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L’umiltà e il coraggio di Giovanni Pellielo sono un grande insegnamento

Le storie dello sport sono costruite sulla capacità, la tenacia e la costanza nel tempo degli atleti. La storia di Giovanni Pellielo è una di queste. Quarantasei anni, soprannominato il tiratore di Dio per la sua fede, anche questa estrema così come lo è la sua vita di atleta. Se praticasse uno sport più glamour come il golf, le moto o il tennis sarebbe ogni giorno sulle pagine dei giornali. Pratica invece il tiro al piattello, uno sport cosiddetto minore, che raggiunge le cronache solo nei giorni delle Olimpiadi.

Pellielo è l’atleta più forte della storia di questo sport. Ha vinto quattro volte il campionato del mondo e quattro medaglie in altrettante Olimpiadi. È un esempio a cui rivolgersi quando si parla di eccellenza dello sport italiano. Ci si dovrebbe rivolgere a lui per sapere e capire come sia possibile che dopo così tanti anni di attività, sia rimasta intatta la volontà d’impegnarsi per continuare a livelli mondiali assoluti. Negli ultimi quattro anni si è classificato primo, terzo e secondo ai campionati del mondo e ora ha aggiunto ai suoi successi la medaglia d’argento di Rio. La sua motivazione è basata sulla continua voglia di ricercare la perfezione, nella consapevolezza che non potrà mai essere raggiunta. Infatti, è capace di mettere spessori anche solo di un millimetro nel calcio del fucile per sperimentare differenze che quasi nessuno sarebbe in grado di percepire. Vuole dire essere tutt’uno con il proprio strumento sportivo, per raggiungere quella confidenza che gli consente di esprimersi a livelli assoluti da più di venti anni.

Pellielo ha raggiunto questi risultati anche grazie alla sua abilità nel gestire le tensioni agonistiche che vive in queste grandi competizioni. “Sono terrorizzato prima d’iniziare” è una sua frase ricorrente ed è in questi momenti, tutt’altro che piacevoli, che nasce dentro di lui il modo per affrontare queste emozioni, che porterebbero la maggior parte degli atleti alla distruzione, mentre sono per lui la base su cui costruire la fiducia di potercela fare anche per questa volta.

Umiltà e coraggio sono le sue due più grandi qualità. L’umiltà di sapere che in uno sport di precisione l’errore può succedere in qualsiasi momento e non è recuperabile, a meno che l’avversario non commetta lui stesso un errore. Coraggio, poiché ogni gara viene comunque affrontata con quella convinzione che è alla base di ogni tiro.

La sua è una lunga carriera in cui questi due aspetti non si sono mai persi. Basti ricordare che dopo l’uscita dalla finale delle Olimpiadi di Londra per un piattello, Pellielo ha continuato ad allenarsi sino alla prima prova di Coppa del Mondo dell’anno successivo, vincendola. Quindi costanza e volontà di continuare a dimostrare a se stesso di essere sempre il campione che era stato sino a quella gara.

Pellielo è un esempio per tutti quelli che pensano che il successo sia qualcosa che una volta raggiunto non ci abbandonerà mai. Non è retorico affermare che il successo è invece il risultato di un continuo impegno, svolto in modo intelligente e sistematico, che si protrae nel tempo e che richiede il proprio totale coinvolgimento. Pellielo merita il nostro ringraziamento, perché ci dimostra che l’età non deve essere un limite ai nostri sogni. È un uomo che ci dimostra che l’importante non è essere gazzella o leone, ma serve muoversi, impegnarsi, avere obiettivi e volere raggiungerli. Abbiamo bisogno della sua motivazione per esercitare il nostro ottimismo verso il futuro.

Coraggio e umiltà

L’allenatore degli All Blacks ha detto recentemente in una conferenza che la mentalità guerriera dei suoi giocatori si basa sull’equilibrio fra coraggio e umiltà: essere capaci di fare cose straordinarie ma sapere anche recuperare rapidamente dagli errori, sapersi risollevare rapidamente e vincere.

Questa capacità distingue i campioni dagli altri bravi atleti: Ne sono un esempio:

Roger Federer  che cambia gioco per continuare a restare al suo livello compensando le difficoltà fisiche con un aumento dell’efficacia del servizio e con più frequenti discese a rete. Cambiare per limitare i limiti e continuare a vincere.

Valentino Rossi è ritornato a vincere un MotoGP dopo molto tempo, stabilendo il record di più anziano vincitore, non ha rinunciato a questa opportunità e alla fine ci è riuscito.

Tiger Woods da 60° del ranking mondiale anzichè ritirarsi, in tre anni è ritornato a essere n.1

Giovanni Pellielo ha perso le olimpiadi di Londra ma l’anno successivo ha vinto il campionato del mondo ed è già qualificato per quelle di Rio

Imparate da loro, non basta il talento ci vuole coraggio e umiltà.

Prandelli e il coraggio

Come credo che sia giusto dopo la finale di euro 2012 tutti i commenti sono stati positivi e tesi a valorizzare il lavoro svolto e il risultato raggiunto. Ci sarà tempo per la valutazione e per capire come si deve migliorare in previsione dei mondiali. I giornali di oggi riportano alcune idee interessanti e necessarie che Prandelli vuole realizzare e vediamo se Federazione e Club lo permetteranno. Mi è piaciuto il suo commento sulla opportunità di mostrare ancora più coraggio di quello che ha avuto durante gli europei. Questo in riferimento a non avere fatto giocare chi non era stanco e che avrebbe potuto inserire al posto ad esempio di Chiellini e di Motta. Forse il risultato non sarebbe cambiato ma non lo sapremo mai. La mia idea è che dovrebbe giocare chi sta meglio ed è più in forma in quel giorno. Capisco che non sia facile avere questo atteggiamento, ma se fossi il suo coach gli suggerirei di migliorare su questo aspetto.

