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Perchè i buoni propositi d’inizio anno falliscono

I primi giorni dell’anno sono generalmente quelli in cui le persone esprimono buoni propositi per cambiare Di solito si vuole diventare fisicamente più attivi, seguire una dieta, avere più tempo e prendersi cura di se stessi, ridurre gli stress della vita quotidiana e così via.

Molti di questi progetti restano a livello di intenzione senza tradursi mai in pratica, altri invece vengono portati avanti per un po’ di tempo e pochi sono quelli che diventano parte della vita quotidiana, modificandola in modo positivo e duraturo. Questi ultimi sono condotti da persone che sono riuscite a trasformare il proprio disagio attraverso azioni da cui traggono piacere, magari hanno scelto anche attività che sentono vicine al proprio carattere e in cui si sentono sostenuti dal partner, in famiglia e dagli amici. Quando si realizza questa sintonia è molto più probabile che i progetti di cambiamento vadano a buon fine e modifichino in modo stabile il proprio stile di vita.

Al contrario in assenza di questa combinazione di fattori, le attività che conducono al cambiamento sono percepite come noiose o troppo faticose, il piacere è del tutto assente e le persone si sentono obbligate a seguire quanto viene detto loro, come se si trattasse di seguire una cura medica. E’ piuttosto ovvio che di fronte ai primi ostacoli queste persone abbandonino i loro progetti iniziali.

In sostanza, prima di buttarsi in nuovi progetti è necessario essere consapevoli di quali siano le attività nuove e più positive che potrebbero produrre un sensazione di piacere e di ciò che serve per produrre su se stessi un impatto emotivamente positivo. Infine, non bisogna mai dimenticarsi di avere dei validi sostenitori durante la realizzazione di questo cambiamento.

Fotografia Di Messa A Fuoco Selettiva Della Persona Che Tiene L'avventura Inizia La Tazza

Juventus vittima di se stessa

La Juventus con il Milan aveva l’opportunità di chiudere il campionato. Non c’è riuscita, anche se in vantaggio 2-0. Ha perso 4-2.

La Juventus si danneggia da sola, anche se le avversarie  s’impegnano al massimo per ottenere un successo.  Sono così forti e cinici da non attribuire importanza a questi risultati dati vantaggio in classifica. Non credo.

La questione a mio avviso è semplice: 8 campionato vinti consecutivi determinano convinzioni, aspettative e motivazioni. La cultura di questa squadra, la porta a essere convinta che alla fine il campionato sarà e, quindi, a correre questi rischi per una tendenza dei giocatori e dell’allenatore a non dargli peso per il futuro. Ovviamente i calciatori vivono le loro emozioni e oggi non possono essere soddisfatti.

A mio avviso devono cambiare questo modo di vivere il campionato. Sarri dice che hanno giocato molto bene per 60 minuti, ma se poi ti spegni, gli altri ne approfittano e ti mettono sotto. Tra ottimo e scarso devono trovare una soluzione, altrimenti scenderanno in campo sempre con questo approccio che in ogni singola partita può essere causa di continui problemi.

Le aspettative di vincere comunque la partita, anche con questi blocchi mentali, sono un killer della prestazione, perchè si pensa che si vincerà senza fare quello che serve per vincere.

Come il pensare in positivo può distruggere le proprie prestazioni

Quante volte abbiamo sentito dire che bisogna essere ottimisti, che bisogna crederci che si può vincere, o che “con tutto quello che hai fatto ti meriti proprio di raggiungere un grande risultato”.

Apparentemente non c’è nulla di sbagliato a pensare in questo modo , “è così che ci si carica” dicono in molti. Dicono anche “che dovrei dirgli: di perdere? Nessuno entra su un campo per uscirne sconfitto e, quindi, si deve iniziare la gara con la volontà di vincerla, perché se neanche lo pensi come farai a ottenerla?”.

Insomma, “pensa in positivo e vedrai che accadrà quello che vuoi”.

Ebbene tutti questi bei pensieri sono sicuramente inutili e possono diventare dannosi, poiché alle prime difficoltà ed errori durante la gara, l’atleta non sarà pronto a reagire immediatamente poiché si aspetta di vincere, è cioè focalizzato sul risultato e non su quello che deve fare per ottenerlo.

“Ero pronto … e poi le cose non sono andate come avevo previsto”. Queste sono spesso le parole di chi entra con un atteggiamento troppo fiducioso e poi al termine della prestazione attribuisce a qualcosa fuori di sé il risultato, senza assumersi la responsabilità di quanto è successo.

Questi pensieri, che rappresentano le aspettative dell’atleta sulla sua gara, possono realmente considerarsi come i killer della prestazione. Sono stupiti dai loro stessi errori e dalle difficoltà che incontrano in gara e non si sono preparati un piano per reagire efficacemente a queste situazioni.

