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La generazione ansiosa

A partire dal 2010 i disturbi mentali dei giovani sono aumentati in modo incredibile. Ansia e depressione riguardano attualmente più del 20% degli adolescenti. Jonathan Haidt ha trattato questo tema nel suo libro in uscita proprio in questi giorni, e che presenta in questo modo:

“Nell’estate del 2022, stavo lavorando a un progetto di libro – La vita dopo Babele: Adattarsi a un mondo che non possiamo più condividere – riguardante come gli smartphone e i social media hanno riconfigurato molte società negli anni 2010, creando condizioni che amplificano le note debolezze della democrazia.

Il primo capitolo trattava dell’impatto dei social media sui ragazzi, che erano i “canarini nella miniera”, rivelando segnali precoci che qualcosa non andava per il verso giusto. Quando le vite sociali degli adolescenti si sono spostate su smartphone e piattaforme di social media, ansia e depressione sono aumentate tra di loro. Il resto del libro sarebbe stato incentrato su ciò che i social media avevano fatto alle democrazie liberali.

Mi sono reso rapidamente conto che il rapido declino della salute mentale degli adolescenti non poteva essere spiegato in un solo capitolo – aveva bisogno di un libro tutto suo. Quindi, “La Generazione Ansiosa” è il Volume 1, in un certo senso, del più ampio progetto Babele.

Inizio “La Generazione Ansiosa” esaminando le tendenze della salute mentale degli adolescenti. Cosa è successo ai giovani nei primi anni 2010 che ha scatenato l’impennata di ansia e depressione intorno al 2012?”.

Percent of U.S. undergraduates with different mental illness, 2008-2019

Cosa è successo ai giovani nei primi anni del 2010?

La Generazione Ansiosa offre una spiegazione raccontando due storie. La prima riguarda il declino dell’infanzia basata sul gioco, che è iniziato negli anni ’80 e si è accelerato negli anni ’90. Tutti i mammiferi hanno bisogno di gioco libero, e tanto, per cablare i loro cervelli durante l’infanzia e prepararli per l’età adulta. Ma molti genitori nei paesi anglofoni hanno iniziato a ridurre l’accesso dei bambini al gioco libero non supervisionato all’aperto a causa delle paure alimentate dai media per la loro sicurezza, anche se il “mondo reale” stava diventando sempre più sicuro negli anni ’90.

La perdita del gioco libero e l’aumento della supervisione continua degli adulti hanno privato i bambini di ciò di cui avevano più bisogno per superare le normali paure e ansie dell’infanzia: la possibilità di esplorare, testare ed espandere i loro limiti, costruire amicizie strette attraverso avventure condivise e imparare a valutare i rischi da soli.

La seconda storia riguarda l’ascesa dell’infanzia basata sul telefono, che è iniziata alla fine degli anni 2000 e si è accelerata nei primi anni del 2010. Questo è stato precisamente il periodo durante il quale gli adolescenti hanno scambiato i loro telefoni a conchiglia con gli smartphone, che erano carichi di piattaforme di social media supportate dalla nuova connessione internet ad alta velocità e piani dati illimitati.

La convergenza di queste due storie negli anni tra il 2010 e il 2015 è ciò che io chiamo la “Grande Riconfigurazione dell’Infanzia”. In pochi di noi capivano cosa stava accadendo nei mondi virtuali dei bambini e ci mancava la conoscenza per proteggerli dalle aziende tecnologiche che avevano progettato i loro prodotti per essere dipendenti.

Per questo motivo, abbiamo finito per proteggere eccessivamente i bambini nel mondo reale mentre li abbiamo sotto-proteggiti nel mondo virtuale.

Come l’ansia aiuta a diventare più resilienti?

