Archivio mensile per aprile, 2011

Gli atleti hanno bisogno dell’allenatore

Talvolta nello sport di alto livello si fa strada l’idea che l’atleta forte quando va in gara e nei giorni precedenti la competizione ormai non ha più bisogno dell’allenatore perchè è pronto ed è l’atleta a quel punto che deve dimostrare il suo valore. Si pensa che l’aspetto psicologico dell’avvicinamento alla gara e la gestione della stessa sia un fatto privato, anzi è giunto il momento di dimostrare di “avere le palle”. La mia esperienza professionale è assolutamente di tipo opposto, proprio perchè possono fornire prestazioni eccezionali questi atleti hanno bisogno di una persona qualificata al loro fianco che sappia indirizzarli a vivere questa esperienza in maniera efficace e positiva. Ho in mente atleti che ti chiedono cosa devono fare o più semplicemente hanno voglia di parlare con qualcuno che li conosce e che è disponibile ad ascoltarli. Senza quest’ultima fase, che può essere svolta dall’allenatore o dallo psicologo, è invece possibile  buttare via  mesi o anni di preparazione per non averne apprezzato l’importanza. Ho davanti agli occhi atleti che prima della finale olimpica dicono che hanno la nausea e che non vogliono andare in campo o che tre ore prima ti dicono che non si ricordano cosa devono fare, o allenatori che si stupiscono di prestazioni insoddisfacenti senza però avere fatto nulla per prevenirle. Oggi che tutti si sentono dei motivatori o mental coach questa carenza è ancora più paradossale, ponendo in evidenza che ci vogliono delle competenze professionali per esserlo e che non basta solo appicicarsi addosso questa etichetta, senza capire che la gara è uno dei momenti fondamentali del consolidamento della conoscenza tra allenatore e atleta e tra psicologo e atleta.

I numeri dello sport

Il Coni ha presentato ieri i numeri dello sport italiano basandosi su una elaborazione dei dati Istat e di quelli relativi al movimento sportivo organizzato dal Coni e dagli Enti di Promozione Sportiva.
In sintesi: per la prima volta da 10 anni siamo scesi al 38,3% di sedentari mentre il numero di chi pratica attività sportiva continuativa è del 22,8%, i praticanti qualche attività fisica sono sono il 28,2% e i saltuari il 10,2. Gli attivi aumentano anche se continuiamo ad avere percentuali di praticanti inferiori alla maggior parte degli altri stati europei. La migliore pubblicità allo sport attivo è fornita non tanto dalla scuola ma dalla medaglie vinte dai nostri campioni.
Per saperne di +:

http://www.coni.it/index.php?id=5412

http://www.repubblica.it/sport/vari/2011/04/27/news/praticanti_sport_italia-15454551/

Al Real Madrid non è bastata la volontà

Con la volontà si può tutto aveva detto Mourinho, ma questa volta non è anadata bene per il Real Madrid. Drammatizzare le partite e creare forti aspettative su come giocherà questa volta la squadra è la filosofia di questo allenatore. Ieri sera il Real Madrid sembrava attendere gli avversari nella speranza di un loro errore, ma evidentemente non tutti condividevano questo approccio, giacchè Ronaldo si lamentava vistosamente di questo atteggiamento dei suoi compagni. Quindi squadra poco unita se la sua stella principale si arrabbiava con gli altri. Insomma questa versione moderna degli Orazi e Curiazi non ha funzionato. Inoltre la volontà da sola non funziona se non si coniuga con la tenacia di volere ottenere il risultato a ogni costo.

Il talento assoluto di Jessica Rossi

Jessica Rossi, 19 anni, ha vinto ieri a Pechino la prova di Coppa del Mondo di tiro a volo, specialità fossa olimpica. Non c’è questa notizia sui giornali di oggi che sono allietati invece dalle multe e dagli scherzi di Balotelli. Questa atleta, che ha già vinto un mondiale senior quando era minorenne, è sicuramente uno dei giovani talenti sportivi italiani insieme a Manassero e alla Pellegrini (mi scuso se non conosco altri che non cito).

Giovani impegnati a realizzarsi.

Ho partecipato a Palermo alla Facoltà di Agraria a un incontro organizzato dall’Associazione degli studenti “Agroethica” sul tema “Agronomi on the job”, dedicato all’orientamento al lavoro del giovane laureato. Vi è stata, a mio avviso, una partecipazione straordinaria in termini di presenze e di interventi, per tutta una lunga e piacevole mattinata. Il mio intervento è stato basato sul lavoro che svolgo e, quindi, su come sviluppare le proprie abilità individuali e di network sociale per sviluppare la propria professionalità. Si sono evidenziati giovani che dimostrano di essere attivamente interessati a ricercare il lavoro, a capire quale ruolo giochi il loro modo di pensare e la fiducia in se stessi, a interrogarsi sul fatto che essere laureati è solo primo step di un percorso lungo e laborioso, e a prendere coscienza che cambiare non è sinonimo di avere problemi ma deve essere la costante della loro vita. Bisognerebbe che nelle università si diffondesse questa pratica, per trasmettere idee e strumenti per realizzarsi.
http://agrariapalermo.blogspot.com/2011/04/progetto-agronomi-on-job-primo-incontro.html

Vivere bene e a lungo: come?