Ancora sulle regole nel calcio

L’etica nelle azioni si sviluppa attraverso la coscienziosità e il coraggio. La persona coscienziosa ha senso di giustizia e di onestà e coniuga insieme l’impegno nel lavoro con il rispetto dei propri doveri etici, professionali e sociali. Il coraggio aiuta ad agire in questo modo anche nelle situazioni difficili, altrimenti si rischierebbe di comportarsi in modo etico solo nelle situazioni più semplici.

Coraggio e professionalità

Nella storia terribile della Costa Concordia all’Isola del Giglio sono coinvolti molti uomini nello sforzo di ridurre l’impatto ambientale di questo disastro: Altri, i sub dei Vigili del Fuoco, della Finanza e della Guardia Costiera   sono impegnati nel salvataggio e nel recupero dei corpi. E’ un lavoro che richiede un grado di professionalità estremo e di grande coraggio. L’articolo di oggi su La Stampa di Teodoro Chiarelli ne riporta l’esperienza. Sulla nave dicono due vigili del fuoco “non hai vie di fuga … Non puoi risalire in verticale, devi per forza uscire da dove sei entrato. Ti serve la sagola-guida o filo d’Arianna, ma devi saperlo usare, sennò rischi di imbrigliarti da solo e sono dolori. Si procede al buio, perchè l’acqua è intorpidita dalla decomposizione dei corpi, cibo e scorte. Devi avere rapporti profondi con i tuoi partner, una fiducia convinta e totale: la vita di uno può essere nelle mani dell’altro. E poi c’è quella paura che ti guida, che fa scattare il raziocinio e garantisce il rispetto, prima di tutto di te stesso e quindi ti spinge ad averlo per gli altri”. Tornati all’aria aperta, sul gommone si parla tirando fuori tutto quello che si ha dentro, ogni pensiero, angoscia, timore. Per loro è “quasi una terapia di gruppo … Ci guardiamo negli occhi e svisceriamo tutto, imprese e debolezze. E’ dura e stressante, ma la miglior cura a fine giornata è stare tutti insieme a cena”.

Coraggio o incoscienza

Si è corsa ieri la maratona di New York con un successo incredibile di partecipanti (47.000) che conferma quanto queste gare/eventi sportivi partecipano a soddisfare quel bisogno di movimento che è dentro ognuno di noi. Tra le donne, successo dell’etiope Dado Firehiwot in 2h23’15″ davanti alla connazionale con passaporto americano Deba Buzunesh e alla keniana Mary Keitany. E’ stata proprio quest’ultima a correre una gara in cui ha dimostrato coraggio e incoscienza, perchè è stata da sola in testa sino dai primi chilometri raggiungendo un vantaggio di più di 2 minuti, ma non ce l’ha fatta a tenere lo stesso ritmo tanto che a tre chilometri dall’arrivo è stata raggiunta dalle due inseguitrici. A questo punto la Keitany ha reagito e non si è fatta superare, anzi, ha preso qualche metro di vantaggio. Purtroppo per lei con questo ulteriore sforzo di orgoglio ha consumato le ultime energie ed è stata superata. Gara coraggiosa per questa ragazza perchè non ha esitato nella fase iniziale a credere in se stessa e per 36 chilometri ha dimostrato di saperlo fare, pur soffrendo è stata in testa rallentando il ritmo e indurendosi nella corsa per poi appena recuperato ritrovare più scioltezza. E’ stata, però anche incosciente perchè è giunta nella fase decisiva della maratona, che sono gli ultimi chilometri, senza le energie fisiche e mentali per gestire questa fase finale e giungere prima al traguardo. Credere in se stessi e volerlo dimostrare è un fattore decisivo per il successo, ma anche per i fuoriclasse la chiave della vittoria nella maratona sta in questi ultimi chilometri. Un maratoneta non fa di certo molte gare durante l’anno, anzi forse due sole maratone in dodici mesi. Pertanto, non si può sprecare un possibile successo per eccesso di ottimismo. La lezione per tutti quale sia il tempo che farai è che devi correre sempre a un ritmo che ti consenta, giunto al 36°km, di continuare con quello stesso passo fino al traguardo.

E’ il momento del coraggio e della coscienziosità

Il coraggio e la coscienziosità sono alla base della moralità del carattere. Infatti se non si posseggono queste due caratteristiche si rischia di agire in modo etico solo nelle situazioni più semplici, in cui non si deve contrastare convinzioni differenti o ambienti organizzativi con modelli morali negativi o di tipo più lassista. Le persone però non devono essere lasciate sole nel dimostrare questo loro atteggiamento, perchè non c’è bisogno di eroi. Le società di calcio dovrebbero dotarsi di un codice etico, così come ha fatto Prandelli con la nazionale di calcio, e affidare la crescita dei calciatori a chi può farli crescere, non è un percorso facile ma bisognerebbe provarci per evitare che i più deboli vengano avvicinati da persone losche (che ci sono sempre state e continueranno a esserci) e si lascino attirare. Non si può fare finta di nulla e pensare solo al proprio orticello: l’allenatore allena e il dirigente  amministra, e chi pensa a questi giovani che si possono perdere a dargli delle ragioni per sviluppare un antidoto al doping, all’abuso di farmaci, al vincere i soldi in modo facile, al non pensare che “è solo questione di soldi?” Quali azioni formative ha intrapreso l’associazione dei calciatori?