L’ansia è spesso percepita come un’emozione negativa, ma in certi contesti può contribuire alla crescita personale e alla resilienza. Ecco alcuni modi in cui l’ansia potrebbe essere correlata alla resilienza:

  1. Sensibilizzazione al pericolo - L’ansia può rendere una persona più consapevole e attenta ai potenziali pericoli. Questa iperattivazione può essere utile in situazioni in cui è necessario reagire rapidamente e adattarsi a nuove circostanze.
  2. Miglioramento delle prestazioni - In alcune circostanze, un livello moderato di ansia può migliorare le prestazioni. L’ansia può fungere da stimolo per affrontare sfide e compiti, spingendo le persone a dare il massimo di sé stesse per superare le difficoltà.
  3. Sviluppo di strategie di coping -L’esperienza dell’ansia può portare le persone a sviluppare strategie di coping più efficaci. Queste strategie possono includere l’apprendimento di tecniche di gestione dello stress, il potenziamento delle abilità di problem solving e l’adozione di atteggiamenti più positivi di fronte alle sfide.
  4. Aumento della consapevolezza emotiva - L’ansia può rendere le persone più consapevoli delle proprie emozioni e delle situazioni stressanti. Questa consapevolezza può essere un passo importante verso la gestione emotiva e la costruzione della resilienza.
  5. Sviluppo di adattabilità - L’ansia può essere associata a esperienze di incertezza. Attraverso la gestione di tali situazioni, le persone possono sviluppare una maggiore flessibilità e adattabilità, due caratteristiche chiave della resilienza.

Tuttavia, è importante sottolineare che non tutte le persone rispondono alla stessa maniera all’ansia, e un eccesso di ansia può avere effetti negativi sulla salute mentale e fisica. La chiave è trovare un equilibrio sano e imparare a gestire l’ansia in modo costruttivo. L’aiuto di professionisti della salute mentale può essere prezioso per sviluppare strategie di coping adeguate e migliorare la resilienza.

In che modo l’ansia aumenta la resilienza?

L’ansia è spesso percepita come un’emozione negativa, ma in certi contesti può contribuire alla crescita personale e alla resilienza. Ecco alcuni modi in cui l’ansia potrebbe essere correlata alla resilienza:

  1. Sensibilizzazione al pericolo: L’ansia può rendere una persona più consapevole e attenta ai potenziali pericoli. Questa iperattivazione può essere utile in situazioni in cui è necessario reagire rapidamente e adattarsi a nuove circostanze.
  2. Miglioramento delle prestazioni: In alcune circostanze, un livello moderato di ansia può migliorare le prestazioni. L’ansia può fungere da stimolo per affrontare sfide e compiti, spingendo le persone a dare il massimo di sé stesse per superare le difficoltà.
  3. Sviluppo di strategie di coping: L’esperienza dell’ansia può portare le persone a sviluppare strategie di coping più efficaci. Queste strategie possono includere l’apprendimento di tecniche di gestione dello stress, il potenziamento delle abilità di problem solving e l’adozione di atteggiamenti più positivi di fronte alle sfide.
  4. Aumento della consapevolezza emotiva: L’ansia può rendere le persone più consapevoli delle proprie emozioni e delle situazioni stressanti. Questa consapevolezza può essere un passo importante verso la gestione emotiva e la costruzione della resilienza.
  5. Sviluppo di adattabilità: L’ansia può essere associata a esperienze di incertezza. Attraverso la gestione di tali situazioni, le persone possono sviluppare una maggiore flessibilità e adattabilità, due caratteristiche chiave della resilienza.

Tuttavia, è importante sottolineare che non tutte le persone rispondono alla stessa maniera all’ansia, e un eccesso di ansia può avere effetti negativi sulla salute mentale e fisica. La chiave è trovare un equilibrio sano e imparare a gestire l’ansia in modo costruttivo. L’aiuto di professionisti della salute mentale può essere prezioso per sviluppare strategie di coping adeguate e migliorare la resilienza.