L’eterna giovinezza? Sono stupidaggini che predono piede. Non è solo più andare in palestra ma ormai vi sono aziende che propongono programmi contro l’invecchiamento a base di testosterone e di ormone della crescita. Una di queste è la Cenegenics Medical Instiute che propone “the world’s largest age-mamanegment practice”. Ripercorriamo in modi diversi le stesse vecchie strade, il mito dell’eterna giovinezza in formula da terzo millenio, al patto con il diavolo si sostituiscono le pillole. Difficile è riuscire a mantenere un equilibrio fra il desiderio ragionevole di volere mantenersi mentalmente e fisicamente in forma, le mille attività che svolgiamo all’età in cui i nostri genitori si ritiravano dalla vita attiva e la tentazione di servirsi nella ricerca del benessere di aiuti chimici al posto dell’impegno individuale . La risposta a una vita longeva decisa dalla chimica è in quattro fattori; dieta, attività fisica, affetti e tanti interessi.

Non rinunciamo

I ragazzi e le ragazze italiane abbandonano lo sport a 14 e 11 anni. Siamo uno dei paesi del mondo occidentale con meno laureati ed è appena stata pubblicata una ricerca da cui emerge che solo il 21% dei nostri giovani è convinto che lavorerà nell’azienda in cui vorrebbe impiegarsi contro il 35% degli inglesi, il 37% degli svedesi e il 38% dei francesi. Bene! Continuiamo così a negare la realizzazione dei sogni e a allontanarli dallo sport e dallo studio.

Attacchi di panico

Lo sport di livello assoluto è un generatore di ansia e di timori che come sappiamo gli atleti devono imparare a gestire. Gli attacchi di panico sono tipici in atleti di alto livello (forse anche perchè trovano il coraggio di parlarne) sono un intreccio tra perfezionismo degli atleti, loro aspettative di risultati assoluti e stress connesso alla competizione. Che fare? Accettazione di queste emozioni, rilassamento e visualizzazioni di eventi positivi sono alla base di questo processo di miglioramento. Il dialogo continuo con se stessi è la costante che accompagnare questo processo.

L’angoscia competitiva

Sul tema “vincere è l’unica cosa che conta” si è detto molto parlando dei giovani atleti che giustamente non devono essere oppressi dall’idea del risultato, mentre si dovrebbero concentrare sul fare del loro meglio. Penso invece che sia stato poco discusso in relazione allo sport agonistico di livello assoluto e in riferimento a quel numero limitato ma sotto gli occhi di tutti rappresentato dagli atleti fortissimi. Gli americani nel loro pragmatismo hanno coniato la frase: “from hero to zero” per identificare quella linea sottile su cui si muovono questi atleti che hanno l’obbligo di vincere. Gli atleti conoscono bene questa regola del gioco e per quanto siano talentuosi e vincenti sanno di non potere corrispondere a queste aspettative che li vorrebbe sempre sul podio, belli e sorridenti. E’ per questa pressione con cui devono convivere che improvvisamente emergono le loro debolezze, quelle della Pellegrini con gli attacchi di ansia, quelle dell’Inter in cui si è inceppato quel sistema di collaborazione in campo che ha permesso i risultati della scorsa stagione e molti altri. L’antidoto più semplice a cui ricorrere è quello illegale, il doping e l’abuso di farmaci. L’antidoto ecologico è vivere in un ambiente sociale (famiglia e amici) comprensivo e affettivo. Può non bastare, perchè l’atleta deve imparare a vivere con questa angoscia esistenziale, che si può chiamare angoscia competitiva, che consiste nel sapere che non sempre si può corrispondere alle proprie aspettative e a quelle degli altri. Bisogna imparare di più a accettare i propri limiti, soprattutto chi è impegnato a allargarli sempre di più. Come diceva Sartre bisogna volere tutto sapendo di non poterlo raggiungere.

Le strade diverse dello sport

Strade diverse per lo sport. Il basket si ribella al razzismo contro la cestita Abiola e domenica tutti in campo con la faccia nera, perchè come scrive Emanuela Audisio siamo tutte scimmie negre e aggiungerei con la stragrande maggioranza dei geni in comune. Il ciclismo, nonostante le critiche di Petrucci, continua la sua corsa verso il baratro. Ora anche esperti come UmbertoVeronesi e l’avvocato Alessi sono a favore di un ripensamento della legge sul doping. Il primo ha affermato di essere a favore della liberalizzazione dell’uso dell’epo, mentre il secondo ha detto che la salute è un diritto e non un dovere e che “non è possibile che drogarsi non sia considerato reato mentre doparsi sì”. In molti hanno già risposto a queste affermazioni, resta sconcertante che se anche illustri medici e avvocati iniziano a accettare queste pratiche la cultura dello sport e la salute degli atleti diventano sempre più degli optional.