco e per quanto siano talentuosi e vincenti sanno di non potere corrispondere a queste aspettative che li vorrebbe sempre sul podio, belli e sorridenti. E’ per questa pressione con cui devono convivere che improvvisamente emergono le loro debolezze, quelle della Pellegrini con gli attacchi di ansia, quelle dell’Inter in cui si è inceppato quel sistema di collaborazione in campo che ha permesso i risultati della scorsa stagione e molti altri. L’antidoto più semplice a cui ricorrere è quello illegale, il doping e l’abuso di farmaci. L’antidoto ecologico è vivere in un ambiente sociale (famiglia e amici) comprensivo e affettivo. Può non bastare, perchè l’atleta deve imparare a vivere con questa angoscia esistenziale, che si può chiamare angoscia competitiva, che consiste nel sapere che non sempre si può corrispondere alle proprie aspettative e a quelle degli altri. Bisogna imparare di più a accettare i propri limiti, soprattutto chi è impegnato a allargarli sempre di più. Come diceva Sartre bisogna volere tutto sapendo di non poterlo raggiungere.