La lunga affermazione dell’ansia nei giovani

In questi ultimi anni dall’inizio si sente dire e si legge che l’ansia è particolarmente aumentata nei giovani e si tende a spiegare questo fenomeno come effetto dell’isolamento dovuto alla pandemia, all’uso ossessivo dei social e all’incapacità educativa della scuola e delle famiglie.  I dati delle ricerche lo hanno messo in evidenza ma vorrei sottolineare che questo aumento appartiene comunque a un tendenza dell’incremento dei fenomeni psicopatologici nei giovani che è in crescita da molto prima.

Infatti se negli anni Settanta e Ottanta era opinione diffusa tra gli psicologi ritenere, sulla base dei dati di ricerca di quegli anni, che gli atleti di alto livello riuscissero a raggiungere i risultati che si erano prefissati perchè erano psicologicamente maturi, avevano personalità stabili e la loro crescita era stata seguita con attenzione [Botterill 1980], nel tempo questa opinione si è rilevata troppo semplicistica. La realtà si è rivelata molto più complessa, poiché da un lato i dati attuali sembrerebbero confermare le riflessioni effettuate quarant’anni fa, per cui gli atleti tendono a essere, maggiormente estroversi e coscienziosi rispetto ai non atleti.

Nel contempo fenomeni di distress come l’ansia e la depressione sono stati psicologici sperimentati anche di frequente dagli atleti di ogni livello e la pubblicazione di molte autobiografie in cui campioni dello sport raccontano i loro buchi neri è una prova evidente del desiderio di voler esorcizzare attraverso il racconto della propria vita sportiva le paure e il disagio psicologico vissuto sulla propria pelle.

D’altra parte analizzando il periodo 1938-2007 emerge che almeno negli Stati Uniti fra i giovani che frequentano la scuola superiore e il college i disturbi psicopatologici sono notevolmente aumentati, da sei a otto volte [Twenge et al. 2009]. Inoltre, in poco più di 10 anni, nel periodo 2005-2017 i punteggi di depressione sono aumentati del 52% fra gli adolescenti di 12-17 anni, passando dall’8,7 % al 13,2%, e del 63% fra i giovani adulti di 18-25 anni, passando dall’8,1% al 13,2% [Twenge et al. 2019].

Questi risultati suggeriscono che la salute mentale dei giovani ha risentito negativamente dei cambiamenti avvenuti nella cultura americana, che ha privilegiato l’affermarsi di obiettivi estrinseci ed egocentrici come il denaro e lo status, svalutando invece lo sviluppo dell’idea di comunità, di affiliazione e del senso della vita. E’ certamente probabile che ci siano altri fattori dietro i drammatici aumenti delle psicopatologie. Tuttavia, questi risultati sono coerenti con la teorizzazione di chi sostiene che il materialismo, l’individualismo e le aspettative incredibilmente alte hanno favorito il peggioramento della salute mentale negli Stati Uniti e in altre nazioni occidentali.

I dati odierni confermano questo peggioramento della salute mentale dei giovani mostrando come la carenza di rapporti interpersonali, la continua de-responsabilizzazione, il vivere per soddisfare bisogni immediati e l’essere poco orientati a perseguire obiettivi impegnativi aumentano la fragilità psicologica e la percezione di non essere in grado di affrontare i compiti che si presentano.

Ansia e pensiero

Oggi a lezione mi stato chiesto in che modo un allenatore può insegnare a gestire l’ansi di gara ai giovani che allena. A questo riguardo riporto alcuni paragrafi dal mio libro “Affrontare lo stress”.