Dybala nella trappola delle aspettative

Le aspettative sono il principale killer della fiducia di un atleta, ci si aspetta di giocare al meglio grazie al proprio talento e all’allenamento, niente di più sbagliato, non basta. Probabilmente Paulo Dybala sembra essere caduto in questa trappola. Possiede tutte le qualità necessarie per diventare uno dei migliori calciatori al mondo, poi la pressione di doverlo dimostrare sul campo lo sta rovinando. E’ un errore tipico di molti atleti di livello assoluto, si caricano sulle spalle questa inutile pressione e non riescono più a gareggiare al loro meglio. Anche il Brasile ai campionati del mondo di calcio di Rio si aspettava di vincere, invece la squadra crollò sotto l’incapacità di gestire questa pressione o Andy Murray sinora ha vinto molto meno rispetto alle sue possibilità reali ma ha dovuto lottare a lungo per imparare a togliersi dalle spalle le sue aspettative e quelle di un’intera nazione che dopo tanti anni aveva finalmente trovato un campione nel tennis.

L’aspettativa di vincere, di segnare una rete o di sapere guidare una squadra sono certamente importanti, nessuno entra in campo per perdere o giocare male. Non bisogna però confondere queste convinzioni, che vanno lasciate nello spogliatoio, con i comportamenti reali che bisogna mettere in gioco per realizzarle. Le aspettative possono essere anche estremamente positive ma si deve saperle tradurre in obiettivi di gioco e comportamenti agonistici. Questo determina la differenza fra chi sul campo è affidabile e chi invece vive di fantasie che se stesso e gli altri (sponsor, allenatore, squadra, famiglia, procuratore) determinano.

Le attuali strategie di gestione dello stress agonistico hanno proprio lo scopo d’insegnare agli atleti a stabilire quali sono i processi mentali che determinano l’affermarsi sul campo di un tipo di concentrazione orientata a manifestare i comportamenti di gioco più efficaci per raggiungere gli obiettivi che ci si è proposti. Possedere talento può essere un ostacolo a sviluppare questa condizione di prontezza psicofisica, perché si può ritenere che le proprie doti saranno sufficienti. Quando ciò avviene la caduta è ancora più dura, poiché cresce il rischio di mettere in dubbio le proprie capacità, entrando in un spirale negativa che di partita in partita può condurre a isolarsi, a sentirsi incompresi e ad aspettarsi che a un certo punto la buona stella tornerà per incanto a brillare. Questo circolo vizioso va bloccato e l’atleta dovrebbe farsi aiutare da un professionista per stabilire obiettivi concreti e impegnativi da raggiungere e identificare i comportamenti necessari al loro raggiungimento. Per Dybala questo momento di difficoltà potrebbe così trasformarsi in una importante opportunità di sviluppo personale e di crescita verso il raggiungimento di una consapevole maturità sportiva e umana.

Roma: troppa autostima e troppe aspettative

Credo che il problema della Roma, oltre la bravura del Bayern sia così sintetizzabile: talvolta basta solo  ridurre  le aspettative per evitare delusioni inutili.

Gianni Mura ha espresso su Repubblica lo stesso concetto con altre parole: “Ma se l’autostima era cresciuta dopo la buona partita a Manchester, forse troppo cresciuta, ora si tratta di rimettere insieme i cocci e di ritrovare il gioco ma anche il carattere perduto”.

Imparare a gestire le emozioni

Il tennis è uno sport che richiede continuamente un elevato controllo emotivo da parte del giocatore. Questa richiesta non riguarda solo i professionisti ma anche gli stessi bambini. Infatti è purtroppo un’esperienza molto comune vedere ragazzini tra 11-14 anni che dopo un errore cominciamo a parlarsi contro e ad avere comportamenti di rabbia/delusione. Già così giovani hanno difficoltà ad accettare i loro errori. Ignorano che l’apprendimento è in funzione della loro abilità di gestire le loro emozioni. I genitori sono spesso pessimisti a riguardo della possibilità dei loro figli di cambiare, perchè sono convinti “che si nasce così” e poi loro ci hanno provato a dirgli di non reagire in quel modo ma non hanno ottenuto alcun cambiamento a riprova ch è proprio questione di carattere. Per fortuna non tutti la pensano in questa maniera e in tutto il mondo sono attivi programmi per contrastare questo fenomeno a partire dalla scuola. Lo sport, e il tennis in questo caso, rappresentano un’importante situazione in cui i giovani possono imparare a gestire in maniera efficace le loro emozioni ed è un modo indiretto per insegnare ai genitori che si tratta di una competenza psicologica che può essere migliorata così come s’imparano i fondamentali del tennis e poi li si mette insieme per costruire il proprio gioco. Certamente i genitori devono sostenere l’attività dei propri figli non creandosi delle aspettative sul loro futuro tennistico ma sostenendo la loro motivazione a divertirsi attraverso lo sport. E’ molto difficile però che svolgano questo ruolo in questa maniera, perchè la vanità personale li porta a credere che il loro figlio possa diventare un campione. Come si fa ad accettare di portarlo a giocare tennis 3/4 volte la settimana, vederlo insultarsi dopo i primi errori e continuare a dire “ma gli piace tanto il tennis”. Non si può fare finta di niente, pensando che prima o poi passa. Invece non passa! A chi la pensa in questo modo consiglio di leggere il Edutopia, il cui scopo d’insegnare ai bambini e agli adolescenti a migliorare la gestione delle loro emozioni e delle relazioni sociali. In Italia ho scritto tempo fa di un programma analogo nato da una ricerca Dove, che promuoverà in 10 scuole secondarie di primo grado di Milano, un ciclo di 4 incontri, riservati a ragazze e ragazzi tra i 12 e i 14 anni.

