Archivio mensile per gennaio, 2012

Calcio e montagnaterapia

Fra i diversi commenti all’articolo sul calcio, voglio pubblicare quello di Giulio Scoppola che pone ulteriori argomenti di discussione. “Ho trovato molto interessante, e per noi quasi scontato, il tuo articolo pubblicato su Repubblica. Posso anche dirti che la metafora dell’allenamento contamina positivamente anche i settings psicoterapeutici. Trovo molto utile avvicinare il percorso dell’”allenamento” a quello della “trasformazione” (forse più contiguo a quello di terapia).
Così come dalla mia esperienza la debolezza strutturale delle strutture e funzioni mentali di molti atleti ben si potrebbero approcciare con percorsi trasformativi. In fondo anche la Montagnaterapia propone percorsi trasformativi in e attraverso la montagna. Chissà che anche per gli sportivi ad alto livello non potremmo aprire percorsi trasformativi di Montagnaterapia, finalizzati ad evidenziare, sotto uno stress controllato non in laboratorio, quelle aree psicologiche ed emozionali la cui fragilità, se opportunamente osservata e accettata, potrà essere gestita con livelli differenti di risposta.
Mi piacerebbe parlarne con te magari in una tavola rotonda… in un dialogo tra psicologia dello sport e psicoterapia… che ne dici?”

Il calcio non allena la mente

Il calcio italiano non allena la mente: La psicologia è ancora un tabù. In questa intervista a Repubblica.it denuncio l’arretratezza delle nostre società sportive: Solo qualche richiesta dagli atleti che praticano sport individuali. Non serve terapia, ma training per la mente durante il percorso di allenamento. Leggi su: http://www.repubblica.it/rubriche/lastoria/2012/01/30/news/calcio_e_psicologo_dello_sport-28056538/

 

Italiani più sedentari e meno attivi

Italiani popolo di santi, poeti e navigatori, ma non di lettori e anche gli sportivi scarseggiano: basti pensare che solo 1 su 3 pratica sport. Secondo il rapporto “Noi Italia” dell’Istat anche il numero dei sedentari rimane alto, circa il 40%. Che cosa c’è dietro questi dati e come leggerli? Lo abbiamo chiesto ad Antonio Mussino, professore di statistica dell’Università di Roma La Sapienza.

“L’Istat definisce quattro gruppi: chi pratica sport con continuità; chi pratica sport in modo saltuario; chi svolge una qualche forma di attività fisica; chi non fa nessuna di queste attività e, pertanto, può essere definito sedentario. La classificazione che noi proponiamo è più semplice: gli sportivi, ossia coloro che dichiarano di praticare con continuità uno sport; gli attivi, ossia coloro che praticano in modo saltuario e coloro che comunque hanno uno stile di vita attivo perché praticano un’attività fisica; i sedentari, ossia i non attivi”.

“Cominciamo dagli sportivi, per il quali la tendenza è di una leggera crescita, avendo ormai stabilmente, se pur di poco, superato la soglia del 20% (mentre prima del 2002 eravamo sotto); questo risultato, che va in controtendenza rispetto alle varie crisi economiche che si stanno succedendo dall’inizio del nuovo millennio, è spiegabile col fattore culturale, dato che chi ha scelto una pratica sportiva continuativa la considera una componente inderogabile del proprio stile di vita ed è disposto a fare sacrifici per perseguire il suo obiettivo. Il fattore demografico, ovvero il costante invecchiamento della popolazione, se da un lato porta a un calo della percentuale di sportivi, poiché i tassi di partecipazione diminuiscono al crescere dell’età, dall’altro vede una ripresa della pratica continuativa nelle età mature e dopo il pensionamento da parte di generazioni di anziani. Questa categoria ha una ancor buona qualità della vita, molto tempo libero e un approccio culturale favorevole ad uno stile di vita sportivo. Non a caso, a fronte di un calo di sportivi in quasi tutte le fasce d’età dal 2010 al 2011, in quella dai 60 ai 64 anni c’è stato, invece, un incremento di ben un punto percentuale (dal 13,1% al 14,1%)”.