Il pensiero svolge un ruolo essenziale nell’affermazione della risposta ansiosa. Infatti per sviluppare comportamenti definibili come ansiosi non è solo sufficiente prendere in esame le alterazioni di carattere fisiologico. Un aumento anche rilevante della frequenza cardiaca lo si può avere per una serie piuttosto ampia di situazioni quali il fare le scale di corsa, il portare un peso eccessivo, il camminare ad una passo veloce e molte altre ancora. Queste condizioni si riferiscono a stati psicologici in cui un individuo potrebbe al più sentirsi  stanco o affaticato ma certamente non si definirebbe ansioso. La frequenza cardiaca può essere accelerata anche in altre occasioni, ad esempio le situazioni di valutazione (l’interrogazione a scuola, l’esame all’università, un colloquio di lavoro, una prestazione sportiva, una nuova responsabilità professionale); in quegli istanti mentre si è consapevoli dell’alterazione della propria frequenza cardiaca è possibile avere due tipi di pensieri:

  1. fiducioso – “E’ così che mi sento ogni volta che faccio bene, il cuore mi trasmette energia,”
  2. insicuro   – “Ho il cuore in gola, mi rimbomba tutto dentro, non ci sto capendo più niente, sbaglierò sicuramente.”

Si evidenzia così che sono i pensieri a determinare in larga parte se le reazioni fisiologiche che si avvertono sono favorenti o ostacolanti la prestazione. E’ quindi il pensiero che guida l’interpretazione delle sensazioni fisiche, per cui identiche condizioni fisiologiche possono essere vissute come adeguate a fornire prestazioni ottimali nonostante, all’apparenza, possano sembrare ostacolanti. Questa puntualizzazione è particolarmente importante da comprendere e soprattutto da ricordare nei momenti che contano, poiché ci attribuisce la  possibilità di guidare le nostre azioni attraverso lo sviluppo di pensieri che possiamo noi stessi costruire in modo consapevole. Nello sport di eccellenza questo aspetto è particolarmente evidente, poiché non è certo possibile restare calmi e sereni prima di una finale olimpica, in special modo se si può vincere. Gli atleti sanno che l’ansia che provano è positiva, è energia allo stato puro che stanno provando in quei e che gli dice: “Forza, tutto il corpo è con te, datti da fare, vai e fai quello che sai fare: fai il tuo meglio.” E’ proprio da loro che dovremmo imparare ad avvertire lo stress, a sentire la paura, vivendola come una dimostrazione che stiamo per fare qualcosa che per noi è molto importante, e se è importante come si fa a non avere il cuore il gola?

Quello che distingue chi poi fornirà una prestazione eccezionale è la sua capacità di gestire in termini positivi la sua ansia pre-gara, traducendola in energia che lo spingerà ad esaltare le sue competenze, perché hanno imparato a servirsene in modo positivo In queste situazioni l’atleta vincente non si lascia dominare dalle proprie emozioni, perché se ciò avvenisse sarebbe paralizzato dalla paura di fallire e dalla responsabilità di dovere ad ogni costo fornire una grande prestazione. Ecco cosa hanno detto a questo riguardo alcuni grandi campioni.

Si è forti di testa se si riesce a rimanere sereni e divertirsi anche quando le cose non vanno bene, e se si riesce a non perdere mai la fiducia in se stessi e nel lavoro di squadra.”(Valentino Rossi, pilota, 7 volte campione del mondo)

“Dipende dai caratteri, la tensione nervosa mi mangiava. Dimagrivo tre chili in gara: più mangiavo, più scendevo di peso. E la notte non dormivo, avevo gli occhi sbarrati. Ero una pila accesa, pronta a saltare dalla troppa tensione.” (Mark Spitz, nuotatore, 7 medaglie d’oro alle Olimpiadi di Monaco ’72) (da E. Audisio,  Hackett e il club degli eletti, La Repubblica, 22 marzo 2007)