Gianluigi Quinzi: sogni pure ma lavori duramente

Gianluigi Quinzi ha appena vinto il torneo juniores di Wimbledon. Si trova in una posizione invidiabile (ha vinto il torneo più prestigioso e solo un altro italiano vi è riuscito in passato) ma si trova sul baratro di aspettative personali e di pressioni  dell’ambiente esterno estremamente forti. Riuscirà nell’impresa? Nessuno può saperlo, ma se riuscirà a gestire con efficacia questa incertezza e si allenerà duramente allora avrà acquisito una tale forza mentale che il futuro potrebbe essergli amico.

La crisi di El Shaarawy

Continua la crisi di Stephan El Shaarawy che dopo una prima parte di stagione ottima, ha invece disputato un girone di ritorno sottotono e questa crisi sembra continuare anche in nazionale. Sono crisi abbastanza frequenti nei giovani atleti e futuri campioni, poichè non è per niente facile mantenere livelli di prestazioni elevati quando tutti si aspettano che sia così.

Molti atleti  provano questi stati d’animo e dovrebbero seguire un programma di preparazione psicologica per  allenarsi mentalmente a gestirli con efficacia. Mi auguro che Prandelli non sia uno di quegli allenatori che dice “non ti preoccupare, appena fai goal passa tutto”.

Le principali modalità di allenamento sono le seguenti:

  1. Rilassamento associato alla ripetizione mentale della propria prestazione – si tratta di sapersi rilassare scaricando le tensioni inutili e caricandosi con quelle che la favoriscono.
  2. Identificazione della condizione emotiva ottimale  –  Consente al giocatore di allenarsi a mettersi in quella condizione psicologica per lui ottimale, poiché è quella che ha sperimentato in passato in occasione delle sue prestazioni migliori.
  3. Simulazione della partita – Replicare le condizioni di gara in allenamento consente di migliorare le performance e di prepararsi ad affrontare le situazioni non previste che potrebbero accadere. Consiste, ad esempio, nel produrre in allenamento stimoli che possano distrarre l’atleta dalla esecuzione della sua prestazione.
  4. Accettazione dello stress agonistico – E’ essenziale accettare che il rivolgimento emotivo che si avverte prima delle partite è una reazione individuale necessaria, poiché mette in risalto il valore che si attribuisce a quell’evento sportivo. Infatti, senza la percezione di stress le gare sarebbero solo altri allenamenti. Invece, vengono svolte per provare a se stessi il proprio valore competitivo attraverso il confronto con gli altri.

Le aspettative uccidono la prestazione

Aspettarsi di fare una grande prestazione è ciò che di peggio possa pensare un atleta. Le aspettative devono essere parte dell’autocontrollo che un atleta deve avere su se stesso.  L’unica aspettativa consentita è di sapere che bisogna impegnarsi al massimo ma quando si comincia si deve mettere da parte ogni idea di risultato e lottare in ogni istante della gara, passo dopo passo, tiro dopo tiro, centimetro dopo centimetro, secondo dopo secondo. Non c’è null’altro oltre questo e chi non è allenato a questo resta indietro.

Gestire le aspettative è molto difficile

Più si diventa bravi in qualche campo, più bisogna sapere gestire le proprie aspettative che tendono a crescere in modo poco realistico. Ad esempio, si comincia a pensare che non si commetteranno più errori e a quel punto per presunzione si comincia a prestare meno attenzione a quello che si deve fare, perché “tanto lo so fare.” L’effetto di questo atteggiamento è che si compie un errore, non lo si accetta e a questo punto se ne fa un altro, che si accetta ancora meno, quasi fosse un’ingiustizia e giù per questa china sino a quando non si capisce e con umiltà si ritorna indietro.