“Passiamo ai sedentari e agli attivi – conclude Mussino – che sono complementari, data la stazionarietà degli sportivi: l’onda lunga degli anni ’80 con la sempre maggiore diffusione di stili di vita attiva sembra essere entrata in crisi all’inizio del nuovo millennio, probabilmente per le difficoltà economiche legate all’entrata in vigore dell’euro. Da allora il sorpasso dei sedentari sugli attivi si è consolidato, salvo il caso del 2010, che aveva fatto pensare a una inversione di tendenza. Anche in questo caso è, probabilmente, il fattore economico ad aver provocato il controsorpasso, anche perché non si può attribuirne la responsabilità al fattore demografico, visto che i sedentari aumentano tra i giovani e i giovanissimi, in particolare tra i bambini dai 6 ai 10 anni di quasi due punti percentuali (dal 22,4% al 24,3%).
Fonte: Uispress

Il Giuoco del calcio fra i giovani

Quando si inizia a prendere a calci un pallone, in un campetto improvvisato o in una moderna struttura sportiva, all’inizio e prima di tutto il resto, c’è un gioco. Anzi, meglio, un “giuoco”, come recita ancora la dizione ufficiale dei regolamenti e il nome stesso della federazione sportiva di chi gioca a pallone: il “giuoco del calcio”.
E’ proprio questo il titolo di una trasmissione televisiva condotta da Giusi De Angelis che va in onda su Super 3, rete di Roma e del Lazio, il giovedì alle 21.30. “Il Giuoco del calcio” parla del mondo giovanile: scuole calcio, piccoli amici, pulcini, esordienti, allievi e juniores. “ Vuole fare conoscere un mondo ricco, vivace e in continua espansione nonostante i problemi e le difficoltà del calcio “dei grandi” di cui poco si parla. Il programma esamina il rapporto  tra bambini, scuole calcio e genitori, anche attraverso le opinioni e le esperienze di chi il calcio lo ha vissuto in prima persona. Ma anche il rapporto tra cultura e calcio, quando lo sport dà un messaggio culturale o diventa uno strumento di educazione sociale e civile. E poi il calcio dei bambini con le sue diff icoltà, il problema dei piccoli giocatori immigrati e il commercio di chi promette sogni che raramente si riescono a realizzare. Molto bella la trasmissione di ieri sera sulla Scuola Calcio di Scampia a Napoli e su quella di Torbellamonaca a Roma, aree a forte disagio sociale in cui queste due società sportive operano da anni per consentire ai bambini di vivere esperienze positive di convivenza attraverso il calcio. Sono esperienze che più di ogni altra parola ci fanno bene all’animo e trasmettono un messaggio concreto di speranza. Vai a: www.ilgiuocodelcalcio.it   www.arciuispscampia.it   www.fondazionecannavaroferrara.it/arci-scampia-25-anni-e-non-sentirli?lang=it

 

 

Humor al Nanga Parbat

Guardate il video della fase di acclimatamento di Simone Moro e Denis Urubko nell’ascesa invernale in corso sul Narga Parbat. Mi è piaciuto il senso di humor che i due alpinisti riescono ad avere a quelle altitudini: http://simonemoro.gazzetta.it/2012/01/19/il-film-del-nostro-acclimatamento/

 

Fare l’atleta o lo studente?