“Quel giorno a Los Angeles gridai che volevo la mamma, volevo  che  qualcuno mi cullasse tra le braccia, desideravo essere considerata per la prima volta una creatura fragile, tenera, non a prova di bomba. Sì io ero quella che si dominava, quella che cercava le emozioni forti facendole esplodere nella maniera più giusta. Ma in un attimo mi accorsi che tutto quello stress mi aveva bruciato dentro, che a forza di vivere sempre in bilico convinta che con le mie ultimissime energie mi sarei tirata su, avevo consumato tutto e intaccato anche quella piccola riserva personale che uno si tiene per le occasioni speciali.” (Sara Simeoni, salto in alto, 3 medaglie alle Olimpiadi del ’76, ’80 e ’84) (da E. Audisio, Quanti modi per dire mi arrendo, La Repubblica, 13 luglio 1987)

La constatazione che anche i campioni possono essere ansiosi prima di una gara importante dovrebbe essere di aiuto per tutte le persone. Talvolta si è portati a pensare che i vincenti siano individui freddi e calcolatori, che non provano le stesse emozioni che prova la gente comune e che questa loro condizione è un dono che si portano dietro dalla nascita e che hanno ereditato da qualcuno della loro famiglia. Le loro prestazioni sportive diventano imprese memorabili e così taluni diventano dei miti, in cui il racconto diventa leggenda e supera la realtà dei fatti. Invece anche i campioni hanno faticato per assurgere a questo ruolo e come ha giustamente ribadito un grandissimo scrittore come Ernest Hemingway il genio è 10% talento e 90% sudore.

Ciò significa che la gestione delle proprie emozioni è un’abilità che si può migliorare e che quella condizione psicologica che chiamiamo ansia, stress o tensione eccessiva e che deriva da situazioni che non sono oggettivamente pericolose non è di per se stessa negativa, perché anche chi fornisce prestazioni ai massimi livelli, come i campioni dello sport, può sentirsi molto ansioso prima della gara. La differenza fra le persone è, quindi,  nella capacità di uscire positivamente da questo stato psicologico. Un’ulteriore conferma viene dalla notevole diffusione che hanno avuto negli ultimi 100 anni le tecniche di rilassamento; è la dimostrazione pratica di come persone ansiose possono imparare a ridurre queste loro reazioni e a svolgere una vita quotidiana soddisfacente.

E’ noto che l’apprendimento a rilassarsi consiste nell’imparare ad influenzare alcune funzioni fisiologiche (frequenza cardiaca e respiratoria e funzioni viscerali) e la tensione dei muscoli, in parallelo con una graduale distensione mentale. In questo ambito, non è un caso che una fra le tecniche più diffuse, il training autogeno ideato da Schultz nei primi anni del xx secolo, consiste in un allenamento a rilassarsi che l’individuo si genera da se stesso. Allenamento che richiede un’applicazione quotidiana di almeno 10 minuti consecutivi per alcuni mesi. Questa impostazione rivela che lo stato psicologico chiamato rilassamento  è una condizione che può essere ottenuta in modo volontario attraverso un’attività che è assolutamente analoga a quella che ogni persona ha effettuato ogni volta che ha imparato qualcosa di nuovo sia esso un’attività cognitiva come è stato a scuola per la matematica e l’italiano o un’attività motoria o sportiva.

Il segreto risiede nella disponibilità a volere imparare, nel seguire un metodo corretto e nella ripetizione per un periodo di tempo sufficiente a sviluppare il livello di abilità che si intende raggiungere o che è necessario per superare con successo determinate condizioni psicologiche, come ad esempio l’ansia prima di un evento personalmente importante.