Sono stato invitato a parlare a un convegno che tratterà il tema di come conciliare durante la scuola media superiore le necessità dello studio con l’attività agonistica. La risposta è scontata, nel senso che un giovane deve riuscire in questo intento, poichè è indispensabile per il suo futuro che acquisisca quelle competenze culturali, metodologiche  e scientifiche/classiche/professionali che solo la scuola può offrire, indipendentemente dalla scelta dell’orientamento curriculare. Sto parlando non tanto di chi svolge un’attività a livello ricreativo, in cui può quindi scegliere la frequenza e l’intensità di partecipazione in funzione del tempo libero che è in grado di garantirsi ma di coloro che svolgono un’attività agonistica, che al contrario è regolata secondo ritmi e tempi che le sono propri e che sono contrattabili dal giovane in modo molto limitato. Fare sport agonistico e seguire un corso di studi impegnativo richiede un impegno totale che porta a escludere ogni altra attività in un contesto nel quale spesso gli insegnanti considerano l’altra attività come un ostacolo all’apprendimento. Una soluzione spesso tentata dai genitori e dalle società sportive e d’iscrivere questi giovani a scuole private o in istituti in cui vi è una più positiva considerazione dello sport. La fama e la popolarità del club sportivo (come nel caso di quelli di calcio) o il vivere in città di provincia possono essere fattori facilitatori. Nel nostro paese il sistema scolastico non si è mai interessato a come riuscire a coniugare questi due aspetti della vita, mentre per la musica vi sono i conservatori e il liceo artistico è un sistema per formare i ragazzi all’interno di un mondo che ha loro interessa. Un ragazzo o una ragazza devono quindi prevedere almeno tre ore di studio e altrettanto di allenamento; con l’aggiunta delle ore di scuola sono almeno 11 ore al giorno. A queste va aggiunto il tempo per gli spostamenti, minimo altre due ore al giorno (spesso sono di più per chi vive in una grande città). Sono pertanto 13 ore al giorno. A mio parere la questione sta in questi termini, chi non è disposto a seguire  questo tipo d’impegno, a mio avviso, dovrebbe lasciare lo sport. Perchè lo sport agonistico di alto livello è una carriera per pochissimi e in Italia non essendoci alcun supporto da parte delle istituzioni vige la regola della giungla, per cui pochi ce la fanno a dispetto dei tanti che periscono. Mi spiace essere così diretto ma non vedo altre soluzioni. I ragazzi e le ragazze devono acquisire un titolo di studio di scuola superiore ottenuto con il loro lavoro e non pagato dai genitori, perchè questo è indispensabile per il loro futuro professionale, se vi riescono coniugando insieme lo sport benissimo, altrimenti devono abbandonare lo sport inteso come possibile carriera e continuare questa loro passione a livello ricreativo. Le famiglie sono fondamentali nel sostenere i loro figli, soprattutto nell’insegnargli  a sviluppare una concezione realistica e non illusoria del loro futuro. I genitori non devono mai abdicare al ruolo di guida dei loro figli e figlie o pensare che il successo sportivo sarà la loro pensione.

Coraggio e professionalità

Nella storia terribile della Costa Concordia all’Isola del Giglio sono coinvolti molti uomini nello sforzo di ridurre l’impatto ambientale di questo disastro: Altri, i sub dei Vigili del Fuoco, della Finanza e della Guardia Costiera   sono impegnati nel salvataggio e nel recupero dei corpi. E’ un lavoro che richiede un grado di professionalità estremo e di grande coraggio. L’articolo di oggi su La Stampa di Teodoro Chiarelli ne riporta l’esperienza. Sulla nave dicono due vigili del fuoco “non hai vie di fuga … Non puoi risalire in verticale, devi per forza uscire da dove sei entrato. Ti serve la sagola-guida o filo d’Arianna, ma devi saperlo usare, sennò rischi di imbrigliarti da solo e sono dolori. Si procede al buio, perchè l’acqua è intorpidita dalla decomposizione dei corpi, cibo e scorte. Devi avere rapporti profondi con i tuoi partner, una fiducia convinta e totale: la vita di uno può essere nelle mani dell’altro. E poi c’è quella paura che ti guida, che fa scattare il raziocinio e garantisce il rispetto, prima di tutto di te stesso e quindi ti spinge ad averlo per gli altri”. Tornati all’aria aperta, sul gommone si parla tirando fuori tutto quello che si ha dentro, ogni pensiero, angoscia, timore. Per loro è “quasi una terapia di gruppo … Ci guardiamo negli occhi e svisceriamo tutto, imprese e debolezze. E’ dura e stressante, ma la miglior cura a fine giornata è stare tutti insieme a cena”.

Girone di andata calcio

Commenti sulle 19 partite del girone d’andata del campionato di serie A di calcio e previsioni su quello di ritorno. Le prime tre squadre di testa, divise da 3 punti, raggiungono questa posizione con risultati diversi.