L’ansia di Pecco Bagnaia

Gestione dell’ansia cronica e attività motoria

“Finora si è parlato dell’ansia come fenomeno collegato allo sport ma  i disturbi d’ansia possono assumere anche una dimensione psicopatologica e il trattamento tradizionale utilizzato è la terapia farmacologica e la psicoterapia cognitivo-comportamentale. Ciò nonostante recentemente l’attività fisica e in particolare l’esercizio aerobico è stato studiato come trattamento specifico per curare i disturbi dell’ansia. L’efficacia di questa pratica motoria è ben riconosciuta per gli effetti positivi prodotti sulla salute fisica, dal miglioramento della forma fisica cardiorespiratoria, alla riduzione della pressione sanguigna e del grasso corporeo, così come la riduzione dei disturbi cognitivi e il miglioramento del benessere. Una rassegna su questo tema [de Souza Moura et al., 2015] ha messo in evidenza che il 91% degli studi che hanno studiato l’effetto positivo dell’esercizio fisico sui sintomi dell’ansia hanno mostrato risultati significativi, mentre il 9% degli studi, pur non riducendo i sintomi, ha migliorato in generale alcuni aspetti fisiologici, come l’aumento dell’assorbimento di ossigeno e il livello di attività fisica. Per quanto riguarda la metodologia utilizzata nei protocolli di esercizio è stato trovato che i risultati variano in funzione dei diversi approcci sperimentali di cui si sono serviti i ricercatori. Gli studi non sono omogenei in termini di volume, intensità e giorni di attività per settimana, rendendo così impossibile fornire linee guida di carattere generale. Tuttavia, è stato osservato che l’esercizio aerobico in aggiunta ad altre terapie psicologiche e farmacologiche è stato efficace nel ridurre i sintomi dell’ansia, ma non è ancora stata identificata la quantità e tipologia migliore di attività da svolgere.

Sembrano comunque essere cinque le abitudini di vita fondamentali per favorire il benessere e un’aspettativa di vita più lunga [Li et al.,  2018]. Maggiore è il loro sviluppo, maggiore è la probabilità delle di vivere bene e più a lungo, sono così sintetizzabili:

  • Una dieta sana, calcolata e valutata sulla base di un’alimentazione principalmente basata su verdure, frutta, noci, cereali integrali, grassi sani e acidi grassi omega-3, e tesa a evitare cibi meno sani o malsani come carni rosse e trasformate, bevande zuccherate, grassi trans e sodio in eccesso.
  • Un adeguato livello di attività fisica, misurato in almeno 30 minuti al giorno di attività da moderata a vigorosa, come la camminata veloce.
  • Un peso corporeo sano, definito con un normale indice di massa corporea (IMC) compreso tra 18,5 e 24,9.
  • Non fumare, perché non c’è una quantità sana di fumo.
  • Ridotta assunzione di alcool, misurata tra i 5 e i 15 grammi al giorno per le donne e tra i 5 e i 30 grammi al giorno per gli uomini. Generalmente, un bicchiere contiene circa 14 grammi di alcol puro. Sono 12 once di birra normale, 5 once di vino, o 1,5 once di alcol distillato (1 oncia equivale a 29,57 ml – 1 litro equivale a 1.000ml).

Chi possiede anche solo una di queste abitudini, ha la probabilità di vivere due anni più a lungo rispetto a chi non ne ha sviluppata nessuna. E chi all’età di 50 anni pratica regolarmente queste cinque sembra guadagnare dieci anni di vita in più in assenza di una predisposizione a sviluppare malattie genetiche.

(Fonte: Alberto Cei, 2021)

Come si prepara una partita di calcio decisiva?

Non è difficile dare una spiegazione alla sconfitta subita dall’Inter contro il Bologna. L’ansia da prestazione generata dal dovere vincere a ogni costo ha scatenato nervosismo che è aumentato con il passare del tempo, determinando una prestazione negativa e un risultato inaspettato. Poteva accadere lo stesso al Liverpool contro il Villareal, ma la squadra si è comportata esattamente all’opposto dell’Inter. Ha mantenuto costantemente sotto pressione la squadra spagnola, non ha avuto fretta nel volere concludere le azioni e in questo modo sono arrivati due goal e soprattutto non ne ha subiti.

Sarebbe, invece, interessante conoscere in che modo sono state preparate dal punto di vista psicologico queste due partite. Aldilà delle differenze tra Inter e Liverpool, cosa hanno fatto e detto i due allenatori, Inzaghi e Klopp, per garantirsi che le loro squadre avrebbero giocato così come era stato deciso? In che modo hanno stimolato la combattività dei loro giocatori unitamente a un pensiero di gioco da condurre da inizio a fine? La combattività non deve di certo essere interpretata in termini di agire senza pensare, altrimenti si trasforma in un gioco impulsivo privo di logica.

Non so cosa possa avere detto e fatto Inzaghi ma in ogni caso non ha funzionato.

Di Klopp conosciamo invece alcuni suoi principi e credo che anche con il Villareal si sia ispirato nel preparare la partita a queste tre idee:

Costruire esperienze memorabili – “Giocare partite indimenticabili, essere curiosi e impazienti di giocare la prossima partita per vedere cosa succederà, e questo è ciò che dovrebbe essere il calcio. Se fai tuo questo atteggiamento, avrai successo al 100%”.

Essere disciplinati – “Non abbandonare mai i tuoi obiettivi, stai sempre focalizzato. Certamente insegnare questo ai giovani calciatori è difficile. E’ molto di più di crederci, perché si può credere in qualche cosa ma perdere anche facilmente questa convinzione, per questo è più importante sentirsi forti nei momenti difficili”.

Essere appassionati – “Bisogna servirsi della tattica con il cuore. La partita va vissuta intensamente altrimenti è noia”.

Ritengo che per vincere queste partite decisive queste tre idee siano determinanti e in sintesi si riassumono con queste parole: obiettivi chiari, tattica, cuore, curiosità.

Napoli: ansia da prestazione?

Si parla, in questi giorni, dell’ansia da prestazione che avrebbe ostacolato il Napoli almeno nelle ultime due partite, importanti per restare tra le favorite al titolo finale. Attribuire i risultati negativi di una squadra a questa dimensione psicologica ha avuto molto successo tra i media. Vuol dire sentirsi insicuri nei momenti decisivi del campionato, con l’effetto di fornire prestazioni insoddisfacenti. E’ un ragionamento che etichetta una squadra ed esprime una condizione psicologica collettiva invalidante. Fossi un allenatore rifiuterei questa spiegazione chiedendomi: “In che modo i calciatori devono interagire in campo allo scopo di mostrarsi uniti e fiduciosi delle proprie competenze di squadra?”. Mi chiederei anche “Come posso stimolare prestazioni che sono superiori a quelle che ognuno potrebbe fornire singolarmente?”. Napoleone era solito affermare di vincere le sue battaglie anche con i sogni dei suoi soldati, questa frase è una metafora efficace di cosa si debba intendere per efficacia di squadra. In questo modo non si parla più di ansia ma di efficacia collettiva e di come allenarla. Il tema consiste nel comprendere quale sia l’approccio comportamentale necessario per raggiungere la vittoria, fornendo a ogni calciatore compiti precisi e diversi per ognuno, così che quando qualcuno commette un errore gli altri sanno cosa fare. Ogni giocatore deve conoscere ed essere artefice di un pezzo della storia che la squadra sta costruendo con il trascorrere dei minuti e questo orientamento al compito deve essere allenato in modo specifico durante le settimane. Non è comunque una questione solo tecnico-tattica, richiede che ogni calciatore si percepisca parte attiva di un programma che va oltre la sua persona e che riguarda il successo della squadra. Sviluppando questa mentalità collettiva si potrà uscire efficacemente dalle situazioni di maggiore pressione agonistica, senza lasciarsi cadere nel vittimismo insito nella spiegazione che attribuisce gli insuccessi all’ansia, manifestazione di un limite caratteriale che richiede tempi lunghi  per cambiare mentre il campionato muovendosi su appuntamenti settimanali necessita di una grande disponibilità al cambiamento. Quindi la domanda non riguarda tanto se i calciatori sono ansiosi ma quanto sono disponibili a cambiare con rapidità comportamenti non efficaci.