  Vinto Pari Perso
Milan 63,1% 21,05% 15,7%
Juventus 57,8% 42,1% 0
Udinese 57,8% 26,3% 15,7%
  1. Il Milan ha vinto più spesso delle altre. La sua media del 63% di successi è analoga a quella raggiunta al termine del girone di andata della stagione precedente e al termine del campionato che ha vinto.
  2. La Juventus ha 1 punto in più del Milan pareggiando il 42% delle partite contro il 21% ma senza essere mai  essere stata sconfitta.
  3. L’Udinese ha perso 3 partite come il Milan ma ha 1 pareggio in più, che determina il distacco di 3 punti dalla capolista.
  4. Il campionato passato è stato vinto mantenendo la stessa percentuale di successi del girone di andata, riducendo al minino le sconfitte nella seconda parte (non più di 1) e aumentando i pareggi rispetto alla prima parte del campionato.
  5. La Juventus ha finito il girone di andata senza sconfitte e potrebbe permettersi anche 2 sconfitte in quello di ritorno ma non le altre due squadre.
  6. Gli scontri diretti possono determinare il campionato, non solo perché chi vince avrebbe superato un ostacolo decisivo, ma soprattutto sarebbe negativo per chi perde perché si troverebbe costretto a non subire più insuccessi se vuole vincere il campionato.
  7. Sono, però, altrettanto importanti anche le partite apparentemente facili perché la squadra di vertice deve ottenere sempre la vittoria.
  8. La tabella di marcia è la seguente su 19 partite bisogna vincerne almeno 11, perderne 2  e pareggiarne 6 per essere quasi certi di arrivare secondi, chi vuole vincere dovrà fare meglio.
  9. In sintesi, di solito vince chi nel girone di ritorno mantiene lo stesso ritmo di successi e aumenta il numero dei pareggi. Infatti,  l’anno scorso l’Inter è arrivata a 6 punti dal Milan pur vincendo solo una partita in meno (23vs24) ma ha fatto meno pareggi (7vs10) perché ha perso il doppio degli incontri (8vs4).

 

 

L’entusiasmo non è sempre positivo

Avere aspettative realistiche rispetto ai propri risultati è una degli aspetti dello sport agonistico che è più difficile da controllare da parte di atleti e allenatori. Talvolta una serie di risultati positivi portano a pensare di potere raggiungere il massimo risultato mentre altre volte pochi risultati negativi o non soddisfacenti determinano previsioni ancora peggiori. A questo riguardo i commenti di Conte, l’allenatore della Juventus, sulla possibilità di vincere il campionato mi sembrano un esempio di eccessivo entusiasmo, soprattutto perchè possono spostare l’attenzione delle squadra sull’idea “vincere” da quella che invece dovrebbe riguardare il come fare per giocare bene e vincere la prossima partita. E’ un po’ come fessteggiare il successo 10 metri prima dell’arrivo, si può inciampare per la distrazione: meglio trattenere le emozioni, aspettare e poi manifestarle quando si è tagliato il traguardo, che in questo caso è rappresentato dalla conclusione del girone di andata. Questo perchè la fine della prima parte del campionato è un evento oggettivo, in cui ogni squadra effettua una prima valutazione del suo percorso e delle sue prospettive. In altri termini è legittimo in quel momento esprimere le proprie aspettative, farlo prima di quel momento direi che è quantomeno rischioso.

10 ragioni per non fare sport

10 ragioni per non fare sport e vivere felici?
1. Si perde del tempo utile per stare su Facebook o intrattenersi con qualche nuovo gioco.
2. Si diventa più affamati e si mangia di più perdendo così i benefici del fare esercizio.
3. Si perde peso e misure di vestito costringendosi a spendere per rinnovare il guardaroba.
4. Vengono dei dolori fisici perdendo il piacere di fare esercizio.
5. Si puzza e diventa necessario fare una doccia non prevista.
6. Si suda e lo spogliatoio diventa una camera a gas.
7. Ci si può fare male e quest’idea è assolutamente fastidiosa.
8. Si conoscono persone che parlano solo di esercizi fisici e di cosa vogliono fare per mettere più muscoli.
9. Bisogna continuare per sempre altrimenti la fatica non è servita a nulla.
10. Se anche il/la tuo/a partner è sportiva non hai proprio scampo, devi continuare.